Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18405 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18405 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
R.G.N. 14933/20
C.C. 11/06/2025
ORDINANZA
Appalto -Risarcimento danni -Responsabilità solidale direttore lavori sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14933/2020) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME Giulia COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso con ricorso incidentale, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore ;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
nonché
RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA, in persona dei suoi legali rappresentanti pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente –
e
Impresa edile RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, quale socio accomandatario; RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore ;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1269/2019, pubblicata il 24 settembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 12 marzo 2013, COGNOME conveniva, davanti al Tribunale di Genova, l’impresa edile RAGIONE_SOCIALE in liquidazione -quale appaltatrice -nonché il socio accomandatario COGNOME NOME e COGNOME NOME -quale direttore dei lavori -, al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’esecuzione delle opere conferite in appalto.
Si costituivano separatamente in giudizio l’impresa edile RAGIONE_SOCIALE in liquidazione -quale
appaltatrice -nonché il socio accomandatario COGNOME NOME e COGNOME NOME -quale direttore dei lavori -, i quali contestavano la domanda avversaria, eccependo l’intervenuta decadenza e prescrizione dell’azione intrapresa dalla committente ed instando per la chiamata in causa delle rispettive compagnie assicuratrici.
L’impresa appaltatrice chiedeva, in via riconvenzionale, che l’appaltante fosse condannata al pagamento del saldo dovuto per l’appalto eseguito nella misura di euro 30.000,00.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituivano la RAGIONE_SOCIALE Assicurazioni RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE chiamata dall’assuntore e l’Allianz S.p.ARAGIONE_SOCIALE chiamata dal direttore dei lavori, le quali contestavano la sussistenza dei presupposti per l’operatività della garanzia, in ragione del difetto di copertura assicurativa rispetto ai fatti dedotti dall’attrice.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 10058/2016, depositata il 23 giugno 2016: A) condannava i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni subiti da parte attrice, quantificati in euro 60.920,00, oltre IVA, rivalutazione monetaria e interessi legali; B) in accoglimento della proposta domanda riconvenzionale, condannava la committente al pagamento, in favore dell’appaltatore, della somma di euro 20.200,00, a titolo di saldo per i lavori eseguiti, oltre interessi legali; C) dichiarava la compensazione tra dette poste creditorie, riconoscendo sulla residua somma dovuta i soli interessi legali; D) dichiarava la responsabilità, quanto ai rapporti interni tra appaltatrice e direttore dei lavori, nella misura dei due terzi a carico della prima
e di un terzo a carico del secondo; E) condannava la Vittoria Assicurazioni S.p.A. a manlevare l’appaltatrice mentre escludeva che vi fosse alcun diritto di manleva nei confronti dell’Allianz S.p.A.
2. –NOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’erroneo mancato riconoscimento della totalità degli importi risarcitori accertati dal consulente tecnico d’ufficio; 2) l’erroneo riconoscimento di un ulteriore saldo dovuto all’impresa appaltatrice; 3) l’erronea negazione della pretesa ulteriore esercitata di liquidazione del danno per la ritardata consegna delle opere; 4) l’omessa integrale liquidazione delle spese di lite.
Proponeva autonomo appello avverso la medesima pronuncia anche COGNOME COGNOME il quale chiedeva che la domanda risarcitoria avanzata fosse rigettata nei suoi confronti, non sussistendo alcuna propria responsabilità e comunque non ricorrendo le condizioni per l’applicazione della disciplina sulla rovina o difetti di edifici, anche in relazione alla maturata decadenza e prescrizione delle azioni intraprese. In subordine, chiedeva che fosse riformato il capo della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva disatteso la domanda di manleva spiegata verso l’Allianz S.p.A.
Si costituivano nel giudizio d’appello l’impresa edile RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il socio accomandatario COGNOME NOME, i quali concludevano per l’inammissibilità o il rigetto dell’appello interposto dalla committente.
Si costituiva anche la RAGIONE_SOCIALE, la quale spiegava appello incidentale avverso la statuizione che aveva ritenuto infondata l’eccezione di non operatività della copertura assicurativa, negando altresì l’intervenuta decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per i vizi dell’appalto, anche in ragione dell’accettazione dell’opera, ricevuta senza riserve dall’appaltante.
Si costituiva, in ultimo, l’RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva che l’appello proposto dal direttore dei lavori avverso la statuizione che aveva disatteso la domanda di manleva proposta nei suoi confronti -fosse respinto.
Previa riunione dei giudizi, decidendo sui gravami interposti, la Corte d’appello di Genova, con la sentenza di cui in epigrafe: A) in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’appaltante, condannava l’appaltatrice e il socio accomandatario nonché il direttore dei lavori, in solido, alla refusione, in favore dell’ordinante, delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 12.530,00; B) in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla Vittoria Assicurazioni S.p.A., respingeva la domanda di manleva avanzata dall’appaltatrice; C) respingeva l’appello incidentale proposto dal direttore dei lavori.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, quanto al mancato riconoscimento dell’indennizzo accertato dal consulente tecnico d’ufficio, spettante a parte committente per l’importo di euro 10.000,00 -in relazione al vizio consistente nelle difformità delle falde realizzate della copertura rispetto a quelle previste nel progetto autorizzato, quale difetto ormai insanabile che
comportava solo un maggior dilavamento dei prospetti, con la conseguente maggiore usura dei medesimi -, si trattava di danno non ricompreso nella domanda attorea; b ) che, pur avendo parte attrice tempestivamente lamentato la difformità della lunghezza delle falde del tetto rispetto al progetto, tuttavia, questa si era limitata a richiedere il danno consistente nelle sanzioni da corrispondere al Comune per l’irregolarità edilizia e non il danno pari al costo per l’eliminazione delle difformità in questione, costo neppure compreso nel computo metrico del tecnico di parte; c ) che, infatti, la committente non aveva affatto invocato pretese risarcitorie per danni futuri provocati dalla difformità progettuale in questione, danni mai prospettati e, in ogni caso, ritenuti dallo stesso consulente tecnico d’ufficio come ‘ipotetici’; d ) che, quanto all’accolta domanda riconvenzionale proposta dall’artefice dell’opera, l’appaltante aveva affermato, sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che il prezzo pattuito con il contratto d’appalto era pari ad euro 300.000,00 e che detto prezzo non era stato interamente corrisposto, senza prospettare un accordo sulla riduzione del corrispettivo, la cui allegazione era stata effettuata solo con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c. e, quindi, tardivamente; e ) che in atti non risultavano neanche gli avvenuti pagamenti dedotti dalla committente, posto che vi erano ricevute di pagamento recanti la sottoscrizione non disconosciuta dell’appa ltatrice solo per complessivi euro 135.000,00; f ) che, infatti, le fatture invocate dall’appaltante, quale prova dell’avvenuto pagamento mediante bonifici, per un importo complessivo di euro 144.800,00, IVA inclusa, non risultavano corredate dall’attestazione sottoscritta
dall’appaltatrice circa l’effettivo pagamento, con l’effetto che, sommando l’importo delle ricevute di pagamento a quello delle fatture che l’ordinante asseriva di aver pagato, si perveniva ad un importo complessivo pari ad euro 279.800,00, inferiore a quello di euro 300.000,00 pacificamente pattuito nel contratto d’appalto, con una differenza, quindi, rispetto al prezzo pattuito nel contratto, di euro 20.200,00, credito corrispondente a quello accertato dalla sentenza di primo grado; g ) che non rilevava ne anche il documento sottoscritto dall’appaltatrice il 30 aprile 2008, in cui l’impresa attestava l’avvenuto pagamento di euro 20.000,00, quale primo acconto sul saldo finale di euro 80.000,00, così riconoscendo che dopo il pagamento di detto acconto residuava un proprio credito di soli euro 60.000,00, poiché dalla documentazione in atti risultava che, dopo tale dichiarazione, l’impresa aveva rilasciato ricevute di pagamento solo per complessivi euro 20.000,00, rispettivamente in data 2 luglio 2008 e 31 luglio 2008; h ) che, quanto poi alle fatture emesse dall’appaltatrice, esse non risultavano corredate dall’attestazione dell’impresa circa un effettivo pagamento e, comunque, non poteva ritenersi in modo univoco che si riferissero a pagamenti effettuati dopo la data della dichiarazione citata del 30 aprile 2008; i ) che, con riferimento all’azione risarcitoria proposta dall’appaltante nei confronti del direttore dei lavori, non si poneva una questione di tardiva denuncia dei vizi e di prescrizione ai sensi dell’a rt. 1667 c.c., né si poneva una questione di superamento del termine ordinario di prescrizione dell’azione risarcitoria contrattuale, essendo indubbio che, alla data dell’instaurazione del giudizio del marzo 2013, non era
superato il termine decennale di prescrizione ordinaria; l ) che neanche si poneva una questione di prescrizione per l’azione ex art. 1669 c.c., in relazione alla parte dei vizi eventualmente riconducibili a detta norma, giacché il primo giudice aveva riconosciuto la responsabilità del direttore dei lavori in via contrattuale, richiamando espressamente gli artt. 1176 e 2236 c.c. e affermando la sussistenza di una colpa grave integrante la sua responsabilità nei confronti del committente per violazione del ca none dell’ordinaria diligenza e del dovere di segnalare al committente e all’impresa appaltatrice i difetti riscontrati, con la precisazione che anche i capitoli di prova dedotti dal direttore dei lavori erano inidonei a dimostrare l’esatto adempimento; m ) che il direttore dei lavori non aveva impugnato in modo specifico, come era suo onere, la statuizione del giudice di prime cure, nella parte in cui aveva ricondotto l’azione dell’appaltante instaurata nei propri confronti ad un’azione di adempimento contr attuale inoltrata verso il professionista; n ) che in atti risultavano segnalazioni dei vizi, da parte del direttore dei lavori, solo successivamente all’ultimazione degli stessi e non anche nel corso dei lavori, senza che i capitoli di prova articolati fossero diretti a provare l’intervenuta segnalazione specifica dei vizi all’impresa nel corso dei lavori e tantomeno la prescrizione di istruzioni per evitare detti difetti o per porvi quantomeno tempestivo rimedio; o ) che, in specie, la difformità dello sporto laterale delle falde del tetto, rispetto al progetto redatto dallo stesso direttore dei lavori, doveva essere riscontrata e segnalata tempestivamente; p ) che, quanto al rigetto della domanda di manleva proposta dal direttore dei lavori, il Tribunale aveva ritenuto che la polizza in questione
riguardasse la responsabilità civile per danni arrecati a terzi, con esclusione, quindi, del committente, e aveva affermato altresì che non risultava un’estensione della copertura assicurativa, anche considerata l’illeggibilità del documento prodotto; q ) che, nella fattispecie, doveva escludersi la ricorrenza dei danni riconducibili all’art. 14, lett. a e b , della polizza (danni materiali e diretti derivanti da rovina totale delle opere o da rovina e gravi difetti di parti destinate per propria natura a lunga durata che compromettano in maniera certa e attuale la stabilità dell’opera), poiché, a prescindere dalla gravità o meno dei difetti riscontrati dal consulente tecnico d’ufficio, era indubbio che tali difetti non avevano provocato totale rovina delle opere, né rovina e gravi difetti di parti dell’immobile, compromettenti la stabilità dell’opera in maniera certa e attuale, considerato anche che non erano stati riconosciuti danni da vizi strutturali e che anche per i danni attinenti alla difformità progettuale delle falde della copertura era stata espressamente esclusa ogni incidenza sulla stabilità dell’opera, riconoscendosi la possibilità di sanatoria edilizia.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, COGNOME MauroCOGNOME
Hanno resistito, con separati controricorsi, COGNOME che ha proposto -a sua volta -ricorso incidentale, articolato in due motivi, e l’Allianz S.p.A.
Ha resistito al ricorso incidentale, con ulteriore controricorso, COGNOME Mauro.
Sono rimasti intimati l’impresa edile COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il suo socio accomandatario COGNOME Francesco nonché la RAGIONE_SOCIALE
4. -Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1667, 1665, 1669 c.c. e 112 c.p.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di merito ritenuto che non vi fosse stata alcuna accettazione delle opere da parte del committente, giungendo alla conclusione che non fossero decorsi i termini per la denuncia dei vizi e dei difetti previsti dagli artt. 1667 e 1669 c.c., benché il bene fosse entrato nell’assoluta disponibilità della committente ancora prima della fine dei lavori comunicata al Comune nell’aprile 2010 e questa non avesse esposto riserve sulla qualità delle opere, né alla consegna, né alla fine dei lavori, né successivamente, e senza che fosse stata mai contestata la circostanza relativa alla mancanza di esecuzione del collaudo, poiché alla fine dei lavori si era svolto un sopralluogo congiunto del direttore dei lavori con l’impresa e la committente al fine di verificare le condizioni dell’immobile, alla presenza anche di un funzionario comunale, per il riconoscimento dell’agibilità dei locali, con il correlato integrale versamento del corrispettivo; sicché la denuncia dei vizi formalizzata con l’invio della perizia del direttore dei lavori del 23 maggio 2011 sarebbe stata tardiva, a fronte della consegna avvenuta il 9 aprile 2010, con la richiesta risarcitoria avanzata verso il professionista il 12 dicembre 2012.
Osserva altresì l’istante che la sentenza impugnata aveva reputato che non fosse necessario chiarire se i vizi e difetti fossero ricollegabili alla previsione di cui all’art. 1669 c.c., benché il consulente tecnico d’ufficio avesse evidenziato che i vizi di impermeabilità affliggenti la copertura dell’edificio rientravano nei gravi difetti di cui all’art. 1669 c.c.; e così le criticità derivanti dal pavimento del piano terra a causa dell’inidoneo isolamento del sottosuolo, i vizi riscontrati relativamente alla scala esterna del prospetto sud, le difformità dello sporto laterale delle falde del tetto che impedivano un’adeguata protezione delle facciate.
Deduce, ancora, il ricorrente principale che erroneamente la Corte d’appello aveva sostenuto che la domanda proposta verso il direttore dei lavori rientrava nell’ambito della pretesa risarcitoria per inadempimento contrattuale, soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, con la conseguente inoperatività dei termini di decadenza e prescrizione di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., poiché viceversa, con precipuo riguardo alla tutela regolata dall’art. 1669 c.c., i termini ivi previsti di decadenza e prescrizione sarebbero stati applicabili nei confronti di tutti coloro che avessero cagionato l’evento dannoso, a nulla rilevando la natura e la diversità dei contratti cui tale responsabilità si ricollegava; sicché appaltatore e direttore dei lavori sarebbero stati entrambi responsabili dell’unico illecito extracontrattuale e avrebbero risposto entrambi a detto titolo del danno cagionato; e d’altronde la dichiarazione di responsabilità contrattuale ex art. 2236 c.c. sarebbe stata affermata con vizio di ultrapetizione, poiché i giudici di merito si sarebbero pronunciati oltre i limiti delle domande che l’attrice aveva proposto.
Né sarebbe emersa la mancanza di diligenza del direttore dei lavori, fatta esclusione per la verifica delle misure del tetto, poiché gli altri vizi e difetti sarebbero risultati visibili a decorrere dalla primavera del 2011 e, quindi, un anno dopo la fine dei lavori, in quanto prima non sarebbero esistiti, ed inoltre sarebbero stati ascrivibili alla negligente attività operativa ed esecutiva dell’impresa, che aveva eluso evidentemente il controllo del direttore dei lavori.
1.1. -Il motivo è infondato.
1.1.1. -Ora, in tema di appalto, la responsabilità dell’appaltatore e del direttore dei lavori (o del progettista) è improntata al vincolo della solidarietà, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2055, primo comma, e 1292 c.c., allorché i rispettivi inadempimenti abbiano concorso a determinare il medesimo danno subito dal committente ( recte il medesimo evento dannoso), seppure in ragione di più fatti illeciti concorrenti causativi del medesimo danno ( recte di più azioni od omissioni di ciascuno che abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento), anche in violazione di norme giuridiche diverse, dovendo in tal caso il giudice procedere all’accertamento e ripartizione delle rispettive quote di responsabilità solo a fronte di specifica domanda formulata in tal senso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14502 del 23/05/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 14378 del 24/05/2023; Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 3651 del 24/02/2016; Sez. 2, Sentenza n. 14650 del 27/08/2012; Sez. 2, Sentenza n. 20294 del 14/10/2004; Sez. 3, Sentenza n. 490 del 15/01/2003; Sez. 2, Sentenza n. 12367 del 22/08/2002; Sez. 2, Sentenza n. 972 del 28/01/2000; Sez. 2,
Sentenza n. 5103 del 10/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 13039 del 04/12/1991; Sez. 2, Sentenza n. 1114 del 24/02/1986; Sez. 3, Sentenza n. 488 del 28/01/1985).
Ebbene, il vincolo della responsabilità solidale si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 29218 del 06/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 14650 del 27/08/2012; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 367 del 08/01/2025; Sez. 2, Sentenza n. 421 del 08/01/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 35295 del 18/12/2023; Sez. 2, Sentenza n. 15661 del 05/06/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 8278 del 23/03/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 8996 del 21/03/2022).
Nel caso di specie, è stato appunto fatto valere il rapporto d’opera professionale tra l’appaltante e il direttore dei lavori, come prontamente dedotto dall’attrice nell’atto introduttivo del giudizio e come sostenuto dalle sentenze di merito.
Segnatamente nelle obbligazioni del direttore dei lavori rientrano l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, che delle modalità esecutive al capitolato e alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti gli accorgimenti per evitare difetti costruttivi, cosicché incorre in responsabilità il professionista che ometta di vigilare e impartire le opportune disposizioni al riguardo, di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in mancanza, di riferire al committente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27045 del 18/10/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 9572 del 09/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 39448 del 13/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 2913
del 07/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10728 del 24/04/2008; Sez. 2, Sentenza n. 15124 del 28/11/2001).
Cosicché la responsabilità dell’appaltatore e del progettista direttore dei lavori prescelto dal committente derivano da due distinti contratti, essendo governate l’una dal rapporto di appalto, l’altra dal contratto d’opera professionale. Soltanto in parte coincide il contenuto delle sanzioni che a quella responsabilità fanno capo, perché al progettista -direttore il committente può richiedere il rimborso del danno ed eventualmente la correzione del progetto, mentre all’appaltatore può chiedere l’eliminazione dei difetti dell’opera o la riduzione del prezzo e, in certi casi, la risoluzione del contratto, di guisa che il risarcimento assume un valore soltanto integrativo dei rimedi concessi in via principale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6488 del 11/03/2025; Sez. 3, Sentenza n. 2887 del 06/09/1968).
Senonché, avendo il committente agito contro il direttore dei lavori per far valere le sue inadempienze, correttamente l’azione, con cui la parte ha appunto fatto valere la responsabilità concorrente del direttore dei lavori per inadempienza ai suoi doveri di vigilanza nell’esecuzione delle opere a perfetta regola d’arte (in ordine alla possibilità dell’addebito ai singoli soggetti evocati dei fatti specifici causativi di puntuali e distinti eventi dannosi, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26736 del 15/10/2024; Sez. U, Sentenza n. 13143 del 27/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 1842 del 28/01/2021; Sez. 3, Sentenza n. 20192 del 25/09/2014), è stata reputata inerente alla prestazione d’opera professionale del direttore dei lavori, come tale soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti per il contratto
d’opera, e non a quelli stabiliti per far valere la responsabilità dell’appaltatore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3608 del 06/08/1977; nello stesso senso Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 27605 del 29/10/2019).
Da ciò deriva che l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili, avente natura extracontrattuale, presuppone che il committente abbia evocato in giudizio, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione del bene, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17874 del 23/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 19868 del 15/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 3406 del 16/02/2006).
Nondimeno, tali concorrenti rispondono a titolo di responsabilità professionale.
1.1.2. -Per altro verso, quanto alla ritenuta responsabilità solidale -unitamente all’appaltatore del direttore dei lavori, questi è tenuto alla sorveglianza ai fini di impedire che le difformità si verifichino e non solo a rilevare le difformità già verificatesi, addebito mosso nella fattispecie al ricorrente principale.
Ed invero il direttore dei lavori nominato dal committente, quale suo rappresentante, deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione delle opere da parte dell’appaltatore e dei suoi ausiliari, essendo tenuto altrimenti ad
astenersi dall’accettare l’incarico e a delimitare sin dall’origine le prestazioni promesse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18929 del 10/07/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 18839 del 04/07/2023; Sez. 3, Sentenza n. 7370 del 13/04/2015).
I compiti del direttore dei lavori attengono, quindi, essenzialmente al controllo sull’attuazione dell’appalto, che l’appaltante ritiene di non poter svolgere di persona, sicché il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al regolamento contrattuale, al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, derivandone altrimenti la sua corresponsabilità con l’appaltatore, salvo che i difetti dell’opera siano ascrivibili a vizi progettuali per i quali non abbia avuto uno specifico compito di controllo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9572 del 09/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 14456 del 24/05/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 23858 del 01/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 18285 del 19/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 8700 del 03/05/2016; Sez. 3, Sentenza n. 20557 del 30/09/2014).
Compiti che devono attuarsi in relazione a ciascuna delle fasi di realizzazione delle opere e al fine di garantire che queste ultime siano realizzate senza difetti costruttivi, sussistendo, dunque, la sua responsabilità per inosservanza del dovere di controllo e sorveglianza durante tutto il corso delle opere medesime, e non già solo nel periodo successivo all’ultimazione dei lavori.
In questa prospettiva, alla stregua della particolare perizia esigibile per lo svolgimento di tali incombenze, la diligenza
richiesta ex art. 1176 c.c. è quella professionale, essendo necessario che il direttore dei lavori si attenga a standard particolarmente elevati per impedire l’insorgere della sua responsabilità, sebbene il direttore dei lavori per conto del committente presti un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Tuttavia, questi è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, con la conseguenza che deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere ponderato, non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla luce della diligentia quam in concreto.
Secondo queste coordinate, rientrano nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici (pertanto, in via preventiva), volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.
Ne discende che non si sottrae a responsabilità il professionista che, come nella specie, ommetta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore (per impedire che i difetti si verifichino) e di riferirne appunto al committente prima che le difformità si siano definitivamente cristallizzate.
In specie, secondo la ricostruzione di cui alla sentenza impugnata, il direttore dei lavori doveva riscontrare e segnalare tempestivamente la difformità dello sporto laterale delle falde del tetto, rispetto al progetto redatto dallo stesso direttore dei lavori.
Una volta che essi si siano verificati, il direttore dei lavori ne risponde in solido con l’appaltatore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 23350 del 15/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 22643 del 11/12/2012; Sez. 1, Sentenza n. 24859 del 08/10/2008).
Ne deriva che l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere nel compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione delle opere nelle sue varie fasi e il conseguente obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se siano state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18929 del 10/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 17213 del 18/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10728 del 24/04/2008; Sez. 2, Sentenza n. 4366 del 27/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 15255 del 20/07/2005; Sez. 2, Sentenza n. 15124 del 28/11/2001; Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 22/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 5463 del 08/11/1985).
2. -Con il secondo motivo il ricorrente principale prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. nonché l’omesso esame
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale mancato di provvedere all’individuazione tra i vizi denunciati di quelli riconducibili all’art. 1669 c.c., benché il consulente tecnico d’ufficio avesse espressamente qualificato come gravi difetti la presenza di fenomeni infiltrativi nella copertura, con gocciolamento nel piano sottotetto.
Obietta l’istante che, per l’effetto, la Corte d’appello avrebbe disatteso la chiamata in manleva della compagnia assicuratrice Allianz, reputando che la polizza non fosse azionabile, in quanto essa avrebbe coperto i danni materiali diretti causati dalle opere oggetto di progettazione, direzione lavori, collaudo e quelle sulle quali o nelle quali fossero stati eseguiti i relativi lavori di costruzione soltanto in caso di rovina totale delle opere o di rovina e gravi difetti di parti destinate per propria natura a lunga durata, tali da compromettere in maniera certa ed attuale la stabilità dell’opera.
Espone altresì il ricorrente principale che la responsabilità ex art. 1669 c.c. sarebbe stata estensibile a qualsiasi alterazione conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell’opera che, pur non riguardando parti essenziali della stessa, bensì elementi accessori o secondari, avesse inciso negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile, difetti tra cui sarebbero rientrati quelli accertati e attinenti ai fenomeni infiltrativi nel soffitto del locale adibito ad autorimessa, alla scala esterna, alle colature sulle facciate dell’immobile, alla presenza di fenomeni infiltrativi nella copertura con gocciolamento nel piano sottotetto, all’umidità di risalita al piano terra dell’immobile dovuta a difetti di impermeabilizzazione delle intercapedini e dei
sistemi di smaltimento, alla fornitura e posa in opera di condotte di scarico delle acque; con la conseguenza che gli inconvenienti esposti, per un ammontare di spese di ripristino pari ad euro 39.247,85, oltre IVA, e con danni ammontanti ad euro 6.482,69, per un totale di euro 45.730,54, oltre IVA sui costi di ripristino, avrebbero dovuto essere oggetto di indennizzo a cura dell’assicurazione.
2.1. -Il mezzo di critica è infondato.
E ciò perché nella fattispecie doveva tenersi conto, come in effetti si è tenuto conto, delle condizioni (contrattuali) di operatività stabilite dalla polizza e non già dell’ambito di applicazione della disciplina normativa della rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c.
Orbene, la ricorrenza dei danni riconducibili all’art. 14, lett. a e b , della polizza postulava l’integrazione di danni materiali e diretti derivanti da rovina totale delle opere o da rovina e gravi difetti di parti destinate per propria natura a lunga durata ‘che avessero compromesso in maniera certa e attuale la stabilità dell’opera’.
In conseguenza, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, la sentenza impugnata ha acclarato che, a prescindere dalla gravità o meno dei difetti riscontrati dal consulente tecnico d’ufficio, era indubbio che tali difetti non avevano provocato totale rovina delle opere, né rovina e gravi difetti di parti dell’immobile, compromettenti la stabilità dell’opera in maniera certa e attuale, considerato anche che non erano stati riconosciuti danni da vizi strutturali e che anche per i danni attinenti alla difformità progettuale delle falde della
copertura era stata espressamente esclusa ogni incidenza sulla stabilità dell’opera, riconoscendosi la possibilità di sanatoria edilizia.
3. -Passando alla disamina del ricorso incidentale, con il primo motivo la ricorrente incidentale lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1669 c.c. nonché degli artt. 116, 163 e 183 c.p.c., per avere la Corte distrettuale disconosciuto la liquidazione, in favore della committente, dell’indennizzo di euro 10.000,00, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio in relazione al vizio consistente nella difformità delle falde di copertura realizzate in misura inferiore rispetto a quelle previste nel progetto autorizzato nonché in misura inadeguata rispetto allo scopo di proteggere le facciate dell’edificio dall’acqua piovana.
Assume l’istante che non sarebbe stato necessario che la descrizione delle difformità e dei vizi dell’opera nell’atto di citazione fosse stata specifica e analitica e che i danni riscontrati dal consulente tecnico d’ufficio non denunciati o parzialmente denunciati in atto di citazione sarebbero stati sempre passibili di risarcimento; cosicché la denuncia, già nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado, della difformità delle falde della copertura realizzata, in quanto più corte rispetto al progetto di circa cm. 30, con la contestuale richiesta di refusione dei danni, ai fini di sanare sul piano amministrativo detta irregolarità, e con la quantificazione di una richiesta pari ad euro 3.000,00 ovvero della diversa somma come emergente dall’istruttoria, avrebbe giustificato la liquidazione dell’indennizzo accertato dall’ausiliario
del giudice, alla luce dell’insanabilità di tale difformità, se non con costi altissimi, e con il conseguente riconoscimento di un indennizzo complessivo di euro 13.000,00, di cui euro 3.000,00 per la sanatoria amministrativa ed euro 10.000,00 per le maggiori spese future di manutenzione, conseguenti al maggior dilavamento e alla maggiore usura delle facciate.
3.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la Corte d’appello ha accertato che tale indennizzo per le spese future da sostenere, in base al vizio dedotto, non era stato mai richiesto, ma soprattutto -e tale rilievo non è stato affatto contestato dalla ricorrente incidentale -che la possibilità di sostenere future spese in ragione di tale difetto, secondo la ricostruzione del consulente tecnico d’ufficio, era del tutto ipotetica.
Sul punto, la sentenza impugnata ha, infatti, affermato che, pur avendo parte attrice tempestivamente lamentato la difformità della lunghezza delle falde del tetto rispetto al progetto, tuttavia, questa si era limitata a richiedere il danno consistente nelle sanzioni da corrispondere al Comune per l’irregolarità edilizia (danno effettivamente riconosciuto) e non il danno pari al costo per l’eliminazione delle difformità in questione, costo neppure compreso nel computo metrico del tecnico di parte.
Ha aggiunto la pronuncia d’appello che la committente non aveva affatto invocato pretese risarcitorie per danni futuri provocati dalla difformità progettuale in questione, danni mai prospettati e, in ogni caso, ritenuti dallo stesso consulente tecnico d’ufficio come ‘ipotetici’.
La natura ipotetica di tali maggiori costi escludeva, a monte, la spettanza del calcolato indennizzo.
4. -Con il secondo motivo la ricorrente incidentale contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2712 e 2969 c.c. nonché degli artt. 115, 116, 163 e 183 c.p.c. ed, ancora, l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte del gravame confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale di pagamento del saldo, formulata da parte appaltatrice nei limiti di euro 20.200,00, senza considerare i seguenti fatti decisivi emersi in corso di causa: ossia il fatto che all’inizio del mese di aprile 2008 le parti si erano accordate per ridurre il prezzo complessivo dell’appalto; il fatto che in data 30 aprile 2008 l’appaltatrice dichiarava di ricevere la somma di euro 20.000,00 a titolo di acconto sul saldo finale di euro 80.000,00; il fatto che successivamente l’appaltatrice richiedeva all’appaltante il pagamento di ulteriori importi, come da fatture emesse; il fatto che, con raccomandata a.r. del 24 agosto 2009, l’ordinante comunicava che nulla era più dovuto all’appaltatore per i lavori eseguiti, richiedendo l’immediato storno delle fatture emesse, con l’immediata emissione delle relative note di accredito, cui seguiva lo storno con le note di accredito n. 17 del 23 giugno 2009 e n. 36 del 22 settembre 2009; il fatto che successivamente l’assuntore nulla richiedeva per circa quattro anni a decorrere dal mese di agosto del 2009.
Ad avviso della ricorrente incidentale, tali fatti decisivi avrebbero dimostrato l’avvenuto integrale pagamento del prezzo d’appalto, anche qualora si fosse considerato il prezzo
originariamente stabilito di euro 300.000,00, per effetto della corresponsione in contanti della somma di euro 115.000,00, risultanti dalle ricevute di pagamento sottoscritte dall’appaltatrice, altrimenti non avrebbe avuto senso l’avvenuto storno.
D’altronde, prosegue l’istante, la successiva riduzione del prezzo avrebbe costituito un fatto del tutto secondario e quindi deducibile con le memorie integrative del thema decidendum .
4.1. -La censura è infondata.
Infatti, i fatti dedotti sono stati esaminati e, in ogni caso, non sono decisivi.
Si premette che per fatti aventi carattere decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come riformulato ex art. 54 d.l. n. 83/2012, devono intendersi quei fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano formato oggetto di discussione tra le parti e che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2961 del 06/02/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. L, Sentenza n. 16703 del 25/06/2018; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Precisamente la Corte di seconde cure ha esaminato i fatti addotti dall’istante, rilevando: -che l’appaltante aveva affermato, sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che il prezzo pattuito con il contratto d’appalto era pari ad euro 300.000,00 e che detto prezzo non era stato interamente corrisposto, senza prospettare un accordo sulla riduzione del corrispettivo, la cui allegazione era stata effettuata solo con la memoria depositata ai
sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c. e, quindi, tardivamente; – che in atti non risultavano neanche gli avvenuti pagamenti dedotti dalla committente, posto che vi erano ricevute di pagamento recanti la sottoscrizione non disconosciuta dell’appaltatrice solo per complessivi euro 135.000,00; – che, infatti, le fatture invocate dall’appaltante, quale prova dell’avvenuto pagamento mediante bonifici, per un importo complessivo di euro 144.800,00, IVA inclusa, non risultavano corredate dall’attestazione sottoscritta dall’appaltatrice circa l’effettivo pagamento, con l’effetto che, sommando l’importo delle ricevute di pagamento a quello delle fatture che l’ordinante asseriva di aver pagato, si perveniva ad un importo complessivo pari ad euro 279.800,00, inferiore a quello di euro 300.000,00 pacificamente pattuito nel contratto d’appalto, con una differenza, quindi, rispetto al prezzo pattuito nel contratto, di euro 20.200,00, credito corrispondente a quello accertato dalla sentenza di primo grado; – che non aveva alcuna valenza neanche il documento sottoscritto dall’appaltatrice il 30 aprile 2008, in cui l’impresa attestava l’avvenuto pagamento di euro 20.000,00, quale primo acconto sul saldo finale di euro 80.000,00, così riconoscendo che dopo il pagamento di detto acconto residuava un proprio credito di soli euro 60.000,00, poiché dalla documentazione in atti risultava che, dopo tale dichiarazione, l’impresa aveva rilasciato ricevute di pagamento solo per complessivi euro 20.000,00, rispettivamente in data 2 luglio 2008 e 31 luglio 2008; – che, quanto poi alle fatture emesse dall’appaltatrice, esse non risultavano corredate dall’attestazione dell’impresa circa un effettivo pagamento e,
comunque, non poteva ritenersi in modo univoco che si riferissero a pagamenti effettuati dopo la data della dichiarazione citata del 30 aprile 2008.
Peraltro, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19011 del 31/07/2017; Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; nello stesso senso, tra le più recenti, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10344 del 19/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9507 del 11/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9398 del 10/04/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 7356 del 19/03/2025).
Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, primo e secondo comma, c.p.c.,
in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019; Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014; Sez. 65, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite devono essere integralmente compensati nel rapporto tra il ricorrente principale e la ricorrente incidentale, attesa la loro reciproca soccombenza ex art. 92, secondo comma, c.p.c., mentre seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con riferimento alla posizione della controricorrente Allianz S.p.A.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensa interamente le spese di lite tra il ricorrente principale e la ricorrente incidentale e condanna il ricorrente principale alla refusione, in favore della controricorrente Allianz S.p.A., delle
spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda