Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28578 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28578 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20866/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME, elettivamente domiciliato all’indicato indirizzo PEC dell ‘ AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 898/2018 della Corte d’Appello di Genova, depositata il 1°.6.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di NOME COGNOME, imprenditore individuale, propose azione revocatoria, nei confronti dell’allora RAGIONE_SOCIALE, volta al recupero di rimesse bancarie solutorie per complessive Lire 931.231.250.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di La Spezia accolse la domanda e condannò l’attuale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. (nel frattempo succeduta a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A.) al pagamento di € 480.940,40 , in linea capitale, oltre agli accessori, in favore di RAGIONE_SOCIALE, società intervenuta nel processo quale cessionaria dell’azione revocatoria in esito alla omologazione del concordato fallimentare con cui si era chiusa la procedura concorsuale a carico di NOME COGNOME.
RAGIONE_SOCIALE impugnò la sentenza di primo grado davanti alla Corte d’Appello di Genova e dovette in seguito riassumere il processo nei confronti di NOME COGNOME, quale unico socio di RAGIONE_SOCIALE, che si era nel frattempo estinta per cancellazione dal registro delle imprese.
All’esito del giudizio d’appello la Corte ligure, in riforma della decisione del Tribunale di La Spezia, accolse la domanda limitatamente all’importo capitale di € 2.067,83, dichiarando «tenuta parte appellata a restituire» la differenza tra l’ importo versato dalla banca in esecuzione della sentenza di primo grado ( € 1.122 .137,55) e quanto effettivamente dovuto.
Contro la sentenza della corte d’appello NOME AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data del 31.5.2023, fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c., all’esito della quale la causa venne rinviata a nuovo ruolo
in attesa della decisione delle Sezioni unite sulle questioni relative agli effetti sul processo dell’estinzione della società di capitali, che erano state poste con l’ ordinanza interlocutoria della Sezione tributaria n. 7425/2023.
Intervenuta la sentenza n. 3625/2025 delle Sezioni unite, è stata nuovamente fissata la data per la trattazione in camera di consiglio ed entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. del combinato disposto degli artt. 167, 164 e 184 c.p.c. ( ratione temporis vigenti)».
La corte territoriale ha drasticamente ridotto l’importo dell’accoglimento dell’azione revocatoria sulla base del rilievo che la prima pubblicazione di protesti a carico di NOME COGNOME risultava avvenuta il 7.8.1993 e che, dopo quella data, c’era stata una sola rimessa sul conto corrente di Lire 4.000.000. Il giudice d’appello ha quindi rilevato la genericità delle allegazioni in citazione in merito al l’ elevazione di altri protesti, traendone la conclusione, da un lato, che non poteva essere sorto un onere di specifica contestazione in capo alla banca convenuta; dall’altro lato, che dovevano ritenersi tardive e irrilevanti le indicazioni circa l’epoca dei protesti effettuate solo nella memoria istruttoria.
Il ricorrente contesta questa parte della motivazione osservando che l’asserita genericità delle allegazioni iniziali non aveva indotto il giudice di primo grado, né quello d’appello , a rilevare la nullità della domanda (nel quale caso si sarebbe dovuto concedere un termine per la sua integrazione); pertanto, si sostiene, se la domanda non era nulla, le eventuali carenze
di allegazione non potevano essere essenziali e si sarebbe dovuta considerare valida la successiva specificazione mediante le deduzioni istruttorie.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. -Errata valutazione delle produzioni».
La Corte d’Appello di Genova ha dichiarato di non avere rinvenuto, nel fascicolo di causa, i documenti prodotti da parte attrice in primo grado e, in particolare, il «certificato camerale storico protesti» e «gli assegni versati con la memoria istruttoria 28.9.2000».
Con questo motivo il ricorrente si duole che il giudice d’appello non abbia disposto la ricerca dei documenti mancanti, come sostiene che sarebbe stato doveroso, in considerazione della circostanza che i documenti risultavano prodotti in primo grado, che il processo aveva subito varie complesse vicende e che la controparte e il tribunale non avevano mai messo in dubbio la produzione documentale.
Il terzo motivo di ricorso è rubricato «omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. circa un fatto decisivo della controversia. Omesso esame del prodotto bollettino dei protesti».
La questione dell’omessa ricerca de l bollettino dei protesti che era stato prodotto in primo grado viene ripresa, con questo motivo, sub specie di omesso esame dei fatti che il giudice avrebbe potuto constatare leggendo quel bollettino, ovverosia che i primi protesti erano «avvenuti in data 2.7.1993 (e non il 7.8.1993)».
Il quarto motivo censura «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. de ll’ art. 67, comma 2, legge fall. ( ratione temporis vigenti)».
Il ricorrente contesta alla corte d’appello di avere ritenuto non accertata «la conoscibilità della ‘decozione’ del COGNOME» nonostante le rimesse fossero state effettuate su un conto non affidato , con l’effetto di un rientro dall’esposizione che si afferma essere avvenuto «precipitosamente».
Il quinto motivo prospetta «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. del combinato disposto degli artt. 67, comma 2, legge fall. ( ratione temporis vigenti) e 1224, commi 1 e 2, c.c.».
Oggetto di censura è, in questo caso, la decisione di considerare quello per la restituzione della rimessa revocata un credito di valuta, e non di valore, con la conseguenza del riconoscimento, sull’importo capitale, dei soli interessi legali a decorrere dalla domanda giudiziale.
Infine, il sesto motivo è teso a censurare «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. de ll’ art. 2495 c.c. con riferimento al capo b) del dispositivo della sentenza impugnata».
La censura è mirata nei confronti del capo b) del dispositivo della sentenza impugnata, laddove la corte d’appello «dichiara tenuta parte appellata a restituire la differenza tra il complessivo importo di € 1.122.137,55 , oltre agli interessi legali dalle rispettive date di pagamento al saldo, e l’importo di cui al capo a)».
Il ricorrente osserva di essere stato coinvolto nel processo, dopo l’interruzione in appello per la cancellazione dal registro delle imprese di RAGIONE_SOCIALE, in quanto unico socio della società estinta. Rileva di non avere percepito la somma
pagata da RAGIONE_SOCIALE in forza della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado -somma che venne pagata alla società -e di non essere quindi obbligato alla restituzione di quella somma, potendo tutt’al più essere responsabile per la relativa obbligazione nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, con onere a carico della controparte di allegare e provare che qualcosa sia stato riscosso. Poiché la banca non risulta avere nemmeno allegato il presupposto della responsabilità del socio, il ricorrente sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto rilevare e dichiarare il difetto di interesse ad agire nei suoi confronti, ovverosia a proseguire l’azione dopo l’interruzione per la cancellazione di RAGIONE_SOCIALE
7. I primi quattro motivi di ricorso riguardano il merito della decisione assunta dalla corte d’appello sull’azione revocatoria originariamente promossa dal fallimento di NOME e, più in particolare, l’unico aspetto controverso, che è quello della prova della conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla banca nei momenti in cui furono effettuate le rimesse sul conto corrente bancario.
Tutti questi motivi sono inammissibili.
7.1. In astratto è corretta l ‘affermazione che la genericità dell’allegazione dei fatti nell’atto di citazione -per quanto innegabile («vennero elevati fin dal 1993 numerosi protesti regolarmente pubblicati nel Bollettino ufficiale tenuto dalla locale RAGIONE_SOCIALE») -non comportava la nullità della domanda (che infatti non venne contestata) e non impediva la specificazione delle date rilevanti nella memoria istruttoria.
Ma si tratta di una questione di per sé ininfluente ai fini della decisione assunta, posto che il rilievo della genericità dell’atto introduttivo non ha impedito alla corte territoriale di
scendere comunque all’esame del merito e al l’ accertamento della data rispetto alla quale si poteva ritenere provata la conoscenza dello stato di insolvenza, ovverosia il 7.8.1993, giorno al quale -secondo quanto riconosciuto dalla stessa banca -risaliva la prima pubblicazione di protesti cambiari a carico di NOME COGNOME.
7.2. Il tema si sposta, pertanto, sul piano della prova e del materiale probatorio utilizzato -o non utilizzato -dalla corte d’appello per accertare la data di pubblicazione dei protesti, che è (o meglio, come si vedrà tra poco, sarebbe dovuto essere) l’oggetto di attenzione del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Come si è anticipato, il ricorrente si duole che la corte d’appello non avendo rinvenuto il bollettino dei protesti nel fascicolo di parte -non ne abbia disposto la ricerca (secondo motivo) e che, in tal modo, abbia omesso di esaminare il fatto storico che i primi protesti «fossero avvenuti in data 2 luglio 1993 (e non 7 agosto 1993)» e che, tra queste due date, risultavano effettuate ulteriori rimesse sul conto corrente per Lire 243.000.000 (terzo motivo).
L’inammissibilità dei due motivi deriva dall’assorbente considerazione che, come da tempo sancito dalla giurisprudenza citata dallo stesso ricorrente (Cass. nn. 25133/2018; 16212/2017; 18237/2008; cui si può aggiungere, tra le tante, Cass. n. 21571/2020), la parte che intenda censurare la violazione del dovere del giudice di ricercare i documenti di cui sia dimostrato che erano stati prodotti ha l’onere di spiegare e dimostrare la rilevanza di quei documenti ai fini di una diversa decisione della causa.
Ebbene il ricorrente non ha assolto tale onere, posto che fa ripetutamente riferimento alla data di prima elevazione dei protesti (2 luglio) e mai a quella della loro pubblicazione sul
bollettino (valorizzata dal giudice d’appello e individuata nel 7 agosto). Ma è chiaro che l’elevazione del protesto non ha di per sé alcun valore indiziario ai fini della prova della conoscenza dello stato di insolvenza, non essendo conoscibile all’esterno (né essendosi allegato che la banca fosse a conoscenza diretta di quei protesti), mentre è solo la pubblicazione dei protesti che può essere utilizzata per costruire una prova presuntiva che il personale della banca avesse monitorato i bollettini e così conosciuto lo stato di insolvenza del cliente. L’elevazione de i protesti è un chiaro sintomo di insolvenza, ma oggetto specifico di accertamento nell’azione revocatoria è la conoscenza dello stato di insolvenza, di cui è un chiaro sintomo solo la pubblicazione dei protesti, che li rende conoscibili all’esterno e, in particolare, a un soggetto qualificato professionalmente a conoscere quella pubblicazione.
In sostanza il ricorrente, affermando che dai documenti non esaminati risultava l’elevazione di protesti in data anteriore a quella considerata dalla corte genovese, nulla dice circa l’utilità di quei documenti al fine di portare il giudice a una diversa decisione in merito alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza.
7.3. Il quarto motivo è volto a sostenere che la corte d’appello avrebbe dovuto comunque accertare la conoscenza dello stato di insolvenza in data anteriore al 7 agosto, anche a prescindere dalla pubblicazione dei protesti, in considerazione del fatto che le rimesse erano state effettuate su un conto corrente non affidato e che il conseguente rientro dalla esposizione sarebbe avvenuto «precipitosamente».
A prescindere dalla genericità di questo giudizio, se confrontato con la regola per cui il giudice «non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti» (art. 2729,
comma 1, c.c.), il motivo è palesemente inammissibile, perché propone una censura direttamente rivolta all’accertamento del fatto, che compete al giudice del merito e non è di per sé sindacabile in sede di legittimità.
Il motivo è inammissibile anche con riguardo ad un ulteriore profilo, perché la sua illustrazione nel ricorso si conclude con la richiesta che questa Corte «cassi la sentenza impugnata anche con riferimento alla data di conoscibilità della ‘ decozione ‘ del COGNOME» . Ma l’onere della prova dell’attore nell’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, comma 2, legge fall. non ha ad oggetto la «conoscibilità» dello stato di insolvenza, bensì la sua effettiva «conoscenza», sia pure dimostrabile mediante presunzioni semplici ( ex multis , Cass. nn. 526/2016; 3336/2015; 12085/2013; 18196/2012).
8. Il quinto motivo contesta la decisione della corte d’appello , che anche sul punto ha riformato la sentenza di primo grado, di considerare obbligazione pecuniaria di valuta quella avente ad oggetto il pagamento della somma corrispondente alle rimesse revocate, con conseguente applicazione dei soli interessi legali a decorrere dalla domanda giudiziale sull’importo capitale oggetto di condanna.
8.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c., perché il ricorrente invoca un orientamento giurisprudenziale (da ultimo Cass. n. 13244/2011) minoritario e da tempo superato, dovendosi considerare ormai principio consolidato quello secondo cui « l’obbligo restitutorio dell ‘ accipiens soccombente in revocatoria … ha natura di debito di valuta e non di valore, in quanto l ‘ atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva, avendo ad oggetto l ‘ esercizio di un diritto
potestativo e non di un diritto di credito; ne consegue che anche gli interessi sulla somma da restituirsi decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno, conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria, spetta solo ove l ‘ attore lo alleghi specificamente e dimostri di averlo subito » (Cass. 12850/2018, che cita a sua volta Cass. nn. 12736/2011 e 27084/2011; successivamente, conf. Cass. n. 31652/2024).
Rimane il sesto motivo di ricorso, che pone una questione del tutto diversa rispetto ai motivi precedenti.
La Corte d’Appello di Genova, avendo drasticamente ridotto l’importo per cui è stata accolta l’azione revocatoria, ha ritenuto di accogliere la domanda di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. volta a ottenere «ogni consequenziale statuizione in punto restituzione delle somme erogate, medio tempore , in esecuzione della sentenza appellata». Ciò ha fatto rilevando, in motivazione, che erano state documentate le «somme versate a RAGIONE_SOCIALE» e dichiarando quindi, al capo b) del dispositivo, «tenuta parte appellata a restituire la differenza tra il complessivo importo di € 1.122.137,55, oltre agli interessi legali dalle rispettive date di pagamento al saldo, e l’importo di cui al capo a)» ( id est € 2. 067,83, oltre agli interessi legali dal 3.12.1998 all’avvenuto pagamento) .
L’affermazione nella sentenza dell’obbligo di restituire la somma ricevuta è a tutti gli effetti un accertamento e l’attribuzione dell’obbligo alla «parte appellata» coinvolge direttamente NOME COGNOME, nei cui confronti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. aveva riassunto il processo dopo l’interruzione per la cancellazione dal registro delle imprese di RAGIONE_SOCIALE e che è infatti indicato come «appellato» nell’intestazione della sentenza impugnata.
Il ricorrente contesta quindi -con questo motivo -la violazione del l’art. 2495 , comma 3, c.c., il quale dispone, per la parte che qui interessa, che, «Ferma restando l ‘ estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione».
9.1. Si tratta della questione con riferimento alla quale, nella camera di consiglio del 31.5.2023, venne disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni unite, sollecitate dalla Sezione tributaria con l’ordinanza interlocutoria n. 7425/2023.
Le Sezioni unite si sono nel frattempo pronunciate con la sentenza n. 3625/2025, la quale, peraltro, occupandosi del tema specifico degli effetti dell’estinzione della società di capitali nell’ambito tributario , ha ribadito « un assetto ricostruttivo già consolidatosi in quello civilistico », in particolare richiamando le sentenze pronunciate, sempre dalle Sezioni unite, nel 2013 (nn. 6070/2013; 6071/2013; 6072/2013).
Di tale assetto ricostruttivo si dà riassuntivamente conto nella sentenza n. 3625/2025, ricordando « che, sul piano sostanziale, qualora all ‘ estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, ‘si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l ‘ obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o
illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un ‘ attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo’ . Mentre, sul piano processuale, la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l ‘ estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, in modo tale che qualora l ‘ estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, ‘si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell ‘art. 110 cod. proc. civ.’ ».
Ai fini che qui interessano è importante anche ricordare che « quella di cui all’articolo 2495 secondo comma (percezione di somme di liquidazione nelle società di capitali) è condizione dell ‘ azione inerente non alla legittimazione passiva ( ad causam ) bensì all ‘ interesse ad agire, con la precisazione però che la mancata percezione di somme di per sé non esclude l ‘ interesse ad agire del creditore sociale in vista, ad esempio, dell ‘ escussione di garanzie o della sopravvenienza di beni destinati a confluire in un regime di contitolarità o comunione indivisa. E vertendosi appunto di condizione dell ‘ azione, in caso di contestazione è il creditore sociale che agisce a dover provare tanto la veste di ex socio del
convenuto quanto il presupposto di cui all ‘ articolo 2495 secondo comma ».
In altri termini, « a seguito dell’estinzione della società, il socio ( ex -socio) è successore per il solo fatto di essere tale e non perché abbia ricevuto quote di liquidazione; ed il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito ».
9.2. Nel caso di specie, non risulta, né che il ricorrente abbia eccepito il difetto di interesse ad agire nei suoi confronti di RAGIONE_SOCIALE, né che quest ‘ultim a abbia allegato fatti a sostegno della responsabilità patrimoniale del socio per il pagamento dei debiti della società estinta (in particolare non ha allegato, né tantomeno offerto di provare, che il socio abbia ricevuto un qualche valore economico in base al bilancio finale di liquidazione della società).
A ben vedere l’interesse ad agire della banca non viene contestato nemmeno in questa sede da NOME COGNOME, il quale infatti si difende nel merito dell’azione revocatoria, proponendo i primi cinque motivi di ricorso. E, del resto, poiché l’estinzione della società si è verificata in pendenza dell’appello e dopo che la sentenza del tribunale aveva accolto pressoché integralmente la domanda, sarebbe ben difficile negare a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. l’interesse a ottenere un diverso accertamento in secondo grado, evitando il passaggio in giudicato di una sentenza a sé sfavorevole. Ciò, in linea con l’affermazione della giurisprudenza citata, secondo cui « la mancata percezione di somme di per sé non esclude l ‘ interesse ad agire del creditore sociale », e con la necessità di garantire a tale creditore il diritto inviolabile di difesa «in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24 Cost.).
9.3. Fermi, pertanto, la legittimazione passiva del socio (che non è mai in discussione, posto che « il socio (ex-socio) è successore per il solo fatto di essere tale e non perché abbia ricevuto quote di liquidazione ») e l’interesse ad agire del creditore (che non è qui contestato), il sesto motivo di ricorso si concentra sull’a ffermazione dell’obbligo di restituzione a carico del socio e, entro tali limiti, esso è fondato e meritevole di accoglimento.
Sembra che la corte d’appello abbia quasi voluto aggirare il problema evitando di pronunciare una condanna («dichiara tenuta») e di indicare nominativamente il socio quale soggetto obbligato alla restituzione («la parte appellata»).
Tant’è che la stessa RAGIONE_SOCIALE, nel controricorso e di nuovo nella più recente memoria illustrativa, ha sostenuto di non avere proposto «una domanda di condanna nei confronti del COGNOME» e che «la Corte d’Appello non si è pronunciata» sul tema della eventuale responsabilità del socio per il debito della società estinta.
Ma diverso è il significato oggettivo di quanto statuito nella sentenza impugnata, perché «la parte appellata» è ormai identificabile soltanto con il socio NOME COGNOME (indicato come tale nell’intestazione) e perché l’accertamento che tale parte è «tenuta … a restituire» una somma (di cui però si dà atto in motivazione che fu versata a RAGIONE_SOCIALE), una volta che passasse in giudicato, renderebbe incontestabile l’esistenza dell’obbligo del socio e quindi inopponibile un ‘ingiunzione o un’azione esecutiva nei suoi confronti .
È appena il caso di rilevare, perché nessuno lo mette in discussione, che la mancata contestazione dell’interesse ad agire del creditore della società estinta non implica alcun riconoscimento della propria responsabilità patrimoniale da
parte del socio, né tantomeno trasforma il socio di una società di capitali in un socio illimitatamente responsabile per il debito della società. Ciò in quanto, secondo i citati principi definiti dalle Sezioni unite in applicazione dell’art. 2495 c.c., il trasferimento dell’obbligazione della societ à ai soci si verifica sempre (per consentire la prosecuzione del processo interrotto e non pregiudicare ingiustamente il diritto di difesa del creditore), a prescindere dalla responsabilità patrimoniale dei soci per quella obbligazione, responsabilità che sussiste solo nel caso in cui i soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione e nei limiti di tali (eventuali) somme.
Ciò posto, si deve prendere atto che la Corte d’Appello di Genova ha interpretato le conclusioni rassegnate da RAGIONE_SOCIALE («con ogni consequenziale statuizione in punto restituzione delle somme erogate, medio tempore , in esecuzione della sentenza appellata») come domanda rivolta indistintamente nei confronti della «parte appellata», ormai identificabile con il socio unico superstite NOME COGNOME; e che tale domanda è stata accolta, sia pure utilizzando la formula solo apparentemente impersonale sopra riportata («dichiara tenuta parte appellata»).
Tale decisione viola la norma di diritto contenuta nell’art. 2495, comma 3, c.c., come interpretata dalle Sezioni unite, perché afferma la responsabilità del socio per un debito della società di capitali estinta in carenza di allegazione del l’ulteriore e necessario presupposto di fatto della riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione. Ne consegue la necessità di cassare la sentenza impugnata in parte qua , tenendo ferma la decisione della corte territoriale sull’azione revocatoria , da cui scaturisce senz’altro il diritto della banca di ricevere in restituzione quanto indebitamente versato in eccedenza in
esecuzione della sentenza di primo grado poi riformata, ma rimanendo del tutto impregiudicata la possibilità di individuare, dopo l’estinzione d i RAGIONE_SOCIALE, un soggetto nei cui confronti si possa fare valere, almeno in qualche misura, la responsabilità patrimoniale per l’adempimento dell’ obbligazione restitutoria.
10. In definitiva, dichiarati inammissibili i primi cinque motivi di ricorso, l’accoglimento del sesto motivo comporta la cassazione limitata al punto 5) della motivazione e al capo b) del dispositivo della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si procede alla decisione nel merito (art. 384, comma 2, c.p.c.), con il rigetto della domanda di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo di NOME COGNOME di restituire la somma versata a NOME RAGIONE_SOCIALE in esecuzione della sentenza di primo grado, poi riformata.
11. La reciproca parziale soccombenza giustifica che siano compensate anche le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, ferma la compensazione di quelle relative ad entrambi i gradi di merito, così come già disposta nella sentenza qui impugnata.
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento del sesto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata limitatamente al punto 5) della motivazione e al capo b) del dispositivo e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A. volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo di NOME COGNOME di restituire la somma versata a RAGIONE_SOCIALE in esecuzione della sentenza di primo grado;
dichiara inammissibili i restanti motivi di ricorso;
compensa le spese di lite dell’intero processo .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.10.2025.
Il Presidente NOME COGNOME