Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27588 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27588 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3662/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la ORDINANZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1308/2021 depositata il 24/01/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME. Udita la Procura Generale, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto accogliersi il quinto motivo di ricorso e rigettarsi gli altri.
Uditi i difensori della parti.
FATTI RAGIONE_SOCIALE CAUSA
1.AVV_NOTAIO ricorre, con cinque motivi avversati dal RAGIONE_SOCIALE con controricorso, per la cassazione della ordinanza della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, n.191 del 24 gennaio 2022, reiettiva del reclamo proposto da esso ricorrente contro la decisione della RAGIONE_SOCIALE, di condanna del ricorrente alla sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi. La sanzione era stata irrogata in relazione a due addebiti: violazione dell’ ‘art. 147, lett. a) e lett. b) della legge n.89/1913 e art. 14 dei principi di deontologia per avere tenuto un comportamento reiteratamente e sistematicamente compiacente nello stipulare atti di compravendita in cui gli onorari erano posti a carico del venditore in contrasto con la pattuizione contrattuale e così consentendo agli acquirenti di ottenere un risultato altrimenti non conseguibile’; violazione dell’ ‘art. 147, lett. a) e lett. b) della legge n.89/1913 e art. 14 dei principi di deontologia per avere tenuto un comportamento reiteratamente e
sistematicamente compiacente nello stipulare atti di mutuo fatturando a soggetti terzi rispetto al contratto, anche in violazione della normativa fiscale, così consentendo agli acquirenti di ottenere un risultato altrimenti non conseguibile’.
Il AVV_NOTAIO aveva, tra il 2016 e il 2017, stipulato 254 mutui fondiari collegati a compravendite nella quali il prezzo inglobava (era ‘gonfiato’ da) le spese delle vendite stesse e dei mutui e nelle quali era tuttavia anche inserita la clausola ‘spese come per legge’. Secondo gli addebiti, questa condotta ‘compiacente’ del AVV_NOTAIO aveva indotto le banche ad erogare mutui di importi ‘non conseguibili’ superiori al limite, imposto dall’art. 38 TUB, dell’80% del valore degli immobili. Il che si caricava di ulteriore disvalore in quanto aveva portato a ‘concentrare’ presso lo studio del AVV_NOTAIO ‘atti che non avrebbero superato il vaglio di legittimità’ degli altri notai e quindi ad una alterazione della concorrenza.
Il rigetto del reclamo è stato dalla Corte di Appello così argomentato: le condotte erano incontestate; era stato confermato dalle dichiarazioni di COGNOME -come chiarito dal ricorrente trattasi di NOME COGNOME, legale rappresentate di una società di costruzioni, l’ ‘espediente di simulare un prezzo diverso e più alto di quello effettivo attraverso l’inserimento degli oneri accessori a facilitare l’erogazione di un mutuo di importo maggiore’; l’inserimento della clausola dicente ‘spese come per legge’, malgrado che le spese fossero invece a carico del compratore, era contrario ai principi di chiarezza e di corrispondenza dello scritto agli accordi tra le parti e la scarsa chiarezza, a sua volta, era indice della fondatezza dell’addebito disciplinare; la fatturazione ai venditori era indebita; le condotte avevano determinato ‘perniciosi effetti sui prezzi del mercato immobiliare con particolare riguardo ai sistemi di rilevazione delle oscillazioni’ e tali effetti non potevano ‘sminuirsi in ragione della asserita ridotta incidenza degli oneri accessori sul complessivo importo della compravendita posto che
una percentuale del 4%, così come dedotta, è tutt’altro altro che irrilevante nelle quotazioni del mercato’; la ‘compiacenza del AVV_NOTAIO‘ rispetto alla prassi di ‘costante elusione’ di detti principi e ‘della stessa normativa in tema di credito fondiario’, unitamente alla ‘diffusione del fenomeno’, comprovata anche dal fatto che le ‘compravendite erano state procurate’ da un ‘numero consistente (70)’ di agenzie immobiliari, ledeva la ‘reputazione e il decoro della classe notarile’; la condotta in questione era integrativa della violazione dell’art.14 del codice deontologico in quanto alterava la concorrenza; la sanzione della sospensione per tre mesi dall’esercizio della professione era proporzionata tenuto conto del fatto che la stessa era correlata non solo all’eco mediatica della vicenda, contestata dal reclamante, ma anche al rilevante numero delle condotte censurate e al conseguente disdoro cagionato alla categoria; in relazione a tali elementi era anche giustificata la mancata concessione delle attenuanti generiche; l’avere il AVV_NOTAIO cessato di stipulare contratti ‘con le modalità precedentemente seguite’ una volta ricevuta la comunicazione del RAGIONE_SOCIALE in data 12 giugno 2018 con cui si stabiliva che per i notai del distretto era fatto obbligo di astenersi dalla stipula di atti collegati, di compravendita e di mutuo fondiario, con pagamento di tutte le spese da parte del venditore, per effetto dei quali si determinasse una fraudolenta sopravalutazione dell’immobile con conseguente violazione dei limiti di erogazione del credito stabiliti dall’art. 38 TUB, non poteva ritenersi integrativa dei presupposti applicativi dell’art. 144 della l.89/1913 (‘ Se nel fatto addebitato al AVV_NOTAIO ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il AVV_NOTAIO, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sono sostituite l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’articolo 138-bis, comma 1, alla
sospensione e la sospensione alla destituzione’) essendo la cessazione della reiterazione cosa diversa dalla ‘condotta riparativa’.
La Procura della Repubblica di RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
1.Con il primo, articolato motivo di ricorso si formulano, in relazione all’art. 360, primo comma, nn.3,4 e 5, c.p.c., le seguenti censure:
violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto incontestato che tra le parti dei contratti di compravendita vi fosse stato un accordo ‘simulatorio’ sui prezzi laddove invece il ricorrente, da un lato non aveva contestato che i venditori avevano pagato tutte le spese del contratto di compravendita e del contratto di mutuo, ma dall’altro aveva sempre negato che i prezzi fossero stati ‘simulati’;
omesso esame di deduzioni per avere la Corte di Appello affermato che il ricorrente non aveva spiegato per quale altra ragione, se non quella di consentire all’acquirente di accedere ad un credito non erogabile, i venditori si erano fatti carico delle spese laddove invece esso ricorrente aveva prospettato che le ragioni potevano essere le più varie in riferimento agli interessi delle parti e alle caratteristiche dei singoli immobili;
travisamento di documenti per avere la Corte di Appello affermato che NOME COGNOME aveva confermato ‘l’espediente di simulare un prezzo diverso’ laddove invece NOME COGNOME aveva dichiarato che l’assunzione delle spese da parte dei venditori era una ‘prassi diffusa nel mercato delle prime case’, adottata allo scopo di consentire all’acquirente di ottenere condizioni di accesso al credito migliori di quelle altrimenti ottenibili;
travisamento di deduzioni per avere la Corte di Appello qualificato ‘prive di significatività’ le deduzioni del ricorrente per cui non vi era alcun mutuo, tra quelli in riferimento ai quali era stato emesso
il provvedimento sanzionatorio, che potesse essere qualificato ‘invalido per superamento dei limiti previsti dall’art. 38 TUB’;
non pertinenza della affermazione della Corte di Appello per cui il fatto che i contratti di compravendita erano stati conclusi con la intermediazione di 70 agenzie immobiliari era produttivo di diffusione del fenomeno e di maggior disdoro per la categoria, rispetto alla eccezione di non veridicità, sollevata da esso ricorrente, contro la contestazione mossagli col provvedimento sanzionatorio per cui i contratti sarebbero stati conclusi tramite ‘i medesimi mediatori’;
apparenza della motivazione della affermazione per cui l’inserimento nei contratti di vendita della clausola secondo la quale le spese erano regolate ‘come per legge’ ossia, ex art. 1475 c.c., erano a carico del compratore, era un’affermazione che, a fronte del fatto che le spese erano a carico del compratore, appariva di ‘scarsa chiarezza’ e la scarsa chiarezza, a sua volta, era indice della fondatezza dell’addebito disciplinare;
apparenza della motivazione della affermazione per cui la rilevanza come elemento idoneo ad alterare le rilevazioni dei prezzi del mercato immobiliare della assunzione a carico dei venditori di oneri accessori del 4% non poteva ‘sminuirsi tutt’altro altro che irrilevante nelle quotazioni del mercato’;
violazione o falsa applicazione degli artt. 116, comma 1, c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 147, lett. a) e lett. b) della legge n.89/1913 e dell’art. 14, lett. b) del codice deontologico per aver la Corte di Appello confermato il provvedimento sanzionatorio malgrado non vi fosse prova né del fatto che gli accordi tra le parti non fossero stati trasfusi nei contratti stipulati né del fatto che i prestiti erogati con i contratti di mutuo fossero stati superiori al limite dell’art. 38 TUB;
2. con il secondo, articolato motivo di ricorso si lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, nn.3,4 e 5, c.p.c., violazione o
falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 147, lett. b) della legge n.89/1913 e dell’art. 14 del codice deontologico, omesso esame di documenti decisivi, omessa motivazione, per non avere la Corte di Appello tenuto conto del fatto che esso ricorrente aveva documentato, e il RAGIONE_SOCIALE non aveva contestato, che gli atti oggetto del procedimento disciplinare rappresentavano solo il 7% e il 13% del totale degli atti stipulati dal ricorrente nel 2016 e nel 2017 con la conseguenza che non poteva ritenersi integrato il presupposto della ‘sistematicità’ delle condotte richiesto dall’art. 147, lett.b) della l.89/13 e per non avere la Corte di Appello tenuto conto del contenuto della comunicazione del Presidente del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in data 12 giugno 2018, delle dichiarazioni di NOME COGNOME e dei 37 atti, prodotti dal ricorrente e stipulati da altri notai di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Trieste, Tolmezzo, Gorizia e Pordenone, da cui emergeva che la stipula di mutui fondiari collegati a compravendite con spese a carico dei compratori era un fenomeno diffuso.
Con il terzo articolato motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sulla eccezione di concorso apparente tra i contestati addebiti di violazione della lett. a) e della lett. b) dell’art. 147, integrate dall’art. 14 del codice deontologico. Con il terzo motivo si lamenta ancora, in via subordinata e in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli art. 15 c.p., dell’art. 147, lett. a) e lett. b) della legge n.89/1913 e dell’art. 14 del codice deontologico per l’ipotesi in cui dovesse ritenersi che la Corte di Appello abbia respinto tale eccezione.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 144 della legge n.89/1913 e nullità della ordinanza per apparenza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte
di Appello ritenuto di poter negare al ricorrente, incensurato, l’attenuante di cui all’art. 144 con la giustificazione per cui il riconoscimento dell’attenuante è ‘discrezionale’ laddove invece esso è doveroso e per aver la Corte di Appello negato l’attenuante della attivazione riparativa con la giustificazione per cui il ricorrente aveva cessato di stipulare atti del tipo di quello che avevano formato oggetto dei rilievi disciplinari fino dall’inizio del 2018. Viene inoltre dedotto che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della contestazione sollevata, in sede di reclamo, contro l’affermazione contenuta nel provvedimento sanzionatorio per cui la condotta del ricorrente aveva determinato un’ampia eco mediatica.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115/2002 per avere la Corte di Appello condannato il ricorrente al pagamento di un ulteriore contributo unificato laddove invece nel giudizio di reclamo contro provvedimenti della commissione regionale disciplina l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002 non è applicabile.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
6.1. Al ricorrente è stato contestato di aver stipulato per 254 volte tra il 2016 e il 2017, quindi ‘reiteratamente’, mutui fondiari collegati a compravendite nel cui prezzo erano inglobate le spese sia delle stesse compravendite sia dei mutui e nelle quali era inserita la clausola ‘spese come per legge’, e di essersi così prestato -o reso ‘compiacente’ -ad accordi con cui le parti riuscivano ad indurre le banche ad erogare mutui di importi ‘non conseguibili’. È stato anche contestato al AVV_NOTAIO di avere, in questo quadro, ‘fatturato a terzi’, cioè ai venditori, le spese dei mutui contratti dai compratori con le banche. Sotto il profilo deontologico il AVV_NOTAIO è stato ritenuto responsabile di sleale concorrenza per essere riuscito a ‘concentrare’ presso di sé ‘atti che non avrebbero superato il vaglio di legittimità’ degli altri notai.
6.2. L’art. 147 della legge notarile (come riformato dal d.lgs. 249/2006), recita: «1. È punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il AVV_NOTAIO che pone in essere una delle seguenti condotte: a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della in modo non occasionale le norme classe notarile; b) viola deontologiche elaborate dal RAGIONE_SOCIALE del notariato’.
L’art. 14 del codice deontologico prevede che ‘configurano distinte fattispecie di illecita concorrenza, a titolo esemplificativo, i seguenti comportamenti: a) la irregolare documentazione della prestazione nella quale ad esempio rientrano: la mancata e documentata specificazione di anticipazioni, onorari, diritti e compensi; la omissione o la emissione irregolare di fatture a fronte di prestazioni rese; b) l’esecuzione delle prestazioni secondo sistematici comportamenti frettolosi o compiacenti. La fattispecie si realizza in presenza di comportamenti non adeguati alla diligenza del professionista avveduto e scrupoloso, cui il AVV_NOTAIO è tenuto nella esecuzione della prestazione. La varietà delle forme che possono assumere la frettolosità o compiacenza dei comportamenti non consente una elencazione, sia pure esemplificativa, ma soltanto la segnalazione di alcuni casi-tipo ricavati dalla esperienza notarile e dalla giurisprudenza: -mancata indagine sui poteri di rappresentanza, sulla legittimazione delle parti e sul rispetto delle norme del diritto di famiglia; – la ricorrente utilizzazione di clausole di dispensa limitatrici dell’incarico professionale ai fini della limitazione della responsabilità; – omissione di comportamenti cui si è tenuti personalmente (in ordine ad es. all’accertamento dell’identità e all’indagine sulla volontà delle parti); – offerta di servizi non rientranti nel normale esercizio dell’attività notarile (ad es. finanziamenti e anticipazioni di somme); – garanzie particolari di esito favorevole di pratiche presso uffici fiscali, banche, enti
pubblici e simili; – rinuncia a richiedere la documentazione dovuta per legge o comunemente ritenuta necessaria (ad es. catastale, urbanistica) per il compiuto ricevimento dell’atto’.
Questa Corte ha già precisato che ‘In materia di responsabilità disciplinare dei notai, l’art. 147 della legge n. 89 del 1913 individua con chiarezza l’interesse meritevole di tutela (dignità e reputazione del AVV_NOTAIO, decoro e prestigio della classe notarile) e determina la condotta sanzionabile in quanto idonea a compromettere l’interesse tutelato, condotta il cui contenuto, sebbene non tipizzato, è integrato dalle regole di etica professionale e, quindi, dal complesso dei principi di deontologia oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico’ (Cass. n. 4720 del 23/03/2012).
La Corte di Appello, correttamente, ha confermato le contestazioni disciplinari di cui all’art. 147 lett. a) (avere gettato discredito sulla categoria ‘consentendo agli acquirenti di ottenere un risultato altrimenti non conseguibile’) e di cui all’art. 147 lett. b) in relazione alla regola deontologica di correttezza concorrenziale di cui all’art. 14 codice deontologico (per avere il AVV_NOTAIO tenuto una condotta che gli altri notai, per non concorrere con le parti nella ‘illegittimità’ consistente nell’ottenimento in favore dei compratori di mutui fondiari di entità altrimenti non conseguibile, non si sarebbero dichiarati, rispetto a loro potenziali clienti, disposti a tenere), essendovi nella formula contrattuale predisposta dal ricorrente ed usata in un alto numero di contratti (254), secondo cui le spese erano a carico del venditore ed erano regolate ‘come per legge’ (ossia, ai sensi dell’art. 1475 c.c., erano a carico del compratore), un elemento doppiamente confusivo e potenzialmente lesivo: confusivo rispetto alle banche mutuanti e confusivo per le parti della compravendita e fonte sia di potenziale pregiudizio per le banche, dato che -come lo stesso ricorrente riconosce e anche laddove critica la sentenza impugnata per non avere la Corte di
Appello correttamente inteso le dichiarazioni del teste COGNOME -si trattava di un mezzo in forza del quale le banche erogavano mutui di importo maggiore di quello ‘altrimenti conseguibile’ con riguardo all’effettivo valore del bene al netto delle spese, con un effetto che, al di là della osservanza o meno del limite di cui all’art. 38 TUB, era comunque non coerente con la finalità della disposizione del testo unico di prudenziale gestione del credito e di prevenzione dei rischi bancari da sovraesposizione, sia di potenziale pregiudizio per le parti della compravendita dato che la formula era idonea a dar luogo a controversie sull’identità del soggetto effettivamente gravato dall’onere delle spese. La Corte di Appello ha correttamente ritenuto la reiterata condotta del AVV_NOTAIO consistita nella predisposizione di un testo contrattuale ambiguo e come tale idoneo a ledere i suddetti interessi, rilevante disciplinarmente con riguardo al combinato disposto di cui agli artt. 147 della l. n. 89 del 1913, da un lato, e 14 del codice deontologico, quanto al rispetto degli obblighi di chiarezza dell’atto rogato. La Corte di Appello ha altresì ritenuto sanzionabile la condotta, posta in essere dal ricorrente nel suddetto contesto funzionale all’ottenimento di credito in misura superiore a quanto ottenibile, consistita nell’emissione di fatture a soggetto, il venditore, diverso da quello nei cui confronti le fatture avrebbero dovuto essere emesse. Ciò detto non coglie la ratio della decisione ed è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto incontestato che tra le parti dei contratti di compravendita vi fosse stato un accordo ‘simulatorio’ sui prezzi. Il riferimento alla simulazione è atecnico volendosi dalla Corte di Appello sottolineare che il prezzo era determinato in modo ambiguo onde permettere agli acquirenti mutuatari di ottenere prestiti superiori a quelli che altrimenti le banche sarebbero state disposte ad erogare. Identica ragione di inammissibilità vale per la censura di omesso esame di deduzioni
per avere la Corte di Appello affermato che il ricorrente non aveva spiegato per quale altra ragione, se non quella di consentire all’acquirente di accedere ad un credito non erogabile, i venditori si erano fatti carico delle spese laddove invece esso ricorrente aveva prospettato che le ragioni potevano essere le più varie in riferimento agli interessi delle parti e alle caratteristiche dei singoli immobili. La deduzione per cui NOME COGNOME avrebbe dichiarato che l’assunzione delle spese da parte dei venditori era una ‘prassi diffusa nel mercato delle prime case’, adottata allo scopo di consentire all’acquirente di ottenere condizioni di accesso al credito migliori, esprime non una censura ma un elemento rafforzativo della correttezza della decisione. Del pari inammissibile per la stessa ragione è la censura di ‘travisamento di deduzioni per avere la Corte di Appello qualificato come ‘prive di significatività’ le deduzioni di esso ricorrente per cui non vi era alcun mutuo, tra quelli in riferimento ai quali era stato emesso il provvedimento sanzionatorio, che potesse essere qualificato ‘invalido per superamento dei limiti previsti dall’art.38 TUB’. Anche tale censura non attiene alla ratio della decisione. Identica conclusione vale per la censura relativa al fatto che i contratti di compravendita fossero stati conclusi tramite ‘i medesimi mediatori’. È del tutto infondata la censura di apparenza della motivazione della affermazione per cui l’inserimento nei contratti di vendita della clausola secondo la quale le spese erano regolate ‘come per legge’ ossia, ex art. 1475 c.c., erano a carico del compratore, era un’affermazione che, a fronte del fatto che le spese erano a carico del compratore, appariva di ‘scarsa chiarezza’ e la scarsa chiarezza, a sua volta, era indice della fondatezza dell’addebito disciplinare. Il vizio di motivazione apparente, per la costante giurisprudenza di legittimità, ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee
a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (in motivazione Cass. 2767/2023, con richiamo a Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Nel caso il vizio non ricorre essendo ben evidente nella motivazione della sentenza impugnata che la responsabilità disciplinare è stata collegata alla presenza nel testo dei contratti predisposti dal AVV_NOTAIO di previsioni tra loro in contrasto, relative al soggetto tenuto a sostenere le spese della compravendita e del mutuo collegato, con effetto oggettivamente idoneo ad alterare l’entità dei finanziamenti bancari conseguibili dai mutuatariacquirenti rispetto all’entità correlata a criteri prudenziali e quindi, in ultima analisi, oggettivamente idoneo a collidere con l’interesse sotteso all’art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993 e alla delibera Cicr del 22 aprile 1995, e a condurre al pregiudizio proprio di quell’interesse alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito che la disposizione mira a proteggere (v. in tema Sezioni Unite, n.337019 del 16/11/2022). Riguardo alla censura di violazione o falsa applicazione degli artt. 116, comma 1, c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 147, lett. a) e lett. b) della legge n.89/1913 e dell’art. 14, lett. b) del codice deontologico per aver la Corte di Appello confermato il provvedimento sanzionatorio malgrado non vi fosse prova né del fatto che gli accordi tra le parti non fossero stati trasfusi nei contratti stipulati né del fatto che i prestiti erogati con i contratti di mutuo fossero stati superiori al limite dell’art. 38 TUB, si osserva trattarsi di censura inammissibile rispetto alla ratio della decisione. La vendita con spese a carico del venditore ossia con prezzo che ingloba le spese e che consente
all’acquirente mutuatario, di ottenere un mutuo pari al costo integrale dell’acquisto e di evitare di dover ricorrere ad un finanziamento aggiuntivo ordinario per coprire le spese non è operazione illecita essendo invece permessa dall’art. 1475 c.c. ma se, come nel caso di specie, la formula contrattuale non è trasparente ed anzi è resa ambigua così da consentire all’acquirente di ottenere un mutuo non conseguibile, si dà luogo a violazione delle norme disciplinari e deontologiche. La ragione della decisione non è centrata sulla corrispondenza o meno della formula alla volontà dei contraenti né specificamente sull’effettivo conseguimento di mutui superiori ai limiti di legge bensì sulla assenza di chiarezza e sulla conseguente idoneità della formula contrattuale a ledere gli interessi bancari e delle stesse parti. Si osserva che il AVV_NOTAIO, nella sua doppia veste di pubblico ufficiale e di parte del contratto di prestazione d’opera professionale, non è mero recettore della volontà delle parti qualunque essa sia, con la conseguenza che dal punto di vista disciplinare -che qui interessala manifestazione di volontà delle parti non esime il AVV_NOTAIO dall’informare le parti del potenziale pregiudizio che una data manifestazione di volontà può comportare per le stesse parti e dal non rogare atti potenzialmente in contrasto con interessi di terzi o pubblici (quali, specificamente, quello alla prudenziale gestione del credito da parte delle banche finanziatrici). Va infine aggiunto che la Corte di Appello ha esattamente osservato che la contestazione disciplinare era basata anche sul fatto che il AVV_NOTAIO aveva ‘fatturato a soggetti terzi rispetto al contratto, anche in violazione della normativa fiscale’. Ha per la precisione osservato che ‘la fatturazione delle spese del contratto di mutuo al venditore conferma, da un lato, come dette spese siano confluite nell’apparente e maggior corrispettivo della vendita e, dall’altro, la violazione delle norme fiscali (con fatturazione ad un soggetto diverso da chi quegli oneri di fatto aveva sostenuto)’. È pacifico -il
ricorrente stesso deduce che lo sia a pagina 18 del ricorsoche ‘i venditori hanno sempre eseguito i pagamenti in nome proprio’. La violazione sistematica delle norme fiscali, che, posta in essere nel ridetto quadro funzionale all’ottenimento di finanziamenti ‘non altrimenti conseguibili’, di per sé dà luogo a illecito sanzionabile ai sensi della lettera a) e della lettera b) dell’art. 147 della legge professionale in riferimento all’art. 14 del codice deontologico, consiste nel fatto che, ai sensi dell’art 21 del DPR 633/1972, la fattura va emessa nei confronti del soggetto a cui è rivolta la cessione di beni o la prestazione di servizi e che quindi, nel caso di specie, le fatture non avrebbero dovuto essere emesse, in relazione all’attività prestata dal AVV_NOTAIO per il contratto di mutuo, a carico di soggetto -il venditorea cui non era stata rivolta alcuna prestazione.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
7.1. La Corte di Appello, per un verso, ha collegato l’affermazione della ‘sistematicità’ della condotta del ricorrente al numero degli atti (254) compiuti in due anni. È dunque infondata la censura di difetto di motivazione.
La denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c. per non aver la Corte di Appello tenuto conto della non contestazione da parte del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della allegazione per cui i contratti di compravendita e di mutuo di cui trattasi rappresentavano solo il 7% e il 13% del totale degli atti stipulati da esso ricorrente nel 2016 e nel 2017, per un verso, è inammissibile non essendo neppure dedotto come il numero complessivo degli atti rogati, di qualsiasi contenuto, interferisca con la circostanza -tenuta in considerazione dalla Corte di Appello per qualificare disciplinarmente la condotta del ricorrente come reiterata- del numero assoluto (254 in due anni) degli atti, collegati tra loro, specificamente di compravendita immobiliare e di mutuo ipotecario.
È infondata la censura di omesso esame delle risultanze della comunicazione del Presidente del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in data 12 giugno 2018, delle dichiarazioni di NOME COGNOME e dei 37 atti, prodotti da esso ricorrente e stipulati da altri notai di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Trieste, Tolmezzo, Gorizia e Pordenone, da cui, per quanto dedotto dal ricorrente, emergeva che la stipula di mutui fondiari collegati a compravendite con spese a carico dei compratori era un fenomeno diffuso.
La denuncia non rispetta i canoni imposti dalla giurisprudenza della Corte (v. Sez. U, sentenza n . 8053 del 07/04/2014) in punto, segnatamente, di decisività delle ricordate risultanze documentali posto che la dedotta ‘diffusione’ di condotte notarili identiche a quelle sanzionate è priva di quella almeno astrattamente apparente idoneità a ribaltare l’esito della controversia che è indispensabile ai fini dell’ammissibilità della censura. L’esito della controversia è centrato sulla responsabilità individuale del ricorrente, determinativa di discredito per il AVV_NOTAIO e per la categoria e determinativa di concentrazione anticoncorrenziale di atti presso il ricorrente. Una condotta disciplinarmente illecita non perde il carattere di illiceità per il fatto che possa essere stata tenuta anche da uno o più altri notai.
8. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello non ha omesso di pronunciarsi sulla eccezione per cui la condotta consistita nella reiterata stipula dei contratti de quibus e nella reiterata emissione di fatture a soggetti a cui non erano state rese prestazioni, integravano la fattispecie di cui alla lettera a) dell’art. 147 della legge notarie e al contempo la fattispecie di cui all’art. 147, lettera b), della l. notarile, in relazione all’art. 14 del codice deontologico. La Corte di Appello ha infatti (pagina 9 della sentenza) affermato che tali condotte hanno leso gli interessi alla salvaguardia del decoro e prestigio della categoria e
hanno dato luogo alla ‘concentrazione di atti presso lo studio del reclamante agevolata dall’adozione di condotte scorrette’.
Né la Corte di Appello ha illegittimamente disconosciuto il concorso apparente di norme dato che la sussistenza di un concorso apparente di norme disciplinari è escluso se le fattispecie di illecito concorrenti sono in concreto riferibili a condotte articolate come quelle addebitate al ricorrente e suscettive di offendere con diversi profili della loro articolazione interessi diversi quali quelli del decoro della classe notarile e quella della leale concorrenza tra notai. In linea generale la Corte ha già chiarito che è ipotizzabile il concorso tra gli illeciti disciplinari ex lett. a) dell’art. 147 co. 1 l. not. e ex lett. b), con riferimento alla violazione di regole deontologiche (Cass. 3644/2023). Nel caso la Corte di Appello ha ravvisato la concorrenza del pregiudizio alla dignità/reputazione del AVV_NOTAIO e al decoro/prestigio del notariato con il pregiudizio alla correttezza del AVV_NOTAIO nei confronti dei colleghi potenziali concorrenti, per avere il ricorrente tenuto condotte in contrasto con la sicurezza del sistema bancario e con la normativa fiscale e che, come tali non sarebbero state tenute da notai corretti pur a fronte della perdita di clientela. Ineccepibile è pertanto, sul piano del giudizio di legittimità, l’affermazione per cui la condotta lesiva di tali interessi distinti integra illeciti distinti e concorrenti. Il ricorrente evoca l’art. 15 del c.p. La Corte ha già avuto modo di precisare, nella sentenza n.3644/2023, che ‘non è applicabile al concorso di illeciti disciplinari il principio di specialità, così come esso è inteso sulla base dell’art. 15 c.p. dalle Sezioni Unite Penali in relazione alle norme incriminatrici. Cioè: non è applicabile un principio di specialità che assuma come termini di comparazione (per decidere del carattere di specialità di una delle due norme) gli elementi di struttura delle rispettive fattispecie (la raffigurazione legislativa della condotta illecita), senza considerare in modo decisivo – come
viceversa la giurisprudenza civile è consueta rilevare – la funzione delle norme giuridiche di proteggere gli interessi di volta in volta coinvolti (e ritenuti appunto meritevoli di tutela dall’ordinamento). Svolgendo il discorso in termini positivi: nelle ipotesi in cui più norme di illecito disciplinare appaiono, almeno prima facie , tutte applicabili ad un medesimo fatto (concorso di norme), il giudizio di sussistenza di un rapporto tale che solo una di loro si applichi (cosicché il concorso rivesta un carattere apparente) si fonda sul raffronto tra gli interessi che tali norme sono chiamate a proteggere, piuttosto che su una comparazione tra gli elementi strutturali delle fattispecie. Il rilievo decisivo degli interessi tutelati vale sempre, ma si accredita in modo spiccato laddove entrino in gioco illeciti disciplinari a condotta libera, i quali sono diretti ad esercitare un ruolo preventivo nei confronti della determinata categoria di professionisti (a tutela dell’ethos professionale)’.
10. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
In primo luogo, non sussiste alcun vizio di motivazione avendo la Corte di Appello espresso in modo chiaro e non contraddittorio le ragioni per cui ha negato all’allora reclamante le attenuanti generiche: egli aveva commesse un alto numero di violazioni; non poteva ritenersi che la mera cessazione, nel 2018, della reiterazione della prassi negoziale sanzionata integrasse la condotta riparativa di cui all’art. 144 l. notarile.
È inammissibile il tentativo del ricorrente di ottenere una rivalutazione dei presupposti per il riconoscimento delle attenuati generiche, basato sulla allegazione, in questa sede di legittimità, di un elemento di fatto nuovo ossia la ‘incensuratezza’ del ricorrente medesimo.
È infondata la censura per cui la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto ai fini del riconoscimento delle attenuanti della contestazione sollevata, in sede di reclamo, contro l’affermazione contenuta nel provvedimento sanzionatorio per cui la condotta del
ricorrente aveva determinato un’ampia eco mediatica. La Corte di Appello infatti, per un verso, ha osservato che la sanzione disciplinare era adeguatamente commisurata al numero delle violazioni e al conseguente disdoro cagionato alla categoria e, per altro verso, ha sottolineato, correttamente (v. infatti Cass. Sez. 2, Sentenza n.16859 del 13/06/2023) che la ‘concessione di dette attenuanti è discrezionale’.
Il quinto motivo di ricorso va accolto.
La Corte di Appello, condannando il ricorrente al versamento dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. N.115 del 2002 si è posta in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ‘I presupposti per l’applicazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale (c.d. doppio contributo), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 sussistono solo allorché si è in presenza di un giudizio di tipo impugnatorio’ con la conseguenza che va escluso la debenza del predetto importo supplementare nel giudizio, di natura non impugnatoria, di reclamo innanzi alla Corte di appello avverso il provvedimento disciplinare assunto nei confronti di un AVV_NOTAIO da una RAGIONE_SOCIALE regionale di disciplina (Cass. 5461/2021).
8.In conclusione, va accolto il quinto motivo e vanno rigettati gli altri quattro motivi, l ‘ ordinanza impugnata va cassata in riferimento al motivo accolto e, nel merito, va dichiarato non dovuto, in relazione al rigetto del reclamo, l’ulteriore importo previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Le spese del processo sono compensate in ragione dell’accoglimento del solo quinto motivo di ricorso.
PQM
la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi, cassa l’ordinanza impugnata in riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non dovuto, in relazione al rigetto
del reclamo, l’ulteriore importo previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002; compensa le spese.
Roma 3 ottobre 2024.
Il Consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME