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Responsabilità direttori: sanzioni e onere prova

Un ex membro del comitato direttivo di un istituto bancario ha impugnato una sanzione di 45.000 euro inflitta dall’autorità di vigilanza per violazione delle norme sui rischi finanziari. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la piena responsabilità dei direttori anche senza deleghe operative dirette. La sentenza stabilisce che il dovere di “agire informati” è sufficiente a fondare la responsabilità. Inoltre, chiarisce che a tali sanzioni amministrative si applica il principio del “tempus regit actum” e non quello della legge più favorevole (lex mitior), e che l’onere di provare l’assenza di colpa grava sul soggetto sanzionato.

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Responsabilità Direttori: la Cassazione sui Doveri di Vigilanza e l’Onere della Prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di diritto societario e bancario, delineando con precisione i confini della responsabilità dei direttori anche quando privi di deleghe operative. La pronuncia chiarisce la portata del dovere di vigilanza, la natura delle sanzioni amministrative e le regole sull’onere della prova, offrendo spunti fondamentali per gli operatori del settore.

I fatti del caso: la sanzione e l’opposizione

Il caso trae origine da una sanzione pecuniaria di 45.000 euro irrogata dalla Banca d’Italia a un ex componente del Comitato Direttivo di un importante gruppo bancario. La contestazione riguardava la violazione della normativa prudenziale per il contenimento dei rischi finanziari. L’interessato proponeva opposizione, sostenendo di aver partecipato al Comitato solo in qualità di direttore generale di una banca controllata e, pertanto, di essere privo di poteri gestori diretti all’interno della capogruppo, non potendo quindi essere ritenuto responsabile delle violazioni. Sia il tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le sue difese, spingendolo a ricorrere per cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e la responsabilità direttori

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito e consolidando importanti principi sulla responsabilità direttori. I motivi di ricorso vertevano principalmente su tre aspetti: l’errata interpretazione dei regolamenti interni e dei poteri del comitato, la natura della sanzione e l’inversione dell’onere della prova.

Il dovere di “agire informati”

La Corte ha stabilito che, anche in assenza di deleghe esecutive, i componenti di un organo strategico come il Comitato Direttivo non sono esonerati da responsabilità. La loro funzione non è meramente passiva, ma implica un compito di vigilanza attiva. Citando l’art. 2381 del codice civile, applicabile anche ai consiglieri non muniti di delega, la Cassazione ha ribadito che la responsabilità scaturisce dalla violazione del dovere di “agire informati”. Questo significa che ogni direttore deve acquisire costantemente una conoscenza adeguata delle scelte gestionali strategiche per poterle monitorare efficacemente e, se necessario, intervenire.

Sanzioni amministrative vs. penali: il principio del “tempus regit actum”

Un altro punto centrale del ricorso riguardava l’applicabilità della lex mitior, ovvero della legge successiva più favorevole. Il ricorrente sosteneva che la sanzione avesse natura “sostanzialmente penale”, il che avrebbe imposto l’applicazione di una normativa successiva più vantaggiosa. La Corte ha rigettato questa tesi, affermando che le sanzioni previste dal Testo Unico Bancario per carenze organizzative non hanno natura penale. Analizzando i “criteri Engel” (qualificazione giuridica interna, natura dell’illecito, gravità della sanzione), i giudici hanno concluso che, pur avendo una funzione deterrente, queste sanzioni non possiedono un’afflittività tale da essere equiparate a quelle penali. Di conseguenza, si applica il principio generale degli illeciti amministrativi, il tempus regit actum, secondo cui vale la legge in vigore al momento della commissione del fatto.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una duplice analisi. Da un lato, l’interpretazione del regolamento interno della banca, che attribuiva al Comitato Direttivo il compito di “presidiare costantemente” lo sviluppo delle iniziative strategiche. Questo, secondo la Corte, non è un mero passaggio di informazioni, ma un vero e proprio dovere di vigilanza attiva. Dall’altro, un’analisi fattuale basata sui verbali delle riunioni, che dimostravano come il Comitato avesse esercitato in concreto funzioni gestorie di natura strategica, discutendo di questioni decisive come i prezzi dei prodotti finanziari e la gestione della liquidità. La Corte ha inoltre confermato la correttezza del principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui nelle sanzioni amministrative la colpa è presunta ai sensi dell’art. 3 della L. 689/1981. Spetta quindi al soggetto incolpato dimostrare di aver agito senza colpevolezza, fornendo la prova di un errore scusabile o di cause di forza maggiore, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per la governance societaria: la responsabilità dei direttori non è limitata solo a chi detiene poteri esecutivi. Tutti i membri di organi apicali hanno un inderogabile dovere di informazione e vigilanza attiva sulle strategie aziendali. La sentenza consolida inoltre la distinzione tra illecito amministrativo e penale nel contesto delle sanzioni bancarie, confermando che per i primi vige il principio del tempus regit actum e la presunzione di colpevolezza, con un conseguente onere probatorio a carico del sanzionato.

Un membro di un comitato direttivo senza deleghe operative dirette è comunque responsabile per violazioni normative?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità sorge dalla violazione del dovere di “agire informati”, ovvero di conseguire una conoscenza adeguata delle scelte gestionali strategiche per poterle monitorare, anche in assenza di deleghe esecutive dirette.

Alle sanzioni amministrative della Banca d’Italia si applica la legge successiva più favorevole (lex mitior)?
No. La Corte ha escluso la natura sostanzialmente penale di queste sanzioni, basandosi sulla loro tipologia, severità e incidenza patrimoniale. Pertanto, non si applica il principio della lex mitior, tipico del diritto penale, ma il principio del tempus regit actum, secondo cui si applica la legge in vigore al momento della commissione dell’illecito.

In un procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia, chi deve provare la colpa o l’assenza di colpa?
La colpa è presunta. In base all’art. 3 della L. n. 689 del 1981, una volta che l’autorità amministrativa ha provato la condotta illecita, grava sul soggetto sanzionato l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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