Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18929 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18929 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
R.G.N. 4470/22
U.P. 25/6/2024
SENTENZA
Appalto -Risarcimento danni per gravi difetti dell’immobile Responsabilità del direttore dei lavori sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4470NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE dello stabile sito in Catania, INDIRIZZO –INDIRIZZO (C.F. P_IVA), in persona del suo amministratore pro -tempore , rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in
Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
e
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quale titolare dell’omonima impresa edile ;
-intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 2317/2021, pubblicata il 9 dicembre 2021, asseritamente notificata il 20 dicembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal AVV_NOTAIO.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentito , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 16/22 luglio 2004, il RAGIONE_SOCIALE sito in Catania, INDIRIZZO, conveniva, davanti al Tribunale di Catania, COGNOME NOME, quale titolare
dell’omonima impresa edile, COGNOME NOME, quale direttore dei lavori, e COGNOME NOME, quale amministratore dell’epoca del RAGIONE_SOCIALE, al fine di sentire: A) dichiarare che l’appaltatore era obbligato alla restituzione, in favore del RAGIONE_SOCIALE, di tutte le somme indebitamente percepite in forza della negligente liquidazione dei S.A.L., anche in relazione alla mancata applicazione della penale, emettendo, nei suoi confronti, condanna al relativo pagamento, con rivalutazione monetaria ed interessi legali; B) condannare l’appaltatore al pagamento delle somme necessarie per l’esecuzione degli interventi di ripristino delle opere viziate e/o difettose, da determinarsi a mezzo di apposita consulenza tecnica d’ufficio; C) condannare l’appaltatore al pagamento della somma di lire 7.250.000, pari ad euro 3.744,31, sborsata dal RAGIONE_SOCIALE a causa dell’inosservanza delle prescrizioni normative e contrattuali da parte dell’impresa e precisamente per le sanzioni comminate dalla Ausl 3; D) dichiarare che il direttore dei lavori era stato gravemente e colpevolmente negligente nell’assolvimento dell’incarico affidatogli, per avere autorizzato il pagamento, in favore dell’impresa appaltatrice, di somme non dovute per lavori non eseguiti, eseguiti in misura minore rispetto a quanto contabilizzato, eseguiti in modo difforme per qualità tecnica rispetto a quanto stabilito nella stima dei lavori costituente oggetto del contratto ed espressamente approvata dal RAGIONE_SOCIALE committente, omettendo di computare correttamente la penale per il ritardo e non sorvegliando che l’impresa si attenesse alle prescrizioni contrattuali; E) per l’effetto, dichiarare il direttore dei lavori responsabile, in solido con l’appaltatore, dei
danni da questo arrecati al RAGIONE_SOCIALE per l’inesatta esecuzione del contratto di appalto, solidalmente condannandolo al pagamento di tutte le somme spettanti a titolo risarcitorio al RAGIONE_SOCIALE, con rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale contestava le domande avversarie ed eccepiva la carenza di legittimazione attiva in capo all’amministratore del RAGIONE_SOCIALE, l’intervenuta decadenza dall’azione ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. e, nel merito, l’infondatezza delle domande, adducendo che, ai sensi dell’art. 8 del contratto di appalto, il pagamento degli stati di avanzamento doveva avvenire nel termine di 10 giorni dall’emissione e che due degli stati di avanzamento erano stati pagati in ritardo, con la conseguente legittima sospensione delle opere derivante dal ritardato pagamento e la non dovutezza della somma contabilizzata a titolo di penale di euro 6.455,72, di cui era chiesta, in via riconvenzionale, la restituzione.
Si costituiva in giudizio altresì COGNOME NOME, il quale contestava le domande formulate nei suoi confronti, rilevando l’esatta esecuzione dell’incarico affidatogli. Spiegava, poi, domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento della complessiva somma di euro 12.000,00 per spese e danni subiti alla sua immagine.
Si costituiva ancora in giudizio COGNOME NOME, il quale si opponeva all’accoglimento delle domande avversarie, prospettando che tutte le decisioni assunte, relativamente al contratto di appalto, erano state concordate con il comitato dei condomini, dei cui componenti chiedeva la chiamata in causa, e che tutte le decisioni erano state sottoposte al vaglio
dell’assemblea condominiale. Proponeva domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni, lamentando un comportamento persecutorio del RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti, e chiedeva altresì la chiamata in causa della propria compagnia assicurativa.
Disposta la chiamata in causa, si costituivano in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali componenti del comitato dei condomini, nonché la compagnia assicuratrice RAGIONE_SOCIALE, i quali chiedevano il rigetto delle domande.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 905/2010, depositata il 23 febbraio 2010, condannava, in solido, l’appaltatore e il direttore dei lavori al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE committente, della somma di euro 23.647,05, percepita indebitamente per lavori non eseguiti a causa dell’errata contabilità, oltre interessi legali a decorrere dalla proposizione della domanda, nonché il solo appaltatore al pagamento dell’ulteriore somma di euro 52.882,46, necessaria per l’esecuzione degli interventi di ripristino delle opere viziate e/o difettose, secondo le risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio, oltre interessi legali a decorrere dalla proposizione della domanda. Rigettava la domanda risarcitoria proposta verso l’amministratore dell’epoca.
2. -Con atto di citazione notificato il 13/15 luglio 2010, proponeva appello avverso tale pronuncia COGNOME NOME, il quale lamentava: 1) che nessuna somma era stata corrisposta indebitamente all’impresa per lavori non eseguiti; 2) che meritava accoglimento la domanda di risarcimento danni proposta in via
riconvenzionale; 3) che doveva essere rivista la regolamentazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, anche con riferimento alla liquidazione del compenso del consulente tecnico d’ufficio.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione il RAGIONE_SOCIALE sito in Catania, INDIRIZZOINDIRIZZO, il quale instava per il rigetto dell’impugnazione principale e, in via incidentale, per la riforma della pronuncia impugnata in ordine alla condanna dell’appaltatore al risarcimento dei danni, oltre che per i vizi, anche per il ritardo nella consegna delle opere e all’ulteriore pagamento della somma di euro 12.911,42, a titolo di penale per il ritardo nella consegna dei lavori, oltre rivalutazione monetaria. Chiedeva altresì che la condanna fosse estesa, in via solidale, anche al direttore dei lavori, per avere autorizzato il pagamento di somme non dovute in ordine a lavori non eseguiti o eseguiti in misura minore, per avere omesso di computare correttamente la penale e per non aver sorvegliato che l’impresa si fosse attenuta alle prescrizioni contrattuali, con il riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.
Rimaneva contumace COGNOME NOME.
Nel corso del giudizio di gravame era convocato a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio, che depositava ulteriore relazione peritale.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 562/2015, depositata il 30 marzo 2015, rigettava l’appello principale proposto dal direttore dei lavori e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dal
RAGIONE_SOCIALE, condannava l’appaltatore e il direttore dei lavori, in solido, all’ulteriore pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, della rivalutazione monetaria sulla somma di euro 23.647,05 e il solo appaltatore al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, della rivalutazione monetaria sulla somma di euro 52.882,46.
3. -Avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso di legittimità COGNOME NOME, cui resisteva il RAGIONE_SOCIALE sito in Catania, INDIRIZZO –INDIRIZZOINDIRIZZO, spiegando ricorso incidentale.
Con ordinanza di questa Corte n. 3855/2020, depositata il 17 febbraio 2020, erano accolti il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale, erano rigettati i primi due motivi del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale mentre erano dichiarati assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale e il quarto motivo del ricorso incidentale e, per l’effetto, la sentenza impugnata era cassata con rinvio, limitatamente ai motivi accolti.
Segnatamente, era accolta la censura relativa all’omessa pronuncia sulla domanda attinente alla mancata applicazione di un’ulteriore penale per il ritardo nella conclusione dei lavori appaltati, per l’importo di euro 12.911,42, nonché la doglianza inerente al rigetto della domanda di accertamento della responsabilità solidale del direttore dei lavori, oltre che dell’impresa, per i vizi dell’appalto afferenti agli elementi architettonici in corrispondenza del secondo piano dell’edificio, ai pilastri esterni, alla parte non rifatta del muretto di una terrazza, vizi comportanti la necessit à di interventi di risanamento individuati dalla consulenza tecnica d’ufficio.
4. -Il RAGIONE_SOCIALE sito in Catania, INDIRIZZO, riassumeva il giudizio, chiedendo: A) che fosse rideterminata la somma indebitamente percepita dall’impresa, con l’aggiunta dell’ulteriore importo dovuto a titolo di penale, pari ad euro 12.911,42, con la condanna, in solido, dell’appaltatore e del direttore dei lavori alla restituzione di tale somma; B) che fosse disposta la condanna solidale del direttore dei lavori, unitamente all’appaltatore, per l’inesatta esecuzione della prestazione, che aveva cagionato il danno pari ad euro 52.882,46.
Si costituiva nel giudizio di rinvio COGNOME NOME, il quale contestava le richieste del RAGIONE_SOCIALE, negando che alcun giudicato si fosse formato sulla responsabilità del direttore dei lavori, adducendo che la responsabilità nell’esecuzione dei lavori ricadeva nella previsione contrattuale con la quale l’appaltatore si era impegnato a rispondere in via esclusiva di ogni addebito e sostenendo che, d’altronde, detta responsabilità era imputabile esclusivamente alle modalità operative adottate dall’appaltatore.
In conseguenza, con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’appello in sede di rinvio condannava l’appaltatore e il direttore dei lavori, in solido, al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE committente, delle somme di euro 23.647,05 e di euro 52.882,46, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. Condannava altresì l’appaltatore e il direttore dei lavori, in solido, a rifondere al RAGIONE_SOCIALE le spese di tutti i gradi di giudizio, che venivano all’esito liquidate.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, quanto ai
vizi e difformità relativi agli elementi architettonici in corrispondenza del secondo piano dell’edificio sui prospetti, ai pilastri esterni sul prospetto e alla parte non rifatta del muretto della terrazza, doveva essere rivista la valutazione della Corte d’appello, secondo cui tali vizi e difformità avrebbero dovuto essere imputati esclusivamente alle modalità operative prescelte liberamente dall’appaltatore, senza alcuna corresponsabilità del direttore dei lavori; b ) che, come argomentato dall’ordinanza di legittimità, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, doveva utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspettava di conseguire, onde il suo comportamento doveva essere valutato, non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto , rispondendo, pertanto, anche della conformità della progressiva realizzazione dell’opera al progetto nonché delle modalità esecutive al capitolato e alle regole della tecnica; c ) che, in ordine ai vizi precedentemente indicati, per i quali era stata disposta la condanna in via esclusiva dell’appaltatore, doveva certamente essere escluso che vi fosse stata un’adeguata verifica dell’andamento dei lavori e della loro esecuzione a cura del direttore dei lavori, a fronte dei numerosi errori di esecuzione ampiamente accertati, ormai definitivamente, con le relazioni peritali in atti; d ) che, in considerazione dell’esito complessivo del giudizio -quasi interamente favorevole al
RAGIONE_SOCIALE -, le spese processuali di tutti i gradi, come liquidate in dispositivo, dovevano gravare sull’appaltatore e sul direttore dei lavori, in solido, e così le spese liquidate di consulenza tecnica d’ufficio.
-Avverso la sentenza emessa in sede di rinvio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, il RAGIONE_SOCIALE sito in Catania, INDIRIZZO –INDIRIZZO –INDIRIZZO.
È rimasto intimato COGNOME NOME.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Preliminarmente si rileva che, nonostante non sia stata depositata la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., il ricorso di legittimità è ugualmente procedibile, atteso che la notifica di tale ricorso è avvenuta entro il termine breve di 60 giorni dalla pubblicazione della pronuncia (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 15832 del 07/06/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 11386 del 30/04/2019; Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013).
2. -Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame delle risultanze di causa nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 c.p.c. e 2229, 2697 e 1218 c.c., per avere la Corte di merito in sede di rinvio disposto, in via automatica, la condanna solidale del direttore dei lavori, in ordine ai vizi e alle difformità riguardanti i semplici elementi ornamentali dell’edificio condominiale, senza un rinnovato esame delle risultanze di causa, ai fini di ponderare se il direttore dei lavori avesse o meno prestato la sua attività con la diligentia quam in concreto .
Obietta l’istante che immotivatamente e apoditticamente il giudice d’appello aveva ritenuto che il direttore dei lavori non avesse adeguatamente verificato l’andamento dei lavori e la loro esecuzione, mentre dalle risultanze di causa sarebbe emerso l’esatto contrario, in ordine alle ispezioni eseguite, alle verifiche dei luoghi, alla sollecitazione degli interventi di rifacimento delle facciate, all’esecuzione dei sopralluoghi, alle conclusioni adottate all’esito di tali sopralluoghi, alla indicazione dei provvedimenti da assumere per eliminare gli inconvenienti lamentati, alle direttive assunte, ai richiami verso l’impresa per l’esecuzione di determinati lavori, alle relazioni esposte al RAGIONE_SOCIALE.
D’altronde, aggiunge il ricorrente che, ai sensi dell’art. 19 del contratto di appalto, l’unico responsabile dell’esecuzione delle opere appaltate, in conformità alle migliori regole dell’arte, sarebbe stato l’appaltatore.
Né a diverse conclusioni si sarebbe potuti pervenire in base agli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, in mancanza di più approfonditi saggi sui luoghi.
Per l’effetto, ad avviso del ricorrente, non sarebbe stata rinvenibile alcuna inosservanza del dovere di sorveglianza del direttore dei lavori, specie a fronte di attività di dettaglio tecnico di stretta spettanza dell’impresa appaltatrice.
2.1. -Il motivo è infondato.
Per un verso, infatti, la censura -sotto l’apparente veste di vizio di violazione di legge o di omesso esame di fatto decisivo -mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici già accertati in sede di merito, il cui sindacato è precluso in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
E ciò segnatamente nella parte in cui si chiede di rivedere il giudizio di merito sulla mancanza di un’adeguata verifica dell’andamento dei lavori e della loro esecuzione a cura del direttore dei lavori.
Per altro verso, la doglianza trascende i presupposti della responsabilità solidale -unitamente all’appaltatore del direttore dei lavori, che è tenuto alla sorveglianza ai fini di impedire che le difformità si verifichino e non solo a rilevare le difformità già verificatesi.
Ed invero il direttore dei lavori nominato dal committente, quale suo rappresentante, deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione delle opere da parte
dell’appaltatore e dei suoi ausiliari, essendo tenuto altrimenti ad astenersi dall’accettare l’incarico e a delimitare sin dall’origine le prestazioni promesse (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18839 del 04/07/2023; Sez. 3, Sentenza n. 7370 del 13/04/2015).
I compiti del direttore dei lavori attengono, quindi, essenzialmente al controllo sull’attuazione dell’appalto, che l’appaltante ritiene di non poter svolgere di persona, sicché il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al regolamento contrattuale, al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, derivandone altrimenti la sua corresponsabilità con l’appaltatore, salvo che i difetti dell’opera siano ascrivibili a vizi progettuali per i quali non abbia avuto uno specifico compito di controllo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9572 del 09/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 14456 del 24/05/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 23858 del 01/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 18285 del 19/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 8700 del 03/05/2016; Sez. 3, Sentenza n. 20557 del 30/09/2014).
Compiti che devono attuarsi in relazione a ciascuna delle fasi di realizzazione delle opere e al fine di garantire che queste ultime siano realizzate senza difetti costruttivi, sussistendo, dunque, la sua responsabilità per inosservanza del dovere di controllo e sorveglianza durante tutto il corso delle opere medesime, e non già solo nel periodo successivo all’ultimazione dei lavori.
2.2. -Del resto, non risulta affatto che i vizi e le difformità rispetto alle quali è stata ritenuta la responsabilità solidale dell’appaltatore e del direttore dei lavori attenessero ad aspetti
marginali od ornamentali dell’opera. Si è trattato, per contro, di difetti inerenti ad elementi architettonici in corrispondenza del secondo piano dell’edificio sui prospetti, ai pilastri esterni sul prospetto e alla parte non rifatta del muretto della terrazza, tali da determinare copiose infiltrazioni, con un nocumento stimato di ben euro 52.882,46.
In questa prospettiva, alla stregua della particolare perizia esigibile per lo svolgimento di tali incombenze, la diligenza richiesta ex art. 1176 c.c. è quella professionale, essendo necessario che il direttore dei lavori si attenga a standard particolarmente elevati per impedire l’insorgere della sua responsabilità, sebbene il direttore dei lavori per conto del committente presti un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Tuttavia, questi è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, con la conseguenza che deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere ponderato, non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla luce della diligentia quam in concreto .
Secondo queste coordinate, rientrano nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici
(pertanto, in via preventiva), volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.
Ne discende che non si sottrae a responsabilità il professionista che ommetta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore (per impedire che i difetti si verifichino) e di riferirne appunto al committente prima che le difformità si siano definitivamente cristallizzate.
E il giudice del rinvio ha in proposito acclarato i numerosi errori di esecuzione commessi dall’appaltatore, come ampiamente descritti con le relazioni peritali in atti, ai quali il direttore dei lavori non aveva posto rimedio, intervenendo con i propri poteri di ingerenza preventiva diretti a impedire che essi sfociassero in definitivi difetti dell’opera commissionata.
Una volta che essi si siano verificati, il direttore dei lavori ne risponde in solido con l’appaltatore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 23350 del 15/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 22643 del 11/12/2012; Sez. 1, Sentenza n. 24859 del 08/10/2008).
Ne deriva che l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere nel compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione delle opere nelle sue varie fasi e il conseguente obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fa si, se siano state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei
materiali impiegati (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17213 del 18/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10728 del 24/04/2008; Sez. 2, Sentenza n. 4366 del 27/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 15255 del 20/07/2005; Sez. 2, Sentenza n. 15124 del 28/11/2001; Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 22/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 5463 del 08/11/1985).
2.3. -Né la previsione evocata del contratto di appalto sull’esclusiva responsabilità dell’appaltatore, in ordine alla corretta esecuzione delle opere commissionate, integra una clausola di esonero di responsabilità del direttore dei lavori.
Ed invero, la prescrizione negoziale richiamata non concreta un’assunzione di responsabilità specifica dell’appaltatore in favore del direttore dei lavori.
D’altronde, tale previsione negoziale non avrebbe potuto costituire una valida deroga all’estensione soggettiva delle obbligazioni risarcitorie assicurata secondo legge nel caso di difetti che integrino una responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c. (sull’inderogabilità della disciplina che regola la responsabilità extracontrattuale per rovina o gravi difetti di immobili di lunga durata, alla stregua della funzionalizzazione di tale fattispecie al perseguimento dell’ordine pubblico, a tutela dell’incolumità dei cittadini, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3659 del 09/02/2024; Sez. 3, Sentenza n. 26609 del 06/11/2008).
3. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., per avere la Corte territoriale negato la corresponsabilità del RAGIONE_SOCIALE per
aver reso carente il progetto iniziale, essendo il committente pienamente consapevole, per sua stessa ammissione, che l’esclusione dal contratto di appalto dei lavori necessari, di pertinenza delle singole proprietà, avrebbe avuto come conseguenza l’impossibilità dell’esecuzione a regola d’arte delle opere di interesse condominiale.
Espone l’istante che, nella comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio, era stata ribadita la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE per i vizi dell’opera, quanto alla decisione di derogare dal progetto iniziale, sicché il quantum del risarcimento avrebbe dovuto quantomeno essere ridotto.
3.1. -Il motivo è infondato.
3.2. -Premesso che la censura introduce nuovi rilievi in fatto, in ogni caso, non risulta che il direttore dei lavori abbia criticato la sentenza di primo grado davanti alla Corte del gravame e la sentenza d’appello davanti alla Corte di legittimità per l’esclusione del concorso di colpa del committente nella causazione dei danni.
Senonché la rilevabilità d’ufficio del concorso di colpa della vittima di un fatto illecito, di cui all’art. 1227, primo comma, c.c., non è incondizionata, dovendo coordinarsi con gli oneri di allegazione e di prova.
Ne discende che la questione del concorso colposo è rilevabile d’ufficio, in primo grado, allorché risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia desumibile la sussistenza d’una condotta colposa del danneggiato, che abbia concausato il danno e, in grado di appello, se in primo grado ne sia stato omesso il rilievo, ove la parte interessata abbia impugnato la sentenza che
non ha provveduto sull’eccezione ovvero la abbia riproposta quando la questione sia rimasta assorbita (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 4770 del 15/02/2023; Sez. 3, Sentenza n. 1164 del 21/01/2020; Sez. 3, Sentenza n. 672 del 01/03/1976).
Aspetti carenti nella fattispecie.
3.3. -D’altronde le asserite carenze progettuali, tali da inficiare la corretta realizzazione dell’opera, avrebbero dovuto comunque essere segnalate dal direttore dei lavori al committente nella fase esecutiva. In tal caso, il direttore dei lavori può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister , per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.
Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 777 del 16/01/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 23594 del 09/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 8016 del 21/05/2012).
4. -Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 394, terzo comma, c.p.c., per avere la Corte d’appello disposto la condanna del direttore dei lavori al pagamento, in solido con l’appaltatore, della somma di euro 52.882,46, somma necessaria per l’esecuzione degli interventi di ripristino delle opere viziate e/o difettose, come determinate dalla
consulenza tecnica d’ufficio, atte ad assolvere una mera funzione ornamentale, benché il RAGIONE_SOCIALE non avesse mai proposto una simile domanda nei confronti del direttore dei lavori.
Piuttosto, a dire del ricorrente, la domanda di condanna solidale del direttore dei lavori con l’impresa sarebbe stata proposta soltanto per i vizi inerenti alle opere costituenti parti essenziali dell’immobile, poiché il RAGIONE_SOCIALE non avrebbe investito, con specifica censura, l’omessa pronuncia, da parte del Tribunale, in ordine alla condanna dell’appaltatore per il ripristino dei frontalini, dei sotto-ballatoi e delle mantovane, vizi, questi, relativi alle opere costituenti parti essenziali dell’immobile, con riguardo ai quali sarebbe stata ipotizzabile la corresponsabilità del direttore dei lavori.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Esso si fonda, infatti, su una ricostruzione delle causae petendi delle domande proposte e delle decisioni assunte nei precedenti gradi di giudizio che non corrisponde alla realtà processuale risultante dagli atti.
Nel giudizio di prime cure la richiesta di condanna solidale dell’appaltatore e del direttore dei lavori non era affatto limitata al risarcimento dei danni per i vizi connessi ad elementi di dettaglio dell’opera appaltata.
La distinzione tra difetti relativi alle parti essenziali e alle parti ornamentali non ha dunque riscontro nella dinamica del processo.
E d’altronde il principio sancito dalla Corte di legittimità era appunto diretto a valutare la ricorrenza di una responsabilità solidale del direttore dei lavori in ordine ai difetti attinenti agli
elementi architettonici in corrispondenza del secondo piano dell’edificio, ai pilastri esterni, alla parte non rifatta del muretto di una terrazza, rispetto ai quali vi era stata la sola condanna dell’appaltatore per l’importo di euro 52.882,46, sull’implicito presupposto che la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere la condanna in solido dell’appaltatore e del direttore de i lavori, si estendesse anche alla tipologia di vizi indicati.
Solo rispetto ai vizi connessi al ripristino dei frontalini, dei sotto-ballatoi e delle mantovane si è ritenuto che vi fosse stata un’omissione di pronuncia del Tribunale, contro cui non era stato spiegato gravame a cura del RAGIONE_SOCIALE.
Del resto, questa Corte ha respinto i primi due motivi del ricorso principale, attraverso cui il direttore dei lavori aveva appunto contestato l’accertamento della sua responsabilità, anche con riferimento alle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio.
5. -Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte distrettuale condannato il direttore dei lavori al pagamento della somma di euro 23.647,05, oltre rivalutazione monetaria e spese di lite del primo grado di giudizio e d’appello, benché le somme relative a tali causali fossero state già interamente corrisposte, in favore del RAGIONE_SOCIALE, a saldo e totale tacitazione di quanto dovuto in data 29 aprile 2016, mediante bonifico per la somma di euro 25.000,00, e in data 17 ottobre 2016, mediante bonifico per l’importo di euro 19.270,00, per un totale di euro 44.270,00.
Sicché non vi sarebbero stati i presupposti per la reiterazione della condanna, a fronte di un importo già corrisposto.
5.1. -Il motivo è infondato.
Ora, il pagamento nel corso del giudizio è avvenuto, non già a titolo di adempimento spontaneo, quale conseguenza del riconoscimento della fondatezza della pretesa avversaria, bensì -come espressamente evidenziato dallo stesso ricorrente -per paralizzare una potenziale azione esecutiva che il creditore avrebbe potuto avviare e senza rinunciare alle critiche mosse con gli atti di impugnazione.
Sicché i pagamenti menzionati per le causali dedotte non potevano essere considerati, ai fini del rigetto delle domande di condanna per il titolo indicato, detraendo dall’importo effettivamente dovuto quello versato in attuazione della sentenza provvisoriamente esecutiva.
L’esecuzione spontanea di un provvedimento giudiziario determina, infatti, il sopravvenuto difetto di interesse ad agire nel giudizio di impugnazione, soltanto se accompagnata dal riconoscimento -anche implicito purché inequivoco -della fondatezza della domanda, riconoscimento non ravvisabile nel caso di pagamento dell’importo fissato dalla sentenza di primo grado a titolo di mero adempimento del titolo provvisoriamente esecutivo, al solo fine di sottrarsi alle conseguenze della possibile esecuzione forzata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 36796 del 15/12/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 1588 del 24/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 26005 del 23/12/2010; Sez. 3, Sentenza n. 23289 del 08/11/2007).
6. -Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte del gravame ritenuto favorevole al RAGIONE_SOCIALE l’esito complessivo del giudizio, così liquidando, in violazione del principio di soccombenza, le spese di tutti i gradi di giudizio a carico dell’appaltatore e del direttore dei lavori.
Senonché sostiene l’istante che il giudice del rinvio avrebbe omesso di esaminare la domanda iniziale e gli esiti dei tre gradi di giudizio, oltre che l’esito del giudizio di rinvio, poiché altrimenti avrebbe dovuto ritenere la reciproca soccombenza delle parti in causa e disporre la compensazione, totale o parziale, delle spese.
E ciò avuto riguardo al fatto che la condanna inizialmente richiesta dal RAGIONE_SOCIALE per gli interventi di ripristino delle opere viziate e/o difettose era stata quantificata in un importo ben più consistente, pari ad euro 240.000,00, rispetto a quello riconosciuto.
6.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri
presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma, c.p.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29608 del 25/10/2023; Sez. 2, Sentenza n. 9150 del 03/04/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 7666 del 16/03/2023; Sez. U, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022; Sez. 3, Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016).
Per l’effetto, nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui la regolamentazione delle spese di lite, nel caso di condanna al pagamento di somma di denaro, deve avvenire sulla scorta del valore determinato dal decisum (e dunque avuto riguardo ai parametri determinati dal relativo scaglione di riferimento) ex art. 5, primo comma, quarto periodo, del d.m. n. 55/2014 (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30999 del 07/11/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 23082 del 18/08/2021; Sez. L, Sentenza n. 29420 del 13/11/2019), valore rispetto al quale (diversamente dal disputatum ) l’odierna parte ricorrente è interamente soccombente.
D’altronde, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma in relazione all’esito finale della lite (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9448 del 06/04/2023; Sez. U, Ordinanza n. 32906 del 08/11/2022).
7. -Il sesto motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e delle tariffe professionali, per avere la Corte
d’appello liquidato le spese di tutti i gradi di giudizio senza porre la parte interessata nella condizione di controllare il rispetto dei limiti previsti dalle tariffe professionali.
Al riguardo, l’istante rileva che il giudice del rinvio aveva disposto la condanna alle spese di lite, per il giudizio di primo grado, in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 1.600,00 per diritti di procuratore ed euro 2.100,00 per onorari, per il grado d’appello, in complessivi euro 9.000,00, per il grado di legittimità, in complessivi euro 7.000,00 e, per il giudizio di rinvio, in complessivi euro 8.000,00, non solo senza considerare che le spese del giudizio di primo grado e quelle di appello erano state già corrisposte, ma anche senza dare alla parte interessata la possibilità di controllare se i limiti previsti nelle tariffe professionali, con riferimento alle varie fasi dei giudizi, fossero stati rispettati.
7.1. -Il motivo è inammissibile.
Quanto all’avvenuto pagamento di una parte di tali spese, si è già evidenziato che detto pagamento, quale mera attuazione di un ordine giudiziale, non escludeva la loro liquidazione.
In ordine alla mancata indicazione della liquidazione effettuata per ciascuna fase dei giudizi interessati, la censura è inammissibile poiché il ricorrente non ha addotto la violazione dei minimi tariffari in conseguenza di siffatta liquidazione complessiva per ogni grado di giudizio, basata sullo scaglione di riferimento individuato dal decisum e, quindi, tale da consentire la ricostruzione dei criteri adoperati per la quantificazione.
In questa logica era sufficiente la liquidazione per ciascun grado, senza la specificazione del quantum dovuto per ogni fase di
ogni grado (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8987 del 04/04/2024; Sez. 2, Sentenza n. 22971 del 22/07/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 12914 del 26/06/2020; Sez. 6-L, Ordinanza n. 19482 del 23/07/2018; Sez. 6-L, Ordinanza n. 6306 del 31/03/2016; pronunce, le ultime due, che utilizzano il termine ‘fase’ quale sinonimo di ‘grado’, come si evince dal tenore complessivo della motivazione).
Tanto più che le liquidazioni del primo e del secondo grado di giudizio si sono attenute alle quantificazioni già avvenute a cura delle sentenze impugnate del Tribunale e della Corte d’appello, secondo un’accezione onnicomprensiva e unitaria di compenso (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23873 del 03/09/2021; Sez. U, Sentenza n. 17405 del 12/10/2012), avverso cui non è stata prospettata a suo tempo una specifica doglianza.
8. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda