Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18425 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18425 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
Oggetto: società liquidazione responsabilità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24553/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo , sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , e COGNOME NOME, rappresentati e difesi da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Bologna, INDIRIZZO
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 3469/2019, depositata il 6 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata il 6 dicembre 2019, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda di condanna del RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME al risarcimento del danno per inadempimento dell’obbligazione di ottenere dalla RAGIONE_SOCIALE l’attestazione che la cessazione del rapporto tra tale società e l’odierno ricorrente era avvenuta in assenza di qualsiasi inadempimento da parte di quest’ultimo;
la Corte di appello ha riferito che la domanda originaria era fondata sull’allegazione che : l’attore aveva svolto le funzioni di direttore generale, nonché componente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE in virtù di contratto di assunzione assistito dall’impegno della societ à di non interrompere unilateralmente il rapporto per una durata di 36 mesi se non per giusta causa; sopraggiunta la cessazione del rapporto prima del decorso di tale termine, l’attore aveva raggiunto una transazione con la RAGIONE_SOCIALE, società neocostituita e incaricata di acquistare i crediti della RAGIONE_SOCIALE, nelle more fallita, e di pagarne il passivo per effetto della quale la predetta RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a far riconoscere dalla RAGIONE_SOCIALE che la chiusura della vertenza relativa alla interruzione del rapporto era avvenuta in assenza di inadempimento del COGNOME; chiuso il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, una siffatta attestazione non era stata rilasciata per colpa della RAGIONE_SOCIALE, socio unico della RAGIONE_SOCIALE , responsabile ai sensi dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., e di NOME COGNOME, liquidatore della RAGIONE_SOCIALE (nelle more cancellata dal registro delle imprese), responsabile ai sensi dell’art. 2489, secondo comma, cod. civ. ;
ha dato atto che il Tribunale aveva respinto la domanda evidenziando che, alla luce degli accordi raggiunti transattivamente, la attestazione in oggetto doveva essere rilasciata nell’ambito di una conciliazione ai
sensi dell’art. 410 cod. proc. civ. , ma il relativo verbale non era mai stato sottoscritto per indisponibilità del RAGIONE_SOCIALE e che, comunque, non era ipotizzabile la dedotta responsabilità dei convenuti;
ha, quindi, confermato la decisione di primo grado osservando, in particolare, che la convocazione della RAGIONE_SOCIALE davanti alla RAGIONE_SOCIALE provinciale del lavoro non era stata impedita dal fallimento della società, avuto riguardo alla chiusura della procedura concorsuale, e che la società aveva invano ivi convocato il COGNOME per l’adempimento della transazione;
il ricorso è affidato a sei motivi;
resistono, con unico controricorso, il RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 101, secondo comma, 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 2969 cod. civ. e 111, settimo comma, Cost., per aver la sentenza impugnata ritenuto corretta la decisione del Tribunale che aveva attribuito rilevanza, ai fini della reiezione della domanda, all’inesistenza di un termine finale di adempimento previsto a carico di RAGIONE_SOCIALE e a lla insussistenza dei presupposti per l’applicazione al RAGIONE_SOCIALEAmi del titolo di responsabilità di cui all’art. 2495, secondo comma, cod. civ., benché tali circostanze non fossero state oggetto di specifica difesa da parte dei convenuti;
con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 112 e 115, primo comma, cod. civ., e 2489 e 2495 cod. civ., per aver la Corte di appello omesso di pronunciarsi sui motivi di gravame con cui si contestava quanto ritenuto dal Tribunale in ordine al l’ inesistenza del predetto termine di adempimento, da individuarsi nella chiusura della liquidazione, e la in sussistenza dell’invocato titolo di responsabilità del RAGIONE_SOCIALE;
con il terzo motivo si duole della violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., 111, settimo comma, Cost. e 115, primo comma, e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale interpretato il testo dell’accordo transattivo concluso con la RAGIONE_SOCIALE nel senso che imponeva al COGNOME, interessato a ottenere una dichiarazione di insussistenza di qualsiasi inadempimento a lui attribuibile nel rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE, di invitare quest’ultima a comparire dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE provinciale del lavoro e non già la RAGIONE_SOCIALE;
evidenzia la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui omette di considerare che il COGNOME non poteva riferire alla RAGIONE_SOCIALE i l contenuto dell’accordo transattivo in quanto presidiato da clausole di riservatezza;
con il quarto motivo critica la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362 e ss. e 2113 cod. civ., 111, settimo comma, Cost. e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui ha giustificato la necessità della riproduzione della volontà transattiva dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE provinciale del lavoro con la situazione di oggettiva incertezza sull’idoneità dell’accordo transattivo raggiunto, omettendo di considerare che il termine decadenziale per l’impugnazione dell o stesso da parte del lavoratore era ormai decorso;
con il quinto motivo lamenta la carenza e illogicità della motivazione, nonché il «totale travisamento della documentazione versata in atti e mancata ammissione delle prove testimoniali», nella parte in cui ha ritenuto che i convenuti fossero stati sempre disponibili ad accedere alle richieste del COGNOME, ma che non avevano potuto darvi seguito per la inziale irreperibilità di quest’ultimo;
-con l’ultimo motivo censura la sentenza di appello per falsa applicazione dell’art. 96, terzo comma, cod. proc., civ. e illogicità e inconsistenza della motivazione, nella parte in cui ha respinto il motivo di appello vertente sulla statuizione di condanna ex art. 96, terzo
comma, cod. proc. civ. in ragione dell’accertato atteggiamento pienamente collaborativo della RAGIONE_SOCIALE e della ingiustificata volontà dell’attore di continuare la lite anziché convocare la ex datrice di lavoro dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE provinciale del lavoro o accettare la dichiarazione stragiudiziale resa dalla società;
il primo motivo è infondato;
va rammentato che il vizio di ultra o extra petizione non ricorre quando il giudice rilevi, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie invocata dalla parte a sostegno della propria pretesa creditoria, in quanto tale attività attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (cfr. Cass. 5 agosto 2019, n. 20932; Cass. 10 maggio 2018, n. 11304; Cass. 7 dicembre 2005, n. 26999);
la trasposizione del riferito principio al caso in esame induce a escludere la prospettata violazione della legge processuale, in quanto il giudice si è limitato ad accertare l’insussistenza dei presupposti richiesti per la nascita del diritto azionato dall’attore, in ragione della inesigibilità della prestazione per mancata scadenza del termine e dell’assenza della invocata responsabilità del ConRAGIONE_SOCIALE per insussistenza dei presupposti previsti dall’ invocato art. 2495, secondo comma, cod. civ., con accertamento, dunque, circoscritto alla verifica della esistenza dei fatti costitutivi previsti dalle fattispecie rilevanti;
la doglianza ipotizza, poi, la violazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione alla rilevazione dell’assenza degli elementi costitutivi delle fattispecie senza aver rispettato l’obbligo del contraddittorio, ma tale doglianza appare logicamente ipotizzabile nei confronti della decisione di primo grado, ma non anche nei confronti di quella di appello, pronunciata dopo che le parti hanno avuto la possibilità di prendere posizione sui fatti in questione;
il secondo motivo è inammissibile;
affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di
omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (cfr. Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15781);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere;
il terzo motivo è inammissibile;
l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.;
ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (cfr. Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere, limitandosi a dedurre che l’interpretazione del giudice di merito è «non conforme a quanto stabilito dagli art.li 1362, 1363, 1366 e 1370 del codice civile», genericamente indicati, e senza illustrarne le ragioni per cui tale interpretazione non sarebbe coerente con le regole ermeneutiche ivi indicate, ma allegando ne l’arbitrarietà e l’illogicità dell e relative
conclusioni;
il quarto motivo è inammissibile;
infatti, la censura investe un passaggio motivazionale che non esprime la ratio decidendi , consistente nella volontà espressa dalle parti di comporre i rispettivi interessi mediante il rilascio da parte della RAGIONE_SOCIALE, dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE provinciale del lavoro, della dichiarazione di insussistenza di qualsiasi inadempimento a carico dell’odierno ricorrente e nella contestuale dichiarazione di quest’ultimo di non aver più nulla a pretendere dalla società, ma si limita a rafforzare tale ratio ;
in quanto tale, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse (cfr. Cass. 8 giugno 2022, n. 18429; Cass. 10 aprile 2018, n. 8755);
il quinto motivo è, del pari, inammissibile;
la doglianza, aggredendo la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto il ricorrente responsabile della mancata attuazione degli impegni assunti con l’accordo transattivo, si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori che è riservata dal giudice di merito;
sotto altro aspetto, la sentenza di sottrae al prospettato vizio motivazionale, in quanto consente di individuare l’iter argomentativo seguito dal giudice;
anche l’ultimo motivo è inammissibile;
la doglianza si risolve in una generica critica della sentenza di appello, nella parte in cui ha ritenuto corretta la condanna del ricorrente per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., argomentata con la «totale incongruità della motivazione» imperniata su una diversa ricostruzione dello svolgimento dei fatti sul punto della condotta osservata dal ricorrente in esecuzione degli impegni assunti dalle parti con la conclusione dell’accordo transattivo
che, come rilevato in precedenza, non può essere utilmente prospettata in questa sede;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 6 giugno 2024.