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Responsabilità della banca: onere della prova decisivo

Un investitore perde due milioni di dollari in un’operazione finanziaria basata su un trust estero. I fondi, trasferiti su un conto gestito da un fiduciario, vengono distratti. L’investitore cita in giudizio l’istituto bancario per complicità, ma la sua domanda viene respinta in tutti i gradi di giudizio. La Cassazione, con l’ordinanza in esame, conferma la decisione, sottolineando come la responsabilità della banca sia stata esclusa per la mancata prova, da parte dell’investitore, del coinvolgimento doloso o colposo dell’istituto. La banca aveva acquisito una dichiarazione scritta in cui il fiduciario affermava che i fondi erano di sua proprietà personale, un elemento che si è rivelato decisivo.

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Responsabilità della banca: onere della prova in investimenti complessi

La questione della responsabilità della banca in operazioni finanziarie internazionali complesse è un tema di grande attualità. Quando un investimento va storto e i capitali svaniscono, la prima domanda che un risparmiatore si pone è: di chi è la colpa? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’onere della prova. Senza prove concrete del coinvolgimento doloso o colposo di un istituto di credito, è impossibile ottenerne la condanna al risarcimento, anche a fronte di una perdita milionaria. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

Il Caso: Un Investimento Milionario Finito Male

Un investitore decide di destinare una somma di due milioni di dollari a un’iniziativa finanziaria descritta come di “blocco fondi” con “totale securizzazione del capitale”. A tal fine, costituisce un trust con sede all’estero, nominando beneficiario sé stesso e affidando la gestione dei beni a un fiduciario (trustee) con studio a Ginevra. I fondi vengono trasferiti su un conto fiduciario presso un primo istituto bancario.

Poco dopo, il denaro viene distratto dal trustee e trasferito su un altro conto, a lui personalmente intestato, presso una seconda banca. L’investitore, persa l’intera somma, avvia una causa civile contro il primo istituto bancario, sostenendo che fosse coinvolto nel trust come co-trustee o che, comunque, avesse concorso nell’illecito, essendo a conoscenza che i fondi non appartenevano personalmente al fiduciario.

I giudici di primo e secondo grado respingono le domande contro la banca, la quale si era difesa producendo una dichiarazione scritta, ottenuta dal trustee, in cui quest’ultimo affermava che i fondi facevano parte del suo patrimonio personale. L’investitore ricorre quindi in Cassazione, sollevando ben cinquantanove motivi di ricorso.

La questione della responsabilità della banca e la prova del dolo

Il cuore della controversia giuridica risiede nella dimostrazione della responsabilità della banca. L’investitore sosteneva che la banca non potesse ignorare la natura fiduciaria dell’operazione, data la professionalità dei soggetti coinvolti. Secondo la sua tesi, la dichiarazione ottenuta dal trustee era solo un modo per precostituirsi una prova a discarico. Tuttavia, per i giudici, questa tesi non è stata supportata da prove sufficienti. La semplice conoscenza dell’attività professionale del trustee non bastava a dimostrare che la banca fosse al corrente della presunta volontà di quest’ultimo di sottrarre il denaro.

L’importanza dell’onere della prova per la responsabilità della banca

Il principio dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 del Codice Civile, è stato il perno della decisione. La Corte ha ribadito che spetta a chi agisce in giudizio fornire le prove dei fatti che costituiscono il fondamento del proprio diritto. In questo caso, l’investitore non è riuscito a dimostrare in modo inequivocabile il dolo o la colpa della banca. Le sue accuse si sono basate su presunzioni e indizi che i giudici hanno ritenuto non sufficientemente gravi, precisi e concordanti per superare le prove contrarie fornite dall’istituto di credito, in primis la dichiarazione di proprietà dei fondi firmata dal trustee.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili o infondati quasi tutti i motivi di ricorso. In particolare, ha sottolineato diversi punti chiave:

1. Prove documentali: Molti dei documenti che il ricorrente ha tentato di produrre in appello sono stati giudicati tardivi. La Corte ha spiegato che non è sufficiente produrre una grande mole di documenti, ma è necessario evidenziarne la specifica rilevanza e dimostrare l’impossibilità di averli prodotti prima.
2. Giudicato esterno: Il ricorrente ha invocato sentenze penali straniere come “giudicato esterno”, ma non ha saputo dimostrare l’identità delle parti e del contenuto oggettivo tra quei giudizi e quello civile in corso, rendendo la sua argomentazione generica e inefficace.
3. Valutazione delle prove: La Corte ha ribadito che la valutazione delle prove, incluse quelle basate su presunzioni, è riservata al giudice di merito. Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti. La decisione dei giudici di appello è stata considerata logicamente motivata e priva di vizi.
4. Dichiarazione del terzo: La dichiarazione del trustee è stata considerata una prova atipica legittimamente utilizzata dal giudice per formare il proprio convincimento. L’ordinamento processuale non prevede una tassatività dei mezzi di prova, consentendo al giudice di valutare anche dichiarazioni scritte di terzi.

Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione fondamentale per chiunque operi con investimenti finanziari, specialmente se complessi e internazionali. La responsabilità della banca non può essere data per scontata. Per ottenere un risarcimento, non basta aver subito un danno, ma è indispensabile provare con rigore il nesso di causalità e l’elemento soggettivo (dolo o colpa) dell’intermediario. Le semplici presunzioni o il sospetto di un comportamento scorretto non sono sufficienti a superare l’onere della prova che grava sull’investitore. Il caso evidenzia anche l’importanza di una corretta strategia processuale, poiché la tardiva produzione di prove o l’errata formulazione dei motivi di ricorso possono compromettere irrimediabilmente l’esito della causa.

Quando una banca può essere ritenuta responsabile per la distrazione di fondi da parte di un fiduciario (trustee)?
Secondo la Corte, la responsabilità della banca sorge solo se il cliente dimostra che l’istituto era a conoscenza del carattere fiduciario dei fondi e dell’intento illecito. Nel caso specifico, la banca si è tutelata ottenendo una dichiarazione scritta dal fiduciario che attestava la proprietà personale dei fondi, e l’investitore non è riuscito a fornire prove concrete del dolo o della colpa della banca.

È possibile produrre nuovi documenti in appello per dimostrare la responsabilità di una banca?
La produzione di nuovi documenti in appello è soggetta a regole molto rigide. La parte deve dimostrare di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per una causa a lei non imputabile. Inoltre, è necessario specificare la rilevanza di ciascun documento. In questa vicenda, la Corte ha ritenuto inammissibile gran parte della nuova documentazione perché presentata tardivamente o senza una adeguata motivazione sulla sua pertinenza.

Come viene valutata dalla Corte una dichiarazione unilaterale di un terzo, come quella del fiduciario in questo caso?
La Corte ha chiarito che una dichiarazione scritta proveniente da un soggetto che non è parte del giudizio può essere considerata una prova atipica e può essere legittimamente utilizzata dal giudice per fondare la propria decisione. In questo caso, la dichiarazione del fiduciario, in cui affermava che i fondi erano suoi, ha avuto un ruolo decisivo nell’escludere la conoscenza dell’illecito da parte della banca e, di conseguenza, la sua responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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