Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3350 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3350 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
sul ricorso 25133/2019 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME
– ricorrenti –
contro
BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
nonché contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in Roma presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in Roma, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 324/2019 depositata il 17/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, attinta dagli odierni ricorrenti per sentir riformare l’impugnata decisione di primo grado, che ne aveva rigettato la domanda intesa a veder dichiarata, in relazione al dissesto della RAGIONE_SOCIALE, presso cui i
predetti erano titolari di libretti o certificati di deposito, la responsabilità degli enti convenuti per omessa vigilanza sull’emittente, ha confermato, con la sentenza in epigrafe, il deliberato di rigetto di prima istanza sull’assunto, già formulato nella sentenza impugnata, che l’azione risarcitoria dispiegata nella specie dai ricorrenti dovesse ritenersi prescritta.
In particolare, il giudice d’appello, ritenendo di regolare la specie al suo esame in applicazione della prescrizione sancita dall’art. 2947 cod. civ., ha, dapprima, condiviso la convinzione del primo giudice circa l’esclusione nella specie della responsabilità contrattuale degli enti convenuti, nell’ipotizzata forma del contatto sociale, non essendo ravvisabile alcun obbligo di protezione nei confronti degli istanti ed essendo insegnamento di questa Corte che la responsabilità degli enti di vigilanza abbia natura extracontrattuale; ha dipoi ricusato l’applicazione del più lungo termine di prescrizione dall’art. 2947, comma 3, cod. civ. osservando a tal fine che la prospettata responsabilità penale degli enti di vigilanza era stata declinata senza specificare quale fosse il reato loro attribuito e, comunque, non considerando che, secondo quanto affermato ancora da questa Corte, l’applicazione di detto più lungo termine di prescrizione presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta dell’ente preposto per un fatto costituente reato attribuito ad un suo funzionario o ad suo dipendente, si ché esso non è applicabile quanto il fatto reato, ancorché generatore di una responsabilità solidale a mente dell’art. 2055 cod. civ., sia attribuito ad un soggetto estraneo; quindi, in replica all’argomento degli appellanti, secondo cui la prescrizione avrebbe preso a decorrere dalla data di deposito RAGIONE_SOCIALE stato passivo -con la conseguenza che, essendo avvenuto questo il 15.2.2011, la dispiegata azione risarcitoria non poteva reputarsi prescritta, essendo stata la citazione
notificata il 18.3.2011 -ha infine ricordato, sempre in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte, che, poiché il termine di prescrizione deve reputarsi decorrente, in caso di insufficienza patrimoniale, quando questa sia resa nota ovvero divenga oggettivamente conoscibile, nella specie detto termine doveva ritenersi che avesse preso a decorrere o dall’agosto 2005, allorché avrebbe dovuto essere portato a conoscenza degli interessati il verbale ispettivo evidenziante la situazione di dissesto, ovvero dal 20.1.2006, allorché il Tribunale di Benevento aveva proceduto a dichiarare lo stato di insolvenza della RAGIONE_SOCIALE.
Per la cassazione di detta sentenza ricorrono ora i soccombenti, con un ricorso affidato a tre motivi, seguito da memoria e resistito da tutti gli intimati con controricorso e memorie ad eccezione del RAGIONE_SOCIALE che ha depositato solo il controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso -alla cui cognizione non ostano in via preliminare le pregiudiziali di cui si legge nei controricorsi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE secondo cui, nell’ordine si renderebbe applicabile l’art. 348ter , comma 5, cod. proc. civ., giacché la predetta preclusione, nel testo pertinente ratione temporis , assorbe le sole denunce motivazionali, che vanno per questo ritenute sin d’ora inammissibili, ma non si estende alle ragioni di impugnazione che si fanno valere in punto di diritto; e l’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ. non essendo inopportuno formalizzare, segnatamente con riguardo alle ragioni del terzo motivo di ricorso, qualche doverosa precisazione -, con il suo primo motivo argomenta, in relazione al capo della decisione impugnata che ha escluso l’applicabilità nella specie alla preconizzata responsabilità degli enti convenuti del più lungo termine di prescrizione previsto nel caso in cui l’illecito costituisca reato, la violazione dell’art. 2947, comma 3, cod. civ., nonché un vizio di
omessa motivazione riguardante l’estensione, a tutti i soggetti concorrenti nell’illecito del termine di prescrizione anzidetto. In breve, sostengono i ricorrenti, riproducendo ampi stralci del contraddittorio sviluppatosi nei gradi di merito -evidenziante, tra l’altro, che la RAGIONE_SOCIALE aveva potuto esercitare un’abusiva raccolta di risparmio e di esercizio del credito, fonte del dissesto poi culminato nella dichiarazione di insolvenza, in grazia dell’omessa attività di vigilanza da parte degli organi preposti, astenutisi, segnatamente, dall’adottare le iniziative doverose di fronte alle irregolarità nella gestione emerse a più riprese in sede ispettiva -che non si sarebbe dovuto dubitare della responsabilità penale degli organi di vigilanza, quantomeno a titolo di concorso omissivo nel reato di false comunicazioni sociali o di bancarotta, in quanto se l’attività di vigilanza si fosse svolta nei modi e nei termini di legge gli istanti, in relazione alle «gravissime irregolarità riscontrate», non sarebbero andati soggetti al pregiudizio patrimoniale subito in conseguenza della dichiarata insolvenza della loro debitrice.
Con il secondo motivo di ricorso si argomenta, in relazione al capo della decisione impugnata che ha ritenuto di far decorrere il termine di prescrizione dal verbale ispettivo dell’agosto 2005 ovvero dalla dichiarazione di insolvenza del 20.1.2006, la violazione dell’art. 2935 cod. civ., nonché un vizio di omessa motivazione circa la decorrenza del termine dalla concreta consapevolezza in capo agli istanti della responsabilità degli organi di vigilanza nella causazione del dissesto della RAGIONE_SOCIALE, in uno con la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. In breve, sostengono i ricorrenti, le determinazioni adottate dal decidente in parte qua si presterebbero ad essere giudicate come errate sotto un triplice ordine di rilievi: ovvero non motivandosi perché il termine avrebbe preso a decorrere dal predetto verbale ispettivo o dalla dichiarazione di insolvenza, sebbene ciò non
dimostrasse che gli istanti fossero perciò pure consapevoli delle omissioni consumatesi nell’attività di vigilanza; assumendo che il verbale ispettivo fosse stato affisso in luogo accessibile agli interessati, malgrado di ciò non vi fosse prova, e, comunque, non essendo detto atto idoneo a dimostrare la percezione dell’illecito sotteso all’omessa attività di vigilanza; omettendo di valutare per quale motivo la dichiarazione di insolvenza e la susseguente messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE fossero idonei a rendere gli istanti consapevoli delle omissioni evidenziatesi con riguardo all’attività di vigilanza.
Con il terzo motivo di ricorso si argomenta, in relazione al capo della decisione impugnata che ha ritenuto di ricondurre la vicenda de qua nell’alveo della responsabilità da fatto illecito, negando perciò che ne fosse riconoscibile la natura contrattuale, pur nella prospettazione caldeggiata dai ricorrenti del contatto sociale, la violazione dell’art. 2947 cod. civ., nonché degli artt. 1173 e 1218 cod. civ. circa l’omessa motivazione del «contratto sociale». In breve, sostengono i ricorrenti, meglio specificando che il vizio motivazionale denunciato va inteso nei termini dell’omessa o insufficiente motivazione, attese le omissioni, le irregolarità ed anche gli atti illegittimi a cui avevano dato adito gli organi di vigilanza, la violazione degli obblighi di comportamento posti a carico degli stessi è fonte di una responsabilità contrattuale dei medesimi nei confronti degli istanti, non potendo questi essere qualificati come terzi, stante l’obbligo dei detti organi di controllare la società di cui gli istanti risultavano in definitiva finanziatori.
Invertendo l’ordine espositivo impresso dai ricorrenti alle proprie doglianze, il collegio reputa in ragione della sua assorbenza logica, se fondato, di dover prendere le mosse dall’esame del terzo motivo di ricorso.
6.1. Il motivo non ha pregio.
Nel ribadire qui il convincimento più volte esternato da questa Corte, secondo cui, come pure rammentato dalla sentenza in disamina, la responsabilità ascritta all’operato delle autorità di vigilanza per il fatto commesso da un proprio dipendente o da un proprio funzionario ha natura extracontrattuale e presuppone quale «suo logico corollario» che sia accertata e dichiarata la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., di una delle persone fisiche poste in rapporto giuridicamente rilevante con l’ente stesso (amministratori, funzionari, dipendenti), le quali, per la posizione di “protezione” rispettivamente rivestita, siano in condizione di adottare le misure preventive necessarie ad evitare la consumazione dell’illecito (così in motivazione Cass., Sez. III, 3/10/2013, n. 22585; Cass. 22524/2019), non è tuttavia inopportuno schiarire, di contro all’insistenza che vi ripongono all’opposto i ricorrenti, che nella specie non sono ravvisabili i presupposti per poter dire che la responsabilità ascritta all’operato degli organi di vigilanza rifluisca nell’ambito di una responsabilità contrattuale da contatto sociale.
6.2. Come è noto, la categoria, che è venuta affacciandosi nel dibattito giuridico in relazione a quei rapporti in cui il fondamento contrattuale non era direttamente originato da un formale accordo negoziale tra le parti, ma trovava giustificazione in funzione del contesto sociale di riferimento in cui detti rapporti venivano ad esistenza ed in ragione, più esattamente, del “contatto” che si instaurava tra i soggetti che ne erano parti e che comportava l’assunzione da parte dei medesimi di diritti ed obblighi reciprocamente vincolanti, si rende riconoscibile, secondo quel che si legge abitualmente nella giurisprudenza di questa Corte, soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi
potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell’art. 1173 cod. civ. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico (Cass., Sez. II, 29/12/2020, n. 29711; Cass., Sez. I, 11/07/2012, n. 11642; Cass.S.U. 1567/2023). In questa impostazione si rende dunque osservabile che, onde poter argomentare in capo al soggetto danneggiante, per l’inosservanza degli obblighi facenti capo al medesimo una responsabilità contrattuale da contatto sociale occorre accertare innanzitutto la violazione di una specifica regola di condotta gravante sul soggetto obbligato che si sostanzia nell’adempimento di un obbligo di protezione nei confronti dell’altra parte. A questa prima condizione ne segue, in funzione ovviamente delimitatrice RAGIONE_SOCIALE smisurato spettro casistico che una fruizione incondizionata del concetto racchiuso nella formula obbligo di protezione potrebbe ingenerare, una seconda, consistente, segnatamente, nella circostanza che l’adempimento dell’obbligo di protezione, quantunque provvisto di una portata generale che riguarda in astratto una platea indistinta di soggetti potenzialmente interessati, si deve necessariamente indirizzare in direzione di quei soli soggetti che, in relazione al contesto sociale di riferimento e al contatto che in questo contesto si determina, sono individuabili come portatori di uno specifico interesse meritevole di tutela.
6.3. Ora, soppesando la vicenda in disamina, il collegio non può astenersi dal considerare che nessuno degli enti convenuti si trova, rispetto ai fatti rappresentati dagli istanti, in una posizione che induca a credere che essi siano venuti meno ad un obbligo di protezione specifica nei confronti di costoro. E ciò perché gli scopi che ciascuno di essi persegue mirano alla tutela di interessi che si
collocano in uno spazio giuridico riguardante la generalità dei consociati, nel quale la tutela reclamata dagli istanti non si differenzia perciò da quella che si rende doverosa nei confronti di qualunque terzo, e non può trovare perciò altra forma di riconoscimento, proprio perché difetta il presupposto del contatto sociale, se non nell’ambito del neminem laedere .
6.4. E’ agevole del resto aver contezza di ciò scrutinando in breve le norme di indirizzo, o prendendo atto degli assetti funzionali che caratterizzano le attività di vigilanza affidate agli enti convenuti. Gli uni, come il RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE, essendo infatti preposti dalla legge di riordino del settore alla sola verifica della permanenza in capo alla struttura vigilata dei requisiti mutualistici (art. 1, comma 2, d.lgs. 2 agosto 2002, n. 220: “la vigilanza di cui al comma 1 è finalizzata all’accertamento dei requisiti mutualistici”; art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 220/2002: “accertare anche attraverso una verifica della gestione amministrativo-contabile, la natura mutualistica dell’ente”), con la non trascurabile chiosa, ai fini della puntualizzazione in discorso, che il precetto indicato dall’art. 4 appena citato deve interpretarsi “nel senso che la vigilanza sugli enti cooperativi e i loro consorzi esplica effetti nei soli confronti delle pubbliche amministrazioni ai fini della legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali o di altra natura” (art. 23, comma 9, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 17 dicembre 2012, n. 221); le altre, come qui la Banca d’Italia, preposta soltanto ad assicurare la stabilità finanziaria dei soggetti attivi nel mercato monetario ed in questa ottica impegnata a perseguire, nell’ambito delle funzioni di vigilanza che perciò le sono conferite, in particolare, nella sua veste di autorità monetaria, la sana e prudente gestione degli intermediari, la stabilità complessiva e l’efficienza del sistema finanziario, nonché
l’osservanza delle disposizioni vigenti in materia da parte dei soggetti vigilati, senza che ciò, tuttavia, ridondi a diretto ed immediato beneficio di singoli interessati, rispetto ai quali possa ritenersi perciò che essa venga meno ad uno specifico obbligo di protezione verso i medesimi e che possa per questo rispondere, in caso di chiamata in responsabilità, a titolo di responsabilità contrattuale.
6.5. Con ciò resta, dunque, fermo, come pure affermato dal giudice d’appello, che la responsabilità ascrivibile, nel caso che ne occupa, agli enti convenuti non decampa dal quadro della responsabilità da fatto illecito regolata dall’art. 2043 cod. civ.
Si imporrebbe a questo punto la disamina, anche qui invertendo l’ordine seguito dai ricorrenti, del secondo motivo ed indi del primo motivo di ricorso, se a ciò non ostasse un preliminare ed assorbente rilievo che impone di dichiararne l’inammissibilità.
Rilievo che si giustifica, inizialmente, considerando che le doglianze rapportate dai ricorrente nell’uno e nell’altro motivo si sostanziano nella riproposizione dei medesimi argomenti già sfavorevolmente vagliati dal giudice di merito, di tal ché ne risulta in definitiva violato il precetto della specificità -oggi significativamente rafforzato dalla riscrittura dell’art. 366, comma 1, n. 4, operata dalla recente novella processuale -in guisa del quale, come è noto nella redazione del motivo si impone l’osservanza di un canone di pertinenza critica rispetto al decisum , in difetto del quale, come appunto nel caso che ne occupa, la doglianza si trasfonde nella rappresentazione di un “non motivo” sfociante come tale nella premessa dichiarazione di inammissibilità.
Altro e non minore profilo foriero di analogo effetto va ravvisato, proprio a cagione del rilevato difetto di spessore critico, in relazione al principio enunciato dall’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ. in applicazione del quale il ricorso per cassazione si rende inammissibile
“quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. Orbene, entrambe le doglianze, risolvendosi nella reiterazione delle ragioni di dissenso marcate nei gradi di merito, non offrono elementi per riesaminare gli stabili orientamenti già enunciati da questa Corte su entrambe le questioni che ne sono oggetto, ed ai quali si esattamente rapportato il giudice d’appello rilevando, quanto a quella sollevata con il primo motivo, che «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto del terzo determina la modificazione che produce danno all’altrui diritto, ma dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile» (Cass., Sez. III, del 22/09/2016, n. 18606; Cass., Sez. III, 10/05/2013. n. 11119; Cass., Sez. III, 6/12/2011, n. 26188 ); e, sulla scorta di questo principio dichiarando, a mezzo di un accertamento di fatto non rimeditabile in questa sede, che il danno si era reso noto, ovvero era divenuto oggettivamente riconoscibile al più tardi nell’agosto 2005 o comunque non oltre il provvedimento del 20.1.06 di dichiarazione RAGIONE_SOCIALE stato di insolvenza; e quanto a quella sollevata con il secondo motivo, che «l’applicazione dell’art. 2947, terzo comma, cod. civ., all’autorità con compiti di vigilanza sul mercato finanziario (RAGIONE_SOCIALE) chiamata in corresponsabilità, con l’autore del fatto, per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta per un fatto costituente reato del suo funzionario o dipendente, non potendo quel termine automaticamente estendersi alla medesima autorità quando sussista una mera obbligazione solidale a titolo di responsabilità civile extracontrattuale di natura omissiva, a norma dell’art. 2043 cod. civ., con l’autore del reato, ferma la solidarietà risarcitoria ex art.
2055 cod. civ.» (Cass., Sez. I, 7/11/2014. n. 23872; nel cui solco anche Cass., Sez. III, 21/02/2020, n. 4683 e Cass., Sez. III, 10/09/2019, n. 22524).
Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico dei ricorrenti del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in favore di Banca d’Italia, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge per ciascuno di essi, e in favore del RAGIONE_SOCIALE in euro 5200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 27.10.2023.
Il AVV_NOTAIO COGNOME