Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14017 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14017 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avv. F. NOME COGNOME, pec:EMAIL
-ricorrente e controricorrente su ricorso incidentale Contro
RAGIONE_SOCIALE
rappresentata e difesa dagli
Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Roma -controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina n. 410/2020, depositata il 16.10.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto:
Intermediazione
finanziaria
obblighi
informativi
1. -Con sentenza non definitiva n.182/2008 del 26.5-16.8.2008 il Tribunale di Patti riteneva e dichiarava l’inadempimento contrattuale della Banca Antoniana Veneta s.p.a. in relazione alle operazioni di vendita di azioni BAPV eseguite in data 28 gennaio e 5 febbraio 2004 da NOME COGNOME e con sentenza definitiva n.416/2009 del 19.1023.11.2009 condannava la citata Banca al pagamento in favore del Bruno della somma di € 201.628,83 a titolo di risarcimento del danno per capitale, interessi e rivalutazione oltre interessi legali sul capitale di €180.152,25 dalla data della decisione al soddisfo nonché al pagamento delle spese di causa ponendo a carico dell’Istituto di credito anche le spese di c.t.u.
2 .─ Rilevava il primo giudice che la banca convenuta in giudizio dal Bruno si era resa inadempiente ai propri doveri contrattuali assunti nei confronti del cliente con il contratto di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari stipulato in data 12.1.1999 al quale era collegato un contratto di deposito titoli a custodia ed amministrazione, consistenti negli obblighi informativi di cui agli artt.26, comma 1, lett. e e 28 e 29 reg. Consob. In particolare, nel caso di specie, mentre doveva escludersi che la Banca avesse assunto compiti gestionali delle disponibilità del Bruno e che avesse “convinto” il cliente a vendere le azioni, svolse, comunque, un’ingerenza decisiva nella decisione del Bruno di dismettere i titoli di cui egli era titolare e comunque non utilizzò la necessaria diligenza e correttezza nelle operazioni di vendita per avere allettato il cliente, senza plausibile necessità, né suo bisogno circa l’opportunità di dism ettere le azioni.
3. ─ Banca Monte dei Paschi di Siena proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Messina che, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello. Per quanto qui di interesse la Corte di merito precisava quanto segue:
a) la questione che si pone all’esame della Corte nella fattispecie attiene alla individuazione di un dedotto comportamento scorretto, integrante inadempimento contrattuale, che sarebbe stato posto in
essere dai funzionari della Banca Antonveneta s.p.a, ai danni del loro cliente NOME COGNOME in occasione delle due dismissioni delle azioni per conto terzi operate rispettivamente in data 28 gennaio 2004 e 5 febbraio 2004 per il prezzo unitario ris pettivamente di €15,48 e €15,28;
il primo giudice ha ritenuto di ravvisare nella condotta dei funzionari della Banca convenuta una grave violazione di precisi doveri informativi ai danni del cliente che, pur non consistente in una forma di minaccia indiretta tale da viziare la volontà del medesimo, si era concretata in una ingiustificata “decisiva ingerenza” senza la quale il Bruno non avrebbe mai deciso di alienare i titoli e dotata di una idoneità eziologica ricostruita secondo il criterio probatorio civilistico del “più probabile. che non” idonea, quindi, a causare il danno poi liquidato con la sentenza definitiva; era, infatti, emerso che il NOME era un cliente “importante” di quell’agenzia in considerazione della consistenza del pacchetto azionario di cui ora titolare ed era persona da “indirizzare” nelle proprie scelte in quanto soggetto di non elevato livello culturale (aveva conseguito solo la licenza elementare), ma con accertata propensione all’investimento in borsa;
c) nella consapevolezza della esistenza di una labile distinzione tra “induzione” e “ingerenza decisiva” che dovrebbe connotare la seconda rispetto alla prima per la presenza di un margine di scelta residua nel destinatario il cui processo formativo della volontà, sarebbe st ato “influenzato ma non forzato’ , non si può non rilevare che il NOME era certamente un cliente importante della Banca Antonveneta a prescindere dal suo titolo di studio (egli era, infatti, un facoltoso imprenditore locale che aveva sottoscritto un contratto di deposito titoli e di negoziazione degli stessi per la gestione di azioni per importi considerevoli) la cui volontà era degna di essere assecondata ed in parte accompagnata nelle scelte di amministrazione straordinaria del suo patrimonio, come dimostra l’invito perentorio che egli aveva rivolto ai funzionari dell’Istituto ad
essere avvertito delle oscillazioni di prezzo delle sue azioni; deve ritenersi che la decisione di dismettere gran parte del pacchetto azionario di cui il NOME era titolare non può essere causalmente collegata alle due telefonate a lui fatte su sua precisa richiesta quanto piuttosto alla libera scelta di un soggetto che mantenne una piena autonomia di giudizio tanto da decidere di reinvestire immediatamente ii ricavato della vendita nella sottoscrizione di una Polizza Vita di un importo rilevante e di mantenere una parte del suo patrimonio mobiliare, poi alienato nell’ambito di una OPA straordinaria ed imprevedibile anche per gli stessi funzionari della banca che gli fruttò un buon guadagno;
d) non vi è in atti la prova che la decisione di vendere le azioni per cui causa sia stata “non forzata ma indotta” dai dipendenti della banca appellante laddove ci sono tutti gli elementi per ritenere che il Bruno pose in essere le due dismissioni di buona parte del suo patrimonio mobiliare liberamente e senza condizionamenti nell’ambito della normale alea del negozio che stava ponendo in essere, sia pure dopo che i citati funzionari, su sua pressante richiesta, lo avvisarono che le azioni avevano raggiunto un prezzo inferiore di quasi due punti rispetto a quello di acquisto;
le due sentenze impugnate devono, pertanto, essere riformate non sussistendo gli elementi probatori necessari per affermare la responsabilità contrattuale della odierna appellante.
─ NOME COGNOME hanno presentato ricorso per cassazione con quattro motivi, controricorso al ricorso incidentale ed anche memoria.
Monte dei Paschi di Siena ha presentato controricorso e ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
5. ─ Con il primo motivo: Omesso esame di un fatto decisivo della controversia ed apparente o perplessa motivazione su alcuni punti decisivi e fondamentali ai fini dell’accertamento della sussistenza
della responsabilità contrattuale della Banca resistente, in violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. (art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.). La Corte non ha tenuto conto che la ricostruzione dei fatti fornita dai testi dipendenti della Banca è smentita dai documenti prodotti dall’investitore, sull’andamento dei titoli nel peri odo precedente alla dismissione, violando così gli artt. 21 e 28 del Regolamento Consob. La motivazione non consente di percepire il fondamento della decisione.
6. – Con il secondo motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 TUF, 28 Reg. Consob n. 11522/98 e 27 Reg. Consob n. 16190/07 sulla ripartizione dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento dei danni, in particolare sulla prova del nesso causale tra inadempimento contrattuale e danno (art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.). La Corte non avrebbe rilevato che era la Banca a dover provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta poiché l’investitore deve ricevere adeguata informazione ed accertato l’inadempimento all’obbligo informativo l’investitore non deve provare il nesso causale.
6.1 -Il primo e il secondo motivo sono correlati e possono essere trattati unitariamente. Le censure sono inammissibili per una pluralità di motivazioni. L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., n. 17005/2024; Cass., n. 27415/2018).
La motivazione non presenta il vizio previsto dall’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. che sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina
logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., n. 3819/2020, Cass., n. 6758/2022). E non è nemmeno apparente perché è tale la motivazione, carente del giudizio di fatto e basata su una affermazione generale e astratta (Cass., n. 4166/2024).
In ogni caso occorre sottolineare che nella fattispecie in esame lo svolgimento dei servizi di investimento svolti dalla banca rientrano nella tipologia per la quale gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 58 del 1998, sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicché tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso (Cass., n.10112/2018; Cass., n.17949/2020). Nel caso di specie la censura lamenta la mancata o non corretta informazione dopo che il cliente adeguatamente informato delle caratteristiche del prodotto abbia impartito l’ordine di acquisto. Lamenta, cioè, di aver subito un danno per aver avuto informazioni non veritiere che lo hanno indotto a dismettere le azioni dopo averle correttamente acquistate.
La fattispecie è fuori dalla tutela degli obblighi di informazione previsti a tutela dell’investitore per creare la adeguata consapevolezza del suo acquisto. Se la dismissione è stata indotta oppur no dall’intermediario riguarda l’accertamento di un fatto illecito che segue le regole a carattere generale e il cui accertamento, sulla base della valutazione degli esiti istruttori, è rimesso al giudice di merito. Non sono pertinenti, così, le censure sulla violazione del Regolamento Consob sulla informativa nella fase precontrattuale e le statuizioni sull’onere probatorio e sull’accertamento del nesso causale definite dalla normativa e dalle statuizioni di questa Corte. Le censure, così, si traducono nella prospettazione di una diversa interpretazione e valutazione degli esiti istruttori che non è ammissibile in sede di legittimità.
7. ─ Con il terzo motivo: nullità della sentenza ai sensi dell’art. 161 c.p.c., per vizio del dispositivo in violazione dell’art. 132, comma 1, n. 5, c.p.c. e dell’art. 156, comma 2, c.p.c., nonché per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sotto il profilo della omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n.4, c.p.c.). Nel dispositivo la Corte ha accolto l’appello ‘rigettando la domanda proposta in primo grado dall’appellato, diversamente dalla richie sta dell’appellante che chiede va l’accoglimento del gravame e «per l’effetto il rigetto della domanda risarcitoria formulata da controparte e conseguentemente la restituzione della somma corrisposta in esecuzione della sentenza».
7.1 -La censura è inammissibile, perchè non considera che il contenuto del dispositivo va letto ed interpretato nel contenuto complessivo della decisione. In tema di giudicato l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del “dictum” giudiziale (Cass., n. 24600/2017; Cass., n. 24687/2023).
8. -Con il quarto motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in materia di compensazione di spese legali e apparente o perplessa motivazione sulla statuizione di compensazione delle spese legali dei due gradi di giudizio, in violazione dell’art. 92 c.p.c. e dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.). In caso di accoglimento del ricorso va riformata anche la statuizione relativa alla compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio poiché la connessa motivazione («in ragione della estrema labilità della differenziazione operata tra le diverse connotazioni della condotta in oggetto») è inidonea a consentire
l’individuazione delle questioni la cui complessità giustificherebbe la pronuncia di compensazione.
8.1 -Il motivo è assorbito dall’inammissibilità dei primi tre motivi
-La ricorrente incidentale deduce l’omessa pronuncia: violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.; sulla mancata statuizione di condanna del sig. NOME alla restituzione degli importi a lui corrisposti dalla Banca in esecuzione della sentenza di primo grado riformata.
9.1 -La censura è fondata. Se il giudice dell’impugnazione omette, in tale qualità, di pronunziarsi sulla richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l’omessa pronunzia con ricorso in cassazione o di riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che la mancata impugnazione della sentenza determini la formazione del giudicato (cfr., Cass., n. 15461/2008, Cass., n. 15464/2011; Cass., n. 24896/2023).
-Per quanto esposto, il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Va accolto, invece, il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà a quanto sopra indicato.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale
La Corte accoglie, altresì, il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre
2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione