Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23466 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23466 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8563/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza resa dalla CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 6182/2021, pubblicata il 30/09/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/07/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 30/09/2021, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento, in favore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, dei danni subiti da NOME COGNOME (originario attore e dante causa delle appellate) in conseguenza delle errate informazioni fornite dalla RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE in risposta alla richiesta di un parere sulla possibilità di proporre la domanda di liquidazione della pensione secondo criteri più favorevoli possibili; informazioni in forza delle quali il COGNOME ebbe a richiedere la liquidazione della propria pensione nel dicembre del 2012, ottenendone una sensibile diminuzione dell’importo annuo, rispetto a quello che avrebbe viceversa conseguito se avesse richiesto detta liquidazione nel novembre del 2012;
a fondamento della decisione assunta la corte territoriale, premessa la natura extracontrattuale dell’azione proposta dal COGNOME e la conseguente competenza del giudice civile (anziché del giudice del lavoro, come preteso dalla RAGIONE_SOCIALE), ha rilevato come del tutto correttamente il giudice di primo grado avesse rilevato, tanto l’erroneità delle informazioni fornite dalla RAGIONE_SOCIALE al COGNOME, quanto l’efficacia causale di tali errate informazioni sulla determinazione del COGNOME nel richiedere la liquidazione della propria pensione nel dicembre del 2012, con la conseguente provocazione di
un significativo danno patrimoniale a carico del COGNOME, nella specie consistito nella sensibile differenza dell’importo annuo allo stesso concretamente riconosciuto rispetto a quello che avrebbe viceversa conseguito se avesse richiesto la liquidazione di detta pensione nel novembre del 2012;
ciò posto, diversamente da quanto stabilito dal giudice di primo grado, la corte territoriale ha rilevato come la determinazione dell’importo risarcitorio dovuto in favore del COGNOME non avrebbe potuto superare l’importo complessivo di euro 120.000, così come specificamente rivendicato dallo stesso attore quale entità del danno subito, non potendo il giudice procedere alla liquidazione di un danno attraverso il riconoscimento di un importo superiore a quanto effettivamente richiesto dall’interessato;
avverso la sentenza d’appello, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, resistono con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione delle norme sulla competenza di cui agli artt. 38, 442 e 444 c.p.c. (in relazione all’art. 360, c. 1, n. 2), c.p.c.), nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1218 c.c. (in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3), c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la competenza del Tribunale del lavoro di Monza (invece di quella del Tribunale civile di Roma), nonostante l’oggetto della controversia in esame avesse natura previdenziale, trattandosi della responsabilità risarcitoria di un ente
previdenziale per la lesione dell’affidamento ingenerato da informazione errate sulla situazione pensionistica;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente interpretato la domanda risarcitoria originariamente proposta dal COGNOME, non già come una domanda risarcitoria derivante dalle conseguenze di una richiesta alla RAGIONE_SOCIALE di dati concernenti la propria posizione previdenziale e pensionistica (ciò che avrebbe riconAVV_NOTAIOo la domanda all’ambito della relazione contrattuale con la RAGIONE_SOCIALE, con il conseguente inquadramento della relativa responsabilità nella cornice dell’inadempimento di obbligazioni), bensì come una domanda risarcitoria derivante dalle conseguenze di ‘un parere sulla possibilità di presentare domanda di pensionamento a dicembre 2012 ‘con un calcolo totalmente retributivo e quindi più favorevole’ (mail inviata da RAGIONE_SOCIALE al sig. COGNOME il 18/10/2012)’ (pag. 3 della sentenza impugnata);
al riguardo, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il concorso della responsabilità extracontrattuale con quella da inadempimento può essere ammesso laddove il comportamento del debitore, avulso dalla fattispecie obbligatoria, sia ricostruito alla stregua di un’entità avente autonoma giuridica rilevanza come atto illecito, ai sensi dell’art 2043 cod. civ (Sez. 3, Ordinanza n. 36270 del 28/12/2023, Rv. 669799 -01; Sez. 3, Sentenza n. 2773 del 14/05/1979, Rv. 399077 – 01);
nel caso di specie, la corte territoriale ha avuto cura di specificare come il fatto illecito deAVV_NOTAIOo in giudizio dall’originario attore non riguardasse la violazione di obbligazioni accessorie connesse al rapporto previdenziale dallo stesso intrattenuto con la RAGIONE_SOCIALE, bensì il fatto colposo, avulso da ogni fattispecie obbligatoria, consistito nella trasmissione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di informazioni colpevolmente
errate in risposta al parere richiesto sulla possibilità di presentare domanda di pensione a dicembre 2012 al fine di ottenere un trattamento più favorevole possibile; informazioni rivelatesi causalmente idonee a provocare il danno pensionistico sofferto dal COGNOME per aver confidato nella correttezza delle informazioni allo stesso fornite dalla RAGIONE_SOCIALE;
si tratta di un inquadramento giuridicamente corretto, di per sé idoneo a giustificare la ritenuta competenza del tribunale ordinario anziché del tribunale del lavoro;
con il secondo motivo, la ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., c. 2, n. 4, nonché degli artt. 111 e 24 Cost. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile, essendosi il giudice d’appello sottratto alla confutazione delle articolate doglianze sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE in sede di gravame nei confronti delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato dal tribunale in prime cure, solo genericamente e acriticamente richiamate nella sentenza impugnata in questa sede;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di
riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum ;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica conAVV_NOTAIOa sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ( ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello espressamente rilevato che ‘in riferimento agli asseriti vizi della CTU, il Collegio osserva che la presentazione della domanda di pensione di anzianità da totalizzazione a novembre 2012 (anziché a dicembre 2012, quando in effetti è stata presentata sulla base della preventiva informazione resa dalla RAGIONE_SOCIALE), determinata con il c.d. sistema misto -contributivo e retributivo -ai sensi dell’art. 4, comma 3 lettera d) del D.Leg.vo 42/2006, avrebbe comportato per l’appellato un importo annuo di pensione pari ad € 27.155,09,00, cioè quanto previsto correttamente dal CTU, quale prima ipotesi (retributivo fino al 2011 e contributivo dal 2012), ben superiore a quella effettivamente erogata di € 18.780,23. Né appare
fondato il 3° motivo basato sul presupposto che il giudice non avrebbe espresso “autonoma” motivazione. Secondo la Suprema Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento (Cass. ordinanza 17 aprile 2019, n. 10747) ‘ (pag. 4 della sentenza impugnata);
l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 191 ss. c.p.c., 2697 c.c., 1 e ss., d.lgs. n. 509/1994, 3, c. 12, legge n. 335/1995 e 24, d.l. n. 201/2011, nonché per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 34 del Regolamento di RAGIONE_SOCIALE della CIPAG, in relazione all’art. 1363 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente condiviso le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, perpetrando il travisamento del quadro normativo di riferimento rispetto al sistema di calcolo di pensione del COGNOME, violando il principio dispositivo, il principio di non contestazione e i criteri di riparto degli oneri probatori, e trascurando l’inapplicabilità delle norme valevoli per il sistema pensionistico pubblico alle prestazioni erogate dalla RAGIONE_SOCIALE, in contrasto con il principio dell’autonomia regolamentare finanziaria dell’ente previdenziale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, con specifico riguardo alla pretesa mancata considerazione delle censure rivolte nei confronti della c.t.u., è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia provveduto a specificare le ragioni della ritenuta condivisibilità delle conclusioni raggiunte nella consulenza tecnica d’ufficio, con particolare riguardo al calcolo della pensione di maggiore importo che il COGNOME avrebbe ottenuto formalizzando la propria domanda di pensionamento nel novembre 2012 (anziché nel dicembre del 2012 come suggerito dalla RAGIONE_SOCIALE) determinata con il cosiddetto sistema misto contributivo e retributivo, ai sensi dell’art. 4, co. 3, lett. d) del d.lgs. n. 42/2006;
a fronte di tali premesse, varrà evidenziare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando sia denunciato, con il ricorso per cassazione, un vizio di motivazione della sentenza, sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, circostanze, rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., è necessario che il ricorrente non si limiti a censure apodittiche di erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione, o anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, ma precisi e specifichi, sia pure in maniera sintetica, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, evidenziando, in particolare, le eventuali controdeduzioni alla consulenza d’ufficio che assume non essere state prese in considerazione, ovvero gli eventuali mezzi di prova contrari non ammessi, per consentire al giudice di legittimità di esercitare il controllo sulla decisività degli stessi, che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere effettuato sulla sola base delle deduzioni contenute in tale atto (Sez. 2, Sentenza n. 8383 del 03/08/1999, Rv. 529176 – 01);
in particolare, sotto il profilo della decisività della censura, anche in relazione al deAVV_NOTAIOo omesso esame di fatti, circostanze, rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., vale il principio in forza del quale il corrispondente vizio di motivazione può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007, Rv. 596714 – 01);
ciò posto, occorre rilevare l’inammissibilità della censura in esame, avendo la RAGIONE_SOCIALE ricorrente propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività dell’omesso esame, da parte del giudice a quo , di fatti, circostanze, rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., e che avrebbero al contrario (in ipotesi) conAVV_NOTAIOo a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;
deve dunque conclusivamente osservarsi come, attraverso le odierne censure, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1227, c.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso, ai fini dell’esonero della responsabilità della RAGIONE_SOCIALE (o comunque della riduzione del danno
risarcibile), la violazione dei canoni di ordinaria diligenza da parte del contribuente nell’affidamento riposto su una comunicazione ‘non istituzionale’ priva di valore certificativo rispetto a dati previdenziali conoscibili;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo (con particolare riguardo ai termini oggettivi del comportamento del danneggiato);
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odiern a ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione