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Responsabilità della banca: l’obbligo di buona fede

Una società immobiliare, dopo aver stipulato un mutuo fondiario garantito da fideiussione, chiede alla banca l’accollo liberatorio del debito residuo da parte dei nuovi acquirenti degli immobili. La banca mantiene un comportamento ambiguo, non rispondendo chiaramente. La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità della banca per violazione del dovere di correttezza e buona fede, condannandola a un risarcimento del danno pari alla liberazione del debitore originario e del fideiussore.

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Responsabilità della banca: quando il silenzio viola la buona fede

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione riafferma un principio fondamentale nei rapporti contrattuali, in particolare quelli bancari: il dovere di correttezza e buona fede. La vicenda analizzata evidenzia come un comportamento ambiguo da parte di un istituto di credito possa integrare una violazione di tale dovere, portando a una condanna per risarcimento del danno. L’analisi di questo caso offre spunti cruciali sulla responsabilità della banca nell’esecuzione dei contratti.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare aveva contratto un mutuo ipotecario con un istituto di credito per la ristrutturazione di un immobile. Il contratto prevedeva la possibilità per la società di richiedere la suddivisione del mutuo e il frazionamento dell’ipoteca in quote, da trasferire ai futuri acquirenti delle singole unità immobiliari attraverso l’istituto dell’accollo. La società, dopo aver venduto alcune unità, chiedeva formalmente alla banca di acconsentire all’accollo liberatorio, liberando così se stessa e il proprio fideiussore dal debito residuo.

In un primo momento, in occasione di una compravendita, la banca aveva comunicato la sua adesione. Tuttavia, per le vendite successive, l’istituto di credito manteneva un comportamento ambivalente, opponendo un rifiuto formale solo a distanza di anni e a seguito di una specifica richiesta. La società immobiliare e il fideiussore si rivolgevano quindi al Tribunale per ottenere l’accertamento della loro liberazione dal debito, o in subordine, per accertare la responsabilità della banca per violazione del principio di buona fede.

La Decisione della Corte e la responsabilità della banca

La Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha rigettato il ricorso principale dell’istituto di credito. I giudici hanno chiarito un punto essenziale: sebbene l’adesione all’accollo con effetto liberatorio costituisca una facoltà e non un obbligo per la banca, il suo comportamento nell’esercizio di tale facoltà deve essere ispirato ai principi di correttezza e buona fede.

La Corte ha ritenuto che il comportamento dell’istituto di credito, che per lungo tempo non aveva risposto in modo chiaro alla richiesta del debitore, fosse ingiustificatamente ambivalente. Questo silenzio e l’incertezza generata integravano una violazione dei doveri di solidarietà contrattuale. Di conseguenza, è stata affermata la responsabilità della banca per il danno cagionato alla società e al fideiussore, quantificando tale danno in una somma pari alla liberazione dall’obbligazione di pagamento residua.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sull’applicazione degli articoli 1175 e 1375 del codice civile, che impongono alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. La banca, pur avendo la facoltà unilaterale di decidere se liberare o meno il debitore originario, non poteva esercitare tale diritto in modo arbitrario o lesivo dell’affidamento della controparte.

La richiesta esplicita della società immobiliare imponeva alla banca una presa di posizione chiara e tempestiva. L’aver mantenuto un atteggiamento equivoco, manifestando la propria volontà negativa solo al momento del mancato pagamento di alcune rate da parte di uno degli acquirenti, è stato considerato un comportamento contrario a buona fede. Il danno subito dal debitore originario non è stata la mancata liberazione in sé, ma la perdita della possibilità di cercare soluzioni alternative, indotta dal legittimo affidamento creato dalla banca. La Corte ha quindi ritenuto che il risarcimento dovesse, in sostanza, ripristinare la situazione che si sarebbe avuta con un comportamento corretto, ovvero la liberazione dal debito.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio di tutela per i debitori nei confronti degli istituti di credito. Sancisce che la discrezionalità contrattuale delle banche non è assoluta, ma è limitata dal dovere generale di buona fede. Le banche sono tenute a comunicare in modo trasparente e tempestivo le proprie decisioni, specialmente quando queste incidono significativamente sugli interessi della controparte. Un silenzio prolungato o un comportamento ambiguo di fronte a una richiesta legittima può fondare una pretesa di risarcimento del danno, che può arrivare a coincidere con la neutralizzazione degli effetti economici negativi subiti dal cliente.

Una banca è sempre obbligata ad accettare la richiesta di accollo liberatorio del mutuo da parte di un terzo acquirente?
No, la sentenza chiarisce che l’adesione all’accollo con effetto liberatorio è una facoltà unilaterale della banca e non un obbligo. Tuttavia, l’esercizio di questa facoltà deve rispettare i principi di correttezza e buona fede.

Perché la banca è stata condannata se non era obbligata a liberare il debitore originario?
La banca è stata condannata non per non aver accettato l’accollo, ma per aver violato i doveri di correttezza e buona fede, mantenendo un comportamento ambivalente e non rispondendo in modo chiaro e tempestivo alla richiesta esplicita del mutuatario, ledendo così il suo legittimo affidamento.

In che modo è stato quantificato il danno subito dal debitore?
La Corte ha stabilito che il risarcimento del danno dovesse essere commisurato all’obbligo di pagamento residuo derivante dal mutuo. Di fatto, ha equiparato il risarcimento alla liberazione del debitore originario e del suo fideiussore dall’obbligazione residua, riconoscendo che il comportamento scorretto della banca aveva causato un pregiudizio equivalente al mantenimento del debito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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