Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11033 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11033 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8651/2021 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME
Oggetto: Intermediazione
finanziaria
–
Responsabilità
intermediario
–
Risarcimento
danni –
Liquidazione – Criteri
R.G.N. 8651/2021
Ud. 04/04/2025 CC
elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e DEL GIUDICE COGNOME
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 120/2021 depositata il 14/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 04/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 120/2021, pubblicata in data 14 gennaio 2021, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha accolto parzialmente il gravame proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 2975/2019 e, per l’effetto, ha condannato la stessa RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni liquidati in € 191.757,38, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo.
Gli appellanti avevano agito innanzi al Tribunale di Milano riferendo in fatto che:
-in data 24 novembre 2014 ciascuno di essi aveva separatamente sottoscritto con RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) un contratto di consulenza;
-in pari data avevano sottoscritto con la convenuta, a firma congiunta, il contratto di gestione patrimoniale n. 801163,
denominato RAGIONE_SOCIALE , optando per la linea di gestione RAGIONE_SOCIALE , con contestuale apertura del conto deposito titoli e conto corrente presso BNL s.p.a., affidando al gestore la somma complessiva di € 1.500.000,00, ricavata dalla vendita di un complesso immobiliare del quale essi erano comproprietari, con l’intenzione d i utilizzare tale somma per ristrutturare un complesso immobiliare;
-il consulente della convenuta, a conoscenza delle loro intenzioni, aveva loro proposto di non utilizzare la somma di € 1.500.000,00 ricavata dalla vendita dell’immobile, ma di richiedere un affidamento bancario presso UBS;
-conseguentemente, nel marzo del 2015, la convenuta aveva liquidato la gestione patrimoniale ed intermediato l’apertura di un nuovo conto corrente presso UBS, sul quale era stata trasferita l’intera gestione patrimoniale per un controvalore di euro 1.595.732,86 mentre il 9 aprile 2015 sempre la convenuta aveva intermediato la stipulazione di un contratto di affidamento bancario tra gli attori e UBS per l’importo di euro 900.000,00 con contestuale sottoscrizione di un contratto di pegno, pari al valore complessivo dei titoli oggetto della gestione patrimoniale, il quale prevedeva l’obbligo degli attori, a semplice richiesta della banca, di ricostituire la garanzia, ove avesse subito una perdita dell’1% del suo valore;
-il 18 maggio 2015 il promotore della convenuta aveva proposto alla sola NOME COGNOME ottenendone il consenso scritto, un cambio di linea di gestione per effetto del quale tutti gli attori erano passati dalla linea di gestione Flexistrategy 1 , che prevedeva un rischio di perdita del capitale gestito fino al 10% su base mensile, a quella più rischiosa Flexistrategy 2 ,
che prevedeva un rischio di perdita fino al 15% del capitale investito su base mensile;
-per effetto del cambio di linea di gestione il patrimonio gestito aveva subito una prima perdita di € 115.218,15 e, a seguito delle rimostranze, alla fine del 2016 la convenuta aveva provveduto su richiesta degli attori a liquidare la gestione con una perdita di euro 237.176,93.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Milano aveva integralmente respinto la domanda.
La Corte d’appello di Milano ha invece accolto parzialmente il gravame.
Dopo avere giudicato valida ed efficace la modifica della linea di investimento, infatti, la Corte territoriale ha però ritenuto l’inadeguatezza di entrambe le linee di gestione rispetto ai mutati obiettivi di investimento degli appellanti.
Osservato preliminarmente che RAGIONE_SOCIALE per il tramite del proprio consulente finanziario, aveva svolto attività di intermediazione e di consulenza al fine di consentire agli attori di ottenere presso UBS il finanziamento, garantito dal pegno sugli strumenti finanziari, la Corte d’appello ha concluso che le stesse modalità di svolgimento del rapporto di consulenza e di gestione patrimoniale evidenziavano l’inadeguatezza -‘quantomeno sopravvenuta’ -della linea di investimento Flexible Strategy rispetto al profilo di rischio degli attori.
Dopo aver sottolineato che già la prima linea di investimento RAGIONE_SOCIALE comportava un profilo di rischio medio-alto con perdita massima potenziale su base mensile pari al 10%, la Corte d’appello ha evidenziato che il radicale mutamento degli obiettivi di investimento -richiesta di concessione di un finanziamento di €
900.000,00 con conferimento in pegno dell’intero valore del patrimonio gestito -aveva esposto gli appellanti non solo a sopportare il già elevato rischio di perdita di valore della gestione – pari prima al 10% e poi, col passaggio a Flexible Strategy 2, al 15% su base mensile – con il rischio di dover ripianare le perdite – versando nella gestione altra liquidità rispetto a quella già investita, al fine di ricostituire il valore del pegno ma anche ad assumere l’obbligo di corrispondere interessi passivi sul finanziamento ottenuto, a fronte di rendimenti – ricavabili dagli investimenti effettuati con il patrimonio conferito in pegno – che risultavano chiaramente del tutto aleatori.
Tale assetto complessivo dell’intera operazione economica – il finanziamento e conferimento in pegno dell’intero patrimonio gestito è stata ritenuta dalla Corte d’appello inadeguata ed anzi incompatibile rispetto agli effettivi obiettivi di investimento, con la conseguenza che la RAGIONE_SOCIALEche, tramite il proprio consulente conosceva gli obiettivi medesimi -avrebbe avuto l’obbligo di avvisare gli investitori della sopravvenuta incongruenza tra linea di gestione prescelta e mutata situazione finanziaria e, a maggior ragione, a non dar corso al successivo cambio di linea di gestione, ‘ma semmai, di suggerire modifiche delle linee di investimento, indirizzandole verso un profilo di particolare prudenza’ .
La Corte d’appello, poi, ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito alcuna prova né di aver diligentemente assolto le proprie obbligazioni né di avere adeguatamente assolto gli obblighi informativi inerenti alle operazioni compiute in conflitto di interessi, concludendo che gli investitori avevano assunto un rischio di perdita del capitale investito che, se fossero stati debitamente informati, verosimilmente non avrebbero accettato.
Il danno è stato individuato nelle perdite conseguenti alla sopravvenuta inadeguatezza della gestione patrimoniale, ed in particolare in misura corrispondente alle minusvalenze maturate dal momento in cui la gestione patrimoniale era divenuta inadeguata fino alla chiusura del rapporto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre ora RAGIONE_SOCIALE
Resistono con controricorso e ricorso incidentale NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso principale è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
In relazione al profilo della valutazione dell’adeguatezza delle linee di investimento, la ricorrente censura la decisione impugnata, in quanto la stessa avrebbe omesso di valutare una serie di elementi, ed in particolare che:
-agli odierni ricorrenti incidentali erano state rilasciate piene informazioni in ordine alla linea di gestione;
-entrambe le linee di gestione risultavano adeguate con gli obiettivi di investimento e con il profilo di rischio indicato dagli stessi investitori come ‘alto’;
-tutti gli investitori, da ritenersi non inesperti, erano stati informati al momento del cambio di linea di gestione;
-nel concreto, non era mai stata chiesta la ricostituzione del pegno;
-gli odierni ricorrenti incidentali non avrebbero provato in alcun modo il danno risentito, non potendosi individuare tale danno nell’andamento negativo della gestione in assenza di qualunque comparazione con l’andamento di gestioni similari.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi.
La censura è questa volta riferita all’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, dell’assenza di prova dell’adempimento degli obblighi informativi relativi all’esistenza del conflitto di interessi.
Deduce la ricorrente di non aver proceduto ad alcuna operazione in conflitto di interessi e che, pertanto, ‘non si vede quale informazione la Società avrebbe dovuto dare e quale autorizzazione avrebbe dovuto ricevere’ .
Il ricorso incidentale è affidato a cinque motivi, gli ultimi due dei quali sono formulati in via condizionata.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 2056 e 1226 c.c.
Si censura la quantificazione del danno operata dalla decisione impugnata in quanto la stessa, dopo aver stabilito che il danno doveva essere quantificato nella minusvalenza maturata tra il momento di sopravvenuta inadeguatezza della gestione patrimoniale e la chiusura del rapporto -e cioè tra il mese di aprile 2015 ed il mese di dicembre 2016 -e dopo aver basato il calcolo sul certificato delle minusvalenze rilasciato dall’intermediario al momento della chiusura del rapporto, avrebbe poi optato per un cr iterio ‘prudenziale’, suddividendo il dato
annuale del 2015 per i dodici mesi dell’anno per poi moltiplicarlo per nove (aprile -dicembre 2015).
Obiettano i ricorrenti che era presente in atti il dato specifico del valore del patrimonio alla esatta data del mese di aprile 2015 e che pertanto era possibile calcolare l’importo esatto del danno, senza necessità di ricorrere ad un criterio equitativo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.
Si deduce che la decisione impugnata ha fatto ricorso in modo non motivato al criterio equitativo.
2.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Si censura la decisione impugnata per avere omesso di valutare la prova in atti dell’entità esatta del patrimonio dei ricorrenti incidentali al momento della sopravvenuta inadeguatezza della gestione patrimoniale
2.4. Con il quarto motivo condizionato il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 23, comma 1 TUF.
Si impugna la decisione della Corte d’appello nella parte in cui, disattendendo il primo motivo di gravame, la stessa ha ritenuto che la modifica del cambio di linea di gestione potesse essere esercitata da ciascuno dei cointestatari del contratto disgiuntamente.
Deducono i ricorrenti che il cambio di linea di gestione veniva ad integrare una vera e propria modifica del contratto che non poteva essere disposta se non tutti i ricorrenti congiuntamente.
2.5. Con il quinto motivo condizionato il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha escluso che gli attori avessero offerto prova idonea a dimostrare che gli investimenti in fondi Azimut avessero generato perdite.
I ricorrenti deducono di avere specificatamente contestato che le operazioni svolte dalla ricorrente in conflitto di interessi avevano avuto come esito un danno, oggetto di specifica quantificazione, senza che la ricorrente venisse a contestare tale circostanza.
Preliminarmente questa Corte deve esaminare l’eccezione di improcedibilità o inammissibilità del ricorso per essere stato il medesimo notificato senza attestazione di conformità del file notificato con l’originale telematico oggetto di successivo deposito.
L’eccezione deve essere disat tesa.
La copia notificata del ricorso prodotta in atti, infatti, risulta recare regolarmente l’attestazione di conformità di cui all’art. 3 -bis , comma 2, Legge n. 53/1994, con sottoscrizione digitale del procuratore della ricorrente.
I motivi di ricorso principale sono, nel loro complesso, inammissibili.
4.1. Il primo motivo, infatti, non viene concretamente a dedurre un’ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo ma, nell’eterogeneità circostanze dedotte viene tradursi -come peraltro eccepito dai controricorrenti e come ulteriormente evidenziato dalle deduzioni svolte dalla medesima ricorrente in memoria ex art. 380bis. 1 c.p.c., ove reiterato è il riferimento alla valutazione delle prove -nell’inammissibile sollecitazione a procedere ad un nuovo giudizio sul fatto e ad una nuova valutazione delle prove, dovendosi qui ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Il motivo, poi, omette di confrontarsi adeguatamente con la ratio della decisione, la quale ha ritenuto inadeguata al profilo degli odierni ricorrenti incidentali non tanto la prima operazione (sulla quale la Corte territoriale ha solo espresso dubbi) quanto il successivo passaggio alla c.d. RAGIONE_SOCIALE , avendo la Corte territoriale ritenuto -con valutazione che non risulta sindacabile in sede di legittimità -che la seconda operazione aveva determinato un incremento significativo del rischio degli investitori.
Ratio , questa, che risulta illustrata con argomentazioni che valgono ad evidenziare che la Corte territoriale ha ben valutato i profili di cui invece la ricorrente denuncia invece l’omesso esame .
4.2. Quanto al secondo mezzo, ancora una volta la ricorrente non viene a sottoporre a questa Corte un’ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo, ma chiede rinnovarsi il giudizio di merito formulato dalla Corte territoriale, peraltro con riferimento ad un profilo che la Corte medesima ha escluso costituisse elemento generatore di danno, avendo la Corte ricollegato il riconoscimento della pretesa risarcitoria al solo profilo della inadeguatezza patrimoniale (pag. 13, ultimo capoverso del paragrafo 8 e secondo paragrafo di pag. 14).
Il ricorso incidentale, invece, risulta fondato nei termini che ci si appresta a specificare.
5.1. Il primo motivo di ricorso, infatti, è da ritenersi fondato.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto di procedere alla liquidazione dei danni riconosciuti ai ricorrenti incidentali sulla base di un metodo dalla Corte stesa definito ‘prudenziale’ (pag. 14) -consistente nell’assumere come dato di partenza il certificato delle minusvalenze rilasciato dall’intermediario al momento della chiusura del rapporto procedendo poi al calcolo del danno riferibile all’anno 2015 suddividendo il dato annuale del 2015 per i dodici mesi dell’anno per poi moltiplicarlo per nove, in modo da ottenere il danno riferibile al periodo di gestione aprile -dicembre 2015, avendo la Corte medesima individuato la data di aprile 2015 come momento in cu la gestione patrimoniale si era rivelata inadeguata.
La Corte territoriale, tuttavia, non ha esplicitato le ragioni alla base del ricorso a tale metodo, dal carattere evidentemente equitativo, seppur ancorato ad un calcolo aritmetico, omettendo di specificare le ragioni che impedivano di procedere ad una esatta valutazione dei danni.
Questa Corte, invero, ha chiarito che, quando il danno sia provato, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è impossibile stimarne con precisione l’entità’, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11368 del 11/05/2010; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9244 del 18/04/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22836 del 24/10/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11370 del 16/05/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8004 del 18/04/2005), evidenziando in tal modo che il ricorso al criterio equitativo nella liquidazione del danno postula quantomeno una
concreta difficoltà nella liquidazione medesima, dovendo quindi il giudice del merito specificamente evidenziare la sussistenza di tale presupposto, incorrendo altrimenti nella violazione dell’art. 1226 c.c. , applicando la previsione al di fuori del proprio specifico ambito.
Nel caso ora in esame, invece, la Corte territoriale ha, sì, proceduto ad una liquidazione mirata ad assicurare un prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno ed ha, parimenti, illustrato il parametro sulla cui base ha ritenuto di quantificare i danni (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18795 del 02/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 28075 del 14/10/2021), ma ha omesso di evidenziare, come imprescindibile premessa, che il ricorso al metodo in concreto applicato -e cioè ad un criterio equitativo -si veniva ad imporre in virtù della concreta difficoltà nel procedere ad una corretta quantificazione del danno.
Si deve, anzi, rilevare che la decisione impugnata è venuta sostanzialmente ad assumere il profilo della ‘prudenz a ‘ quale presupposto per il ricorso alla liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c., laddove deve ribadirsi che il parametro della prudenza attiene alle modalità applicative della norma – una volta accertata la presenza dei ben diversi presupposti di applicazione poc’anzi richiamati non potendo il richiamo alla ‘prudenza’ tradursi in meccanismo per ricorrere alla liquidazione equitativa al di fuori dello specifico ambito di operatività dell’art. 1226 c.c.
5.2. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei mezzi ulteriormente formulati dai ricorrenti incidentali.
Conclusivamente, quindi, mentre il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, il ricorso incidentale deve trovare accoglimento in relazione al primo motivo, assorbiti gli altri.
Conseguentemente, la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale si conformerà ai principi qui richiamati e provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, in relazione alla sola ricorrente principale, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri; cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le in per l’effetto, spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano, diversa composizione
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME