Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20666 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20666 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 787/2021 R.G. proposto da: DEUTSCHE BANK SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, giusta procura speciale in calce al ricorso. -ricorrente – contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME DEL GRANDE NOME
(EMAIL), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
NOME (EMAIL), procura speciale in calce al controricorso.
giusta
–
contro
ricorrente –
nonchè
contro
DI NOME, LO PRESTI NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, DALL’ERA NOME, LO PRESTI NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME. -intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 860/2020 depositata il 26/08/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, successore a titolo universale di RAGIONE_SOCIALE, è stata condannata sia in primo grado, con sentenza del Tribunale di Brescia in data 15 novembre 2016, che in secondo grado, con sentenza n. 860/2020 in data 26/08/2020 della Corte d’Appello di Brescia, quale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE finanziaria responsabile in solido ex art. 2049 cod. civ. delle condotte illecite del proprio promotore finanziario NOME COGNOME, a risarcire i danni patiti dal cliente NOME COGNOME, vittima di atti di sottrazione e distrazione di somme posti in essere dal suddetto promotore, utilizzando i codici di accesso via internet che si era fatto consegnare dal cliente ed effettuando numerose operazioni di home banking a favore di soggetti terzi, nonché tenendo all’oscuro il cliente della progressiva dispersione delle sue sostanze mediante l’invio di rendiconti artefatti, attestanti in maniera mendace una situazione positiva del portafoglio invero inesistente.
RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Le altre parti, tra cui il promotore NOME COGNOME, restano intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il ricorrente ed il resistente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la banca ricorrente deduce ‘Violazione o falsa applicazione degli artt. 31, comma 3, T.U.F., e 2697 cod. civ.; omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione ‘ .
Lamenta che erroneamente la corte territoriale ha affermato che ‘per escludere le responsabilità dell’intermediario finanziario per fatto altrui (…) è necessario dedurre e provare la collusione del risparmiatore … nel caso in esame neppure allegata’ (v. sentenza impugnata, p. 9, penultimo capoverso).
Deduce che la corte di merito non ha fatto buon governo degli insegnamenti di questa Suprema Corte, che invece afferma che la responsabilità dell’intermediario dev’essere esclusa non solo in presenza di collusione del cliente, ma anche nel caso di condotta ‘anomala’ o ‘agevolatrice’ del cliente stesso, il quale, seppure versando in buona fede, abbia permesso il verificarsi dell’evento dannoso, conseguenza dell’operato del promotore finanziario, in tal modo interrompendo il nesso di occasionalità necessaria fra le mansioni svolte da quest’ultimo e gli illeciti allo stesso imputabili.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 cod. civ.’.
Lamenta l’erroneità della sentenza impugnata anche nella parte in cui, quand’anche potesse essere ravvisabile il nesso di
occasionalità necessaria tra le distrazioni di somme operate dal promotore COGNOME e le incombenze ad esso affidate, ha comunque omesso di considerare la condotta tenuta dal cliente COGNOME in termini di concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.
3. Il primo motivo è fondato.
Secondo ormai consolidato orientamento di questa Suprema Corte (tra le più recenti, v. Cass., 31675/2023, nonché Cass., 25374/2018, che richiama Cass., 20/03/2006, n. 6091), la previsione -già in base all’ art. 5, comma 4, L. n. 1 del 1991, successivamente confermata dall’art. 23 d.lgs. n. 415 del 1998, e quindi dall’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 58 del 1998- della responsabilità solidale tra l’intermediario e il promotore finanziario, per i danni da questi arrecati a terzi nello svolgimento delle sue incombenze, è in linea di continuità con la regola di responsabilità accolta all’art. 2049 cod. civ.
3.1. Più precisamente, la formula adottata dal codice civile non fa esplicito riferimento al rapporto di preposizione ma sancisce la responsabilità a carico dei «padroni» e «committenti» per i fatti illeciti compiuti dai «domestici» e «commessi». Si tratta di una formula che il codice del 1865 (v. art. 1153, quarto comma) aveva mutuato dal codice francese (art. 1384, quinto comma, corrispondente all’attuale art. 1242) e che il legislatore del 1942, pur avvertendone la portata restrittiva ed anacronistica, non ritenne di superare.
La nozione di padrone o committente, originariamente riferita ad economie non particolarmente dinamiche e connotate da rapporti assai stretti di preposizione, è stata nel tempo ampliata fino a ricomprendere soggetti che, per il perseguimento dei propri fini, si avvalgono dell’opera di altri soggetti a loro legati. Nelle riflessioni della dottrina e nell’interpretazione giurisprudenziale, il significato della formula si è tuttavia progressivamente ampliato,
sino a ricomprendere tutti i casi in cui è ravvisabile un rapporto di preposizione, e cioè tutte le forme giuridiche (rapporto di lavoro subordinato, rapporto institorio, lavoro d’opera, ecc.) in cui un soggetto (preponente) utilizza e dispone per i propri fini dell’attività di un altro soggetto (preposto), in forza di vincoli di varia natura (sul punto v. Cass., 16/03/2010, n. 6325, secondo cui, ai fini della configurabilità del rapporto di preposizione, non si richiede un vincolo di dipendenza, ma è sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarietà del preposto).
Con riferimento alla natura di questa responsabilità, in passato, sia in dottrina che in giurisprudenza, si è sostenuto che si tratti di una responsabilità soggettiva, e cioè di una responsabilità fondata sulla colpa del preponente (datore di lavoro, imprenditore, committente ecc.) nella scelta del preposto (lavoratore subordinato, institore, commesso ecc.) o nella vigilanza sul suo operato.
3.2. Tale orientamento è stato tuttavia attualmente superato, sul rilievo che l’art. 2049 cod. civ., diversamente dalle altre ipotesi di responsabilità speciale contemplate dal codice negli artt. 2047 e ss., non consente al responsabile alcuna prova liberatoria, cosicché il ricorso alla fictio della presunzione assoluta di colpa si risolverebbe nell’introduzione artificiosa nella norma di un presupposto che le è irrilevante.
È stato quindi affermato che trattasi non di una responsabilità per colpa, ma di una responsabilità oggettiva per fatto altrui, il cui fondamento va ravvisato nell’esigenza che chi si appropria dell’attività altrui, per il perseguimento dei propri fini, assuma le conseguenze dannose di tale attività.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 16/05/2019, n. 13246 -pur affrontando la diversa questione relativa al se la pubblica amministrazione sia civilmente responsabile per i danni arrecati dal fatto penalmente illecito del
suo dipendente, quando questi, approfittando delle sue attribuzioni, abbia agito in funzione del conseguimento di una finalità esclusivamente egoistica e personale, estranea all’amministrazione e addirittura contraria ai fini istituzionali da essa perseguiti- hanno analiticamente esaminato la natura della responsabilità ex art. 2049 cod. civ., alla luce della più recente elaborazione della giurisprudenza di legittimità sul punto, e, richiamando i principi da questa affermati, hanno ribadito che trattasi di responsabilità oggettiva per fatto altrui e, in particolare, di un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda , in forza del quale l’avvalimento, da parte di un soggetto, dell’attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l’attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell’ambito dei poteri conferitigli.
Tale appropriazione di attività deve comportarne l’imputazione nel suo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli, rispondendo un simile principio ad esigenze generali dell’ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell’operato di altri.
Quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie -oltre al rapporto di preposizione ed all’illiceità del fatto del prepostooccorre la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo, con la precisazione che il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (v. Cass. 24/09/2015, n. 18860; Cass. 25/03/2013, n. 7403); alla condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile
sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze (Cass. 11816/16, cit.).
3.3. Le Sezioni Unite, con la già richiamata sentenza, hanno in definitiva affermato che l’appropriazione dei risultati delle altrui condotte deve essere correlata (e, corrispondentemente, limitata) alla normale estrinsecazione delle attività del preponente e di quelle oggetto della preposizione ad esse collegate, sia pure considerandone le violazioni o deviazioni oggettivamente probabili: sicché chi si avvale dell’altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere, per di più senza eccezioni e la rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle sue conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell’organizzazione dei propri rischi; e così risponde di quelle identificate in base ad un giudizio oggettivizzato di normalità statistica, cioè riferita non alle peculiarità del caso, ma alle ipotesi in astratto definibili come di verificazione probabile o -secondo i principi di causalità adeguata elaborati da questa Corte fin da Cass., Sez. Un., 11/01/2008, n. 576 -‘più probabile che non’, in un dato contesto storico.
Le Sezioni Unite hanno pure ulteriormente precisato che, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, valgono i principi e le regole in tema di accertamento del nesso causale come elaborati dalla giurisprudenza con riferimento a tale ambito (a partire da Cass., Sez. Un., dell’11/01/2008, n. 576 e succ. conf.), per cui vige l’elisione del nesso causale in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per sé solo idoneo a determinare l’evento e si applica la regola generale dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. in tema di concorso del fatto colposo del
danneggiato.
Si è dunque posto in rilievo che la responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE per i danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari va esclusa allorquando la condotta del danneggiato presenti connotati di “anomalia”, vale a dire, anche se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (v. Cass., 31/7/2017, n. 18928; Cass., 4/11/2014, n. 23448; Cass., 13/12/2013, n. 27925; Cass., 24/3/2011, n. 6829 ).
3.4. Si deve dunque concludere, in tema di riparto dell’onere della prova nella materia della responsabilità dell’intermediario preponente per fatto del promotore infedele preposto, che grava sull’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre l’intermediario, rispetto al quale l’art. 2049 cod. civ. non prevede la prova liberatoria, può liberarsi dalla responsabilità nella misura in cui riesce a provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore ex art. 1227 cod. civ., con conseguente esclusione della ricorrenza, sotto il profilo causale, del nesso di cd. occasionalità necessaria (v. Cass., 16/11/2023, n. 31894; Cass., 25/10/2022, n. 31453, nonché Cass., n. 14216 del 04/06/2018; Cass., 31/7/2017, n. 18928; Cass., 19/3/2010, n. 6708).
Tra gli elementi presuntivi sintomatici di un contegno significativamente ‘anomalo’ dell’investitore, questa Suprema
Corte ha valorizzato il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle stesse operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza da parte dell’investitore del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento, le complessive condizioni culturali e socioeconomiche dell’investitore (Cass., 25/10/2022, n. 31453; Cass., 01/7/2020, n. 857; Cass., 22/11/2018, n. 30161), nonché la consegna al promotore di somme di danaro in contanti, senza richiesta di quietanza (cfr., sul punto, in relazione all’art. 2049 cod. civ., Cass., 20/01/2022, n. 1786).
Si è inoltre precisato che il giudice del merito è tenuto ad apprezzare specificamente le circostanze dedotte, e a dar conto, in motivazione, delle ragioni per le quali ritenga che condotte del tipo di quelle sopra indicate, lungi dal concretare una cooperazione colposa con l’illecito del promotore, siano state perfettamente rispondenti al principio di autoresponsabilità, che deve governare i rapporti tra consociati e che si pone alla base della tutela dell’affidamento incolpevole, e non abbia pertanto integrato quei connotati di anomalia idonei ad elidere il nesso di occasionalità necessaria tra il danno subito dall’investitore e le incombenze affidate al promotore, che giustifica la solidale responsabilità dell’intermediario (Cass., 25/10/2022, n. 31453).
4. Nel caso di specie, la sentenza impugnata, per un verso afferma che ‘per escludere la responsabilità dell’intermediario finanziario per fatto altrui, dunque, è necessario dedurre e provare la collusione del risparmiatore, nel caso in esame neppure allegata’ (p. 9), per altro verso rileva che ‘ove il risparmiatore (attore processuale) abbia dedotto e provato il fatto doloso del preposto e ne abbia chiesto anche l’accertamento incidentale del fatto reato, ed il preponente abbia, invece, dedotto il fatto colposo del risparmiatore, è da escludersi la
concausalità in base alla considerazione dell’autonomia delle due condotte, finalizzate al perseguimento di differenti obiettivi e quindi anche l’applicabilità dell’art. 1227 c od. civ., come ormai ritiene in maniera costante e conforme la giurisprudenza di merito e di legittimità. Il concorso di colpa, poi, può ricorrere solo nell’ipotesi in cui la colpa del risparmiatore sia fronteggiata da un atteggiamento colposo del promotore, e non quando questi abbia agito dolosamente’ (p. 10).
Orbene, una siffatta motivazione, in entrambe le sue ragioni del decidere, non fa corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Suprema Corte in relazione all’art. 31, comma 3, T.U.F. ed al relativo onere della prova, in continuità con l’interpretazione dell’art. 2049 cod. civ. in tema di responsabilità per fatto altrui, che, si ribadisce, in quanto tale prescinde dall’indagine sull’elemento soggettivo e va considerata sul piano del nesso di causalità, che nella materia in esame va configurato in termini di occasionalità necessaria.
La corte territoriale, nello svolgere la sua motivazione esclusivamente sul piano dell’elemento soggettivo e sull’assenza di un comportamento collusivo del cliente, omette del tutto di considerare gli elementi di anomalia riscontrabili nella condotta del cliente COGNOME, nonostante fosse risultato accertato non solo il suo affidamento su una rendicontazione, falsamente positiva, resagli dal promotore, parallela rispetto a quella inviatagli periodicamente dalla banca, invece indicante degli ammanchi, ma anche e soprattutto il fatto della volontaria consegna, da parte sua al promotore, dei codici di accesso al servizio di home banking , condotta con cui il cliente è pervenuto a conferire al promotore finanziario una piena ed assoluta autonomia ad operare sul suo conto corrente ed a disporre incondizionatamente del suo patrimonio, in violazione degli specifici obblighi gravanti sul cliente e delle più basilari regole di prudenza, dato che i codici
sono personali e segreti e l’uso della media diligenza impone che non debbano essere condivisi con i terzi (v. Cass., 13/03/2023, n. 7214; Cass., 08/11/2023, n. 31136, in relazione al PIN del bancomat).
In conclusione, il primo motivo va accolto, mentre il secondo resta assorbito.
L’impugnata sentenza va dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza