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Responsabilità esponenti: basta il rischio per la sanzione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7139 del 2025, ha chiarito i presupposti per la responsabilità degli esponenti aziendali nel settore finanziario. Il caso riguardava sanzioni irrogate dall’autorità di vigilanza a una banca e ai suoi dirigenti per violazioni del Testo Unico della Finanza. La Suprema Corte ha stabilito che per configurare il “grave pregiudizio per la tutela degli investitori”, non è necessario un danno effettivo e già verificatosi, essendo sufficiente una condotta potenzialmente idonea a ledere gli interessi protetti. La Corte ha inoltre confermato la responsabilità diretta della banca per le dichiarazioni non veritiere rese dai suoi funzionari durante l’attività ispettiva, accogliendo il ricorso dell’autorità di vigilanza e cassando con rinvio la sentenza d’appello.

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Responsabilità Esponenti: Basta il Rischio, Non Serve il Danno Concreto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale in materia di responsabilità esponenti aziendali nel settore bancario e finanziario. La decisione stabilisce un principio cardine: per l’applicazione di sanzioni amministrative non è necessario attendere che si produca un danno effettivo per gli investitori, ma è sufficiente che la condotta dei manager sia potenzialmente idonea a crearlo. Questa pronuncia consolida un orientamento volto a rafforzare la tutela preventiva del mercato e dei risparmiatori.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una delibera dell’autorità nazionale di vigilanza sui mercati finanziari, con cui venivano applicate pesanti sanzioni amministrative a un istituto di credito e a diversi suoi esponenti, tra cui componenti del Consiglio di Amministrazione, del collegio sindacale e del management. Le contestazioni riguardavano diverse violazioni del Testo Unico della Finanza (TUF), relative a carenze procedurali, mancato rispetto dei doveri di diligenza e correttezza verso i clienti e, in particolare, la fornitura di informazioni non veritiere agli ispettori dell’organo di vigilanza durante un’ispezione.

I destinatari delle sanzioni avevano impugnato la delibera davanti alla Corte d’Appello, che aveva parzialmente accolto le loro ragioni, riducendo l’importo di alcune sanzioni. In particolare, la Corte territoriale aveva escluso la responsabilità della banca per una delle violazioni contestate, ritenendo che non fosse stato adeguatamente provato il fondamento dell’addebito. Contro questa decisione, sia gli esponenti sanzionati sia l’autorità di vigilanza hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Responsabilità Esponenti e il “Grave Pregiudizio”

Il motivo principale del ricorso degli esponenti aziendali si concentrava sull’interpretazione dell’articolo 190-bis del TUF. Essi sostenevano che la sanzione fosse illegittima in assenza della prova di un “grave pregiudizio” concreto e già verificatosi a danno degli investitori. La Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo la natura della norma.

La Suprema Corte ha affermato che l’illecito previsto dall’art. 190-bis TUF è concepito per proteggere i risparmiatori da un “pericolo astratto di pregiudizio”. Ciò significa che la legge non richiede la dimostrazione di un danno già subito. Al contrario, ai fini della punibilità, è sufficiente dimostrare la potenziale pericolosità della condotta. L’obiettivo della normativa è preventivo: evitare che si creino i presupposti per un danno, garantendo che gli intermediari operino con la massima correttezza e trasparenza. Il danno, se effettivamente verificatosi, rileva solo in un secondo momento, come parametro per quantificare l’importo della sanzione, ma non è un elemento costitutivo della violazione.

La Responsabilità della Banca per le False Dichiarazioni

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda la responsabilità dell’istituto di credito per le dichiarazioni non veritiere rese dai suoi manager e dirigenti agli ispettori. La Corte d’Appello aveva annullato la sanzione su questo punto, sostenendo una carenza di motivazione da parte dell’autorità di vigilanza nell’estendere la responsabilità alla persona giuridica.

La Cassazione ha ribaltato questa conclusione, accogliendo il ricorso dell’autorità di vigilanza. I giudici hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 190 TUF, la banca è direttamente responsabile per la mancata osservanza dell’art. 10 del medesimo testo unico, che impone un dovere di collaborazione con gli organi di vigilanza. Fornire informazioni false o fuorvianti costituisce una violazione di questo obbligo. Inoltre, richiamando i principi della Legge n. 689/1981, la Corte ha sottolineato che la colpa della persona giuridica è presunta, e spetta a quest’ultima dimostrare di aver agito senza colpa, cosa non avvenuta nel caso di specie.

Omessa Pronuncia e Rinvio

Infine, la Corte ha rilevato che la sentenza d’appello, pur accogliendo parzialmente l’opposizione di uno degli esponenti, aveva omesso di rideterminare la sua sanzione nel dispositivo. Questo vizio di “omessa pronuncia” ha contribuito a rendere necessaria la cassazione della sentenza, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un’interpretazione teleologica delle norme del TUF, orientata alla massima protezione del mercato e degli investitori. La ratio è chiara: il sistema sanzionatorio non ha una funzione meramente repressiva di danni già avvenuti, ma soprattutto preventiva. Sanzionare condotte potenzialmente pericolose mira a disincentivare comportamenti che potrebbero minare la fiducia nel sistema finanziario.

La Corte ribadisce un principio consolidato in giurisprudenza: le norme sull’intermediazione finanziaria configurano illeciti di “mera trasgressione”. Ciò significa che la violazione si perfeziona con la semplice condotta non conforme ai doveri imposti dalla legge (diligenza, correttezza, trasparenza), a prescindere dalle sue conseguenze concrete. L’attenzione del giudice deve quindi concentrarsi sulla condotta tenuta e sulla sua astratta idoneità a pregiudicare l’interesse protetto.

Per quanto riguarda la responsabilità della banca, la Corte rafforza il principio secondo cui l’ente risponde per le azioni dei propri dipendenti e funzionari, specialmente quando questi agiscono nell’esercizio delle loro funzioni. Il dovere di collaborazione con l’autorità di vigilanza è un pilastro del sistema e la sua violazione, attraverso dichiarazioni false, compromette l’efficacia dei controlli, giustificando una sanzione diretta all’intermediario.

Le Conclusioni

La sentenza n. 7139/2025 ha importanti implicazioni pratiche per tutti gli operatori del settore finanziario. In primo luogo, conferma che la responsabilità esponenti aziendali non è legata alla prova di un danno economico, ma alla non conformità della loro condotta agli standard di diligenza richiesti. Amministratori, sindaci e manager devono essere consapevoli che anche carenze organizzative o procedurali, se idonee a creare un rischio per gli investitori, possono essere fonte di sanzioni personali.

In secondo luogo, viene ribadita la responsabilità oggettiva (salvo prova contraria) delle banche e degli intermediari per le azioni dei propri dipendenti nei rapporti con le autorità. Ciò impone l’adozione di rigorose procedure interne per garantire la correttezza e la veridicità delle informazioni fornite durante le ispezioni. Mentire o essere reticenti con l’organo di vigilanza non è solo una colpa individuale, ma un illecito che ricade direttamente sull’intera struttura societaria. In definitiva, la pronuncia spinge verso un innalzamento generale degli standard di governance e compliance nel settore finanziario.

Per sanzionare gli esponenti di una banca per “grave pregiudizio agli investitori” è necessario che si sia verificato un danno concreto e quantificabile?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la norma è posta a presidio di un pericolo astratto. È sufficiente dimostrare che la condotta era potenzialmente idonea a pregiudicare la tutela degli investitori, non essendo richiesta la prova di un danno già verificatosi.

Una banca può essere ritenuta responsabile per le dichiarazioni non veritiere fornite dai suoi dirigenti agli ispettori dell’autorità di vigilanza?
Sì. La Corte ha stabilito che la banca è responsabile per la violazione dell’obbligo di collaborazione con l’autorità di vigilanza, previsto dall’art. 10 del TUF. La responsabilità dell’ente per le false dichiarazioni rese dai suoi funzionari è presunta, salvo che la banca stessa provi di aver agito senza colpa.

Cosa significa che la condotta deve essere “potenzialmente idonea” a creare un danno per essere sanzionabile?
Significa che la condotta, per sua natura, ha la capacità di ledere gli interessi protetti, anche se poi, per circostanze fortunate o altri fattori, il danno non si manifesta. L’illecito consiste nell’aver creato un rischio inaccettabile per il mercato e per i risparmiatori, violando i doveri di comportamento imposti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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