Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7931 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/03/2024
Oggetto
Responsabilità professionale – Geometra – Direttore dei lavori
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17149/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di depositata in data 26 marzo 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME.
Bologna n. 637/2021 11 marzo 2024
Rilevato che:
la Corte d’appello di Bologna ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria proposta da NOME COGNOME contro il AVV_NOTAIO NOME COGNOME per i danni subiti in conseguenza della contestazione, da parte del Comune di Bologna, di un abuso edilizio realizzato nell’edificio di sua proprietà ;
premesso che l’abuso , pacifico in causa, è consistito nella creazione, mediante innalzamento del sottotetto, di superficie utile superiore al massimo consentito ed autorizzato con il permesso di costruire, la Corte felsinea ha osservato, quanto ai profili di responsabilità contrattuale ascritti dall’appellante al professionista, che:
─ correttamente il Tribunale aveva escluso potesse a tali fini rilevare la disciplina di cui all’art . 29 del d.P.R. n. 380 del 2001 circa la responsabilità solidale del titolare del permesso di costruire, della committente, del costruttore e del direttore dei lavori in ordine alla conformità delle opere alla normativa urbanistica e al permesso di costruire, trattandosi di normativa riguardante i rapporti fra i soggetti indicati e la pubblica amministrazione, non già quelli interni tra la committente e il direttore dei lavori;
─ altrettanto correttamente il Tribunale aveva ritenuto che la committente non fosse semplicemente a conoscenza dell’abuso ma che avesse espressamente ordinato i relativi lavori conoscendo ed accettando eventuali conseguenze negative, risultando provato dalle dichiarazioni rese per rogatoria internazionale dal teste NOME COGNOME (validamente assunte in conformità al Regolamento CE n. 1206/2001, nel rispetto dei termini processuali e del contraddittorio)
che l’innalzamento del muro perimetrale era stato espressamente voluto dalla committente la quale aveva tenuto ferma la propria richiesta nonostante il direttore dei lavori e l’appaltatore l’avessero informata trattarsi di irregolarità comportante il rischio di ordine di demolizione dell’opera, di sanzione pecuniaria e di denuncia penale ;
─ la valutazione del Tribunale è espressione del principio per cui in materia di contratto d’opera (anche intellettuale) il cliente non può ascrivere ad inadempimento del prestatore d’opera ed alla conseguente sua responsabilità gli effetti di un’opera quando risulta che è stato lui stesso a chiederne la realizzazione in un determinato modo e sia stato edotto da quest’ultimo delle difformità dell’opera commissionata rispetto a norme di legge, regolamenti o provvedimenti autorizzativi, essendo irrilevante nei rapporti committenteprestatore d’opera la responsabilità di quest’ultimo (esclusiva o solidale con il committente) per eventuali danni a terzi ovvero illeciti amministrativi e/o penali;
─ tale valutazione non viene specificamente censurata dall’appellante ;
─ anche le censure svolte dall’appellante per contestare la rilevanza probatoria della prova testimoniale assunta per rogatoria hanno un contenuto meramente reiterativo delle deduzioni già formulate in primo grado, tutte superate dal Tribunale con argomentazioni, sia in merito alla regolarità procedurale dell’incombente sia in merito all’attendibilità del teste, che non sono state oggetto di specifica e motivata critica;
─ il fatto che il direttore dei lavori avesse reso false dichiarazioni al Comune in ordine alla conformità dell’edificio al progetto è inconferente nei rapporti con la committenza perché non ne risulta derivato alcun pregiudizio patrimoniale alla committente, posto che la realizzazione dell’abuso edilizio è un fatto oggettivo ed incontestato dalla stessa committente e che della non veridicità di quelle
dichiarazioni il direttore COGNOME risponde sul piano degli illeciti amministrativi e penali;
─ l’omessa presentazione di una variante in corso d’opera e di una pratica in sanatoria è parimenti irrilevante dal momento che, come accertato dal Tribunale: il PRG vigente all’epoca dell’esecuzione dei lavori non consentiva alcuna variante in corso d’opera ; non vi era prova che la committente avesse incaricato il geometra COGNOME di procedere con la pratica in questione, per la quale non è ipotizzabile l’obbligo di autonoma iniziativa del direttore dei lavori ma occorre, al contrario, l’espressa volontà della proprietà (da manifestarsi con la sottoscrizione della relativa domanda) di eseguire le necessarie opere di sanatoria e di pagare la relativa sanzione;
─ quanto , infine, alla mancata predisposizione di una pratica per l’adeguamento sismico , il Tribunale aveva rilevato come il Comune non avesse mai contestato alla proprietà o al direttore dei lavori omissioni correlate alla normativa antisismica e che, pertanto, non si ponevano questioni correlate alla necessità di procedere al relativo adeguamento, né poteva profilarsi un’omissione giuridicamente rilevante in capo al direttore dei lavori o il paventato rischio per la proprietà COGNOME di essere sanzionata;
─ questa motivazione non è stata contestata in alcun modo dall’appellante ;
per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME ricorre con tre motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; il controricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art.
360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione dell’art. 2232 c.c. e 2236 c.c. in relazione agli art. 2721 e 2723 c.c. nonché dell’art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001 »;
osserva che:
─ in primo luogo, il direttore dei lavori è sempre responsabile delle violazioni in materia urbanistica, potendo sottrarsi alle relative conseguenze sanzionatorie solo quando ne abbia fatto denuncia, rinunciando al relativo incarico;
─ la tesi accolta dalla Corte di merito, secondo cui la committente era stata messa perfettamente a conoscenza dal AVV_NOTAIO COGNOME delle problematiche relative all’abuso edilizio che ella stessa voleva commettere, è fondata su una testimonianza ammessa in violazione della normativa dettata dagli artt. 2721 e 2723 c.c. (poiché in contrasto con quanto risultante dal contratto d’opera professionale e con il successivo attestato reso al Comune dal Grillino di conformità dell’opera realizzata al progetto assentito) nonché degli artt. 2232 e 2236 c.c. , in correlazione con l’art. 29 d.P.R. cit.;
con il secondo motivo la ricorrente denuncia, violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.;
sostiene che la tesi accolta dai giudici di merito implica che tra le parti fosse stato concluso un contratto nullo perché contrario alla legge e che, onde evitare la sua responsabilità professionale anche nei confronti della committente, il professionista incaricato avrebbe dovuto denunciare l’abuso, rimettendo il mandato professionale e bloccando il cantiere abusivo;
con il terzo motivo la ricorrente denuncia « violazione degli artt. 2232 e 2236 c.c. per violazione del mandato professionale in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. »;
sostiene che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, il mandato di curare la pratica di sanatoria era da ritenersi compreso
nell’incarico professionale ed il progettista/direttore dei lavori aveva l’onere di avvertire formalmente per iscritto la committente della possibilità di presentare una variante in corso d’opera;
deduce inoltre che erroneamente la Corte d’appello ha negato rilevanza alle contestate inadempienze relative alla normativa antisismica, omettendo di considerare che la Pubblica amministrazione conserva il potere sanzionatorio anche dopo aver rilasciato il certificato di abitabilità;
il primo motivo è inammissibile, con riferimento ad entrambe le distinte argomentazioni che al suo interno sono svolte;
la prima (responsabilità del direttore dei lavori ex art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001) lo è, ex art. 366 n. 4 cod. proc. civ., perché con essa il ricorrente altro non fa che reiterare una tesi già disattesa dalla Corte d’appello, senza minimamente confrontarsi con la motivazione sul punto addotta in sentenza;
la seconda lo è perché con essa si pone una questione, relativa ai limiti di ammissibilità della prova per testi, che non risulta fatta valere tempestivamente in primo grado né posta a motivo di specifico motivo di appello, in tal senso mancando in ricorso alcuna specifica indicazione;
occorre ribadire al riguardo che i limiti di ammissibilità della prova testimoniale avente ad oggetto la stipulazione, dopo la formazione di un documento negoziale, di un patto aggiunto o contrario al contenuto dello stesso non sono dettati per ragioni di ordine pubblico ma nell’interesse delle parti; ne consegue che non può, omisso medio e per saltum , prospettarsi in cassazione l’inammissibilità, per violazione dei limiti legali, della prova raccolta in primo grado, qualora tale inammissibilità, pur dedotta prima dell’espletamento della prova, non sia stata coltivata in appello con apposito motivo di gravame (Cass. n. 28102 del 30/12/2009, Rv. 610721 – 01);
mette conto peraltro soggiungere che si tratta di questione
eccentrica dal momento che il convincimento che la Corte d’appello, conformemente al primo giudice, trae dalla prova testimoniale non attiene all’esistenza di un patto aggiunto posteriore alla formazione del documento contenente l’incarico d’opera professionale, ma ben diversamente all’adempimento degli obblighi derivanti in capo al professionista, nel rapporto interno con la committente, di informazione circa il carattere abusivo dell’opera oggetto dell’incarico ricevuto e delle conseguenze anche sanzionatorie che ne possono derivare; adempimento che, se non esclude la responsabilità di carattere penale o amministrativo anche a carico del professionista, esclude tuttavia, per il richiamato principio, la configurabilità di una responsabilità da inadempimento nel rapporto interno con la committente;
il secondo motivo è inammissibile, svolgendosi con esso considerazioni delle quali non si vede né è spiegato il rilievo censorio rispetto alla decisione impugnata; l’assunta nullità del contratto, perché contrario alla legge, non solo costituisce argomento mai proposto a fondamento della domanda ma anzi la contraddice, essendosi con essa avanzata pretesa risarcitoria da inadempimento di contratto d’opera professionale, che per ciò stesso, dunque, si postula valido ed esistente;
varrà comunque rammentare che, con riferimento alla contigua ipotesi del contratto d’appalto avente ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che occorra distinguere a seconda che tale difformità sia totale o parziale: nel primo caso (art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) – che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie – l’opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell’oggetto e
violazione delle norme imperative in materia urbanistica; detta nullità, invece, non sussiste nel secondo caso (art. 12 della legge n. 47 del 1985), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto (Cass. n. 2187 del 31/01/2011; n. 30703 del 27/11/2018);
il terzo motivo è inammissibile;
nella prima parte lo è per il suo carattere meramente oppositivo e comunque estraneo al paradigma censorio ci cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.; trattasi peraltro di profilo di responsabilità con riferimento al quale assume rilievo assorbente l’iniziale valutazione circa la consapevolezza e partecipe volontà della committente alla realizzazione dell’opera abusiva;
nella seconda parte lo è perché omette alcun confronto con le ragioni giustificative esposte in sentenza e, in particolare, con il rilievo di carattere preliminare e assorbente secondo cui non era stato investito da specifico motivo d’appello il rilievo svolto dal primo giudice secondo cui il Comune non aveva mai contestato omissioni correlate alla normativa antisismica e, pertanto, non si ponevano questioni correlate alla necessità di procedere al relativo adeguamento, né poteva profilarsi un’omissione giuridicamente rilevante in capo al Direttore dei lavori;
a ben vedere la Corte di merito ha in tal modo, sul punto, espresso un giudizio di inammissibilità dell’appello , del quale la ricorrente si disinteressa totalmente per dedicarsi esclusivamente, e per intere lunghe pagine, ad argomentare circa la sussistenza delle violazioni antisismiche e sulla connessa responsabilità del COGNOME;
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate coma da dispositivo, in rapporto al valore della causa compreso nello scaglione tra € 260.001 ad € 520.000 ;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza