Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29442 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29442 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25980/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata presso lo studio de ll’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
–
Ricorrente-
contro
Comune RAGIONE_SOCIALE Marradi, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del AVV_NOTAIO
– controricorrente-
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Firenze n. 39/2020, depositata in data 9/1/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2025 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
A seguito di delibera di giunta comunale del 25/10/2004 il Comune di Marradi approvava il progetto esecutivo di manutenzione straordinaria della strada comunale Dogara per l’importo di euro 516.448,50.
Il contratto d’appalto veniva stipulato in data 11/4/2005 tra il Comune e l’ATI, costituita dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’impresa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per il prezzo di euro 373.808,47, oltre Iva.
La consegna dei lavori avveniva nel giugno 2005, mentre i lavori venivano ultimati 27/6/2005.
Il Comune affidava l’incarico di verificare le cause del dissesto stradale alla società RAGIONE_SOCIALE in data 25/7/2006.
Il Comune chiedeva un accertamento tecnico preventivo, che veniva depositato dall’ingegner COGNOME il 6/10/2007, con successivi chiarimenti del 20/4/2008.
Il Comune notificava atto di citazione il 14/7/2011 chiedendo «accertare la responsabilità dell’impresa RAGIONE_SOCIALE e/o dell’AVV_NOTAIO, per i gravi difetti dell’opera da essi progettata e realizzata e, per l’effetto, condannarli, ognuno per quanto di rispettiva competenza e responsabilità, al risarcimento dei danni in favore del Comune RAGIONE_SOCIALE Marradi da quantificarsi in euro 66.322,36, salva la diversa somma che sarà ritenuta di giustizia, per l’effettuazione degli interventi di messa in sicurezza della strada comunale di Dogara e a rimborsare al Comune di Marradi l’importo di euro 8810,00, anticipato per l’esecuzione di alcuni
interventi urgenti di ripristino dei tratti di strada maggiormente danneggiati nominando come consulente tecnico l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, già consulente tecnico del procedimento di RAGIONE_SOCIALE volta ad individuare precisamente le rispettive responsabilità del progettista e direttore dei lavori e dell’impresa appaltatrice nel verificarsi dei gravi dissesti della strada comunale di Dogara».
Si costituiva in giudizio l’impresa RAGIONE_SOCIALE eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità della domanda proposta dal Comune poiché il diritto era prescritto.
Alla prima udienza del 10/1/2012 il giudice rinviava alla successiva udienza dell’8/3/2012 per la precisazione delle conclusioni in ordine alla questione di giurisdizione, concedendo termine di 20 giorni al Comune attore per precisare il fondamento giuridico della domanda e la natura (contrattuale o extracontrattuale) della domanda giudiziale proposta.
Con la sentenza parziale del 9/10/2012 il tribunale accoglieva l’eccezione di difetto di giurisdizione con riferimento alla domanda presentata nei confronti del direttore dei lavori, disponendo l’ulteriore istruttoria del giudizio.
Concedeva le parti il triplo termine di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.
Il 31/3/2013 veniva disposta C.T.U., affidata all’ingegnere COGNOME.
Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1819/2015, depositata il 25/5/2015, condannava l’impresa RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 61.887,41.
Il tribunale rilevava che la domanda presentata dal Comune era stata formulata ex art. 2043 c.c., disattendendo quindi l’eccezione di prescrizione dell’azione contrattuale di cui agli articoli 1667 e 1669 c.c.
Veniva richiamata la pronuncia di questa Corte, a sezioni unite, n. 2284 del 2014, in base alla quale «l’azione di responsabilità extracontrattuale fondata sulla norma generale di cui all’art. 2043 c.c. in presenza di gravi vizi e difetti dell’opera eseguita all’appaltatore è sempre e comunque invocabile in tutti i casi in cui non è più esperibile l’azione speciale fondata sull’art. 1669 c.c., che rappresenta la norma in favore della committenza quanto al regime probatorio applicabile».
Proponeva appello l’impresa RAGIONE_SOCIALE chiedendo: a) in via preliminare la qualificazione dell’azione proposta dal Comune come azione contrattuale, con conseguente dichiarazione di inammissibilità della domanda proposta per intervenuta prescrizione del diritto ex art. 1667 c.c.; b) l’accertamento della insussistenza di responsabilità a carico dell’appellante; c) accertare dichiarate le distinte e singole responsabilità in capo all’impresa RAGIONE_SOCIALE e al progettista direttore dei lavori architetto NOME COGNOME.
Con la sentenza n. 39/2020, depositata il 9/1/2020, la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame della RAGIONE_SOCIALE
8.1. Con riferimento alla questione processuale (punto n. 2 dell’appello), la Corte territoriale reputava insussistente la dedotta mutatio libelli, autorizzata dal primo giudice con la concessione del termine a parte attrice per chiarire le ragioni della propria domanda.
La domanda presentata dal Comune era determinata, sia quanto al petitum , sia quanto alla causa petendi , ma era «scevra della indicazione del titolo della responsabilità».
Tuttavia, la domanda conteneva «degli indici da cui poter evincersi che la stessa era fondata su una richiesta di danni di natura extracontrattuale (a pagina 8 si richiedeva espressamente una CTU
per dimostrare la colpa dell’impresa) e si prospettava un pericolo di danno per la sicurezza stradale».
Non era, allora, una domanda nulla per difetto dei requisiti di cui all’art. 163 n. 3 e 4, c.p.c., «in quanto le allegazioni dell’attore davano adito a margine di incertezza sul titolo della responsabilità invocata ma non di indeterminatezza».
Trattandosi dunque di domanda di responsabilità fondata sull’art. 2043 c.c., l’eccezione di prescrizione proposta dalla società non aveva fondamento, in quanto «seppur decorso il termine di prescrizione previsto per la diversa e speciale azione pure di matrice extracontrattuale di cui all’art. 1669 c.c., questa non può dirsi maturata per l’ipotesi di fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. la cui decorrenza quinquennale si diparte all’epoca ovvero dal momento dell’accertamento dei difetti».
8.2. Con riferimento al «terzo motivo di appello», relativo alla improponibilità della domanda di risarcimento danni fondata sulla previsione di cui all’art. 2043 c.c., sull’assunto che tale azione sarebbe esperibile solo quando alla parte è preclusa la possibilità di esercitare la speciale e specifica azione extracontrattuale fondata sull’art. 1669 c.c., per la Corte d’appello il motivo era infondato, dovendosi dare lettura integrale del testo della sentenza di questa Corte a sezioni unite n. 2284 del 2014.
Per la Corte territoriale «i due rimedi sono tra loro alternativi» e «l’unica conseguenza è il differente regime dell’onere della prova che governa le due azioni».
8.3. Era destituito di fondamento anche il «4º motivo di appello», in quanto il tribunale aveva correttamente considerato provata la colpa dell’impresa, pur in presenza di un regime probatorio fondato sull’art. 2043 c.c.
La prova della responsabilità colpevole dell’impresa emergeva con certezza dalla CTU espletata.
Il dissesto della strada era dovuto sia all’operato dell’impresa, sia «alla totale latitanza in mancanza di controllo da parte del direttore dei lavori, estromesso poi dal giudizio attesa la giurisdizione della Corte dei conti».
La strada si era dimostrata non funzionale all’uso a cui era proposta «ovvero al transito di autoveicoli di qualunque tara e perciò destinata a resistere nel tempo e a non provocare gli sfaldamenti che si erano verificati dopo breve tempo dall’avvenuta ultimazione dei lavori».
Anche nell’assenza di direttive specifiche di cui al progetto e nell’assenza di interventi del direttore dei lavori, la società «non era in alcun modo esonerata dall’operare secondo la tecnica del buon costruire e della perfetta regola d’arte»; era emerso che «il materiale di sottofondo (pietrisco o stabilizzato)» non era stato posato nelle quantità previste nel progetto, soprattutto nei punti in cui la strada si sviluppava su un terreno «limoso-argilloso di tipo plastico, non idoneo a svolgere la funzione di materiale di fondazione».
La causa della rovina dell’opera era da individuare «nelle scelte gestionali dell’impresa quanto alle carenze riscontrate nelle caratteristiche del materiale utilizzato, e del pari, alle scelte operative da questa assunte circa le quantità specifiche di materiale impiegato».
Inoltre, «quanto ai carotaggi circa il livello dello spessore del sottofondo stradale il CTU ha confermato la correttezza dei prelievi effettuati dal tecnico di parte del Comune mediante la verifica di alcuni campioni di materiale di sottofondo prelevati nei punti in cui si erano create delle erosioni, con una sostanziale uniformità di materiale estratto e constatato».
8.4. Con riferimento alla «quinta censura», la Corte d’appello respingeva la doglianza di ultrapetizione, in cui sarebbe incorso il tribunale, nel pronunciare la condanna, senza distinguere la posizione dei due originari convenuti, responsabili in solido.
In realtà – ad avviso della Corte d’appello – «la condanna per fatto illecito ex art. 2043 c.c. nell’ipotesi di compartecipazione al fatto di più soggetti è sempre per testuale disposizione normativa, pronunciata in solido tra le parti condannate, con diritto poi di regresso della parte che paga l’intero a rivalersi nei confronti degli altri concorrenti».
In caso di mancata richiesta da parte dell’attore il giudice può stabilire la percentuale di responsabilità e, ove la stessa non sia contemplata, deve presumersi nei limiti paritetici di ½ per ciascuna parte.
8.5. Con riferimento al «sesto motivo di appello», la Corte territoriale reputava infondato anch’esso, in quanto il tribunale aveva utilizzato il criterio del perito di operare una media ponderata tra due distinte soluzioni tecniche di ripristino.
8.6. Con riferimento alla «prima censura» era legittima la condanna alla sanzione inflitta all’impresa per la mancata partecipazione al tentativo obbligatorio di conciliatore.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Marradi, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 1667 e 1668 c.c., art. 112 c.p.c., art. 183, commi 4 e 6, c.p.c. e art. 24 Costituzione,
nonché violazione di norme di diritto ex art. 1669 c.c., art. 2043 c.c., articoli 693 e 696 c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe violato il principio del contraddittorio quando ha ritenuto che fosse legittima la richiesta di chiarimenti da parte del tribunale nei confronti del Comune di Marradi, per esplicitare il fondamento giuridico della domanda proposta.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel «far passare come ininfluente il cambiamento della norma da applicare nel caso che ci occupa: art. 2043 c.c. anziché le norme in materia di appalto»; e ciò, benché fosse evidente che il Comune era incorso nella prescrizione e decadenza dell’azione contrattuale, le stesse tentando di «ovviare a tale istituto».
Era erroneo il richiamo alla sentenza di questa Corte, a sezioni unite, n. 2284 2014, in quanto in quel caso il committente società RAGIONE_SOCIALE aveva agito ex art. 2043 c.c., ma la stessa «non era parte del contratto d’appalto, che invece era stato stipulato tra il Commissario Straordinario Governativo e una impresa».
L’art. 2043 c.c., in realtà, ad avviso della ricorrente, «è applicabile quando le norme contrattuali non lo siano in concreto, ma certamente, nel concetto di ‘caso concreto’, non rientra la prescrizione e/o decadenza ormai maturata per negligenza di una parte contrattuale (committente), altrimenti si creerebbe nel sistema giuridico una faglia veramente difficile da giustificare».
Per la ricorrente, dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare prescritto ex art. 1667 c.c. citazione del Comune di Marradi».
Inoltre, il giudice d’appello non avrebbe potuto consentire il mutamento della domanda da parte del Comune.
La sentenza impugnata dovrebbe essere cassata «per violazione degli articoli 1669 e 2043 c.c., in quanto, nel caso concreto non
ricorreva l’ipotesi del c.d. caso concreto per applicare l’azione residuale aquiliana rispetto a quella contrattuale».
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per aver violato il giudice d’appello le norme in materia di disponibilità e valutazione delle prove nonché di onere della prova, articoli 115, 116 c.p.c., articolo 2697 c.c. in relazione all’art. 2043 c.c. e art. 111 Costituzione, violazione di legge da trattare in stretto legame logico con: una evidente omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe reso una motivazione solo apparente. La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle osservazioni critiche alla CTU presentate dalla difesa della società.
Tra l’altro, le conclusioni rese in sede di RAGIONE_SOCIALE avrebbero escluso del tutto ogni responsabilità della società appaltatrice.
Nella CTU sarebbero presenti anche delle «macroscopiche falsità».
Mai nessuno dei periti presenti durante l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe affermato che i campionamenti della società RAGIONE_SOCIALE fossero sufficienti.
Non sarebbe stato mai eseguito alcun saggio sulla strada, «se non in numero esiguo (6 o 9) su sole 4 sezioni della strada, e da una società incaricata dal Comune al di fuori del processo (RAGIONE_SOCIALE, saggi mai accettati dalla ditta che non sono mai stati approfonditi dal CTU sia di ATP che nel merito».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver
riformato la sentenza di primo grado quanto all’accertamento dei termini della corresponsabilità».
Per la ricorrente, vertendosi in tema di responsabilità solidale, avrebbe errato la Corte d’appello nel reputare responsabile la società appaltatrice, mentre in sede di RAGIONE_SOCIALE l’unico responsabile era stato individuato nel direttore dei lavori.
In ogni caso, per la ricorrente, la Corte d’appello ha accertato la corresponsabilità pari ad un mezzo ciascuno tra impresa e direttore dei lavori, violando in tal modo «il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., poiché avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado in tal senso».
Non sarebbe stata individuata la percentuale di responsabilità da imputare all’impresa ed al direttore dei lavori, nonostante l’intervenuto accertamento nella parte motiva, nella misura di 1/5 per ciascuna.
Con il quarto motivo di impugnazione si deduce la «nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., per aver condannato alle spese di giudizio senza compensarle, pur ricorrendo il caso di soccombenza e/o accoglimento parziale della domanda, e per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere riconosciuto le spese di CTP al Comune che non le aveva richieste».
Vi sarebbe stata una chiara violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., non essendovi stata accoglimento totale della domanda.
Non era stato dimostrato in giudizio un ulteriore asserito esborso, sicché a fronte di una richiesta di euro 75.432,33 del Comune, la condanna aveva inciso per la somma di euro 61.887,41.
Di conseguenza il giudice d’appello avrebbe dovuto compensare almeno in parte le competenze le spese del primo grado di giudizio,
in quanto la domanda era stata accolta per un quantum inferiore a quello richiesto.
Inoltre, la Corte d’appello avrebbe dovuto compensare anche le spese competenze del giudizio di secondo grado, perché per il motivo di cui al 3º motivo di ricorso per cassazione aveva riconosciuto la percentuale di responsabilità a carico della società e del direttore dei lavori.
Vi era stata anche violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in quanto le spese del consulente di parte non potevano essere poste a carico dell’impresa appaltatrice, sia perché mai richieste dal Comune, sia perché il Comune non aveva dimostrato di aver corrisposto un qualche onorario al perito di parte.
Il primo motivo è fondato, nei termini di cui motivazione.
5.1. Deve premettersi che non v’è stata alcuna violazione degli articoli 112, 183, quarto e sesto comma, c.p.c. e art. 24 della Costituzione.
L’atto di citazione non presentava alcun profilo di nullità ex art. 164 c.p.c., con riferimento all’art. 163, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., come accertato dalla Corte d’appello.
Per la Corte territoriale, infatti, «nel caso di specie, la domanda risarcitoria, individuata nel petitum , ovvero nell’oggetto della pretesa e, nella causa petendi , per la compiuta allegazione delle circostanze da cui si erano generati i lamentati danni gravi all’immobile derivanti da vizi di costruzione del fondo della strada, seppure scevra della indicazione del titolo della responsabilità, non solo era in sé determinata, ma conteneva degli indici da cui poter evincersi che la stessa era fondata su una richiesta di danni di natura extracontrattuale (a pagina 8 si richiedeva espressamente una CTU per dimostrare la colpa dell’impresa) e si prospettava un pericolo di danno per la sicurezza stradale».
Con una maggiore chiarezza, la Corte d’appello ha affermato che «on si trattava perciò di una domanda nulla per difetto dei requisiti di cui all’art. 163 n. 3 e 4, c.p.c., in quanto le allegazioni dell’attore davano adito a margini di incertezza sul titolo della responsabilità invocata ma non di indeterminatezza».
Allorché il tribunale ha concesso al Comune il termine processuale per precisare il fondamento giuridico della domanda e la natura (contrattuale o extracontrattuale) della domanda, e quindi se il Comune avesse intenzione di agire ex art. 2043 c.c. oppure in base ad un titolo contrattuale, non si è verificata alcuna mutatio libelli .
Il Comune, a fronte della specifica richiesta del giudice, ha chiarito di aver proposto l’azione generica di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
5.2. Tale chiarimento non implica in alcun modo una mutatio libelli .
Ed infatti, questa Corte, a sezioni unite, ha ritenuto che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 cod. civ. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo (Cass., Sez. U., 15/6/2015, n 12310).
Più recentemente, sempre in linea con la precedente sentenza, si è ritenuto che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo
per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Cass., Sez. U., 13/9/2018, n. 22404).
Esorbita invece dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi che consiste in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (Cass., sez. 2, 12/12/2018, n 32143).
Più recentemente si è sottolineato che in tema di danni sopravvenuti e di modificabilità della domanda, se si resta nell’ambito della “medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio”, anche un mutamento di causa petendi e petitum non dà vita a domanda nuova, ma ad una mera “modifica” di quella originaria, ammissibile e consentita sino al deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ) e configurabile anche in caso di domanda che non si sostituisce a quella originaria, ma ad essa si cumula (Cass., sez. 3, 19/2/2025, n. 4410).
Nella specie, dunque, i fatti costitutivi sono rimasti immutati, come emerge dal contenuto delle conclusioni dell’atto di citazione, come riportate nel controricorso («accertare la responsabilità dell’impresa RAGIONE_SOCIALE e/o dell’AVV_NOTAIO, per i gravi difetti dell’opera da essi progettata e realizzata nominando come consulente tecnico l’ing. NOME COGNOME, già consulente tecnico nel procedimento di ATP, ovvero diverso perito,
volta ad individuare precisamente le rispettive responsabilità del progettista e direttore dei lavori e dell’impresa appaltatrice nel verificarsi dei gravi dissesti della strada comunale di Dogara a seguito dell’esecuzione dei lavori di cui all’appalto per cui è causa»).
5.3. Essendo pacifici i fatti di causa, non v’è dubbio che effettivamente trattavasi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., come accertato dalla Corte d’appello, essendo deputato al giudice ogni profilo valutativo relativo alla qualificazione giuridica della domanda, a prescindere dalle richieste delle parti.
In materia di procedimento civile, l’applicazione del principio ” iura novit curia “, di cui all’art. 113, comma 1, c.p.c., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra -petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass., sez. L, 3/3/2021, n 5832).
Deve, invece, essere riformata la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che l’azione generica di responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. potesse essere utilizzata anche in caso di prescrizione dell’azione specifica di responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., del pari di natura extracontrattuale.
Per la Corte territoriale, dunque, «i due rimedi sono tra loro alternativi» mentre «l’unica conseguenza è il differente regime dell’onere della prova che governa le due azioni».
La Corte d’appello ha aggiunto che «la presenza della congiunzione grammaticale ‘anche’ disvela che il principio di diritto ivi dettato non è esclusivamente limitato alle ipotesi in cui il danno derivante dalle costruzioni si sia manifestato oltre il decennio ma in tutte le ipotesi in cui l’azione fondata sull’art. 1669 non sia più in concreto esperibile, e quindi anche nell’ipotesi di prescrizione della stessa».
Tale affermazione è, però, contraddetta da una recente pronuncia di questa Corte, a mente della quale poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione di quest’ultima può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi della prima e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l’azione speciale (Cass., sez. 2, 10/11/2023, n. 31301; successivamente Cass., sez. 2, 26/9/2023, n. 27385).
Si è dunque specificato che il ricorso all’art. 2043 c.c. postula la carenza dei presupposti strutturali (oggettivi o soggettivi) dell’azione speciale regolata dall’art. 1669 c.c. ex ante (o a monte), nel momento in cui il diritto origina, e non già delle condizioni contingenti ex post (o a valle).
Ciò in quanto, ove sia fissata una integrale e completa disciplina della responsabilità risarcitoria per determinati fatti e comportamenti, esaurendone tutte le ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di invocare i principi generali della responsabilità per fatto
illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., senza che in conseguenza sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità.
In presenza, dunque, dei presupposti dell’azione speciale di cui all’art. 1669 c.c., non può essere richiamata la responsabilità generale ex art. 2043 c.c. in chiave derogatoria; è la normativa speciale a derogare a quella generale.
Pertanto, in ordine al rapporto tra la norma generale di cui all’art. 2043 c.c. e la norma speciale di cui all’art. 1669 c.c., vi è una situazione di specialità configurata da quest’ultima disposizione.
Laddove ne sussistano i presupposti, l’azione da intraprendere è quella specificamente contemplata in materia d’appalto, restando così precluso il ricorso all’azione generale ex art. 2043 c.c., benché, «in concreto» ( recte in via contingente) per fatto imputabile al danneggiato, sia maturata la decadenza o la prescrizione dell’azione speciale.
L’azione generale di cui all’art. 2043 c.c. spetta solo allorché, al momento in cui l’avente diritto può far valere la prova pretesa, i presupposti oggettivi delineati dall’art. 1669 c.c. non sussistano: a) o per la natura dell’immobile interessato (diverso dagli edifici o da altre cose immobili destinate per loro natura lunga durata); b) o per la natura delle deficienze riscontrate (diverse dalla rovina, in tutto o in parte, dall’evidente pericolo di rovina o dai gravi difetti); c) o per la natura delle cause acclarati (diverse dal vizio del suolo o dalle carenze della costruzione); d) o per l’insorgenza della carenza costruttiva dopo il decorso del termine di 10 anni dal compimento dell’opera termine, quest’ultimo, di natura sostanziale, che non ricade negli istituti della decadenza e della prescrizione, determinando piuttosto la durata del rapporto che deriva
dall’attuazione dell’intervento programmato e, dunque, rappresentando un elemento costitutivo della fattispecie.
Le medesime conclusioni si raggiungono nell’ipotesi in cui manchino i presupposti soggettivi, per la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti in contesa, diversi dai committenti o suoi aventi causa.
L’accoglimento del primo motivo, determina l’assorbimento dei restanti.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME