Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6119 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6119 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5662/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di POTENZA n. 595/2023 depositata il 05/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RISARCIMENTO DANNI.
R.G. 5662/2024
COGNOME
Rep.
C.C. 13/1/2025
C.C. 14/4/2022
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proprietario di un’unità immobiliare sita a Potenza, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di quella città, NOME COGNOME chiedendo che fosse condannato al ripristino dello stato dei luoghi, oltre che al risarcimento dei danni, per aver eseguito nell’appartamento sovrastante, di sua proprietà, lavori di ristrutturazione che avevano determinato il cedimento del solaio intermedio tra le due unità immobiliari, mettendo in pericolo la staticità del fabbricato.
L’attore chiese anche di procedersi ad accertamento tecnico preventivo.
Il convenuto rimase contumace.
Espletata prova per testi e fatta svolgere una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda e condannò il convenuto all’esecuzione dei lavori di ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento dei danni liquidati nella somma di euro 20.000 e al pagamento delle spese processuali.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME e nel giudizio si sono costituiti NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME venuto a mancare nel corso del giudizio.
La Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 5 dicembre 2023, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’appellante, per essere proprietaria dell’immobile NOME COGNOME e non il COGNOME, suo coniuge, era priva di fondamento, perché era stato accertato in corso di causa, anche grazie all’opera del c.t.u., che le opere rivelatesi dannose erano state eseguite proprio dal COGNOME. Da tanto conseguiva che la domanda di estensione del contraddittorio alla moglie, avanzata in
primo grado e ritenuta in quella sede non meritevole di accoglimento, non poteva essere accolta. D’altra parte, ha aggiunto la Corte, la responsabilità per rovina di edificio prevista dall’art. 2053 cod. civ. ha natura oggettiva; nella specie, quindi, essendo pacifico che i lavori dannosi erano stati eseguiti proprio dall’appellante, il quale ne aveva ammesso la paternità, l’azione giudiziaria proposta nei confronti dell’effettiva proprietaria dell’immobile sarebbe stata inutile.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Potenza propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a due motivi.
Resistono NOME COGNOME e NOME COGNOME con un unico controricorso.
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato con una proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere delegato in data 10 settembre 2024.
Avverso tale decisione il ricorrente ha chiesto che il ricorso venga collegialmente deciso; la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 99 e 102 cod. proc. civ. e dell’art. 2902 cod. civ., in relazione all’effettiva appartenenza della proprietà dell’immobile.
Il ricorrente sostiene che la sentenza avrebbe violato i limiti soggettivi del giudicato, perché la Corte d’appello si sarebbe sostituita alla parte appellata, ipotizzando che NOME COGNOME ove chiamata in causa, si sarebbe difesa addossando la responsabilità del fatto all’esecutore dei lavori, cioè appunto il Laguardia. Si sarebbe dovuta, invece, disporre fin dal primo grado
l’integrazione del contraddittorio, non potendo l’esecutore dell’opera sostituirsi al proprietario nel lato passivo dell’obbligazione risarcitoria.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 2053 cod. civ., per aver indebitamente eliso la responsabilità del proprietario.
Il ricorrente osserva che l’art. 2053 cit. pone a carico del proprietario la responsabilità per i danni causati a terzi, secondo un criterio oggettivo, salvo la dimostrazione che la rovina non sia dovuta a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione. Rimarrebbe pertanto estranea alla disposizione in esame l’ipotesi del proprietario che si serva di una terza persona per l’esecuzione dell’opera, perché anche in tal caso l’attività sarebbe sempre riferibile al proprietario. Nel caso in esame, dall’istruttoria sarebbe emerso solo che il ricorrente era stato l’autore dei lavori, mentre la responsabilità avrebbe dovuto essere posta a carico della proprietaria.
Il Collegio dà atto, innanzitutto, che è stata depositata una proposta di definizione anticipata del seguente tenore:
«Il ricorso è manifestamente infondato, avendo la corte territoriale fondatamente attribuito all’odierno ricorrente la responsabilità dei danni originariamente denunciati dalla parte attrice, correttamente individuandolo come legittimato sostanziale rispetto alla domanda risarcitoria proposta da quest’ultima. Dev’essere pertanto escluso, tanto il ricorso del preteso difetto di legittimazione passiva dell’odierno istante (già espressamente indicato dalla parte attrice quale responsabile dei danni lamentati), quanto della violazione dell’art. 2053 c.c., avendo entrambi i giudici del merito espressamente escluso il ricorso dei presupposti per l’applicazione di tale norma, in considerazione dell’esplicita individuazione dell’odierno ricorrente quale unico responsabile (ossia quale autore dell’unica origine causale) dei danni
denunciati (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 9694 del 26/05/2020, Rv. 657691 01)».
Ciò premesso, la Corte rileva che le osservazioni contenute nella memoria con la quale il ricorrente ha chiesto che il ricorso venisse deciso non si confrontano, in sostanza, con le argomentazioni contenute nella suindicata proposta.
Ed infatti, anche volendo tralasciare la circostanza fattuale per la quale il ricorrente è il marito della proprietaria ed ha ammesso di essere rimasto volutamente contumace in primo grado, la proposta di definizione anticipata ha richiamato l’ordinanza di questa Corte 26 maggio 2020, n. 9694, secondo cui la responsabilità per rovina di edificio di cui all’art. 2053 cod. civ. il cui carattere di specialità rispetto a quella dell’art. 2051 cod. civ. deriva dall’essere posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento in base al criterio formale del titolo, non essendo sufficiente il mero potere d’uso della res -ha natura oggettiva e può essere esclusa solo dalla dimostrazione che i danni provocati dalla rovina non sono riconducibili a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, ancorché non imprevedibile ed inevitabile (principio sostanzialmente ribadito dalla più recente ordinanza 11 dicembre 2023, n. 34401).
Nel caso specifico, la Corte di merito ha accertato essere «incontestato» che i lavori che avevano causato il crollo del solaio erano stati eseguiti proprio dal Laguardia e per tale ragione ha confermato la decisione del Tribunale anche nella parte in cui aveva ritenuto che fosse inutile l’estensione del contraddittorio a NOME COGNOME In una situazione del genere, com’è evidente, appare fuorviante il tentativo di invocare una deroga al regime dell’art. 2053 cit., come correttamente è stato osservato nella proposta di definizione anticipata, che merita integrale conferma.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, nonché la condanna al pagamento di un’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e al versamento di un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.).
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di euro 1.000 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e della somma di euro 500 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza