Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9893 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 663/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rapp. p.t., elettivamente domiciliati in CESENA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in BOLOGNA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
nonché
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECOGNOME come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME NOME COGNOME, COGNOME elettivamente domiciliati digitalmente e rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME come da procura speciale in atti.
-controricorrenti-
nonchè
contro
REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in BOLOGNA INDIRIZZO p resso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 2203/2023 depositata il 07/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1.- Con atto di citazione ritualmente notificato, la Cassa di Risparmio di Cesena SPA, ora Crédit Agricole Italia RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche la “Banca”), in qualità di creditrice della “Fondazione Regina Maris” di Cattolica (di seguito anche la ‘Fondazione’), convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna il Comune di Cattolica (di seguito anche il ‘Comune’) in qualità di ente fondatore e unico partecipante alla Fondazione, la Regione Emilia Romagna (di seguito anche la “Regione”), quale ente deputato ex lege alla vigilanza sulla Fondazione, e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto già membri del comitato direttivo della Fondazione Regina Maris, al fine di sentirli condannare, ciascuno per i titoli di responsabilità illustrati in atto di citazione, al pagamento della somma di euro 6.541.840,43=, oltre agli interessi convenzionali maturati dal 9.11.2013 fino alla data della decisione, o di quella maggiore o minore somma provata in corso di causa o ritenuta di giustizia.
L’attrice espose che la Fondazione RAGIONE_SOCIALE, costituita nel novembre 1997 dal Comune di Cattolica, unico partecipante, per la gestione di strutture sanitarie e sociosanitarie presenti sul suo territorio, era stata riconosciuta persona giuridica con decreto del Presidente della Giunta Regionale del 9.6.1998 ed iscritta nel relativo registro il 29.7.1998. Detta Fondazione era stata costituita allo scopo di procedere alla gestione dell’Ospedale Cervesi, cedutale dalla AUSL di Rimini in via INDIRIZZO sperimentazione gestionale ex LR 50/94 con convenzione del 13.8.1998; anticipatamente risolta la convenzione e restituita la gestione dell’ospedale alla AUSL nel giugno 2003, la Fondazione, successivamente inattiva, era stata dichiarata estinta dalla Regione in data 18.12.2012.
L’attrice rammentò di avere concesso alla Fondazione, in data 20.3.1998, un fido di cinque miliardi di lire, garantito dal pegno di 5.000 azioni della RAGIONE_SOCIALE, di proprietà del Comune; il 29.10.1998 il fido era stato aumentato ad undici miliardi di lire (euro
5.681.025,89=), con costituzione in pegno di altre analoghe 6.007 azioni. ln data 8.2.2007 la Banca revocò il fido e chiese la restituzione di euro 5.056.657,14=, alla quale non provvidero né la Fondazione, né il Comune.
Fallite le trattative per trovare una soluzione bonaria, nel novembre 2010 la banca attivò la procedura di vendita delle azioni ricevute in pegno, di cui, affermava, non poteva chiedere l’assegnazione poiché, in ottemperanza del sopravvenuto art. 113 TUEL, la RAGIONE_SOCIALE aveva nel 2004 modificato lo Statuto ed aveva previsto la possibilità di cessione delle azioni solo a enti pubblici o interamente partecipati da enti pubblici. A ciò, seguirono tre iniziative giudiziarie del Comune volte all’accertamento dell’inesistenza dello ius vendendi e della invalidità dei contratti di pegno a seguito delle quali, con lettera raccomandata a.r. del 5 luglio 2012, la Banca, per il tramite dei propri procuratori, chiese alla Regione, al Comune, agli amministratori della Fondazione (sigg. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) ed all’Azienda USL di Rimini rappresentata dalla Regione, ciascuno in relazione ai propri titoli di responsabilità, il risarcimento dei danni subiti.
Tanto esposto, l’attrice chiese, quindi, la condanna del Comune all’adempimento dell’obbligazione restitutoria della Fondazione ai sensi dell’art. 2362 c.c. nel testo anteriore alla novella del 2003 , nella sua qualità di unico partecipante alla Fondazione.
ln subordine avanzò domanda, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dopo l’entrata in vigore della riforma societaria, dell’art. 2497 c.c., di condanna del Comune al risarcimento dei danni, pari all’ammontare del proprio credito insoddisfatto, per abuso dell’attività di coordinamento e direzione della Fondazione, della quale il convenuto aveva «leso il patrimonio iniziale» ovvero diminuito «drasticamente il patrimonio iniziale» , inducendola a contrarre enormi debiti senza esercitare alcun controllo e vigilanza, e a risolvere il contratto di
affitto del ramo di azienda relativo alla gestione dell’Ospedale Cervesi, restituito alla AUSL.
In via ulteriormente subordinata, la banca chiese la condanna del Comune, ai sensi dell’art. 2331, secondo comma, c.c., al pagamento di euro 968.117,69=, ossia all’importo dovuto in forza del primo fido come maturato alla data del 20.6.1998, fido contratto quando la Fondazione non aveva ancora personalità giuridica.
L’attrice chiese la condanna della Regione, in via solidale, ex art. 2043 c.c. al risarcimento del danno pari all’intero debito della Fondazione, deducendo che questa aveva omesso di compiere con la dovuta diligenza, al momento del riconoscimento della personalità giuridica, le verifiche necessarie a garantire la tutela dei creditori, l’idoneità patrimoniale della Fondazione per il conseguimento dei fini statutari, e successivamente, le attività di controllo e vigilanza normativamente attribuitele.
La Banca chiese, inoltre, la condanna in solido dei tre amministratori della Fondazione, ex art. 2043 c.c. e per l’intero debito della Fondazione, lamentando l’omessa redazione dei bilanci dal 1998 al 2002 e dal 2006 al 2012, la mancanza della relazione del Collegio Sindacale, relativamente ai bilanci del 2004 e del 2005, e la cattiva gestione della Fondazione.
Dedusse, inoltre, che COGNOME e COGNOME erano tenuti quanto meno a rispondere personalmente, per euro 968.117,69=, delle obbligazioni nascenti dal primo fido, contratto anteriormente al riconoscimento della personalità giuridica alla Fondazione, del cui Consiglio di amministrazione erano membri.
I convenuti si costituirono chiedendo il rigetto delle domande della Banca.
Sopravvenuto il decesso di COGNOME il giudizio veniva riassunto nei confronti dei suoi eredi COGNOME NOME COGNOME NOME e NOMECOGNOME che si costituirono deducendo di avere accettato l’eredità con
beneficio di inventario, contestarono le allegazioni e le domande proposte dall’attrice e ne chiesero il rigetto.
1.2.- Con sentenza n. 20465/20 il Tribunale di Bologna rigettò le eccezioni di prescrizione delle domande extracontrattuali, sul rilievo che il giudizio era stato instaurato nel 2014 ed il termine prescrizionale quinquennale aveva iniziato a decorrere solo nel 2010, ossia quando il Comune aveva intrapreso le iniziative giudiziarie volte a contrastare la validità e l’efficacia del pegno, respinse la domanda proposta contro il Comune ex art. 2362 c.c., ritenendo preclusa l’applicazione analogica di tale norma; affermò l’inapplicabilità in via analogica alla fondazione dell’art. 2331, secondo comma, c.c. che peraltro, nel testo anteriore alla riforma del 2003, avrebbe astrattamente comportato la responsabilità non del fondatore/socio unico, ma di «coloro che hanno agito» e quindi delle persone organi dell’ente; rigettò le domande per responsabilità extracontrattuale rilevando che «la pretesa illiceità delle condotte ascritte ai vari convenuti non è adeguatamente allegata e tanto meno dimostrata» , mancando altresì «allegazione e prova del rapporto causale» con il danno, quest’ultimo pure indimostrato in mancanza di elementi di prova in merito alla realizzazione della garanzia reale.
1.3.- Avverso tale sentenza ha proposto appello la RAGIONE_SOCIALE, incorporante la Cassa di Risparmio di Cesena SPA, unitamente, ex art. 111 c.p.c., alla cessionaria dei crediti oggetto di causa RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla procuratrice RAGIONE_SOCIALE chiedendo l’accoglimento delle domande proposte in primo grado.
Nella contumacia di COGNOME si costituivano tempestivamente, opponendosi al gravame, gli altri appellati.
Il Comune eccepiva l’inammissibilità dell’intervento della COGNOME SPV; tutti gli appellati riproponevano l’eccezione di prescrizione, sia pure, ad eccezione del COGNOME, solo in via subordinata; tutti, ad eccezione del Comune, proponevano appello
incidentale sulle spese, che erano state interamente compensate dal primo giudice.
La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 2203/2023 qui impugnata: – ha rigettato l’appello della RAGIONE_SOCIALE; ha dichiarato inammissibile l’appello proposta dalla RAGIONE_SOCIALE contro i capi della sentenza del Tribunale di rigetto delle azioni risarcitorie per responsabilità extracontrattuale; – ha rigettato nel resto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE; – ha accolto gli appelli incidentali sulle spese ed ha condannato RAGIONE_SOCIALE a rifondere alla Regione, al COGNOME e agli eredi COGNOME le spese di lite del primo grado di giudizio; – ha condannato le parti soccombenti alle spese del secondo grado.
Per quanto di interesse, la Corte di appello ha affermato che la cessione del credito in favore di NOME RAGIONE_SOCIALE non comprendeva il diritto del cedente al risarcimento dell’illecito extracontrattuale che avrebbe cagionato l’incapienza del debitore ceduto; che la domanda di condanna del Comune all’adempimento delle obbligazioni della Fondazione, proposta ai sensi dell’art.2362 c.c., era inammissibile sotto tutti i profili svolti; che la domanda risarcitoria proposta ex art. 2043 c.c. nei confronti del Comune, della Regione e degli amministratori COGNOME COGNOME era prescritta sotto tutti i profili; che domanda risarcitoria proposta ex art. 2043 c.c. per violazioni dell’obbligo di far sì che si pervenisse anticipatamente all’estinzione della fondazione proposta nei confronti di COGNOME era inammissibile e, ad abundantiam , infondata.
1.4.- RAGIONE_SOCIALE (già Cassa di Risparmio di Cesena SPA, successivamente incorporata in RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e per essa la procuratrice RAGIONE_SOCIALE, hanno proposto congiunto ricorso con sei mezzi, chiedendo la cassazione della sentenza n. 2203/2023 emessa dalla Corte d’Appello di Bologna in data 24.10.2023, depositata in data 7.11.2023.
Il Comune di Cattolica ha replicato con controricorso e memoria.
La Regione Emilia-Romagna ha depositato controricorso.
COGNOME NOME COGNOME NOME Franco e COGNOME NOME COGNOME nella loro qualità di eredi di NOME COGNOME hanno depositato controricorso e memoria.
NOME COGNOME ha depositato controricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2201 c.c., che prevede alla soggezione all’iscrizione nel registro delle imprese degli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale, e 2362 c.c., nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2003, anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003 che stabiliva « In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente » .
La censura concerne la statuizione con cui la Corte di appello ha respinto il motivo di appello IV.2.2.2 con cui la banca insisteva per la condanna del Comune, quale unico fondatore, all’adempimento delle obbligazioni della Fondazione ai sensi dell’art.2362 c.c., nel testo di cui sopra, affermando che «La disposizione perseguiva l’esigenza di consentire l’operatività della società e dell’impresa da essa esercitata anche nel caso del venir meno della pluralità dei soci, ma anche quella di sventare in radice la possibile elusione del principio generale della illimitata responsabilità patrimoniale laddove la società per azioni fosse stata creata (come necessario) da più persone, ma con l’intento di concentrazione delle azioni nelle mani di un unico socio, così in condizione di esercitare da solo impresa sostanzialmente individuale con il beneficio della responsabilità limitata. E’ allora evidente la totale manca di analogia con la situazione della fondazione atteso che, al contrario, è ammesso
dall’ordinamento e si verifica in via di normalità che unico sia il fondatore, come anche la fondazione acquisisca la personalità giuridica anche se costituita da un unico soggetto. E’ dunque impossibile che sia equiparata all’abuso della personalità giuridica sanzionato dall’art. 2362 c.c. una situazione che l’ordinamento prevede e disciplina, ossia il riconoscimento della personalità giuridica di fondazione costituite da un unico fondatore» (fol.9, sent. imp.)
A parere delle ricorrenti, la Corte di appello ha errato nel ritenere non passibile di interpretazione analogica – come da loro propugnato – l’art.2362 c.c. (vecchia formulazione).
Al fine di avvalorare la loro tesi, sostengono che la Fondazione aveva acquistato la qualità di imprenditore commerciale e aveva svolto in via esclusiva e principale attività di gestione dell’ospedale di Cattolica – ancorché strumentale rispetto allo scopo istituzionale enunciato nell’atto costitutivo -, di guisa che era esposta a tutte le relative conseguenze, compreso l’eventuale fallimento in caso di insolvenza.
2.2.Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, sempre dell’art. 2362 c.c., nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2003, anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003, e, inoltre, dell’art. 2740, che attiene alla responsabilità patrimoniale del debitore, e dell’art.2729, primo comma, c.c. nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.
La censura concerne la statuizione con cui la Corte di merito, in conseguenziale connessione con la statuizione impugnata con il primo motivo, ha affermato che « Le medesime considerazioni valgono a fortiori a giustificare il rigetto del motivo di appello IV.2.2.1 con il quale l’appellante, sempre al fine di estendere la responsabilità ex art. 2362 c.c., fa richiamo al concetto elaborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di abuso della
personalità giuridica da parte del socio ‘tiranno’. Inapplicabile per le ragioni già evidenziate, tale norma al Comune, ed essendo pacifico che esso fosse l’unico fondatore della Regina Maris, non si comprende quale sia l’utilità del richiamo alla figura del socio, in tesi ‘tiranno’, di altri inesistenti soci » (cfr. pagg. 9 e 10); aggiungendo, infine, che non sarebbero « stati neppure allegati dalla banca elementi concreti indicativi del fatto che il Comune avrebbe perseguito non meglio specificati ‘fini meramente individuali al mero scopo di ottenere il beneficio della responsabilità limitata » (fol. 12, sent. imp.).
Le ricorrenti sostengono che la sentenza risulterebbe priva di motivazione e/o con motivazione apparente e/o perplessa in relazione al motivo di appello con cui era stato denunciato l’abuso della personalità giuridica dell’ente da parte dell’unico socio.
Le ricorrenti si dolgono che, con motivazione apparente, la sentenza impugnata si sia limitata ad affermare l’inapplicabilità dell’abuso della personalità giuridica alle fondazioni partecipate da un unico socio richiamando la motivazione già espressa riguardo all’inapplicabilità dell’art. 2362 c.c. Sostengono di avere dimostrato che «che la Fondazione è stata eterodiretta dal Comune che ha trattato i beni di quest’ultima come se fossero propri, facendosi schermo della personalità giuridica della stessa, al solo fine di aggirare le disposizioni di legge che gli impedivano di gestire direttamente l’Ospedale Cervesi.» (fol.19 del ric.) e che il Comune ha sistematicamente compiuto atti di ingerenza nella gestione della Fondazione ed assunto sostanzialmente – tramite gli amministratori dallo stesso nominati e rimasti in carica anche dopo la risoluzione della convenzione con l’A.USL, mai confutato né contestato dagli amministratori le decisioni per conto di quest’ultima, mera esecutrice delle decisioni dell’unico socio.
Lamentano, inoltre, che la sentenza impugnata sarebbe, altresì, viziata con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione dell’art.
2043 c.c. e dell’art. 2729 c.c., in relazione a quanto anche previsto dall’art. 115, co. 1, c.p.c. non avendo i convenuti COGNOME COGNOME e COGNOME, amministratori della RAGIONE_SOCIALE, contestato nelle rispettive comparse di risposta i fatti e le circostanze dettagliatamente ricostruite in atto di citazione (fol.18 del ric.).
2.3.- I due motivi, con cui le ricorrenti sostengono la applicabilità alla fondazione dell’art.2362 c.c., vanno trattati congiuntamente perché strettamente avvinti e vanno disattesi.
2.4.- La formulazione dell’art. 2362 c.c., nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2003, anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003, secondo la quale « In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente » aveva come presupposto e regolava l’unipersonalità della società per azioni, limitatamente alla c.d. unipersonalità sopravvenuta, vale a dire con riferimento all’ipotesi in cui, in seno ad una società costituita con contratto, fosse venuta meno la pluralità dei soci. Segnatamente, il legislatore del codice civile aveva negato la possibilità di costituire la società per azioni con atto unilaterale e aveva disposto la nullità della società nel caso di mancanza originaria della pluralità dei soci; aveva, quindi, previsto la responsabilità illimitata dell’unico socio per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultassero essergli appartenute in modo esclusivo. In altri termini, la concentrazione delle azioni nelle mani di un solo azionista comportava la perdita del beneficio della responsabilità limitata, per arginare il rischio che la società per azioni fosse utilizzata come «mezzo elusivo della responsabilità personale» prevista nel caso di esercizio dell’impresa in forma individuale (Relazione n. 943 al codice civile).
Si tratta, all’evidenza di una norma eccezionale che deroga al principio della responsabilità esclusiva dell’ente e, pertanto, non è suscettibile di applicazione analogica (Cass. n. 10129/2005; Cass. n.
2422/2008) in quanto destinata a disciplinare una situazione eventuale, contingente e sopravvenuta, connotata dalla presenza di un unico socio.
La decisione impugnata risulta pertanto immune da vizi, sol che si consideri che per le fondazioni non vi è un vincolo di plurisoggettività dei fondatori, tanto è vero che la costituzione può essere ascritta anche ad un solo fondatore e, quindi, questa condizione non costituisce un’eccezione; va aggiunto che il legislatore non ha previsto alcuna conseguenza sul piano della responsabilità personale in caso di fondazione unipersonale, né ha esteso l’applicabilità dell’art.2362 c.c. alle fondazioni.
Non soccorre la tesi delle ricorrenti nemmeno il precedente richiamato (Cass. n.3352/1977) che concerne l’applicazione delle norme dell’ordinamento italiano alle ‘anstalten’ e alle ‘treuunternehmen’, enti di diritto estero costituiti nel Liechtenstein, in quanto la Fondazione di cui si discute è già evidentemente regolata dal diritto italiano, di guisa che non è necessario, né consentito applicare in via analogica, disposizioni derogatorie alla autonomia patrimoniale oltre i limiti previsti dal legislatore nazionale.
Infine, non rileva il precedente citato (Cass. n.5305/2004), che concerne la fallibilità della fondazione e di una associazione di fatto a latere che aveva abusivamente esercitato attività imprenditoriale in nome della fondazione, in quanto riguarda fattispecie del tutto diversa.
2.5.- Tanto chiarito, va osservato che la Corte territoriale ha disatteso entrambi i motivi di appello, il primo che prospettava la responsabilità illimitata del Comune ed il secondo che prospettava l’abuso della personalità giuridica, proprio perché ha escluso l’applicabilità in via analogica dell’art.2362 c.c. – sul quale le ricorrenti avevano fondato entrambe le critiche – , come si evince dalla seconda parte della motivazione che è introdotta dalla frase «Le
medesime considerazioni valgono a fortiori a giustificare il rigetto del motivo di appello IV.2.2.1 …» (fol.9 della sent. imp.).
Ne consegue che non solo la motivazione c’è e non è apparente – contrariamente a quanto denunciato dalle ricorrenti – ma che la stessa è idonea a reggere la complessiva decisione atteso che, come si evince dalla stessa formulazione, il periodo successivo «Inapplicabile per le ragioni già evidenziate, tale norma al Comune, ed essendo pacifico che esso fosse l’unico fondatore della RAGIONE_SOCIALE, non si comprende quale sia l’utilità del richiamo alla figura del socio, in tesi ‘tiranno’, di altri inesistenti soci» introduce una argomentazione ad abundantiam , posto che la Corte di appello aggiunge solo per completezza la concisa considerazione sull’inconfigurabilità del socio ‘tiranno’ in assenza di altri soci.
Pertanto tutte le considerazioni svolte nel secondo motivo circa la valenza della condotta processuale dei già amministratori ex art.115 c.p.c., così come le circostanze fattuali dedotte al fine di dimostrare l’abuso della personalità giuridica da parte del Comune risultano irrilevanti una volta esclusa l’applicabilità dell’art.2362 c.c., nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2003, anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003, alla Fondazione in esame e il motivo, ove censura l’argomento svolto sul ‘socio tiranno’, non risulta in nessun caso idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, in quanto si è già consolidata l’autonoma motivazione che ha escluso la invocata applicabilità dell’art.2362 c.c., nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2003, anteriore alla riforma introdotta con il d.lgs. n.6/2003, oggetto di censura che è stata rigettata (Cass. n. 15399/2018; Cass. n. 15350/2017; Cass. n. 21490/2005).
5.1.- Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2740, 2935 e 2947, comma 1, c.c. e 2949, co. 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.; riguarda la declaratoria di prescrizione dell’azioni per responsabilità extracontrattuale
promosse nei confronti del Comune, della Regione, nonché degli amministratori COGNOME e COGNOME
Secondo le ricorrenti, la Corte d’Appello, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Comune, dalla Regione e dagli amministratori COGNOME e COGNOME erroneamente ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione per tutte le domande proposte dalla Banca a titolo di responsabilità extracontrattuale nei loro confronti, assumendo che il termine da cui far decorrere la prescrizione, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di prime cure, era al più tardi quello del 24.2.2007.
5.2.- Il motivo è infondato.
5.3.- Innanzi tutto, giova ricordare che non può imputarsi alla parte che eccepisca l’intervenuta prescrizione l’onere di individuare con esattezza il momento di decorrenza, essendo bastevole che essa prospetti la dedotta estinzione per decorso del tempo, individuando la vicenda temporale che, a suo giudizio, viene in rilievo. Spetterà poi al giudice accertare il corretto dies a quo , senza che con ciò possa affermarsi che l’eccipiente venga meno al proprio dovere di allegazione (Cass. Sez. U. n. 4115/2022, in motivazione).
Quel che occorre accertare è se la Corte di merito abbia fatto corretta applicazione dell’art. 2935 cod. civ.
In proposito la sentenza ha affermato che il termine prescrizionale, diversamente da quanto ritenuto nella decisione di primo grado, non andava fatto decorrere dal 2010, momento in cui il Comune (semplice terzo datore di pegno, non tenuto all’adempimento in favore della banca in luogo della garanzia) aveva assunto varie iniziative giudiziarie tali da ostacolare la realizzazione del pegno, ma, al più tardi, dal 24.2.2007, termine entro il quale la debitrice avrebbe dovuto adempiere all’obbligazione di pagamento delle somme utilizzate in virtù del fido – revocato dalla CaRiCe l’8.2.2007 con la motivazione di avere constatato che l’affidamento era immobilizzato da tempo ed utilizzato oltre il limite concesso-,
perché in tale occasione «la banca acquisì in via definitiva la conoscenza, o meglio la conferma della mancanza di mezzi patrimoniali di cui essa era stata già ampiamente edotta dalla Fondazione medesima in occasione della richiesta di una ‘ristrutturazione’ del debito, come da lettera del 18.10.2004» (fol. 13/14 della sent. imp.), rimarcando che il danno ingiusto da lesione dell’integrità patrimoniale della debitrice, in tesi cagionato dai convenuti, riguardava la perdita della garanzia patrimoniale generica cx art. 2740 c.c., e non aveva nulla a che vedere -se non in relazione al successivo momento della quantificazione del danno- con le vicende relative alle garanzie specifiche e dunque, nel caso di specie, con il fatto che per la banca sarebbe stato o meno possibile, e in che misura, soddisfarsi con la vendita o l’assegnazione (pure da essa richiesta in un altro giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Bologna) delle azioni oggetto del pegno, la cui limitata commerciabilità ex lege era peraltro sopravvenuta già nell’anno 2000, ed era stata recepita dallo Statuto della Romagna Acque sin nel 2004.
5.4.- La decisione impugnata risulta immune da vizi, in quanto è conforme ai consolidati principi affermati in tema di dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale, secondo i quali il danno extracontrattuale si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 cod. civ., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, o avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza – sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato e della sua ingiustizia, mentre resta a carico di chi eccepisce la prescrizione l’onere di provarne la decorrenza, e il relativo accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione, se sufficientemente e coerentemente motivato, come nel caso in esame (Cass. Sez. U. n. 4115/2022; Cass. n. 29328/2024; Cass. n. 1263/2012; Cass. n. 2305/2007).
6.1. – Con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 163, co. 3 n. 4), c.p.c., dell’art. 115, co. 2, c.p.c. e degli artt. 112 e 132, co. 2 n. 4), c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e n. 4) c.p.c. – nullità della sentenza per omessa motivazione.
La censura concerne la statuizione con cui la Corte felsinea ha ritenuto infondato il gravame proposto dalle ricorrenti nei confronti dell’amministratore COGNOME in relazione all’azione volta a conseguire la sua condanna ex art.2043 c.c., nonostante avesse dato atto che la mancata costituzione di questi nel giudizio di appello aveva comportato la mancata riproposizione dell’eccezione di prescrizione.
Le ricorrenti deducono l’erroneità della decisione, lamentando che la Corte d’Appello avrebbe completamento omesso di esaminare quanto dedotto ed allegato dalla Banca sin dall’atto di citazione, in merito al fatto che tra le condotte illecite tenute dagli amministratori (oltre che dalla Regione e del Comune), vi era anche quella di aver ritardato « oltremodo la messa in liquidazione dell’ente in danno dei creditori », « nonostante le gravi perdite riportate dalla Fondazione e l’insussistenza di un patrimonio sufficiente a garantire le obbligazioni assunte » (fol.31 del ric.).
La censura concerne la statuizione con cui la Corte di merito ha rigettato la domanda, dichiarando che non sarebbero state dedotte in giudizio di primo grado pretese violazioni dell’obbligo di far sì che si pervenisse anticipatamente all’estinzione della fondazione, osservando che ciò integrava « un profilo nuovo come tale inammissibile » (fol. 16, sent. imp.).
6.2. – Con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27 e 30 c.c., degli artt. 11 e 16 delle disposizioni di attuazione al c.c. e degli artt. 111 e 212 r.d. 16.03.1942, n. 267, degli artt. 2697 e 1218 c.c., dell’art. 2043,
nonché degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.
Le ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello, pur avendo erroneamente affermato l’insussistenza dell’allegazione circa pretese violazioni dell’obbligo di far sì che si pervenisse anticipatamente all’estinzione della fondazione, trattata con il quarto motivo di ricorso, aveva ulteriormente errato quando aveva affermato che «dopo la cessazione della gestione dell’Ospedale, la Fondazione cessò ogni attività, la banca non ha fornito il benché minimo elemento che autorizzi a ritenere che una anticipata estinzione si sarebbe tradotta nella possibilità di essere soddisfatta, anche solo in parte, del suo credito» (fol. 16 della sent. imp.).
Deducono l’erroneità della pronuncia, invocando l’applicabilità al caso in esame delle disposizioni dettate in materia di scioglimento della fondazione dagli artt. 27 e 30 c.c., nonché dagli artt. 11 e 16 delle disposizioni di attuazione del c.c., richiamando espressamente l’art. 212 della legge fallimentare (vigente ratione temporis ).
6.3.- Va premesso che, stante la acclarata prescrizione di tutte le domande proposte nei confronti delle altre controparti (v. sub 5.1. e ss.), i motivi quarto e quinto riguardano esclusivamente la domanda risarcitoria per responsabilità extracontrattuale proposta nei confronti dell’amministratore COGNOME in relazione alla pretesa violazione dell’obbligo di far sì che si pervenisse anticipatamente all’estinzione della fondazione.
6.4.- I due motivi, da trattare congiuntamente per stretta connessione logica, vanno entrambi disattesi.
6.5.- Va rilevato che l’inammissibilità dichiarata dalla Corte di appello in relazione alla domanda concernente la pretesa violazione da parte dell’amministratore COGNOME dell’obbligo di far sì che si pervenisse anticipatamente all’estinzione della fondazione, trova conferma, piuttosto che smentita, nelle stesse deduzioni dei ricorrenti. Questi, invero, riconoscono in ricorso che la mera e
sintetica prospettazione della specifica questione, nel coacervo delle contestazioni mosse, era stata circoscritta nell’atto di citazione al singolo periodo «…nonostante le gravi perdite riportate dalla Fondazione e l’insussistenza di un patrimonio sufficiente a garantire le obbligazioni assunte, hanno continuato a dare esecuzione alle istruzioni del Comune, ritardando oltremodo la messa in liquidazione in danno dei creditori.» (fol. 19, rigo 4/5 dell’atto in questione), dal quale si evince che il tema centrale era focalizzato piuttosto sull’avere eseguito gli amministratori le istruzioni del Comune; i ricorrenti mancano, inoltre, di illustrare – come sarebbe stato loro onere ex art.366 c.p.c – se e come il detto profilo di responsabilità fosse stato esplicitato nelle conclusioni rassegnate in quell’atto. Non soccorre la tesi dei ricorrenti nemmeno la precisazione che il tema della mancata attivazione del procedimento di estinzione dell’ente era stato «puntualmente illustrato» nella comparsa conclusionale (fol. 33 del ric.); è evidente che tale puntualizzazione si è posta ben oltre i termini di cui all’art.183, sesto comma, n.1), c.p,c. (nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 164/2024) entro i quali era consentita la precisazione o modificazione delle domande («Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori: 1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; (…)»), e, quindi, in palese conflitto con i principi di diritto di difesa e di diritto al contraddittorio.
Per queste ragioni il quarto motivo va respinto.
6.6.- A ciò consegue l’inammissibilità del quinto motivo.
In tema di impugnazione, allorché il giudice di appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità del gravame, così privandosi della potestas iudicandi , abbia comunque esaminato il merito dell’impugnazione, poiché queste ultime argomentazioni restano puramente ipotetiche e virtuali deve ritenersi inammissibile il ricorso
in cassazione con il quale si pretenda un sindacato in ordine alla motivazione di merito svolta ad abundantiam , laddove l’impugnazione sulla statuizione di inammissibilità sia stata disattesa, atteso che su questa unica ratio decidendi giuridicamente rilevante della sentenza impugnata si è formato il giudicato (in tema, Cass. Sez. U. n. 31024/2019; Cass. n. 29529/2022; Cass. n. 32092/2024).
7.1.- Il sesto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 58, co. 3, t.u.b. e dell’art. 12 preleggi, degli artt. 111, 115, co. 1, e 167 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.
Nel giudizio di appello, a fianco di Credit RAGIONE_SOCIALE (incorporante di Cassa di Risparmio di Cesena s.p.a.), è intervenuta anche RAGIONE_SOCIALE, precisando che nelle more del giudizio di primo grado, Cassa di Risparmio di Cesena s.p.a. le aveva ceduto il credito nei confronti della Fondazione Regina Maris, comprensivo di ogni diritto ad esso accessorio compreso il pegno costituito dal Comune di Cattolica sulle azioni di RAGIONE_SOCIALE La cessione del credito era stata formalizzata con contratto 7 dicembre 2017 e quindi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 16.12.2017, foglio delle inserzioni n. 148. Successivamente alla cessione del predetto credito, la totalità delle azioni di Cassa di Risparmio di Cesena s.p.a. era stata acquista da Crédit Agricole Italia s.p.a., la quale poi aveva incorporato con effetto dal 5 giugno 2018 la predetta Cassa di Risparmio.
Il Comune, costituendosi in giudizio, ha confermato l’intervenuta cessione a RAGIONE_SOCIALE del credito vantato dalla Banca nei confronti della Fondazione, eccependo però l’inammissibilità dell’intervento di detta cessionaria con riferimento al credito fondato sull’azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale.
Le ricorrenti censurano la Corte d’Appello laddove, accogliendo l’eccezione del Comune, ha affermato che «la cessione del credito
non può quindi intendersi di per sé idonea a trasferire al cessionario il diverso ed autonomo diritto del cedente al risarcimento dell’illecito extracontrattuale che avrebbe cagionato l’incapienza patrimoniale del debitore ceduto» (fol. 6 della sent. imp.).
A sostegno, le ricorrenti ricordano che l’art. 58, co. 3, della D.lgs. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), come successivamente modificato, in tema di cessione di rapporti giuridici prevede che con il credito siano automaticamente cedute anche «le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente» e deducono che il concetto di ‘garanzie’ espresso nella citata norma è più ampio di quello espresso dal’art.1263 c.c. e che devono intendersi ricomprese tra le ‘garanzie’ anche le azioni risarcitorie comunque collegate al rapporto contrattuale principale.
7.2.- Il motivo è infondato e va respinto.
7.3.- Non può ravvisarsi l’automatico trasferimento ex art.58, comma 3, TUB del credito vantato a titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art.2043 c.c., perché questo, prima di essere giudizialmente accertato in favore del cedente non dà luogo alla garanzia patrimoniale generica ex art.2740 c.c. in favore del cessionario, né integra altro tipo di garanzia rilevante, perché non è ‘prestato da alcuno’ e non è neppure ‘esistente’ in favore del cedente al momento della cessione; va aggiunto che il credito vantato a titolo di responsabilità extracontrattuale non è direttamente collegato con il diritto ceduto in quanto non ne integra il contenuto e neppure ne specifica la funzione, ma si connota per una propria autonomia.
8.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna le ricorrenti in solido alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 12.000,00= per compenso ed € 200,00 per esborsi e accessori di legge rispettivamente in favore del Comune di Cattolica e degli eredi COGNOME e in euro 10.000,00= per compenso ed € 200,00 per esborsi e accessori di legge rispettivamente in favore della regione Emilia-Romagna e di NOME COGNOME;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima