Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7141 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7141 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26924 – 2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME e associati, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura della banca, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 576/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 27/1/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 576/2020, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso la delibera sanzionatoria n. 180/2013, adottata dal Direttorio della Banca d’Italia in data 28.03.2013, con cui era stata a lui inflitta una sanzione per Euro 45.000, ex art. 144 del d.lgs. n. 385/1993, in qualità di ex componente del Comitato Direttivo di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., per violazione dell’ art. 53, comma 1, lett. b d.lgs. n. 385/1993, Tit. II, cap. 4, Tit. V, cap. 2 delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, circolare 263 del 2006, comunicazione Banca d’Italia del 10/12/2007, bollettino di vigilanza n. 12/2007, cioè della normativa a contenimento dei rischi finanziari.
Per quel che qui ancora rileva, rigettando l’opposizione, la Corte d’appello ha interpretato il Regolamento della Banca e ha statuito che l’opponente , per la sua funzione di componente del Comitato direttivo, pur in mancanza di deleghe, fosse comunque responsabile delle violazioni contestategli perché componente di un organo di rilievo strategico; ha escluso, quindi, la violazione dei principi del contraddittorio e l’illegittimità della previsione dell’art. 2 comma 3 del d.lgs. 72/2015 che ha limitato l’applicabilità della nuova disciplina alle sanzioni commesse dopo l’entrata in vigore del decreto stesso , confermando, in merito, la fondatezza delle contestazioni.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi, illustrati da successiva memoria; la Banca d’Italia ha resistito con controricorso. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod civ., per avere la Corte di merito erroneamente interpretato il regolamento interno all’Istituto e, in conseguenza, ricostruito non correttamente i compiti del Comitato direttivo di cui egli era componente, soltanto quale direttore generale di Biverbanca s.p.a.. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe vi olato il canone fondamentale di interpretazione letterale, trascurando la chiara formulazione del Regolamento e avrebbe erroneamente ritenuto, dai verbali delle riunioni, che il Comitato avesse esercitato funzioni gestorie di fatto.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2392 e 2381 cod civ., per avere la Corte di merito esteso ai componenti del Comitato, seppure privi di poteri gestori, le responsabilità dei componenti il Consiglio di amministrazione , riconoscendo, in forza dei verbali, l’esercizio in fatto di funzioni di natura gestoria, pur in mancanza dei requisiti fondamentali della sistematic ità e dell’ingerenza .
Entrambi i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
COGNOME ha sottolineato che egli partecipava alle riunioni del Comitato direttivo soltanto in quanto direttore generale della banca controllata Biver e, pertanto, limitatamente agli aspetti di interesse, al
solo fine, cioè, di apprendere le decisioni assunte dai vertici della capogruppo e procedere alla conseguente implementazione della banca rappresentata, senza esercitare alcuna attività di direzione o orientamento strategico nella Montepaschi di Siena, né intrattenere alcun rapporto rilevante ex art. 144 t.u.b..
La Corte d’appello, decidendo , alle pagine da 14 a 23, sui motivi di opposizione concernente la non imputabilità delle violazioni a COGNOME quale componente del Comitato direttivo, ha rimarcato che quest’organo risultava invece, nella stessa disciplina del Regolamento, quale organo di rilievo strategico che assommava poteri apicali nelle scelte gestionali fondamentali della banca, dovendo, tra gli altri compiti, «presidiare costantemente lo sviluppo delle iniziative tese al conseguimento degli obiettivi strategici di gruppo e conoscere tutte le aziende che del gruppo facevano parte», intendendosi il «gruppo» soprattutto in funzione economica; ha ritenuto, quindi, che il Comitato direttivo non fosse, come sostenuto dall’opponente, un mero veicolo di informazioni, ma l’organo a stretto contatto con il Direttore generale che vi partecipava e con lo stesso Consiglio di amministrazione tutto, essendo perciò tenuto a conoscere gli indirizzi strategici del gruppo e a seguirne la correttezza della concreta attuazione.
La Corte territoriale ha, poi, verificato in concreto che le funzioni gestorie hanno assunto carattere di sistematicità e completezza avendo investito un ampio ventaglio di questioni di impatto decisivo per la banca, quali i prezzi finali dei prodotti finanziari da collocare sul mercato al fine di raggiungere gli obiettivi di budget del 2010, le rettifiche sul credito e tutte le problematiche inerenti alla liquidità nel secondo semestre 2011; tanto , la Corte d’appello ha concluso sulla base dell’analisi dei verbali delle sedute, prodotti dallo stesso ricorrente e comunque esaminati nella proposta.
Ciò posto, innanzitutto, come proprio prospettato dallo stesso ricorrente, l’interpretazione del Regolamento della MPS, seppure assoggettato alle indicazioni strutturali prescritte per tutti gli Istituti di credito, resta un atto di natura privata e, come tale, la sua interpretazione è demandata al Giudice di merito, i cui accertamenti e valutazioni sono censurabili soltanto sotto il profilo della violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale e dei vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
In tal senso, la censura non spiega perché l’interpretazione della Corte d’appello non sarebbe plausibile : il ricorrente, sul punto, si è limitato a riprodurre il testo del Regolamento 1 della banca capogruppo, recante le norme della sua organizzazione e, in particolare, l’art. 4 .2, già esaminato dalla Corte territoriale.
Ebbene, proprio la formulazione letterale dell’articolo del Regolamento conferma la corretta interpretazione resa nella sentenza impugnata, se si considera l’utilizzo del sintagma « presidiare costantemente» quale compito del Comitato esecutivo: «presidiare» significa, infatti, proprio vigilare allo scopo di difendere e l’avverbio «costantemente» qualifica come stabile e assidua questa funzione di vigilanza; quale oggetto della vigilanza costante al fine di difesa, poi, è individuato, testualmente, «lo svolgimento delle iniziative tese al conseguimento degli obiettivi strategici di Gruppo e delle Banche reti».
Questa Corte, peraltro, ha già condiviso questa interpretazione delle funzioni del Comitato esecutivo nella sentenza n. 28325 del 2024.
Lo svolgimento di questi specifici ambiti di vigilanza attiva è stata, inoltre, riscontrata dalla Corte territoriale anche in fatto, dal contenuto dei verbali delle riunioni del Comitato direttivo come prodotti dallo stesso ricorrente con l’opposizione: i n particolare, in sentenza è rimarcato che le infrazioni contestate erano tutte relative ad operazioni di notevole rilievo strategico per l’attività sociale e tutte
di differente natura, con riferimento a profili di rischio finanziario, a profili organizzativi infrastrutturali e di controllo e a processi di rilevazione dell’attivo a rischio; molte di queste operazioni erano, inoltre, strategiche per il contenuto innovativo e maggiormente rischioso rispetto al profilo identitario del gruppo e pertanto non sostenibili con gli usuali strumenti di governo e controllo e venivano poste in essere in un contesto di grave crisi finanziaria, in specie a partire dalla seconda metà del 2011: all’esame del Comitato direttivo erano state portate, infatti, «questioni di impatto decisivo per la banca, quali i prezzi finali dei prodotti finanziari del 2010 da collocare sul mercato per raggiungere gli obiettivi di budget o le rettifiche del credito o tutte le problematiche relative alla liquidità del secondo semestre 2011».
In tal senso, il riscontro dell’esercizio in fatto , con sistematicità e completezza, di poteri gestori costituisce un giudizio di merito non sindacabile da questa Corte a cui è precluso il riesame dei fatti, sicché rispetto a questa valutazione le censure risultano inammissibili.
L’individuazione degli specifici compiti di vigilanza attiva implica, quale conseguenza, che i componenti del comitato direttivo, quali il ricorrente, non possano essere esonerati da responsabilità soltanto perché non incaricati di compiti direttamente esecutivi: come per i componenti del c.d.a. non muniti di delega, infatti, la responsabilità consegue alla violazione del dovere di «agire informati», cioè di conseguire costantemente una conoscenza adeguata delle scelte gestionali strategiche per poterle monitorare, ex art. 2381 ultimo comma cod. civ. (cfr. Cass. 28325/24 cit., 15585/2022, 24851/2019, 5606/2019 per i consiglieri non muniti di delega).
La Corte d’appello ha proprio richiamato questi principi, applicandoli al caso in esame.
3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc.civ., COGNOME ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 EDU e della l. n. 262 del 2005; la Corte d’appello avrebbe illegittimamente negato la violazione dei principi di contraddittorio e, in ogni caso, nel giudizio ex art. 145 t.u.b., avrebbe ulteriormente violato il principio della c.d. full jurisdiction non ammettendo alcuna delle istanze istruttorie da lui avanzate (c.t.u., prove testimoniali, esibizione di documenti).
3.1. Il motivo è infondato. Innanzitutto, quanto alla prova per testi, correttamente la Corte d’appello ne ha escluso l’ammissibilità, atteso che le circostanze dedotte, come riportate in ricorso, implicano giudizi preclusi ai testi: né l’interpretazione del Regolam ento né l’osservanza dei doveri imposti dalla funzione avrebbero potuto, infatti, essere rimesse alla loro valutazione.
Quanto al procedimento amministrativo, la Corte d’appello ha correttamente richiamato i principi già stabiliti da questa Corte, secondo cui il procedimento sanzionatorio davanti alla Banca d’Italia non viola il diritto di difesa dell’incolpato, atteso che, sebbene l’art. 24, comma 1, della l. n. 262 del 2005 disponga che «i procedimenti sanzionatori sono svolti nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione, nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie», è tuttavia esclusa la diretta applicabilità, in tale ambito, dei precetti costituzionali degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU , invocabili solo con riferimento al processo che si svolge davanti al giudice, innanzi al quale l’incolpato può impugnare il provvedimento sanzionatorio con piena garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio (Cass. Sez. 2, n. 9371 del 21/05/2020; Sez. 2, n. 16517 del 31/07/2020). In particolare, è stato perciò esclusa la necessità della comunicazione all’incolpato della proposta di irrogazione delle sanzioni (cfr. Cass. n. 24723 del
08/10/2018), essendo sufficiente che al Direttorio siano rimesse le difese scritte e i verbali delle dichiarazioni rilasciate dall’incolpato, ove lo stesso chieda di essere sentito personalmente; l’applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. deve essere esclusa in quanto tali norme riguardano solo il giudizio e non il procedimento amministrativo, come precisato da Cass. n. 27038 del 03/12/2013, valorizzando il precedente delle Sezioni Unite n. 20935 del 30/09/2009, l’incompleta equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola né la Costituzione né l’art. 6 della Convenzione perché il provvedimento sanzionatorio è impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e che conosce dell’opposizione in un procedimento che garantisce il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (Cass. n. 4725 del 10/03/2016; Cass. 16517/2020 cit.).
Lo stesso è a dirsi per la violazione del diritto di conoscenza degli atti istruttori: l’art. 24 comma 2 l. 241/1990 prevede che le pubbliche amministrazioni possano individuare i documenti da esse formati che siano sottratte al diritto di accesso, perché riconducibili all’esercizio della vigilanza informativa e ispettiva esercitata e, perciò riservati; a ciò si aggiunga che, per principio statuito da questa Corte, non viola il diritto di accesso il rifiuto dell’ostensione di documenti secondari, acquisiti nel corso dell’ispezione e che non siano stati utilizzati dall’amministrazione per fondare gli addebiti, quando neppure astrattamente la loro messa a disposizione risulti funzionale a garantire il diritto di difesa del ricorrente (cfr. in materia di sanzioni CONSOB, Cass. Sez. 2, n. 29745 del 12/10/2022).
4. Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 CDFUE per mancata disapplicazione dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72 del 2015 nella parte
in cui ha previsto che le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applichino alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 196-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, mentre alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo; in subordine il ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 cit. in relazione all’art. 117 Cost in relazione all’art 7 della Convenzione EDU e 49 della CDFUE .
Più dettagliatamente, il ricorrente ha sostenuto che il d.lgs. 12 maggio 2015 n.72, che costituirebbe legge più favorevole, sarebbe illegittimo nella parte in cui ha limitato la sua applicazione alle sole violazioni successive alla data della sua entrata in vigore, sicché il relativo art. 6 comma 2 avrebbe dovuto essere disapplicato per contrarietà all’art. 49 della Carta di Nizza , non potendosi dubitare del carattere sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate con il provvedimento impugnato.
4.1. Il motivo è infondato. Come pure riportato nella pagina 10 della sentenza impugnata, per giurisprudenza consolidata di questa Corte innanzitutto deve essere esclusa la natura penale delle sanzioni per cui è giudizio: le sanzioni previste dall’art. 144 t.u.b. per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-ter TUF per manipolazione del mercato e non hanno, perciò, natura sostanzialmente penale né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate
ai processi penali dall’art. 6 CEDU (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, COGNOME e altri c. Italia).
Questa Corte ha già rimarcato in più pronunce che è vero che i «criteri Engel» per la qualificazione di una sanzione sono alternativi e non cumulativi, ma è parimenti vero che «ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”» (Grande Stevens, punto 94).
Nel caso in esame, pertanto, è stato considerato che il criterio della qualificazione della sanzione, nel sistema nazionale, come amministrativa non offre un risultato univoco, giacché, la sanzione è sì posta a tutela di interessi generali (la tutela del credito e del risparmio) e ha una funzione non soltanto ripristinatoria ma anche deterrente, ma risulta altresì destinata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione o i dipendenti delle banche e degli altri intermediari di cui al testo unico bancario), con conseguente limitazione della generalità della portata della norma; la valutazione dell’afflittività, poi, non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma deve necessariamente essere rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce.
Ciò precisato, può, pertanto, affermarsi che, considerate le caratteristiche delle sanzioni previste dall’ordinamento del credito e della finanza, cioè le sanzioni penali finanche detentive, nonché le sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di euro, una sanzione pecuniaria compresa, come quella applicabile ratione temporis , tra il minimo edittale di Euro 2.580 ed il massimo edittale di Euro 129.110, non corredata da sanzioni accessorie né da confisca, non sia connotata
da una afflittività così spinta da trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale (Cass. Sez. 2, n. 16517/2020 cit., con indicazione di numerosi precedenti).
Per queste considerazioni, è stata correttamente esclusa l’operatività del principio di retroattività della lex mitior , con conseguente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72 del 2015, per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost., nella parte in cui tale norma non prevede l’applicazione a tali sanzioni del principio del favor rei , non sussistendo una regola generale di applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi (Cass. n. 17209 del 18/08/2020) per i quali opera invece, in assenza di specifica deroga normativa, il distinto principio del tempus regit actum .
5. Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha infine denunciato l’incompatibilità dell’art. 3 l. n. 689 del 1981 con l’art. 48 della Carta europea su diritti fondamentali e chiesto di sollevare sul punto questione pregiudiziale alla CGUE o questione di legittimità costituzionale dell’articolo.
5.1. Il motivo è inammissibile in ogni suo profilo perché la Corte d’appello ha deciso in conformità con il principio consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia, ex art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993, nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni, incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso: il giudizio di colpevolezza è, in conseguenza, ricollegato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito è limitato
all’accertamento della suità della condotta inosservante sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della l. n. 689 del 1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass. Sez. 2, n. 9546 del 18/04/2018; Sez. 2, n. 24081 del 26/09/2019; Sez. 2n. 16517 del 31, /07/2020).
Nella specie, pertanto, correttamente la Corte d’appello ha posto a carico dell’incolpato quest’onere e, nella specie, ha escluso che sia stato adempiuto.
Le stesse considerazioni sulla natura amministrativa della sanzione valgono ad escludere la necessità di un rinvio alla CGUE, così come è escluso un dubbio di costituzionalità.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di Banca d’Italia , liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di Banca d’Italia , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda