Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15393/2018 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 396/2018 depositata il 05/03/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Nel 2005 la curatela del RAGIONE_SOCIALE ha promosso azione di responsabilità ai sensi degli artt. 146 l.fall. nonché 2392, 2394 e 2407 c.c. contro l’amministratore unico NOME COGNOME e i componenti del collegio sindacale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME poiché, a partire dal 1993, la società, poi fallita nel 2002, aveva progressivamente subito perdite di esercizio per oltre un terzo del capitale sociale, senza che venissero mai adottate le misure prescritte dagli artt. 2403, 2403-bis. 2446 e 2447 c.c. (fatti anteriori alla riforma del diritto societario del 2003), chiedendo la condanna in via solidale di tutti i convenuti al risarcimento dei danni nella misura di € 630.000,00 (o altra risultante all’esito dell’istruttoria).
1.1. -Il Tribunale di Teramo, dopo aver espletato consulenza tecnica d’ufficio (diretta ad accertare l’epoca in cui si era verificata la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale e l’ammontare del patrimonio netto della società a quella data e alla data del fallimento) ha accolto la domanda e ha condannato i convenuti i n solido al pagamento della somma di € 600.000,00.
1.2. -Contro quella sentenza ha proposto appello principale NOME COGNOME. La curatela fallimentare ha proposto appello incidentale sul capo delle spese (compreso il compenso al CTU). Anche NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto appello incidentale. Nelle more, il Fallimento è stato chiuso per ripartizione finale dell’attivo nel 2017, con autorizzazione del curatore alla prosecuzione del presente giudizio.
1.3. -La Corte d’appello de L’Aquila ha accolto solo l’appello incidentale della curatela fallimentare, rigettando tutti gli altri.
-Avverso detta decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
I due restanti intimati non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 2392, 2394, 2404 e 2697 c.c. poiché la corte territoriale, limitandosi ad affermare la novità dell’eccezione relativa alla mancata accettazione della carica di sindaco della società, tardivamente sollevata dal COGNOME in appello, avrebbe omesso di rilevare che era onere della curatela dimostrare il predetto fatto costitutivo, senza che fosse applicabile il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., trattandosi di giudizio instaurato prima del 4 luglio 2009.
2.2. -Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 342 c.p.c., nonché 2424 e 2481-ter c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto, da un lato, inammissibile perché generica l’eccezione di nullità della CTU (per irregolare acquisizione di documenti non prodotti dalle parti, in violazione del contraddittorio) e , dall’altro lato, corretta la rettifica del bilancio da parte del consulente d’ufficio con riguardo all’appostazione a riserva di un miliardo di lire in seguito all’accollo del debito della società RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE da parte d ell’amministratrice COGNOME e del sindaco COGNOME con contestuale rinuncia al credito di regresso, poiché l’accollo, s ebbene pacificamente cumulativo e non liberatorio, « integrava di certo un aumento del patrimonio netto della società ».
2.3. -Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 2392, 239 e 1226 c.c. per avere la corte territoriale confermato l’entità della liquidazione del danno consistente nella differenza tra il passivo e l’attivo accertato in sede fallimentare, nonostante non potesse ravvisarsi un nesso causale tra l’omesso controllo della contabilità da parte dei sindaci e la mancata dichiarazione tempestiva di fallimento. Secondo il ricorrente, non basterebbe dimostrare che l’omissione dei controlli abbia consentito la prosecuzione dell’attività e dunque il prodursi dell’evento dannoso, occorrendo dare la prova del fatto che i controlli avrebbero consentito di evitare il danno, alla stregua di una prognosi postuma condotta secondo il principio di regolarità causale.
3. -Tutti i motivi sono inammissibili.
3.1. -Il primo non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi della corte territoriale, che condivisibilmente ha rilevato la novità e tardività dell’eccezione sollevata in appello dal COGNOME dopo che questi nel giudizio di primo grado aveva « svolto le proprie difese senza mai contestare » la propria qualità di sindaco della società poi fallita, e dunque la titolarità del rapporto costituente la fonte negoziale de ll’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. di natura contrattuale azionata dalla curatela.
In proposito si rammenta che anche nei giudizi instaurati prima dell’entrata in vigore dell’art. 45, comma 14, l. n. 69 del 2009, che ha sostituito l’art. 115, comma 2, c.p.c., trova applicazione il principio di non contestazione, sia pure solo con riferimento ai fatti primari, ovvero costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio -come è pacificamente la qualità di sindaco del convenuto, che presuppone l’accettazione della nomina, la quale peraltro non richiede specifiche formalità, potendo risultare anche in modo tacito dal compimento di atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare l’incarico, fermo restando che il relativo accertamento costituisce una questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (v. Cass. 14592/2022) -mentre per i fatti secondari, vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria, la non contestazione costituisce solo argomento di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.; con la conseguenza che solo questi ultimi -e non anche i primi -possono essere contestati per la prima volta nel giudizio di appello (Cass. 40756/2021).
Va dunque ribadito che anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione”, a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro e circostanziato, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda in modo altrettanto puntuale e specifico, i quali debbono perciò ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, non li abbia contestati o lo abbia fatto in modo generico (Cass. 26908/2020).
3.2. -Le censure veicolate dal secondo motivo per un verso difettano di autosufficienza -rispetto al rilievo giudiziale, rimasto insuperato, di genericità della eccezione di nullità della CTU perché priva di « una chiara individuazione dei documenti che, acquisiti irritualmente o esaminati in violazione del contraddittorio, abbiano alterato o condizionato in modo decisivo la posizione della parte eccipiente, determinandone un pregiudizio » -e per altro verso attengono al merito della valutazione giudiziale della CTU, a fronte della specifica motivazione sull’accollo non liberatorio del debito della società da parte di COGNOME e COGNOME (in relazione al quale, peraltro, la corte d’appello evidenzia anche un « rimborso di pagamenti in parte mai effettuati e altri da effettuare (un rimborso per costi futuri, insomma) ».
V’è da aggiungere che, al di là dei principi stabiliti da Cass. Sez. U 3086/2022, nel caso in esame si sarebbe trattato di ipotesi di nullità relativa della CTU, ex art. 157, comma 2, c.p.c., in quanto correlata a un interesse primario ma disponibile delle parti (Cass. 5370/2023), per cui la relativa eccezione sarebbe dovuta «essere formalmente proposta, a norma dell’art. 157, comma 2, c.p.c., nella prima istanza o udienza successiva al formale deposito dell’atto viziato – ossia la relazione del consulente tecnico d’ufficio anche a mezzo di rinvio alla contestazione eventualmente formulata nel corso della consulenza, come nelle osservazioni alla bozza di relazione che la parte abbia trasmesso a norma dell’art. 195, comma 3, c.p.c.» (Cass. 31744/2024).
3.3. -Il terzo motivo risulta scollato dalla decisione, poiché denunzia la mancanza di nesso di causalità tra le violazioni addebitate e il danno accertato sul l’apparente presupposto che sia stato applicato il criterio puramente equitativo del cd. sbilancio patrimoniale (differenza tra attivo e passivo patrimoniale alla data del fallimento), mentre dalla sentenza impugnata sembra che il criterio adottato sia stato quello cd. dei netti patrimoniali (v. quesito CTU riportato a pag. 4).
Peraltro, la quantificazione del danno da parte dei giudici di merito appare frutto di un riscontro istruttorio alla indebita prosecuzione
dell’attività nonostante la completa erosione del capitale sociale, piuttosto che l’esito di un criterio equitativo.
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese come da dispositivo.
Tenuto conto che la curatela fallimentare risulta ammessa al patrocinio a spese dello Stato con decreto del G.D. del 22 maggio 2018, ai sensi dell’art. 144, d.P.R. n. 115/2002 (TUSG), si dà atto che, a norma dell’art. 133 TUSG, «il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato». Pertanto, il ricorrente soccombente deve effettuare il pagamento delle spese a favore dello Stato, quale effetto di legge dell’avvenuta condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte ammessa al gratuito patrocinio (Cass. 1639/2011, 2536/2014, 15817/2019).
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. Sez. U, 20867/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento a favore del controricorrente e, per esso, del lo Stato, ai sensi dell’art. 133, d.P.R. n. 115 del 2002, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26/06/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME