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Responsabilità ente pubblico: quando paga per il legale

Con la sentenza n. 7673/2019, la Cassazione Civile, Sez. II, ha stabilito la responsabilità ente pubblico per i compensi di un legale incaricato da una società appaltatrice. Decisiva l’interpretazione del mandato e del comportamento successivo dell’ente, che non aveva mai contestato l’operato della società, configurando così una spendita del nome del Comune.

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La responsabilità ente pubblico per i contratti dell’appaltatore

La questione della responsabilità ente pubblico per le obbligazioni assunte da società terze a cui affida servizi è un tema complesso e di grande rilevanza pratica. Quando un avvocato viene incaricato da una società appaltatrice di un Comune per gestire contenziosi legati al patrimonio comunale, chi deve pagare la sua parcella? Il Comune o la società che lo ha nominato? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7673 del 2019, offre chiarimenti cruciali, delineando i confini tra mandato con e senza rappresentanza e valorizzando il comportamento delle parti come chiave interpretativa.

I Fatti di Causa

Un avvocato citava in giudizio un Comune per ottenere il pagamento dei suoi compensi professionali. L’incarico non era stato conferito direttamente dall’ente, ma da una società per azioni che gestiva, in appalto, il patrimonio immobiliare del Comune. L’ente locale si difendeva eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che, essendo il mandato stato conferito dalla società appaltatrice, solo quest’ultima dovesse rispondere del debito. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, davano ragione al legale, portando il Comune a ricorrere in Cassazione.

La questione preliminare: l’autorizzazione a stare in giudizio

Prima di entrare nel merito, la Cassazione ha affrontato un’eccezione preliminare: la presunta inammissibilità del ricorso del Comune per mancanza della delibera della Giunta che autorizzasse il Sindaco a proporre l’impugnazione. La Corte ha rigettato l’eccezione, chiarendo un punto fondamentale sull’autonomia degli enti locali. A partire dalla riforma delle autonomie locali (L. 142/1990 e D.Lgs. 267/2000), la delibera della giunta non è più, in linea generale, un atto necessario. Lo diventa solo se lo statuto comunale lo prevede espressamente. Inoltre, quando l’ente è dotato di una propria avvocatura interna, come nel caso di specie, non si pone neanche il problema di scegliere un professionista esterno, e la rappresentanza in giudizio rientra nelle funzioni ordinarie dell’ufficio legale.

L’analisi sulla responsabilità dell’ente pubblico e il mandato

Il Comune basava il suo ricorso su due motivi principali. Il primo, relativo a una presunta erronea motivazione per relationem da parte dei giudici di merito, è stato respinto. La Cassazione ha infatti ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito un’argomentazione autonoma e completa.

Il secondo motivo, cuore della controversia, riguardava l’errata interpretazione delle norme sul mandato. Secondo il Comune, si trattava di un mandato senza rappresentanza: la società appaltatrice aveva agito in nome proprio, quindi l’avvocato avrebbe dovuto chiedere il compenso a lei, non all’ente. La Suprema Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile per un vizio formale: il difetto di specificità. Il Comune non aveva trascritto nel ricorso il contenuto della procura speciale conferita alla società, né quella da questa data all’avvocato. Questo ha impedito alla Corte di valutare nel merito se vi fosse stata o meno la ‘spendita del nome’ dell’ente.

le motivazioni

Al di là dell’aspetto formale, la Corte ha convalidato l’approccio del giudice d’appello. Quest’ultimo aveva correttamente valorizzato il comportamento complessivo delle parti, successivo alla conclusione del contratto, come criterio interpretativo fondamentale (art. 1362 c.c., comma 2). Il giudice di merito aveva rilevato che il Comune, per tutto il tempo intercorrente fino alla cessazione del contratto d’appalto, non aveva mai messo in dubbio la legittimità dell’operato della società appaltatrice né contestato che le sue azioni fossero direttamente riferibili all’ente. Questo comportamento concludente è stato interpretato come la prova della sussistenza di un potere di rappresentanza, anche se non formalizzato esplicitamente. L’inerzia del Comune ha, di fatto, ratificato l’operato della sua mandataria, rendendolo direttamente vincolante nei suoi confronti. La Corte ha quindi ritenuto che, sulla base degli elementi di fatto accertati (e non adeguatamente contestati in Cassazione), l’operazione logica del giudice di merito fosse corretta e insindacabile in sede di legittimità.

le conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di contratti e obbligazioni della Pubblica Amministrazione. In primo luogo, la responsabilità di un ente pubblico può sorgere anche in assenza di un incarico diretto, qualora il comportamento tenuto dall’ente stesso ingeneri nei terzi il legittimo affidamento che l’appaltatore stia agendo in suo nome e per suo conto. Il silenzio e la mancata contestazione dell’operato del mandatario per un lungo periodo possono essere interpretati come una ratifica tacita, con conseguente assunzione diretta degli obblighi. In secondo luogo, la pronuncia è un monito sull’importanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione: chi intende contestare l’interpretazione di un contratto deve fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per la valutazione, trascrivendo le clausole e i documenti pertinenti, pena l’inammissibilità del ricorso.

Un Comune è sempre responsabile per i debiti contratti da una sua società appaltatrice?
No, non automaticamente. La responsabilità dipende dalla natura del mandato. Se la società agisce in nome e per conto del Comune (mandato con rappresentanza), l’ente è direttamente responsabile. Se agisce in nome proprio (mandato senza rappresentanza), di regola non lo è. Tuttavia, come chiarisce questa sentenza, il comportamento successivo del Comune (es. non contestare l’operato della società) può essere interpretato come una ratifica che lo rende direttamente responsabile.

Per fare ricorso in Cassazione, un Comune ha sempre bisogno di una delibera della Giunta?
No. La giurisprudenza ha chiarito che la delibera autorizzativa della Giunta è necessaria solo se espressamente prevista dallo statuto comunale. Se il Comune si avvale della propria avvocatura interna, l’autorizzazione non è di norma richiesta, rientrando l’attività difensiva nei compiti istituzionali dell’ufficio.

Cosa significa che un ricorso è inammissibile per ‘difetto di specificità’?
Significa che il ricorrente non ha rispettato il principio di autosufficienza del ricorso. In pratica, non ha fornito alla Corte di Cassazione tutti gli elementi necessari per decidere, omettendo, ad esempio, di trascrivere il testo dei documenti o delle clausole contrattuali su cui basa la sua critica. Questo impedisce ai giudici di valutare la fondatezza del motivo, che viene quindi dichiarato inammissibile senza un esame di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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