Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7927 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7927 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/03/2024
Oggetto
Responsabilità civile ─ Danno da illecito extracontrattuale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4529/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL) con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (pec: EMAIL);
-controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (oggi Gestione Commissariale del S.I.I. ATI AG9), RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
-intimate – avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1740/2020 depositata in data 25 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE adì il Tribunale di quella città onde ottenere tutela risarcitoria in forma specifica, a carico del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, per i danni subiti a causa della esecuzione non a regola d’arte dei lavori di ripristino di un collettore fognario che aveva determinato, con la fuoriuscita di liquami, il cedimento di un adiacente muro di sostegno su cui poggiava la passerella di accesso ad una palazzina (corpo D).
Con sentenza n. 1653 del 10 novembre 2016 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in parziale accoglimento della domanda, condannò il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di € 71.562,99 oltre interessi al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo e lo condannò, inoltre, « alla realizzazione dei lavori di rifacimento del tratto di fognatura pubblica che ha cagionato i danni ai locali dell’ente di gestione attraverso il compimento delle opere meglio specificate a pag. 25 della relazione di consulenza tecnica e nella sezione ‘Rifacimento rete fognaria pubblica’ dell’allegato computo metrico estimativo », il tutto da effettuarsi entro centosessanta giorni dalla pubblicazione della decisione e con l’ulteriore condanna ad una penale di € 800,00 per ogni giorno di ritardo.
Il Tribunale rigettò, invece, le domande, in quanto proposte nei confronti degli altri convenuti, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, dichiarando assorbita la domanda di manleva svolta dalla prima nei confronti della propria assicuratrice.
Con sentenza n. 1740/2020, resa pubblica in data 25 novembre 2020, la Corte d’appello di Palermo ha confermato tale decisione, rigettando ─ per quanto ancora interessa in questa sede ─ l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE e condannandolo alle spese del grado nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
A fondamento di tale decisione ha rilevato che:
al fine di poter realizzare le fondazioni del corpo D dell’edificio condominiale, previsto in progetto, l’impresa costruttrice aveva eseguito la modifica del tracciato della rete fognaria, senza però prima presentare alcun progetto esecutivo, essendosi essa limitata a depositare la planimetria dei tracciati, ottenendo il rilascio da parte del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di concessione edilizia n. 103 del 23 settembre 1999;
ii) è altresì pacifico, in assenza di contestazioni in proposito, che la redazione di un progetto esecutivo di tale modifica del tracciato della rete fognaria fosse assolutamente necessaria per un’opera pubblica quale la predetta fognatura;
iii) la causa efficiente della rottura della fognatura era stata rappresentata dal notevole restringimento della sezione della tubazione, con conseguente sovraccarico della stessa e conseguente ostruzione, avendo caratteristiche non adeguate alla profondità di posa in cui era stata collocata;
iv) l’inadeguatezza del materiale utilizzato dal costruttore per realizzare la nuova tubazione costituisce mera affermazione difensiva priva di riscontri probatori concreti, nulla essendo stato esposto in proposito da parte del c.t.u.;
il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, prima di rilasciare la concessione
edilizia n. 103 del 23 settembre 1999, con la quale era stato anche autorizzato lo spostamento della fognatura in oggetto, in ottemperanza al generale principio che impone alla RAGIONE_SOCIALE di conformare la propria azione al dovere del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., avrebbe dovuto sincerarsi che detto spostamento sarebbe stato realizzato con adeguate modalità tecniche, esaminando il progetto esecutivo e, successivamente, avrebbe dovuto anche vigilare sull’esecuzione di lavori che riguardavano un’opera pubblica, non potendosi invocare a questo riguardo la discrezionalità dell’azione della RAGIONE_SOCIALE;
vi) peraltro, la responsabilità dell’impresa che ha realizzato in maniera inadeguata lo spostamento della fognatura non sarebbe, comunque, idonea ad escludere o limitare la responsabilità extracontrattuale del RAGIONE_SOCIALE, ponendosi il suo comportamento omissivo come concausa dell’evento dannoso, con conseguente sua responsabilità solidale, a norma dell’art. 2055 c.c., che non è impedita dalla diversità delle condotte lesive (commissiva quella dell’impresa costruttrice ed omissiva quella del RAGIONE_SOCIALE) né dalla diversità dei titoli, sussistendo tra gli stessi uno stretto vincolo di interdipendenza;
vii) il RAGIONE_SOCIALE è legittimato ad eseguire le opere di ripristino indicate in sentenza, atteso che l’art. 9 comma 3 della Convenzione di gestione per regolare i rapporti tra il RAGIONE_SOCIALE ed il Gestore RAGIONE_SOCIALE, in data 26 novembre 2007, prevede che le opere attinenti al S.I.I. possono essere realizzate direttamente dagli Enti locali, successivamente alla data della convenzione, salvo il loro successivo affidamento al Gestore medesimo;
viii) considerati i gravi danni che il RAGIONE_SOCIALE potrebbe subire nel caso in cui detti interventi non siano effettuati nei termini di cui in sentenza, si deve escludere che la sentenza appellata, nella
parte in cui ha fissato in Euro 800,00 la somma dovuta dall’obbligato per ogni giorni di ritardo nell’esecuzione del provvedimento , violi il disposto di cui 614bis , secondo comma, c.p.c., avendo il primo giudice correttamente valutato tale importo, esercitando i suoi poteri discrezionali in base al disposto di tale norma, che prevede che il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma, tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.
Avverso tale sentenza il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste il RAGIONE_SOCIALE, depositando controricorso.
Le società intimate non svolgono difese.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente darsi atto del mancato buon esito della notifica a mezzo p.e.c. nei confronti dell’intimata RAGIONE_SOCIALE
Trattandosi di litisconsorte facoltativa ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essa preclusa.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 cod. civ., « omesso esame di un fatto decisivo della controversia ».
Deduce, in sintesi, che:
─ vertendosi in materia di responsabilità aquiliana, la responsabilità è da attribuire esclusivamente all’autore del fatto che ha generato il danno e, nella fattispecie, alla impresa costruttrice che aveva realizzato la modifica del tracciato del collettore in violazione delle regole di perizia, prudenza e diligenza;
─ erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto l’inidoneità della tubatura oggetto di mera affermazione difensiva priva di riscontri, essendo incontestato, ed accertato anche nella sentenza di primo grado, che i materiali inutilizzati fossero inidonei e che ciò, in relazione al carico eccessivo, aveva determinato la rottura del collettore, la fuoriuscita dei liquami e i danni;
─ la Corte non ha indicato quale norma di legge o di regolamento imponessero l’adozione del progetto esecutivo limitandosi a richiamare l’inesistente, nella fattispecie, non contestazione o quanto riferito dal consulente che, pure, non aveva indicato la norma da cui scaturisse tale obbligo di legge;
─ nessuna legge o regolamento imponeva all’ente di richiedere il progetto esecutivo o di vigilare sulla sua esecuzione e tanto meno il principio generale del neminen laedere considerato che la modifica del tracciato era avvenuto su richiesta e nell’esclusivo interesse della società proprietaria del terreno che avrebbe dovuto costruire gli edifici e sulla quale soltanto incombeva l’onere e l’obbligo di osservare le regole di diligenza, prudenza e perizia nella esecuzione dell’opera.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 614 -bis cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto il RAGIONE_SOCIALE legittimato all’esecuzione delle opere oggetto dell’imposto obbligo di ripristino .
Osserva che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, l’art. 9 comma 3 della Convenzione di gestione non attribuisce sic et
simpliciter agli Enti locali, durante il periodo di vigenza della convenzione, la possibilità di realizzare opere relative al servizio di che trattasi ma la subordina, conformemente a quanto previsto dalla l. n. 36 del 1994, espressamente richiamata, alla stipula di una convenzione con il gestore.
Con il terzo motivo il RAGIONE_SOCIALE denuncia, in subordine, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. ed « omesso esame di un fatto decisivo », lamentando l’eccessiva quantificazione della somma dovuta per ogni giorno di ritardo.
Osserva che:
─ nel ritenere congrua la misura della penale determinata in primo grado, la Corte di merito ha omesso di valutare un fatto decisivo ai fini del decidere ossia il valore complessivo della controversia e del danno patito, indicato dal RAGIONE_SOCIALE negli atti sopra richiamati, ossia € 133.774,89, comprensivo del danno liquidato , ed il valore delle opere da eseguire, stimato in € 52.864,08 ;
─ rispetto a tale importo la somma giornaliera di € 800,00, anche a voler considerare possibili danni derivanti dall’ulteriore inadempimento del medesimo ammontare di quelli subiti e pagati è assolutamente eccessivo, anche tenuto conto del fatto che, quanto ai possibili danni futuri per la mancata tempestiva realizzazione dell’opera, la stessa Corte, a pag. 14 della sentenza, nel rigettare l’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, ha rilevato che è pacifico che la RAGIONE_SOCIALE ha eseguito negli anni 2013, 2014 e 2015 degli interventi manutentivi nella fognatura in oggetto (v. pag. 25 rel. c.t.u.), a seguito dei quali non si sono più verificati dei versamenti di liquami».
Il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
È inconferente la censura rivolta contro l’affermazione contenuta in sentenza circa la mancanza di riscontri a conferma della dedotta
inidoneità dei materiali utilizzati da ll’impresa costruttrice, dal momento che la sentenza evidenzia, alla stregua di alternativa ratio decidendi sul punto, che, comunque, l’ascrivibilità del danno (anche) a responsabilità dell’impresa non toglie che di esso debba ritenersi corresponsabile ─ e dunque solidalmente tenuto per intero al risarcimento dei danni, ex art. 2055 cod. civ. ─ anche il RAGIONE_SOCIALE per aver assentito l’opera pubblica in assenza di progetto esecutivo e per non avere poi vigilato sulla corretta esecuzione della stessa.
Quanto poi al fondamento di tale responsabilità occorre anzitutto rilevare che, come espressamente riferisce lo stesso ricorrente riportando (a pag. 9 del ricorso) ampio stralcio della sentenza di primo grado, già il Tribunale aveva evidenziato, testualmente citando la relazione di c.t.u., come le opere dalla cui cattiva esecuzione sono derivati i danni de quibus , riguardavano la « modifica al tracciato fognario (rete pubblica al servizio di una vasta area urbana) ».
Tale accertamento non risulta, in sé, censurato in appello e costituisce peraltro premessa fattuale anche incidentalmente ripetuta nella sentenza qui impugnata (v. sentenza, pagg. 10 -11)
Ciò posto, non può dubitarsi che, data la natura pubblica dell ‘opera , la redazione di progetto esecutivo fosse necessaria, ciò rispondendo ad un preciso obbligo di legge (art. 16 legge 11 febbraio 1994, n. 109).
Tale fondamentale aspetto della vicenda, obliterato in ricorso, rende del tutto fuori segno l’argomento secondo cui, trattandosi del rilascio di una concessione edilizia, non era richiesta la presentazione, né l’approvazione da parte del RAGIONE_SOCIALE, di un progetto esecutivo.
È proprio la premessa ad essere errata e al tempo stesso a evidenziare la fondatezza dell’addebito di responsabilità al RAGIONE_SOCIALE.
Non si trattava, infatti, di valutare un progetto di massima al fine del rilascio della concessione edilizia, ma al contrario di prendere atto, in occasione di quella richiesta, che si trattava (quanto meno anche)
di lavori che interessavano una infrastruttura pubblica, i quali comportavano l’attivazione di doveri di intervento e vigilanza da parte dell’ente pubblico proprietario.
L’inosservanza di tali doveri correttamente, dunque, è stata ritenuta in sentenza quale ragione di addebito di responsabilità.
L’ac certamento poi della rilevanza causale di tale omissione rispetto ai danni dedotti è frutto di valutazione di merito non sindacabile in Cassazione, tanto meno sul piano della corretta applicazione del diritto.
La contestuale censura di omesso esame di fatto decisivo si appalesa poi inammissibile, sia perché generica e non dedotta nei termini in cui la giurisprudenza di questa Corte la dice deducibile (v. ass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 -8054), sia, ancora prima, per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320)
6. Il secondo motivo è inammissibile.
In disparte l’inosservanza dell’onere, imposto a pena di inammissibilità dall’art. 369, secondo comma, n um. 4, cod. proc. civ., di localizzare l’atto richiamato nel fascicolo di causa, è dirimente il rilievo che con esso si prospetta una erronea esegesi, da parte del giudice a quo , di un regolamento contrattuale (la Convenzione di gestione) in termini diversi da quelli che, secondo pacifico insegnamento, ne consentono il sindacato nel giudizio di legittimità.
Occorre al riguardo rammentare che l’interpretazione del contratto costituisce questione riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (ove si indichino non solo i canoni asseritamente violati ma anche in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato) ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.; v. ex multis Cass. 20/08/2015, n. 17049; 9/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539), restando esclusa l’ammissibilità di motivi che si risolvano, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Ciò è quanto nella specie accade, atteso che non è in alcun modo illustrato in quale parte e per quale motivo l’interpretazione data dalla Corte di merito all’atto negoziale debba considerarsi in contrasto con alcuno dei criteri legali d’interpretazione, peraltro nemmeno indicati ad oggetto del presunto error iuris .
Va peraltro ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.
7. Il terzo motivo è infondato.
Il provvedimento con il quale il giudice del merito, ex art. 614bis cod. proc. civ., concede (o nega) la misura coercitiva indiretta ivi prevista (c.d. astreinte , mutuata dall’ordinamento francese) , secondo la condivisa opinione di autorevole dottrina, ha natura di provvedimento in rito, perché la misura « non definisce un preesistente rapporto sostanziale fra le parti (e soprattutto non definisce un oggetto del giudizio contenzioso), bensì fa nascere un
nuovo rapporto obbligatorio con il fine prettamente processuale di dare esecuzione forzata indiretta alla pronuncia giudiziale ».
Tale inquadramento giustifica e dà fondamento alla cognizione piena della RAGIONE_SOCIALE per inosservanza della norma processuale che disciplina tale misura e l’esercizio del relativo potere.
In tale prospettiva, il sindacato della Cassazione può dunque svolgersi, sul piano della osservanza delle regole del processo, nella duplice direzione:
della verifica dei presupposti per l’esercizio di tale potere (la misura può accedere a « provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro », deve essere richiesta dalla parte e la sua adozione non deve risultare « manifestamente iniqua »);
della verifica del corretto esercizio di tale potere in punto di quantificazione;
s alve s’intende le preclusioni eventualmente determinatesi nello sviluppo del procedimento.
Nella specie, tali preclusioni possono dirsi maturate solo con riferimento all’ an , ossia alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, ma non con riferimento al quantum , attesa: a) la proposizione di specifico motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado che tale misura adottò quantificandone l’importo ; b) la successiva impugnazione, con il motivo in esame, della sentenza d’appello nella parte in cui quella quantificazione ha confermato.
Ebbene, con riferimento a tale secondo aspetto ( quantum della misura coercitiva), va ricordato che, a norma dell’ultimo comma dell’art. 614 -bis cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis , dall’art. 13, comma 1, lett. ccter ), d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132: « il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo
comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile ».
Non pare dubbio che tale disposizione, nel dettare i parametri cui la concreta determinazione della misura deve essere rapportata, da un lato, circoscriva entro un perimetro precisamente determinabile i limiti del legittimo esercizio del potere discrezionale del giudice di merito, dall’altro, per ciò stesso, implichi l’obbligo di motivare la propria decisione.
Il giudice che decide sulla liquidazione di un’ astreinte deve, dunque, non solo valutare la proporzionalità della violazione dei diritti patrimoniali del debitore alla luce dello scopo legittimo che il creditore persegue, ma anche darne adeguato conto nella motivazione.
Il sindacato della cassazione può, però, riguardare non già il merito di tale valutazione, ma la congruità della motivazione che ne sia stata data, in quanto resa con riferimento concreto ai parametri di riferimento.
Nella specie, tale dovere motivazionale deve considerarsi adeguatamente assolto, attraverso, da un lato, il richiamo (a pag. 6 della sentenza impugnata) della motivazione sul punto addotta dal giudice di primo grado (che aveva in particolare considerato il pericolo di sversamenti di scarichi reflui, rilevando al riguardo che gli interventi effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE nelle condutture erano soltanto di carattere temporaneo) , dall’altro, l’affermazione (a pag. 13) della piena correttezza di tale valutazione, in relazione ai parametri fissati dalla norma e « in considerazione dei gravi danni che il RAGIONE_SOCIALE potrebbe subire nel caso in cui detti interventi non siano effettuati nei termini di cui in sentenza ».
Dalla contestuale lettura di tali parti della motivazione (e, in particolare, dal rilievo che gli interventi effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE nelle condutture erano soltanto di carattere temporaneo) si
ricava, invero, adeguata risposta al motivo di appello sul punto proposto.
Non può di contro ravvisarsi aperta contraddizione con l’affermazione posta a fondamento del rigetto dell’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE (secondo qui questa « ha eseguito negli anni 2013, 2014 e 2015 degli interventi manutentivi nella fognatura in oggetto … a seguito dei quali non si sono più verificati dei versamenti di liquami ») afferendo questa ai più limitati obblighi manutentivi della preesistente struttura.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.700 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza