Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6488 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
R.G.N. 769/20
C.C. 25/02/2025
Contratto prestazione d’opera professionale -Direttore lavori appalto -Risarcimento danni sul ricorso (iscritto al N.R.G. 769/2020) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: LMN GNN 40L04 H501N), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO ha eletto domicilio;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3503/2019, pubblicata il 23 maggio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 23 febbraio 2011, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Velletri (Sezione distaccata di Frascati), COGNOME Giovanni, al fine di sentire pronunciare la risoluzione del contratto di appalto relativo ai lavori di miglioramento strutturale di alcuni elementi dell’immobile di proprietà dell’attore, sito nel centro storico del Comune di Colonna, INDIRIZZO affidati alla ditta COGNOME Angelo, per inadempimento del direttore dei lavori, con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni sullo stesso gravanti, nella misura di euro 260.000,00 o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, ovvero -in subordine -a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Si costituiva in giudizio Limoni RAGIONE_SOCIALE, il quale -eccepita la nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendi -chiedeva, nel merito, il rigetto della domanda, in ragione a) della decadenza e prescrizione del diritto azionato, b) dell’impossibilità sopravvenuta del direttore dei lavori di portare avanti il proprio incarico, a causa di un impedimento nell’accesso al cantiere frapposto dalla ditta appaltatrice, c) della necessità della redazione di nuovi progetti a seguito dell’autonoma iniziativa di demolizione dei solai e di smontaggio del tetto ligneo assunta dalla ditta appaltatrice. In via riconvenzionale, eccepiva la compensazione con un proprio credito risultante da titolo giudiziale per euro 12.489,20 e domandava la condanna al pagamento della somma di euro 50.000,00, oltre accessori, a titolo di compenso per la prestazione professionale resa.
Con la prima memoria integrativa l’attore chiedeva, in via riconvenzionale, che il convenuto fosse condannato al pagamento, in proprio favore, della somma di euro 30.000,00, a titolo di inadempimento del contratto di locazione dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 449/2015, depositata l’11 febbraio 2015, disattesa l’eccezione di nullità della citazione, dichiarava l’inammissibilità della reconventio reconventionis spiegata dall’attore, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del convenuto in ordine alla domanda di risoluzione del contratto d’appalto per grave inadempimento del direttore dei lavori e rigettava la domanda di risarcimento danni proposta verso il direttore dei lavori, in ragione della prescrizione della relativa azione.
2. -Con atto di citazione notificato il 4 settembre 2015, NOME NOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure e, all’uopo, lamentava: 1) la nullità della sentenza impugnata in ordine alla decisione di una questione che non aveva costituito oggetto di discussione tra le parti e segnatamente con riferimento alla qualificazione giuridica dell’azione intrapresa contro il direttore dei lavori quale azione di responsabilità contrattuale a titolo professionale, anziché quale azione di responsabilità extracontrattuale per rovina o difetto di cosa immobile ex art. 1669 c.c.; 2) l’omessa pronuncia sul dedotto inadempimento del direttore dei lavori, tale da giustificare la sua responsabilità anche contrattuale e il conseguente risarcimento dei danni; 3) l’erronea affermazione dell’intervenuta prescrizione del diritto risarcitorio rivendicato, muovendo da un dies a quo non correttamente
individuato, coincidente con la scoperta dei vizi e, quindi, con la consapevolezza dell’inadempimento del professionista; 4) l’indebita condanna alla rifusione delle spese di lite.
Si costituiva in giudizio COGNOME Giovanni, il quale instava per la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione ovvero per il suo rigetto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, respingeva l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti quale contratto d’opera intellettuale e dell’azione all’esito intrapresa, soggetta a prescrizione decennale, non implicava la necessità di riesaminare i fatti dedotti, né rendeva rilevanti fatti non dedotti, sicché il giudice era libero di decidere senza avere previamente sentito le parti; b ) che, inoltre, le parti avevano discusso in ordine alla decorrenza della prescrizione decennale, così confrontandosi sugli effetti scaturenti dalla qualificazione del rapporto come prestazione d’opera intellettuale; c ) che la possibilità di estendere al direttore dei lavori la responsabilità ex art. 1669 c.c. si configurava nella sola ipotesi in cui si fosse fatto valere un inadempimento concorrente dell’appaltatore e del direttore dei lavori, nel senso che le condotte di entrambi, seppure diverse, avessero contribuito alla produzione dell’evento da nnoso, mentre, nella fattispecie, il committente aveva dedotto l’esclusiva responsabilità del direttore dei lavori -per aver imposto all’appaltatore l’esecuzione dell’opera in maniera difforme dal
progetto -, senza evidenziare profili di corresponsabilità di quest’ultimo, sicché si verteva in tema di inadempimento del contratto di prestazione d’opera, con la conseguente applicazione della prescrizione decennale; d ) che, a fronte dell’accertata estinzione del diritto al risarcimento del danno per intervenuta prescrizione, era inutile l’accertamento nel merito della fondatezza della pretesa risarcitoria; e ) che, nel contestare il dies a quo del termine prescrizionale, non era stata articolata alcuna specifica censura avverso il passo della motivazione in cui, richiamando le deposizioni rese dai testi NOME e COGNOME NOME nonché le risultanze documentali, era specificato che il committente era venuto a conoscenza dell’esecuzione delle opere in difformità rispetto al progetto fra il mese di settembre 1999 (data di sospensione dei lavori, di cui era stata data informativa al committente) e il mese di dicembre 1999 (data di interdizione dell’ingresso al cantiere e di sospensione dell’incarico nei confronti del direttore dei lavori), difformità denunciate soltanto con lettera del 22 febbraio 2010 e, quindi, dopo dieci anni.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, NOME NOMECOGNOME
Ha resistito, con controricorso, l’intimato RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente occorre rilevare che, a fronte della comunicazione del decesso del ricorrente, avvenuto in data 20 ottobre 2021 (come da relativo certificato di morte allegato), non opera alcun effetto interruttivo del giudizio di legittimità.
Infatti, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità (dominato dall’impulso d’ufficio), non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30855 del 02/12/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 26544 del 11/10/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3195 del 05/02/2024; Sez. L, Sentenza n. 1757 del 29/01/2016; Sez. 3, Sentenza n. 24635 del 03/12/2015; Sez. 1, Sentenza n. 22624 del 31/10/2011).
2. -Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento, con violazione dell’art. 101 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che nessuna necessità di rimettere la questione alla specifica disamina delle parti prima della decisione vi fosse in ordine al rilievo della carenza di legittimazione passiva del convenuto, come accertato dalla sentenza di prime cure, in ragione dell’applicabilità nella fattispecie delle conseguenze relative al contratto di prestazione d’opera professionale e non della normativa sulla responsabilità per rovina di edifici ex art. 1669 c.c.
Obietta l’istante che sarebbe stata, invece, necessaria la concessione di un termine per meglio illustrare al giudice il motivo per cui la responsabilità del direttore dei lavori per i danni causati dalla cattiva esecuzione delle lavorazioni ricadesse in un regime giuridico differente dal rapporto di prestazione d’opera professionale e dalla stessa disciplina ordinaria della
responsabilità extracontrattuale, con le conseguenze che ne sarebbero derivate sui termini di decadenza e prescrizione.
Rileva, ancora, il ricorrente che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittimati passivamente sarebbero stati tutti coloro che avessero concorso alla produzione del danno, sicché la responsabilità ivi configurata sarebbe stata estensibile anche al progettista nonché al direttore dei lavori.
2.1. -Il motivo è infondato.
Ed infatti la locuzione ‘questione rilevata d’ufficio’, di cui all’art. 101, secondo comma, c.p.c., deve intendersi riferita alle questioni -siano esse di fatto o miste di fatto e diritto -che implichino la valorizzazione di circostanze modificative del quadro fattuale non valutate dalle parti (Cass. Sez. U, Sentenza n. 30883 del 03/12/2024; Sez. 3, Sentenza n. 822 del 09/01/2024; Sez. L, Ordinanza n. 35974 del 22/11/2021).
Sicché il giudice ha il potere-dovere di interpretare e qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti, senza alcun previo filtro, a condizione che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano o si pongano, comunque, in relazione di continenza con quelli allegati nell’atto introduttivo.
Nella fattispecie si è appunto ritenuto, conformemente a tali precetti, in primis che -non avendo agito il committente nei confronti dell’appaltatore non avrebbe potuto richiedersi la risoluzione dell’appalto verso il direttore dei lavori e, in secondo luogo, che il risarcimento dei danni chiesto nei confronti del solo direttore dei lavori dovesse essere inquadrato, sulla scorta degli addebiti evidenziati dal committente, nell’ambito della sua
responsabilità professionale per violazione degli obblighi che conseguono alla conclusione di un contratto d’opera.
Ed invero tra l’appaltante e il direttore dei lavori ricorre un rapporto d’opera professionale, l’unico fatto valere nella specie.
Segnatamente nelle obbligazioni del direttore dei lavori rientrano l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, che delle modalità esecutive al capitolato e alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti gli accorgimenti per evitare difetti costruttivi, cosicché incorre in responsabilità il professionista che ometta di vigilare e impartire le opportune disposizioni al riguardo, di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in mancanza, di riferire al committente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27045 del 18/10/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 9572 del 09/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 39448 del 13/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10728 del 24/04/2008; Sez. 2, Sentenza n. 15124 del 28/11/2001).
Ora, la responsabilità dell’appaltatore e del progettista direttore dei lavori prescelto dal committente derivano da due distinti contratti, essendo governate l’una dal rapporto di appalto, l’altra dal contratto d’opera professionale. Soltanto in parte coincide il contenuto delle sanzioni che a quella responsabilità fanno capo, perché al progettista direttore il committente può richiedere il rimborso del danno ed eventualmente la correzione del progetto, mentre all’appaltatore può chiedere l’eliminazione de i difetti dell’opera o la riduzione del prezzo e, in certi casi, la risoluzione del contratto, di guisa che il risarcimento assume un
valore soltanto integrativo dei rimedi concessi in via principale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2887 del 06/09/1968).
Senonché, avendo il committente agito contro il solo direttore dei lavori per far valere le sue inadempienze, correttamente l’azione, con cui la parte ha appunto fatto valere la responsabilità del direttore dei lavori per inadempienza ai suoi doveri di vigilanza sull’esecuzione delle opere a perfetta regola d’arte e sull’impiego di materiali idonei (sull’addebito ai singoli soggetti evocati dei fatti specifici causativi di puntuali e distinti eventi dannosi, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26736 del 15/10/2024; Sez. U, Sentenza n. 13143 del 27/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 1842 del 28/01/2021; Sez. 3, Sentenza n. 20192 del 25/09/2014), è stata reputata inerente alla prestazione d’opera professionale del direttore dei lavori, come tale soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti per il contratto d’opera, e non a quelli stabiliti per far valere la responsabilità dell’appaltatore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3608 del 06/08/1977).
Cosicché l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili, avente natura extracontrattuale, avrebbe presupposto che il committente avesse evocato in giudizio, a titolo di concorso con l’appaltatore che avesse costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione del bene, avessero contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei l avori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione (Cass. Sez. 2, Sentenza n.
17874 del 23/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 19868 del 15/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 3406 del 16/02/2006).
Mentre l’appaltatore non è stato affatto evocato in causa.
3. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1667 e 1669 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente effettuato la ricognizione della fattispecie concreta nella pertinente categoria giuridica, desumendo dal riferimento alla decorrenza di una prescrizione decennale il fatto che il committente avesse inteso evocare la responsabilità del direttore dei lavori in forza del concluso contratto d’opera professionale, benché anche l’azione ex art. 1669 c.c. richiamasse il termine decennale.
Osserva l’istante che nel giudizio di prime cure -non aveva contestato l’avvenuta imposizione del direttore dei lavori all’appaltatore dell’esecuzione dei lavori in difformità dal progetto, bensì l’omissione di alcune incombenze che facevano carico al direttore dei lavori nella sorveglianza delle opere e nell’accertamento della conformità della progressione dei lavori alle prescrizioni contrattuali e alle regole dell’arte, oltre che nel controllo dei materiali impiegati.
3.1. -Il motivo è infondato.
Si premette che il termine di dieci anni dal compimento dell’opera per l’insorgenza della carenza costruttiva, ai sensi dell’art. 1669 c.c., ha natura sostanziale e non ricade negli istituti della decadenza o della prescrizione, determinando piuttosto la durata del rapporto che deriva dall’attuazione dell’intervento programmato e, dunque, rappresentando un elemento costitutivo
della fattispecie (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31301 del 10/11/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 25435 del 26/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 19823 del 19/09/2014).
Tanto chiarito, la contestazione svolta nei confronti del direttore dei lavori circa l’omissione dei doveri che sullo stesso sarebbero ricaduti non può che rientrare (sia che si tratti di imposizione di contegni difformi dalle prescrizioni negoziali e dalle regole dell’arte, sia che si tratti di omessa vigilanza sull’operato dell’appaltatore), secondo quanto anzidetto scrutinando la prima doglianza, negli inadempimenti che conseguono alla conclusione del contratto d’opera professionale, con la conseguente riconduzione della sua responsabilità nell’ambito di quella contrattuale.
4. -Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale omesso di pronunciarsi, sulla scorta della valutazione delle prove, sull’individuazione della decorrenza dei termini prescrizionali e sulla delimitazione dei vizi di costruzione, ai fini di accertare se essi fossero immediatamente riconoscibili a cura del committente o se la loro conoscenza presupponesse lo svolgimento di una perizia effettuata ad hoc .
Deduce l’istante che il momento storico a cui far risalire la rinuncia all’incarico relativo alla prestazione d’opera del direttore dei lavori e la riconoscibilità dei vizi non avrebbe potuto essere desunto dalle prove testimoniali raccolte, ma avrebbe richiesto una prova di tipo documentale, tra cui avrebbe dovuto essere
valutata la missiva del 21 marzo 2002, inviata dalla ditta appaltatrice al committente, di invito al pagamento del saldo, in quanto gli acconti erano stati corrisposti sino al 15 giugno 2000, il che avrebbe presupposto che, almeno sino a tale ultima data, i lavori fossero stati svolti sotto le direttive del Limoni e che i contrasti sull’esecuzione dei lavori fossero insorti dopo tale data.
Né sarebbe emerso alcun criterio certo di ponderazione della riconoscibilità di detti vizi.
4.1. -Il motivo è infondato.
Sul punto la sentenza impugnata ha evidenziato che l’appellante non aveva svolto alcuna contestazione specifica avverso il rilievo del Tribunale secondo cui, alla stregua delle deposizioni rese dai testi NOME e COGNOME NOME nonché delle risultanze documentali, era emerso che il committente era venuto a conoscenza dell’esecuzione delle opere in difformità rispetto al progetto fra il mese di settembre 1999 (data di sospensione dei lavori, di cui era stata data informativa al committente) e il mese di dicembre 1999 (data di interdizione dell’ingresso al cantiere e di sospensione dell’incarico nei confronti del direttore dei lavori), difformità denunciate soltanto con lettera del 22 febbraio 2010.
Nei termini anzidetti la doglianza postula una rivalutazione degli accertamenti in fatto, che non può essere svolta in questa sede (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In secondo luogo, correttamente la decorrenza del termine ordinario di prescrizione è stata fatta risalire al momento in cui il committente ha avuto conoscenza delle asserite difformità nell’esecuzione dell’appalto e dell’integrazione della violazione degli obblighi ricadenti sul direttore dei lavori, in correlazione con la sospensione dei lavori e con la sospensione dell’incarico verso il professionista.
Ora, in tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest’ultimo esigibile ai sensi dell’art. 1176 c.c., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16631 del 12/06/2023; Sez. 3, Sentenza n. 22059 del 22/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6747 del 07/04/2016; Sez. 3, Sentenza n. 3176 del 18/02/2016).
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda