Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15683 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15683 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 27303 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentate e difese dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
nei confronti di
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Firenze n. 1384/2021, pubblicata in data 6 luglio 2021 (e che si assume notificata in data 30 luglio 2021);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 6 maggio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno agito in giudizio nei confronti del geometra NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni che assumono di aver subito in conseguenza dell’inesatto adempimento alle obbligazioni
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE PROFESSIONALE PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI EDILI
Ad. 06/05/2024 C.C.
R.G. n. 27303/2021
Rep.
professionali gravanti sullo stesso in virtù di un rapporto contrattuale avente ad oggetto la progettazione e la successiva direzione dei lavori di modifica ed ampliamento di un fabbricato per civile abitazione di loro proprietà. Il convenuto, contestando la domanda delle attrici, ha altresì proposto, in via riconvenzionale, domanda di pagamento delle proprie residue competenze professionali.
Il Tribunale di Pisa ha parzialmente accolto sia la domanda principale, condannando il COGNOME a pagare alle attrici NOME la somma di € 38.340,82 a titolo risarcitorio, oltre accessori, sia la domanda riconvenzionale, condannando le medesime attrici COGNOME NOME COGNOME pagare al COGNOME la somma di € 10.867,32, oltre accessori, a titolo di competenze professionali. La Corte d’a ppello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha riAVV_NOTAIOo l’importo della condanna a carico del COGNOME ad € 4.980,00, oltre accessori, e quella a carico delle attrici NOME e NOME ad € 9.134,17, oltre accessori.
Ricorrono la COGNOME e la COGNOME, sulla base di otto motivi.
Resiste con controricorso il COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione agli artt. 115 e 167 cpc in ordine alla asserita mancata contestazione della affermazione di non conoscenza della destinazione dell ‘ immobile a RAGIONE_SOCIALE ».
Ric. n. 27303/2021 – Sez. 3 – Ad. 6 maggio 2024 – Ordinanza – Pagina 2 di 15 1.1 Si premette che, n ell’atto introduttivo del giudizio, le attrici avevano, tra l’altro, chiesto il risarcimento del danno
determinato dal ritardo nell’apertura dell’attività commerciale di RAGIONE_SOCIALE da svolgersi nell’immobile oggetto dei lavori, ritardo a loro dire causato dalla necessità di attendere i tempi di svolgimento dell’accertamento tecnico preventivo che ha preceduto il presente procedimento.
Il convenuto, nella comparsa di risposta, aveva negato di essere a conoscenza dell’intenzione delle attrici di esercitare nell’immobile la predetta attività commerciale.
Le attrici avevano, poi, solo genericamente contestato, con la prima memoria depositata ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., tutte le difese contenute nella comparsa di risposta.
In questa situazione, la corte d’appello, come già il tribunale, ha ritenuto non contestata la circostanza di fatto che il convenuto non fosse a conoscenza della predetta intenzione di adibire l’immobile ad attività commerciale.
1.2 Le ricorrenti sostengono che, dopo aver integralmente contestato, nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., le difese del convenuto, « nella seconda memoria 183/6, rafforzando le loro resistenze anche sul punto, avevano anche chiesto ammissione di tre capitoli di prova per interrogatorio del convenuto e testi (n. 16, 17 e 18) proprio in punto alla conoscenza della destinazione dell’immobile a RAGIONE_SOCIALE », richieste peraltro non ammesse dal giudice istruttore.
A loro avviso, poiché il COGNOME non aveva ulteriormente contestato il fatto indicato in tali istanze istruttorie (pur essendosi espressamente opposto all’ammissione di esse), tale fatto avrebbe dovuto ritenersi non contestato o, addirittura, dimostrato.
Il motivo di ricorso in esame è inammissibile.
1.3 La questione della conoscenza o meno, da parte del convenuto COGNOME, dell’intenzione delle attrici di adibire l’immobile all’attività commerciale di RAGIONE_SOCIALE , deve ritenersi irrilevante ai fini dell’esito del giudizio, in quanto il risarcimento
richiesto a tale riguardo è stato escluso anche sulla base di altri argomenti, da soli sufficienti a sostenere la decisione ed in relazione ai quali il ricorso non contiene specifiche censure.
La corte territoriale, infatti, ha espressamente affermato, in proposito: « deve condividersi il rilievo del Giudice di prime cure secondo cui non ‘vi è prova certa che un tale progetto fosse effettivo e concreto, essendo gli elementi offerti sul punto piuttosto vaghi (tanto più che a detta dei testi, come visto, pur essendo venuto meno l’ostacolo delle opere murarie mancanti, l’attività recettiva non sarebbe ancora cominciata’ ( cfr. al riguardo deposizione di NOME COGNOME). A ciò deve aggiungersi che lo stesso consulente di parte appellata nel procedimento di ATP, AVV_NOTAIO, ha riferito che, dopo essere subentrato nel ruolo del AVV_NOTAIO, aveva significativamente modificato il progetto, cambiando la disposizione interna delle stanze (pur essendo il progetto già di per sé funzionale) e precisando che allorquando era stato chiamato come consulente le committenti avevano già intenzione di inaugurare l’attività nella primavera-estate del 2008 … ».
In altri termini, i giudici di secondo grado non solo hanno ritenuto che il COGNOME non fosse a conoscenza delle intenzioni delle attrici in ordine alla destinazione commerciale dell’immobile, ma, soprattutto, hanno ritenuto che, comunque, non fosse stato pr ovato il nesso di causa oggettivo tra l’inadempimento alle obbligazioni professionali imputato al COGNOME e il deAVV_NOTAIOo evento dannoso del ritardato avvio dell’iniziativa commerciale, per non essere stata fornita la prova che quella iniziativa avrebbe avuto effettivamente avvio prima, in mancanza dell’inadempimento.
Si tratta di un accertamento di fatto che è, anche da solo, idoneo a sostenere la decisione in merito al mancato riconoscimento della voce di danno di cui si controverte e che è fondato su una motivazione adeguata, non meramente apparente, né
insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede (anzi, in realtà, tale accertamento non risulta affatto specificamente censurato).
1.4 Solo per completezza è, infine, opportuno altresì osservare che, anche a ritenere oggetto di contestazione la questione della conoscenza, da parte del COGNOME, delle intenzioni delle attrici in ordine alla destinazione commerciale dell’immobile, deve certamente, quanto meno, escludersi che la circostanza fosse incontroversa (avendola il COGNOME certamente contestata): sarebbe stato, quindi, in ogni caso onere delle stesse attrici danneggiate fornirne la prova.
Peraltro, come emerge dallo stesso ricorso, le loro richieste istruttorie finalizzate a fornire tale prova erano state disattese dall’istruttore . Di conseguenza, le ricorrenti avrebbero dovuto allegare e dimostrare che avevano specificamente (e non solo genericamente) reiterato tali istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni, il che non è avvenuto, onde esse dovrebbero ritenersi abbandonate e il fatto in discussione non potrebbe ritenersi in nessun caso dimostrato.
Né, d’altronde, potrebbero prendersi in considerazione, nella presente sede, le ulteriori argomentazioni svolte nel ricorso con le quali si sostiene che le prove documentali disponibili sarebbero state di per sé sufficienti a dimostrare la circostanza di fatto controversa, risolvendosi tali argomentazioni in una richiesta di nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, non consentita nel giudizio di legittimità.
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione agli artt. 115 e 167 cpc circa l ‘ asserita mancata contestazione delle singole voci della notula del geom. AVV_NOTAIO ».
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
2.1 I n palese violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non viene richiamato nel ricorso, in modo puntuale e specifico,
il contenuto rilevante dei documenti e degli atti di causa sui quali si fondano le censure: in primo luogo, non è richiamato il preciso contenuto della comparsa di costituzione e risposta, con la domanda riconvenzionale del COGNOME, nonché quello della notula contenente l’indicazione della attività professionali (estranee alla direzione dei lavori) da quest’ultimo svolte, con i relativi compensi; ma neanche è richiamato il preciso contenuto delle stesse difese in cui sarebbero state formulate le contestazioni delle attrici in proposito.
In particolare, le contestazioni formulate nella prima memoria di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., trascritte nel ricorso, appaiono effettivamente del tutto generiche e, comunque, non dirette specificamente a contestare l’allegazione in fatto dell’avvenuto svolgimento delle attività professionali estranee alla direzione dei lavori, come indicate nella notula depositata dal COGNOME; il contenuto delle contestazioni formulate nella comparsa conclusionale non viene, invece, richiamato in modo puntuale e preciso.
In ogni caso, non si potrebbe valutare l’idoneità e la specificità delle predette contestazioni, in mancanza di un adeguato e puntuale richiamo del contenuto delle allegazioni in fatto della controparte che avrebbero dovuto essere oggetto di esse.
2.2 È, poi, appena il caso di osservare che, in diritto, l’affermazione della corte d’appello in ordine alla tardività di una contestazione di fatti specificamente allegati dalla controparte negli atti introduttivi del giudizio, se operata solo con la comparsa conclusionale, risulta del tutto conforme all’indirizzo consolidato di questa stessa Corte (che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare), secondo il quale « la valutazione della conAVV_NOTAIOa processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all’esaurimento della fase
processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti -diversi da quelli indicati negli atti introduttivi -sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall’attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall’art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all’esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall’esercizio della facoltà deduttiva » (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 31402 del 02/12/2019, Rv. 656256 -02; in senso conforme: Sez. 2, Sentenza n. 26859 del 29/11/2013, Rv. 629109 -01; Sez. 3, Sentenza n. 24415 del 09/09/2021, Rv. 662400 – 01).
Sotto tale profilo, il motivo di ricorso in esame risulta manifestamente infondato.
2.3 Per quanto, infine, attiene alle argomentazioni a sostegno dell’assunto per cui al COGNOME spetterebbe solo un compenso commisurato al 10% dell’importo dei lavori effettivamente eseguiti sotto la sua direzione, si tratta di un assunto fondato su una interpretazione della volontà negoziale delle parti consacrata nel loro accordo scritto diversa da quella accertata dalla corte d’appello, che ha ritenuto l’indicazione in esame non vincolante ai fini della determinazione del compenso, se non in caso di regolare e completa ultimazione della propria prestazione da parte del professionista.
Trattandosi di un accertamento di fatto sostenuto da motivazione adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede e, comunque, certamente non adeguatamente censurata , sotto il profilo dell’eventuale violazione delle
disposizioni in tema di ermeneutica negoziale, tale accertamento non può essere ulteriormente contestato, tanto meno attraverso la richiesta di una applicazione dei termini dell’accordo sul compenso del tutto incompatibile con detta interpretazione.
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione agli artt. 1457 e 1362 cod. civ. circa la essenzialità del termine di fine lavori quale indizio della destinazione dell’immobile a RAGIONE_SOCIALE ».
Il motivo è inammissibile.
Le censure con esso formulate hanno ad oggetto, come quelle di cui al primo motivo, la questione della conoscenza, da parte del convenuto, dell’intenzione delle attrici di adibire l’immobile oggetto dei lavori ad attività commerciale ( RAGIONE_SOCIALE ).
Per le medesime ragioni già esposte in relazione al primo motivo (cui si fa espresso rinvio, per quanto possa occorrere), si tratta di censure prive di rilievo ai fini dell’esito della controversia, in quanto, come già visto, il rigetto della domanda risarcitoria, con riguardo alla voce di danno in questione, è sufficientemente sostenuto dall’accertato difetto del nesso di causa oggettivo tra l’inadempimento alle obbligazioni professionali imputato al COGNOME e il deAVV_NOTAIOo evento dannoso del ritardato avvio de ll’iniziativa commerciale, per non essere stata fornita la prova che quella iniziativa avrebbe avuto effettivamente avvio prima, in mancanza dell’inadempimento.
Con il quarto motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione agli artt. 115 e 167 circa la mancata contestazione della produzione degli assegni attestanti gli acconti versati dalle ricorrenti al geom. AVV_NOTAIO ».
Con il quinto motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione agli artt. 115
e 167 circa la mancata contestazione -nel merito -dell ‘ ammontare degli acconti versati dalle ricorrenti al geom. COGNOME ». Il quarto ed il quinto motivo hanno ad oggetto la questione della prova dei versamenti in acconto sui relativi compensi professionali, effettuati in favore del COGNOME; sono connessi, logicamente e giuridicamente, e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono inammissibili.
4.1 Le ricorrenti sostengono che la corte d’appello avrebbe dovuto ritenere oggetto di ‘non contestazione’, ai sensi degli artt. 115 e 167 c.p.c., una produzione documentale, segnatamente « la produzione operata in appello dalle ricorrenti medesime, che in tale occasione depositarono la copia degli assegni comprovanti il versamento ».
Ma, in base all’indirizzo costante di questa stessa Corte (che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare), « l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti proAVV_NOTAIOi, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254 -01; conf.: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3306 del 11/02/2020, Rv. 657014 -01; Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 05/03/2020, Rv. 657154 -01).
Già solo in base a tale rilievo in diritto, le censure formulate con il motivo di ricorso in esame devono ritenersi inammissibili.
4.2 In realtà, tali censure non colgono neanche adeguatamente l’effettiva ratio decidendi alla base della statuizione impugnata, in quanto la corte d’appello ha ritenuto in radice inammissibile la produzione documentale di cui si controverte, perché avvenuta solo in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c., con la conseguenza che non vi sarebbe nessuno spazio, neanche in astratto, per una valutazione di una eventuale ‘non
contestazione’ (se anche, per assurdo, la si fosse potuta ritenere possibile) in relazione ad essa.
Con il sesto motivo si denunzia « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc) in relazione all ‘ art. 345 cpc circa la produzione degli assegni attestanti gli acconti versati al geom. COGNOME ».
Le censure di cui al motivo di ricorso in esame non risultano formulate con la necessaria chiarezza espositiva.
Per quanto è possibile comprendere, le ricorrenti contestano, comunque, il rilievo di tardività e conseguente inammissibilità della produzione documentale, avvenuta solo in appello, degli assegni bancari comprovanti il pagamento di acconti in favore del COGNOME, in violazione dell’art. 345 c.p. c., chiedendo a questa Corte di « dichiarare il principio di diritto secondo il quale il geom. COGNOME, non essendosi tempestivamente opposto alla produzione di documenti in appello, ha comunque accettato il contraddittorio sul punto e la sua solo tardiva eccezione (contenuta nella comparsa conclusionale) deve far ritenere ammissibile la produzione ».
È allora sufficiente osservare che il principio di diritto che le ricorrenti chiedono a questa Corte di affermare, risolvendosi nella richiesta di riconoscere la rilevanza della mancata contestazione di una produzione documentale, è certamente infondato, per le ragioni già esposte con riguardo ai due precedenti motivi, cui si fa integrale rinvio.
Per quanto poi riguarda i rilievi relativi ad una eventuale omessa contestazione dell’avvenuto pagamento degli acconti in questione già nel corso del giudizio di primo grado, è sufficiente rilevare che si tratta di rilievi formulati, di per sé, in modo generico e confuso e che, comunque, sarebbero in ogni caso inammissibili per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto non sostenuti dal puntuale richiamo del contenuto degli atti processuali dai quali
eventualmente potrebbe desumersi la specifica allegazione di quei fatti, da parte delle attrici, e l’omessa contestazione degli stessi, da parte del convenuto.
Con il settimo motivo si denunzia « Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 cpc) in relazione ai versamenti in acconto alla RAGIONE_SOCIALE da parte delle ricorrenti, alla loro origine e al loro sviluppo ».
Il motivo è fondato, per quanto di ragione.
6.1 Per quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata, le attrici avevano deAVV_NOTAIOo di avere pagato all’impresa appaltatrice, complessivamente, € 58.000,00, mentre l’importo dei lavori effettivamente da quest’ultima realizzati era risultato pari a soli € 31.404,47: poiché i pagamenti in corso d’opera erano stati effettuati sulla base di stati di avanzamento dei lavori e di certificati di pagamento emessi dal direttore dei lavori convenuto, che aveva erroneamente attestato l’esecuzione di lavori in misura (almeno) corrispondente agli importi versati, avevano chiesto, a titolo di risarcimento, la differenza, pari ad € 26.595,53.
Il tribunale aveva accolto tale domanda.
Il COGNOME aveva proposto appello sostenendo che non era stato provato il pagamento all’impresa dell’importo complessivo di € 58.000,00 e che egli aveva emesso esclusivamente un certificato di pagamento per l’importo relativo allo stato di avanzamento dei lavori del 30% delle opere, per complessivi € 27.500,00 (€ 25.000,00, oltre IVA), in data 21 agosto 2007, somma poi corrisposta all’impresa in data 23 agosto 2007.
6.2 La corte d’appello ha ritenuto dirimente tale ultima circostanza, cioè il fatto che il COGNOME avesse emesso esclusivamente un certificato di pagamento per € 27.500,00, IVA inclusa, ad agosto 2007, rilevando che il pagamento dell’ulteriore importo di € 27.5 00,00 effettuato dalle committenti in precedenza, nel
luglio 2007, era avvenuto prima dell’emissione del certificato di pagamento da parte del COGNOME e concludendo che « i pagamenti effettuati dalle committenti in data antecedente all’emissione del primo certificato di pagamento non sono imputabili all’operato del AVV_NOTAIO COGNOME bensì ascrivibili ad autonome scelte delle stesse » e, pertanto, doveva « escludersi che la committenza abbia pagato importi eccedenti rispetto al valore delle opere, così come calcolato nella somma di euro 31.404,47 ».
6.3 Le ricorrenti fanno presente che il pagamento dell’importo di € 27.500,00 effettuato a luglio 2007, prima dell’emissione del certificato di pagamento da parte del direttore dei lavori ad agosto 2007, era espressamente previsto come acconto nel contratto d’appalto; sostengono che di tale pagamento era, pertanto, certamente eAVV_NOTAIOo lo stesso direttore dei lavori, al quale era noto il contratto di appalto, ed il quale, nell’ attestare, il 21 agosto 2007, uno stato di avanzamento dei lavori pari al 30% delle opere con contestuale emissione di un certificato di pagamento per ulteriori € 25.000,00, oltre IVA (per complessivi € 27.500,00) , aveva certamente tenuto conto, come era suo dovere, dell’importo già versato, essendo del resto pacifico che il corrispettivo complessivo dell’appalto ammontava ad € 155.000,00 e che, di conseguenza, il corrispettivo del 30% delle opere non ammontava certo ad € 25.000,00 ( in effetti, è appena il caso di osservare che il 30% di € 155.000,00 è pari ad € 46.500,00).
Sostengono che la corte d’appello, nel ritenere dirimente la mera circostanza che il pagamento autorizzato dal COGNOME era pari a soli € 27.500,00, cifra di per sé inferiore all’importo dei lavori complessivamente eseguiti dall’impresa (senza, quindi, neanch e valutare l’ulteriore contestazione avanzata dal COGNOME in ordine alla prova dell’effettivo pagamento all’impresa di ulteriori somme), non aveva tenuto conto di tali fatti decisivi e controversi.
6.4 Rileva la Corte che , effettivamente, la corte d’appello ha del tutto omesso di considerare:
che i certificati di pagamento da emettere a stati di avanzamento lavori devono tener conto non solo delle opere eseguite fino al momento dell’attestazione da parte del direttore dei lavori, ma anche dei pagamenti già effettuati fino a tale momento;
che, coerentemente, il certificato di pagamento emesso dal direttore dei lavori il 21 agosto 2007 per € 27.500,00 (comprensivi di IVA) in base ad uno stato di avanzamento lavori pari al 30% delle opere complessive (il cui corrispettivo ammontava pacificamente ad € 155.000,00 ), doveva necessariamente tener conto dei precedenti pagamenti già effettuati in favore dell’impresa, non giustificandosi, d’altra parte, diversamente l’ importo del suddetto certificato;
che, pertanto, non poteva ritenersi affatto dirimente la circostanza che il COGNOME aveva emesso un unico certificato di pagamento per € 27.500,00 (IVA inclusa) a fronte di opere complessivamente realizzate per un importo superiore, in quanto quel certificato di pagamento doveva tener conto anche degli importi già versati fino a quel momento.
La corte d’appello avrebbe, invece, dovuto verificare:
a) se, ed in quali termini, il certificato di pagamento emesso dal COGNOME il 21 agosto 2007 « con il quale si autorizzava il pagamento del SAL del 30% delle opere e cioè per il corrispondente importo di € 27.500,00, di cui € 25.000,00 per stato di avanzamento lavori ed € 2.500,00 per IVA al 10% e quindi per complessivi € 27.500,00, versati con gli assegni emessi il 23 agosto del 2007 » aveva tenuto conto (come avrebbe dovuto essere) dei precedenti importi già versati all’impresa, e ciò anche considerando che il suddetto importo non corrispondeva affatto, da solo, al 30% del totale importo dei lavori commissionati, eventualmente chiarendo (in caso negativo) per quale ragione ciò
non era avvenuto e in che modo poteva spiegarsi l’anomalia senza responsabilità professionale del direttore dei lavori; b) se, dunque, l’importo complessivo del cui pagamento il direttore dei lavori doveva ritenersi responsabile, avendolo autorizzato quanto meno in parte, ma sul presupposto di precedenti importi già versati, fosse o meno eccedente quello dei lavori effettivamente eseguiti dall’impresa appaltatrice.
A tanto dovrà provvedersi in sede di rinvio, previa cassazione della decisione impugnata, in parte qua .
Con l’ottavo motivo si denunzia « Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all ‘ art. 132 cpc per carenze insanabili della motivazione ».
Il motivo è inammissibile.
Esso contiene la reiterazione delle medesime censure formulate con i precedenti motivi, in relazione ai danni conseguenti al ritardo nel completamento dei lavori ed all’autorizzazione dei pagamenti eccedenti il valore delle opere effettivamente realizzate dall’impresa appaltatrice, sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione.
È sufficiente, pertanto, osservare:
che il deAVV_NOTAIOo difetto assoluto di motivazione certamente non sussiste con riguardo alla questione relativa ai danni conseguenti al ritardo nel completamento dei lavori, in quanto, come già ampiamente esposto, sul punto la decisione impugnata risulta, al contrario, addirittura fondata su una pluralità di rationes decidendi da sole idonee a sostenerla, di cui solo alcune censurate;
che, con riguardo alla questione dell’autorizzazione dei pagamenti eccedenti il valore delle opere effettivamente realizzate dall’impresa appaltatrice, ogni questione resta assorbita in virtù dell’accoglimento del settimo motivo del ricorso.
È accolto il settimo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’a ppello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
-accoglie il settimo motivo del ricorso, che rigetta per il resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-