Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4346 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21857/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso DECRETO di TRIBUNALE ANCONA n. 4675/2020 depositato il 09/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 9.7.2020 il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da NOME COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva rigettato la sua domanda di insinuazione in privilegio ex art. 2751 bis n. 2 cod. civ. del credito dell’importo di € 30.545,27 richiesto a titolo di compenso maturato per lo svolgimento dell’attività di sindaco della società fallita per gli esercizi 2016, 2017 e parte del 2018.
Il Tribunale di Ancona, dopo aver premesso che l’inadempimento imputabile al singolo membro del RAGIONE_SOCIALE sindacale è individuabile ogniqualvolta l’organo di controllo ometta di adottare misure di intervento tempestive e concrete idonee a contenere e contrastare efficacemente la mala ge stio degli organi gestori, ha evidenziato che l’COGNOME non aveva posto in essere concreti strumenti di reazione rispetto alla scrittura ‘ricognitiva’ del 1.1.2014 sottoscritta dalla società fallita e dalla capogruppo RAGIONE_SOCIALE E., con la quale la stessa fallita aveva accettato una ingiustificabile posticipazione delle aspettative di restituzione di un finanziamento alla RAGIONE_SOCIALE (che era stato, peraltro, destinato in attività di impresa del tutto estranee alla sfera di pertinenza della partecipata poi fallita), senza alcun ragionevole supporto causale, anche tenuto conto dell’assoluta necessità del tutto pretermessa -di reperire risorse per fronteggiare l’ingente esposizione debitoria e la crisi finanziaria in cui versava.
In sostanza, l’COGNOME non aveva posto in essere alcun o strumento di reazione idoneo ad evitare le conseguenze negative poi verificatesi che avevano contribuito ad aumentare il già conclamato dissesto della società, che aveva portato alla dichiarazione di fallimento.
Ulteriore profilo di grave inadempimento è stato individuato in capo all’opponente per la mancata reazione all’indicazione a bilancio da parte della società poi fallita del credito di € 782.789 vantato verso RAGIONE_SOCIALE (società del gruppo di cui faceva parte la fallita), nonostante la grave crisi in cui versava la debitrice, circostanza che non poteva non essere nota all’COGNOME che rivestiva contestualmente la qualità di sindaco della RAGIONE_SOCIALE ed era quindi pienamente consapevole che la società del gruppo RAGIONE_SOCIALE era stata esclusa dai piani di risanamento ex art. 67 legge fall. in quanto del tutto decotta. In sostanza, è stato imputato l’omesso controllo in relazione all’omessa svalutazione da parte degli amministratori del credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Tali argomentazioni consentivano di accertare la legittimità del provvedimento di esclusione del credito insinuato dall’COGNOME, in considerazione della non superata ed assorbente eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a sei motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 cod. civ. in combinato disposto con l’art.
1460 cod. civ., in tema di mancato prodromico accertamento della mala gestio degli amministratori.
Espone il ricorrente che la responsabilità dei sindaci per omesso controllo è ipotizzabile se e in quanto esista in concreto una accertata mala gestio da parte degli amministratori che abbia cagionato danni patrimoniali alla società e ai creditori.
Nel caso di specie, la responsabilità degli amministratori non solo non era stata contestata, ma neppure incidentalmente accertata nel dal G.D. né dal Tribunale in sede di opposizione ex art. 98 legge fall..
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2403 e 2403 bis cod. civ. in combinato disposto dell’art. 1460 cod. civ., oltre alla violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
Espone il ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE nel 2014 non era assolutamente in una situazione di insolvenza irreversibile, tanto è vero che nello stesso si era accinta a realizzare un piano di risanamento ex art. 67 legge fall., elemento che rappresenta un indice che la situazione debitoria era indubbiamente pesante, ma non compromessa. Non a caso, il fallimento era stato dichiarato solo quattro anni più tardi, dopo un concordato non ammesso. Inoltre, la società poi fallita non solo nel 2014 non aveva erogato finanziamento alla RAGIONE_SOCIALE, ma aveva già progressivamente ridotto l’esposizione creditoria nei confronti della stessa.
Il ricorrente assume che la circostanza che il finanziamento erogato alla RAGIONE_SOCIALE fosse pari a sette milioni di euro non ne prova l’anomalia, tenuto conto che nel triennio antecedente al 2014 la RAGIONE_SOCIALE era una società in forte crescita ed adeguatamente patrimonializzata e con un importante attivo. Inoltre, a fronte dei citati finanziamenti, la RAGIONE_SOCIALE aveva rilasciato ampie garanzie fideiussorie in favore della unipersonale fino a 34 milioni di euro.
Il ricorrente si duole che il Tribunale gli rimprovera di non aver posto in essere concreti strumenti di reazione rispetto alla scrittura ‘ricognitiva’ del 2014, ma non ha individuato quali sarebbero tali strumenti di reazione. In ogni caso, tale atto ricognitivo sarebbe dovuto essere esaminato unitamente al piano di ristrutturazione del 2014, che aveva consentito il permanere della garanzia fideiussoria prestata dalla RAGIONE_SOCIALE ed il conseguente mantenimento delle linee di credito.
In conclusione, ad avviso del ricorrente, il Tribunale aveva attribuito al RAGIONE_SOCIALE sindacale una sorta di responsabilità oggettiva, senza enunciare quale fosse la macroscopica violazione che la giurisprudenza di questa Corte (è stata citata Cass. n. 16314/2017) richiede ai fini della configurabilità della responsabilità dell’organo di controllo.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 2407 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 1460 cod. civ..
Espone il ricorrente che né la curatela ha dimostrato, né il Tribunale ha specificamente argomentato la sussistenza di violazioni del sindaco, né men che meno il nesso di causalità tra queste ed il danno asseritamente verificatosi.
I primi tre motivi, da esaminarsi unitariamente in ragione della stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza e inammissibilità.
Ritiene questo RAGIONE_SOCIALE che, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali, e ciò in applicazione dei principi in tema di onere della prova nell’adempimento delle obbligazioni enunciati da questa
Corte a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n. 13533/2001 (conf. 8615/2006, n. 15659/2011, n. 826/2015, n. 98/2019), che vanno modellati in relazione alla peculiarità delle funzioni del sindaco, che svolge un’attività di vigilanza dell’operato altrui. In particolare, ove sia sollevata l’eccezione di inesatto adempimento, mentre è onere del curatore allegare e provare quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, quanto a quest’ultima al curatore basta allegare un comportamento specifico e negligente integrante l’inesatto adempimento del sindaco al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società; spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, cod.civ.); questi ultimi, in effetti e a loro volta, non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge ma comportano l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.
Questa Corte (vedi Cass. n. 16314/2017; Cass. n. 20651/2019; Cass. n. 32397/2019) ha, infatti, più volte, enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di responsabilità degli organi sociali, la
configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c od.civ. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al AVV_NOTAIO per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c od.civ.
Nel caso di specie, Il Tribunale ha correttamente applicato i principi enunciati da questa Corte.
A differenza di quanto assume il ricorrente, il Tribunale di Ancona ha, preliminarmente, accertato in concreto, in via incidentale, la mala gestio degli amministratori, descrivendo -come già riportato in narrativa – gli atti di gestione posti in essere dagli amministratori in danno della società poi fallita (che già versava in una situazione di conclamata crisi) che avevano contribuito ad aggravare il dissesto che avrebbe poi portato alla dichiarazione di fallimento.
Dunque, il Tribunale ha pienamente colto l’esigenza prodromica di accertare i fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si è innestata la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, stigmatizzando proprio la mancata tempestiva e concreta reazione del sindaco alle operazioni di mala gestio poste in essere dall’organo amministrativo .
In ordine a tale punto, la censura del ricorrente, secondo cui il decreto impugnato non avrebbe indicato gli strumenti di reazione che l’organo di controllo avrebbe dovuto attivare , è infondata: è evidente che, in difetto di altra precisazione, il tribunale abbia implicitamente inteso far riferimento, indifferentemente, agli
strumenti di reazione offerti ai sindaci dalla legge (codice civile), come la convocazione, in caso di fatti censurabili di rilevante gravità , a norma dell’art. 2406 comma 2° cod. civ., o la denunzia al Tribunale ex art. 2409 ult. comma cod. civ..
Il Tribunale di Ancona ha, altresì, avuto cura di individuare ed argomentare la condotta omissiva (ovvero la mancata tempestiva reazione) del sindaco nonché la sussistenza di un nesso di causalità con i danni patiti dalla società fallita, avendo evidenziato, per quanto sopra detto, come la mancata reazione tempestiva dell’organo di controllo agli atti di mala gestio non avesse consentito di evitare le conseguenze negative di tali atti, contribuendo ad aggravare il dissesto della società (l’aggravamento del dissesto rappresenta quindi il danno alla società fallita che è stato imputato al sindaco).
Il ricorrente nell’affermare che la società poi fallita non si trovasse, in realtà, in una situazione di grave crisi quando ha sottoscritto con la RAGIONE_SOCIALE, nel 2014, la scrittura ‘ricognitiva’ che aveva determinato un’ingiustificata (e quindi senza una ragionevole causa) posticipazione della restituzione del finanziamento precedentemente erogato alla stessa RAGIONE_SOCIALE (sette milioni di euro), che, anzi, la predetta società era, invece, in forte crescita, e con un attivo, e che comunque l’esposizione creditoria verso la RAGIONE_SOCIALE era stata progressivamente ridotta – non ha fatto altro che, inammissibilmente, svolgere censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal Tribunale di Ancona, attività non consentita in sede di legittimità.
La Corte di Cassazione non può, infatti, sindacare valutazioni in fatto riservate al giudice di merito, se non per vizio di motivazione (nel caso di specie neppure dedotto) nei ristretti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ., come
interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Inoltre, il ricorrente, nell’affermare che il Tribunale di Ancona non aveva tenuto conto, nella valutazione della dannosità dell’operazione riconducibile alla scrittura ‘ricognitiva’ del 2014, del vantaggio compensativo rappresentato dalla fideiussione di ben 34 milioni di euro prestata dalla RAGIONE_SOCIALE (circostanza che avrebbe consentito alla fallita di mantenere gli affidamenti bancari), e di quanto stabilito nel piano di risanamento ex art. 67 legge fall., non ha avuto cura di precisare ‘dove’ e ‘come’ nel giudizio di opposizione ex art. 98 legge fall. tali circostanze fattuali avessero eventualmente formato oggetto di discussione tra le parti e quindi come esse fossero state sottoposte all’esame del giudice di merito, con la conseguenza che, sotto tale profilo, il ricorso per cassazione difetta anche di autosufficienza (il ricorrente non ha neppure indicato, sia pure sommariamente, il contenuto del piano di risanamento ex art. 67 legge fall.).
Va, infine, osservato che in tutti primi tre motivi il ricorrente ha invocato la concomitante violazione dell’art. 1460 cod. civ. senza minimamente illustrare come si sarebbe perpetrata tale violazione. Sul punto, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, con -fra l’altro- l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile la censura nella quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito cfr. Cass. n. 7692/2014).
Proprio in considerazione della totalmente omessa illustrazione da parte del ricorrente della dedotta violazione dell’art. 1460 cod. civ.,
non vi è dubbio che la seconda ratio decidendi del Tribunale di Ancona (la prima è che la curatela aveva provato la responsabilità del sindaco), ovvero che non era stata superata dal ricorrente l’assorbente eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., deve ritenersi non specificamente aggredita e quindi censurata.
Con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (inerente la svalutazione dei crediti), omessa e/o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ..
Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Ancona non avrebbe letto, o lo avrebbe fatto in maniera del tutto superficiale, le relazioni del RAGIONE_SOCIALE sindacale, essendo stati proprio i sindaci ad indurre gli amministratori a svalutare i crediti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE nel bilancio 2014. In particolare, su espressa indicazione dei sindaci, i crediti verso RAGIONE_SOCIALE erano stati svalutati del 74%.
Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di localizzazione processuale.
Va osservato che il ricorrente, nell’invocare l’omesso esame di fatto decisivo, si è limitato, in primo luogo, a fare genericamente riferimento ‘ai verbali del RAGIONE_SOCIALE sindacale dal 2011 in avanti’. L’unico riferimento più specifico riguarda il contenuto della pag. 129 del libro verbale del RAGIONE_SOCIALE sindacale, documento che il ricorrente ha allegato di aver prodotto nel giudizio di opposizione ex art. 98 legge fall. come allegato n. 4, senza, tuttavia, illustrare ‘dove’ e ‘come’ tale punto fosse stato oggetto di specifica trattazione nel ricorso ex art. 98 legge fall. Non è sufficiente, infatti, allegare l’avvenuta produzione in giudizio di un documento, peraltro di consistenza molto corposa, per provare che lo stesso avesse formato oggetto di specifica discussione tra le parti nel giudizio di merito.
Il ricorrente non ha quindi assolto all’onere di allegazione sullo stesso incombente.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 96 comma 3° cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 2° Cost..
Espone il ricorrente che lo stesso non ha affatto abusato dello strumento processuale, essendosi limitato all’esercizio del diritto di difesa, svolgendo puntuali rilievi alle determinazioni degli organi fallimentari.
8. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 7222/2022, 5337/2007, 327/2010; 13071/2003) quello secondo cui l’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure dedotto il vizio di motivazione, il quale può comunque essere sollevato solo nei più circoscritti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Ne consegue che l’accertamento del giudice di merito in ordine alla responsabilità aggravata non è sindacabile in sede di legittimità.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115/2012, per averlo il Tribunale di Ancona, senza motivazione alcuna, condannato al pagamento di un ulteriore contributo unificato, pari a quello dell’opposizione ex art. 98 legge fall.
Ad avviso del ricorrente, tale statuizione è censurabile nella parte in cui il giudice di merito ha esteso l’applicazione dell’istituto del cd. doppio contributo al giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto la normativa richiede quale presupposto imprescindibile la
natura impugnatoria, che sarebbe assente nel l’opposizione allo stato passivo.
Inoltre, la funzione sanzionatoria dell’istituto di cui all’art. 13 quater d.P.R. n. 115/2012 (introdotto allo scopo di disincentivare le azioni giudiziarie) ne determina la natura eccezionale con conseguente necessità di applicazione restrittiva.
10. Il motivo è infondato.
Va, preliminarmente, osservato che le Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. n. 4315/2020) hanno recentemente enunciato il principio di diritto secondo cui è riservata al giudice la valutazione del ‘presupposto processuale’ che determina in astratto il raddoppio del contributo, ossia l’aver adottato una pronuncia integrale di rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione: è proprio quello che è avvenuto nel caso di specie, in cui il Tribunale di Ancona ha adottato tale statuizione dopo aver rigettato l’opposizione allo stato passivo.
Inoltre, la prospettazione del ricorrente, secondo cui l’opposizione ex art. 98 legge fall. non sarebbe un procedimento di natura impugnatoria, invoca una interpretazione frontalmente antiletterale della configurazione dell’istituto, smentita già dalla rubrica dell’art. 98 legge fall., che testualmente recita ‘impugnazioni’ ; parimenti, in tal senso è anche la consolidata giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. n. n. 6279/2022; Cass. 9730/2022; Cass. n. 21490/&20; Cass. n. 26225/2017; Cass. 22006/2017), che ha costantemente affermato la natura impugnatoria, sia pur sui generis , dell’opposizione allo stato passivo, tanto è vero che è esclusa l’ammissibilità di domande nuove, non proposte in sede di verifica dello stato passivo. Va dunque dato atto della correttezza della decisione, anche su questo punto, adottata dal giudice di merito, qui condivisa alla luce della duplice -qui sinteticamente aggiornata – argomentazione sopra ripresa, di tipo testuale e sistematico, idonea a dare continuità all’indirizzo citato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16.1.2023