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Responsabilità direttore generale: Dolo e Omissioni

Un ex direttore generale di un istituto bancario è stato sanzionato dall’autorità di vigilanza per aver omesso informazioni cruciali su operazioni di “capitale finanziato” nei prospetti informativi. La Corte di Cassazione ha confermato la sanzione, chiarendo la portata della responsabilità direttore generale. Secondo la Corte, la consapevolezza dello schema illecito e la conseguente omissione sono sufficienti per integrare il dolo, senza necessità di provare un’intenzione specifica di danneggiare. Inoltre, è stato respinto il motivo di ricorso relativo a una presunta violazione del diritto di difesa per mancato accesso a tutti gli atti ispettivi.

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Responsabilità direttore generale: quando l’omissione è dolosa

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di diritto societario e bancario, delineando con precisione i contorni della responsabilità direttore generale per omissioni informative nei prospetti destinati al pubblico. La decisione chiarisce che la semplice conoscenza di fatti rilevanti, la cui comunicazione è obbligatoria, unita alla loro mancata divulgazione, è sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del dolo, senza che sia necessaria la prova di uno specifico intento di nuocere. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti di causa

Un’autorità di vigilanza del mercato finanziario ha irrogato una pesante sanzione pecuniaria nei confronti del direttore generale e di altri esponenti di un noto istituto di credito. La contestazione riguardava la violazione delle norme sulla trasparenza informativa, in particolare per la mancata rappresentazione, nei documenti di registrazione per un’offerta di obbligazioni, di informazioni essenziali relative al fenomeno del cosiddetto “capitale finanziato”.

In pratica, la banca aveva posto in essere per anni un meccanismo attraverso il quale erogava finanziamenti alla clientela finalizzati all’acquisto di azioni della banca stessa. Questa pratica aveva consentito di creare un’apparenza di maggiore solidità patrimoniale, falsando la percezione del mercato e degli investitori. Tali informazioni, di importanza cruciale per una corretta valutazione dell’investimento, erano state omesse nei prospetti pubblicati.

Il direttore generale ha impugnato la sanzione prima dinanzi alla Corte d’Appello e, a seguito del rigetto, ha proposto ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso e la responsabilità del direttore generale

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali:

1. Violazione del diritto di difesa: Si lamentava che l’autorità di vigilanza non avesse consentito l’accesso a tutta la documentazione acquisita durante l’ispezione, ma solo a quella posta a fondamento della contestazione. A suo dire, ciò avrebbe impedito di reperire elementi a discolpa.
2. Errata applicazione delle norme sulla responsabilità: Il direttore generale sosteneva che la Corte d’Appello avesse fondato il suo giudizio di responsabilità su norme non pertinenti, senza considerare il suo ruolo meramente esecutivo rispetto alle decisioni dell’organo amministrativo.
3. Insussistenza del dolo: Si affermava che, per un illecito omissivo, non fosse sufficiente la semplice violazione di un obbligo, ma occorresse dimostrare che l’omissione fosse psicologicamente orientata a causare un risultato offensivo. La mera conoscenza del fenomeno del “capitale finanziato” non poteva, quindi, tradursi automaticamente in un’accusa di dolo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali su ciascuno dei punti sollevati.

In primo luogo, riguardo alla presunta violazione del diritto di difesa, la Corte ha ritenuto il motivo generico. Il ricorrente non ha specificato quali documenti, se resi disponibili, avrebbero potuto concretamente sostenere la sua tesi. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il diritto di accesso non è illimitato e le garanzie del contraddittorio sono pienamente assicurate dalla possibilità di impugnare la sanzione amministrativa davanti a un giudice con piena giurisdizione (la Corte d’Appello), che può valutare nel merito ogni aspetto della vicenda.

Nel cuore della decisione, affrontando congiuntamente il secondo e il terzo motivo, la Corte si è concentrata sulla responsabilità direttore generale e sulla nozione di dolo. La Corte d’Appello aveva correttamente accertato, con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che il direttore generale era “ben a conoscenza” sia del fenomeno del capitale finanziato sia del fatto che tali operazioni fossero illecite. L’omissione di queste informazioni cruciali nella documentazione d’offerta, pertanto, non poteva che essere cosciente e volontaria.

La Cassazione ha chiarito che, per gli illeciti di pericolo come quello in esame, il dolo sussiste quando la volontà caratterizza la sola condotta (in questo caso, l’omissione), essendo sufficiente che l’agente si rappresenti e voglia la mancata inclusione di un’informazione dovuta. Non è richiesta la prova ulteriore di un’intenzione finalizzata a produrre un danno. La posizione apicale del direttore generale, parificata a quella di un amministratore esecutivo, impone un dovere di agire informato e con la massima diligenza, rendendo la sua condotta omissiva pienamente ascrivibile a titolo di dolo.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cardine del diritto societario e finanziario: i vertici aziendali, e in particolare figure come il direttore generale, hanno un dovere di trasparenza e correttezza ineludibile. La sentenza stabilisce che la consapevolezza di una criticità rilevante per il mercato, unita alla sua omissione nei documenti ufficiali, configura di per sé un comportamento doloso sanzionabile. Non è possibile trincerarsi dietro un ruolo formalmente esecutivo o lamentare una generica violazione del diritto di difesa. La decisione serve da monito per tutti gli amministratori e manager, sottolineando che la responsabilità per l’informativa al mercato è personale, diretta e fondata su un elevatissimo standard di diligenza.

Quando un’omissione in un prospetto informativo è considerata intenzionale (dolosa)?
Secondo la Corte di Cassazione, per configurare il dolo è sufficiente che il soggetto (in questo caso, il direttore generale) sia consapevole dei fatti rilevanti la cui comunicazione è obbligatoria e, ciononostante, li ometta. Non è necessario dimostrare un’ulteriore e specifica intenzione di causare un danno agli investitori.

Il diritto di difesa in un procedimento sanzionatorio della CONSOB richiede l’accesso a tutti i documenti raccolti, anche a quelli non usati per l’accusa?
No. La Corte ha stabilito che la pretesa di un accesso generalizzato a tutta la documentazione è infondata. Il diritto di difesa è garantito se vengono messi a disposizione dell’interessato tutti i documenti su cui si fonda l’impianto accusatorio, e soprattutto dalla possibilità di un pieno riesame giudiziale della sanzione davanti alla Corte d’Appello.

Qual è l’estensione della responsabilità di un direttore generale per le informazioni contenute nei documenti societari?
La responsabilità è molto ampia. La Corte equipara la figura del direttore generale a quella di un amministratore esecutivo, imponendogli un elevato dovere di agire informato e con la massima diligenza. Egli è direttamente responsabile per le omissioni informative, specialmente se, come nel caso di specie, era stato delegato alla predisposizione dei prospetti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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