Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2106 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 2106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
1.-Nel 1967 la società RAGIONE_SOCIALE ha acquistato un’area sita nel Comune di Moncalieri ed al confine con quello di Nichelino che, fino a quel momento, era utilizzata da tali NOME COGNOME e NOME COGNOME per un allevamento di suini.
I due avevano, però, ottenuto, sia dal Comune di Moncalieri che da quello di Nichelino, l’autorizzazione a raccogliere e interrare rifiuti in quell’area sino alla saturazione del sito. Una volta che l’area divenne satura di rifiuti, i due l’hanno utilizzata per un allevamento di maiali oltre che come ulteriore discarica, utilizzando allo scopo il laghetto che si era formato nel corso degli anni per via delle escavazioni.
2.-Ma, quando nel 1967, RAGIONE_SOCIALE ha acquistato l’area, le concessioni per lo smaltimento dei rifiuti erano scadute, e i rifiuti erano stati interrati: RAGIONE_SOCIALE ha potuto utilizzare quell’area per depositare le vetture che erano state danneggiate durante l’alluvione di Firenze del 1966, e che successivamente (nel 1975) ha rimosso da quel sito.
Ma va segnalato che, prima che RAGIONE_SOCIALE acquistasse l’area, i Comuni di Nichelino, Moncalieri e Torino, quest’ultimo tramite la società incaricata dello smaltimento, avevano preso per proprio conto a depositare rifiuti solidi urbani in quello stesso terreno.
Non solo, durante il periodo in cui RAGIONE_SOCIALE ha avuto in uso l’area si sono verificati episodi di abbandono di rifiuti da parte di soggetti terzi, che il Comune di Nichelino ha segnalato alla RAGIONE_SOCIALE. Infine, nel 1991 la RAGIONE_SOCIALE ha ceduto l’intera area alla società RAGIONE_SOCIALE, che, effettuati scavi per la costruzione di alcuni fabbricati, si è accorta della contaminazione, ed ha dato inizio ad una procedura di bonifica
durante la quale sono fuoriusciti biogas, che erano il risultato della degradazione dei rifiuti.
A quel punto, il Comune di Moncalieri ha ordinato a RAGIONE_SOCIALE, divenuta poi nel frattempo RAGIONE_SOCIALE, di monitorare la fuoriuscita del biogas e parallelamente, la Provincia di Torino, oggi città metropolitana di Torino, ha a sua volta ordinato alla RAGIONE_SOCIALE di bonificare l’area.
La società ha proposto ricorso al Tar, avverso tali ordinanze comunali, sostenendo che la responsabilità di quell’inquinamento era dei soggetti che avevano avuto le autorizzazioni a depositare i rifiuti, ed ha ottenuto dalla giustizia amministrativa un provvedimento favorevole, che ha imposto alla Città Metropolitana di Torino di rivedere l’ordinanza di bonifica e di individuare i soggetti che potevano essere stati responsabili del deposito dei rifiuti.
3.-Nel frattempo, da questa vicenda è scaturito un primo giudizio civile in quanto RAGIONE_SOCIALE che, come si è detto, aveva acquistato il terreno dalla RAGIONE_SOCIALE, ha citato quest’ultima per ottenere il risarcimento dei danni consistenti nelle spese di bonifica, che aveva dovuto sostenere a causa dell’inquinamento del sito da rifiuti solidi.
Il Tribunale di Torino ha accolto la domanda, avendo accertato che, a parte la discarica di rifiuti effettuata dai soggetti precedenti, comunque RAGIONE_SOCIALE, una volta sgombrato il sito dalle carcasse di automobili, aveva riempito l’area con materiali inquinanti a prevalenza di natura metalmeccanica, ma anche con altri rifiuti, ed aveva omesso di vigilare sulle discariche fatte da terzi.
Quel giudizio si è concluso con una decisione emessa dalla Corte d’appello di Torino, nel 2013, poi confermata in Cassazione (n. 7170/ 2018 ).
Successivamente, RAGIONE_SOCIALE ha nuovamente convenuto la RAGIONE_SOCIALE per ottenere il rimborso delle spese ulteriori sostenute e non coperte dal precedente contenzioso (spese per l’estrazione del biogas prodotto dai rifiuti urbani che erano stati negli anni depositati in quell’area).
RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi, sul presupposto che a depositare i rifiuti che davano origine ai gas era stati gli altri, ha ottenuto la chiamata in giudizio dei Comuni di Nichelino e di Moncalieri, nonché degli eredi degli originari proprietari dell’area
che, come si è ricordato, avevano l’autorizzazione ad usarla quale discarica di rifiuti solidi.
Questi ultimi, a loro volta, hanno ottenuto la chiamata in causa del Comune di Torino e della società che, per conto di quest’ultimo, smaltiva i rifiuti.
Il Tribunale di Torino ha emesso una prima sentenza parziale nel 2018 (sent.
1628/ 2018 ), con la quale ha rigettato le domande che RAGIONE_SOCIALE aveva fatto nei confronti dei terzi chiamati, ha tra l’altro, accolto le eccezioni di prescrizione proposte dagli eredi di COGNOME NOME ed ha rimesso la causa sul ruolo per la migliore istruttoria della domanda principale, ossia quella che RAGIONE_SOCIALE aveva fatto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la restituzione delle spese di bonifica ulteriore. In seguito, il Tribunale, istruita la causa sull’ammontare del danno, ha emesso sentenza definitiva (4362/ 2019) con cui ha condannato RAGIONE_SOCIALE a rifondere a RAGIONE_SOCIALE la somma di 419.585, 28 euro, per le spese di bonifica, che è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE, ma confermata dalla Corte di Appello di Torino con sentenza 1044/ 2021, qui impugnata.
4.-Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione FCA con sette motivi. RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che
5.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2909 del codice civile nonché omesso esame di un fatto decisivo.
La tesi della ricorrente è che la Corte d’appello ha frainteso la portata del giudicato esterno, formatosi nel precedente giudizio, in quanto in quella decisione era espressamente previsto che RAGIONE_SOCIALE era responsabile del solo inquinamento da prodotti metalmeccanici, cioè quello causato dalle carcasse delle automobili ivi depositate, e non era responsabile per il deposito di materiali effettuati dai precedenti proprietari.
Osserva tra l’altro la ricorrente che la domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE nel precedente giudizio era una domanda di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, e che quindi RAGIONE_SOCIALE era chiamata a rispondere in solido per l’intero anche rispetto al danno causato dagli altri
obbligati al risarcimento, con la conseguenza dunque che, come ogni obbligato in solido, anche lei ha l’azione di regresso nei confronti degli altri sodali.
Il motivo è infondato.
Infatti, la tesi qui sostenuta da RAGIONE_SOCIALE è di dover essere manlevata dal risarcimento verso RAGIONE_SOCIALE in quanto il danno (da versamento di rifiuti solidi) sarebbe stato causato da altri, ossia i chiamati in causa. Questa assunto però urta contro il giudicato precedente il quale ha accertato una responsabilità in tale inquinamento anche di RAGIONE_SOCIALE (pagine 5 e 6 della sentenza di primo grado, ove si fa riferimento alla CTU), sia direttamente che per avere omesso che lo facessero terzi, durante il periodo in cui la società ha avuto la proprietà del terreno.
La tesi della ricorrente è invece che, nel precedente giudizio, non si sarebbe formato alcun giudicato come dimostrato da una affermazione contenuta nella decisione di primo grado in cui si esclude ‘ la rilevanza, dal punto di vista causale e risarcitorio, dell’autonoma attività inquinante delle imprese già proprietarie dei terreni antecedentemente a RAGIONE_SOCIALE ‘.
Ma il richiamo a questo passaggio non ha significato rilevante, non solo perché si tratta di un obiter , a fronte invece della ratio di quella decisione, che è nel senso di una condotta inquinante di RAGIONE_SOCIALE, ma soprattutto in quanto il giudicato si è formato su altri e diversi aspetti: intanto sul fatto che, durante la proprietà RAGIONE_SOCIALE, ci sono stati versamenti di rifiuti soldi urbani, come accertato dal CTU.
E questa condotta è imputabile a RAGIONE_SOCIALE in via autonoma, non concorrente con altri, in ragione del colpevole inquinamento del sito, dovuto alla omissione dei controlli (solo il proprietario incolpevole non è tenuto al risarcimento Cass. Sez. Un. 3077/2023).
Inoltre, l’accertamento ha avuto ad oggetto la circostanza che l’inquinamento di RAGIONE_SOCIALE si è aggiunto a quello degli altri, nella serie causale complessiva, accrescendo il rischio ed il danno conseguente.
Infine, altra circostanza addotta da RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, a dimostrare che alcun giudicato possa essersi formato, e che la Corte di Appello avrebbe male inteso l’accertamento contenuto in primo grado, starebbe nel fatto che una condotta colpevole di RAGIONE_SOCIALE presuppone che costei sapesse della discarica altrui.
Invece, solo nel 2014, quando la società ha chiesto l’accesso agli atti , ha saputo dell’inquinamento, e dunque in una data in cui il danno si era già verificato, ed il terreno già ceduto a RAGIONE_SOCIALE.
Questa censura è però innanzitutto inammissibile: che RAGIONE_SOCIALE abbia avuto invece una conoscenza anteriore (sin dal 2005, data della conferenza di Servizi, perlomeno) è accertamento in fatto che non può essere qui contestato. E comunque è infondata in quanto, come osservano i giudici di appello, dalla stessa Conferenza dei Servizi, prodotta da RAGIONE_SOCIALE, si evince che la problematica dei biogas era nota.
Ma soprattutto, si ripete, la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE qui è affermata per l’inquinamento realizzatosi durante il periodo in cui la società ha avuto la proprietà e la disponibilità del terreno, e ciò sia per il deposito di materiale metalmeccanico (le auto della RAGIONE_SOCIALE) sia per il versamento di rifiuti solido da parte di terzi, non impedito da RAGIONE_SOCIALE.
Osservano inoltre i giudici di merito, che richiamano espressamente, riportano testualmente e confermano le considerazioni già svolte nel capo 9 della sentenza 1649/2019 (v. sentenza impugnata in questa sede p.19-21), che la decisione emessa nel precedente e distinto giudizio era dunque basata su due diverse rationes decidendi , ciascuna delle due idonea a sorreggere la decisione: a) che RAGIONE_SOCIALE ha riversato essa stessa rifiuti metalmeccanici, che hanno di certo inquinato il terreno; b) che RAGIONE_SOCIALE non ha impedito che altri scaricassero rifiuti soldi urbani.
Osservano i giudici di merito, che in quel giudizio, RAGIONE_SOCIALE non ha specificamente contestato la seconda delle due rationes , ossia quella in base alla quale è ritenuta responsabile per omesso controllo, e questo basta, data l’autonomia di questa ratio decidendi , al giudicato sulla responsabilità di RAGIONE_SOCIALE.
Questa affermazione dei giudici di appello, che costituisce anche essa autonoma ratio decidendi (ossia: una delle due rationes della decisione resa nell’altro procedimento non è stata impugnata e dunque il giudicato perlomeno si regge su di essa), non è a sua volta contestata: RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE non dimostra, per contro, di avere impugnato la ratio sulla sua condotta omissiva.
Ovviamente la circostanza che il precedente giudicato lascia aperta la responsabilità di altri terzi, non significa che escluda quella di RAGIONE_SOCIALE, che è il punto determinante la controversia.
Se RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta responsabile dell’inquinamento (anche da rifiuti solidi), per il quale sono state necessarie le attività di bonifica, di cui si chiede qui il rimborso, questo basta ad impedire la sua azione di regresso verso terzi.
Si è detto infatti che tale azione è quella prevista dall’articolo 263 l. 152 del 2006, essendo quella ex articolo 2055 c.c.dichiarata prescritta in modo definitivo.
Ora, l’articolo 263 citato prevede che il proprietario non responsabile dell’inquinamento ha diritto di rivalsa nei confronti del responsabile, con la conseguenza che non ha azione di rivalsa chi, invece, come nel caso presente, è da ritenersi responsabile di quell’inquinamento, anche solo in parte.
Inoltre, ha azione di rivalsa, sempre a tenore di quella norma, chi abbia spontaneamente provveduto alla bonifica: la decisione impugnata ha escluso che RAGIONE_SOCIALE lo abbia fatto.
6.- Con il secondo motivo si prospetta una violazione dell’articolo 2055 c.c.
La tesi della ricorrente è nel senso che, pur avendo la sentenza impugnata affermato una responsabilità parziaria, poi però applica alla fattispecie le regole della responsabilità solidale. Con violazione dunque della regola della parziarietà.
Il motivo è inammissibile.
La decisione impugnata non fa quel ragionamento: si limita ad osservare che, nel precedente giudizio, come ripetutamente detto fino a qui, è stata accertata una responsabilità autonoma di RAGIONE_SOCIALE, ossia una responsabilità dovuta a condotta indipendente rispetto a quella di altri inquinatori. Ed ha concluso che quel giudicato, di conseguenza, rende RAGIONE_SOCIALE responsabile autonomo e non solidale con gli altri.
La decisione impugnata non ha qualificato come <> la condotta di RAGIONE_SOCIALE, ma ha solo rilevato che, nel precedente procedimento, si è formato giudicato sulla circostanza che RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta responsabile per una condotta, invece, autonoma: quella di avere omesso i controlli, oltre che di avere inquinato di suo.
7.- Il terzo motivo prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c.
Si sostiene che, dopo avere preso atto che non era stato possibile accertare quale sia stato il contributo di ciascuno nella determinazione del danno, i giudici di appello hanno tuttavia ritenuto provata la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile.
Il giudicato sulla responsabilità di RAGIONE_SOCIALE esclude qualsiasi accertamento sulla prova, in questo giudizio, di quella responsabilità, accertamento che di fatto non si è peraltro avuto.
8.- Il quarto motivo prospetta violazione degli articoli 112, 193, 194 c.p.c.
Questo motivo non è influenzato dal giudicato, poiché attiene alla valutazione conseguente all’accertamento, frutto del giudicato precedente, della del danno responsabilità di RAGIONE_SOCIALE.
Come si è ripetutamente detto, contestualmente alla sentenza non definitiva che aveva ad oggetto la domanda di RAGIONE_SOCIALE verso i terzi chiamati – il giudice di primo grado ha rimesso la causa sul ruolo per l’istruzione della domanda principale, quella di RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE. Ne è seguita una CTU che ha stimato i danni lamentati dalla attrice.
RAGIONE_SOCIALE ha posto la questione della esorbitanza dell’attività del CTU, sostenendo che costui non si è adeguato ai quesiti posti, e non ha tenuto conto della richiesta di valutare il <> di RAGIONE_SOCIALE.
Ora RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) si duole della circostanza che il giudice di appello, ha, invece, ribadito che l’operato del CTU si è mantenuto nei limiti dei quesiti.
Contesta questa ratio sostenendo che emerge documentalmente che ciò non è avvenuto.
Il motivo è inammissibile per più ragioni.
Intanto i giudici di appello non si limitano a dire che l’operato del CTU è stato conforme ai quesiti posti, e questo è un accertamento in fatto, che qui non si può contestare. Né è riportato specificamente il quesito da cui possa desumersi l’ambito della indagine affidata al CTU, e nemmeno è riportato il punto in cui il perito se ne è discostato.
Ma soprattutto i giudici di appello hanno rigettato la doglianza di RAGIONE_SOCIALE sul punto, osservando come il motivo di appello si è risolto nella mera riproposizione delle
censure fatte alla CTU in primo grado ed alle quali il consulente ha risposto adeguatamente, come osservato nella sentenza impugnata (p. 23).
Questo capo di decisione (di appello), che è a sua volta autonomo, ossia basta a dire che la censura alla CTU è inammissibile, qui, a tacere di altro, non è impugnato.
9.- Il quinto motivo denuncia omesso esame di documenti, e conseguente violazione dell’articolo 115 c.p.c., nonché dell’articolo 2697 c.c.
La tesi è la seguente.
Il giudice di primo grado ha del tutto disatteso le critiche rivolte da RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) alla CTU nel punto in cui quest’ultima non ha tenuto conto del fatto che alcuni costi di smaltimento dei biogas non potevano addebitarsi a lei, ma erano dovuti a condotta ‘colpevole’ o comunque rilevante di RAGIONE_SOCIALE.
Il Giudice di appello ha replicato invece che la censura era generica poiché non specificava quali fossero state le carenze di RAGIONE_SOCIALE nella gestione dei biogas (‘ non viene, peraltro, nemmeno ben chiarito in cosa consistano, tecnicamente, gli allegati errori esecutivi, per cui non si evidenzia il minimo riscontro, per cui la censura presenta ampi profili di genericità ‘).
Il motivo è inammissibile.
Come si deduce agevolmente dal suo tenore e dalla decisione della Corte di Appello in merito, si discute di un accertamento in fatto, ossia se, alla luce della CTU, era emerso oppure no che il trattamento dei biogas era stato inadeguato da parte di RAGIONE_SOCIALE, e se questa inadeguatezza ha inciso poi sui costi di smaltimento.
Questo accertamento, basato su valutazioni fatte dal CTU, e fatte proprie dai giudici di merito, qui non può essere messo in discussione, se non sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione che, a ben vedere, non solo non è prospettato, ma neanche potrebbe dirsi fondato.
10.- Il sesto motivo prospetta anche esso violazione degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c.
La tesi è che RAGIONE_SOCIALE aveva riproposto in appello le istanze istruttorie rigettate in primo grado, e che il giudice del secondo grado aveva però ritenuto la censura non specifica.
RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) contesta questa decisione assumendola frutto di una svista, nel senso che i giudici di appello avrebbero erroneamente supposto che il motivo che faceva valere l’ammissione dei mezzi istruttori era il n. 3 e non il numero 5, cui invece i giudici di secondo grado si riferiscono.
Il motivo è inammissibile.
Pur segnalando l’errore materiale (il motivo era il terzo e non il quinto) non si contesta la decisione di appello nel merito: essa, come detto, assume che la doglianza di mancata assunzione dei mezzi istruttori era del tutto generica e come tale inammissi bile. Non c’è qui argomento per censurarla, per poterla ritenerla infondata: non si dice, in altri termini, quali ragioni erano state addotte per riproporre le istanze istruttorie e per censurare la decisione di primo grado che le aveva rigettate.
11.- Il settimo motivo prospetta nuovamente violazione degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c.
RAGIONE_SOCIALE) si duole del rigetto della domanda riconvenzionale, che i giudici di appello hanno ritenuto del tutto sfornita di prova.
Assume la ricorrente che non sono state ingiustamente accolte le richieste istruttorie che avrebbero dimostrato la fondatezza della domanda.
Il motivo è del tutto inammissibile.
Intanto lo è perché censura un giudizio di fatto, di natura probatoria: quello per cui la domanda riconvenzionale non è stata provata, o le prove erano insufficienti. Lo è in secondo luogo in quanto non specifico: non si dice perché questo giudizio di insufficienza probatoria sarebbe infondato, né è conferente l’argomento che sarebbe stato più convincente un rigetto nel merito (accolta la domanda principale si rigetta quella riconvenzionale) piuttosto che dire che ‘ non sono state dedotte le ragioni della domanda ‘. Forse la Corte di Appello avrebbe potuto, ma non averlo fatto non è motivo di nullità, di per sé.
Il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 12.000,00 euro, oltre 200,00 euro di esborsi, ed oltre 15% di spese generali ed accessori.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Roma 6.10.2023
L’estensore
Il Presidente