Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1859 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1859 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26185/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (pec EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (pec EMAIL), elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
NOME COGNOME ;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1126/2021 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO, depositata il 26/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/12/2023 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
Ritenuto che,
con sentenza resa in data 26/7/2021, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE per la condanna dell’architetto NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti dalla società attrice in conseguenza del negligente o imperito assolvimento, da parte del COGNOME, degli obblighi professionali di progettista e direttore dei lavori assunti nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, con particolare riguardo ai lavori di ristrutturazione di un fabbricato di vaste dimensioni di proprietà della società committente, eseguiti dalla ditta di NOME COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base delle indagini tecniche conAVV_NOTAIOe nel corso del giudizio, fosse emersa la conclusione del diligente e corretto adempimento, da parte del COGNOME, delle funzioni di progettista e direttore dei lavori di ristrutturazione assunte nell’interesse della società committente, con la conseguente insussistenza di alcuna responsabilità dello stesso COGNOME in relazione alle contestazioni sollevate nei relativi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE;
avverso la sentenza d’appello, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso; la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno depositato memoria;
NOME COGNOME non ha svolto difese in questa sede; considerato che,
con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione apodittica e meramente apparente a fondamento della decisione assunta, non avendo il giudice a quo adeguatamente esaminato le contestazioni sollevate dalla società appellante avverso i contenuti della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel corso del giudizio, con particolare riguardo al mancato scioglimento delle contraddizioni evidenziate dall’appellante nel quadro delle conclusioni fatte proprie dall’ausiliario del giudice di primo grado;
il motivo è infondato;
osserva preliminarmente il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, la società ricorrente contesti il carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata, prospettando, tuttavia, il riscontro di tale apparenza attraverso il confronto del discorso giustificativo del giudice a quo con i contenuti dell’atto d’appello e delle conclusioni fatte proprie dal consulente tecnico d’ufficio, con la conseguenza che il vizio di motivazione potrebbe essere (o sarebbe comunque) apprezzabile unicamente attraverso il confronto del testo motivazionale con elementi tratti aliunde ;
tale prospettazione deve ritenersi non consentita in sede di legittimità, a mente del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il vizio di motivazione rilevante ai sensi dell’art. 132 c.p.c. dev’essere necessariamente tale da risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, senza riferimento alcuno ad elementi ad esso estranei;
varrà peraltro considerare come, sulla base dei contenuti complessivamente deducibili dalla motivazione della sentenza
impugnata, il giudice d’appello, lungi dal limitarsi ad esprimere una propria generica condivisione delle conclusioni del c.t.u., abbia adeguatamente sottolineato come il proprio ausiliario avesse attribuito la responsabilità dei vizi lamentati dalla committente alla ‘natura dei materiali’ e a talune ‘soluzioni costruttive’, concludendo come nessuno degli addebiti lamentati dalla parte attrice fosse stato riscontrato al momento dei sopralluoghi del ridetto consulente tecnico (secondo quanto direttamente riferito da quest’ultimo) ;
da tali premesse risulta pertanto come il giudice d’appello abbia ritenuto (per quanto implicitamente) che la responsabilità per la ‘scelta dei materiali’ e per l’adozione di quelle ‘soluzioni costruttive’ non fosse in alcun modo imputabile al progettista e direttore dei lavori;
ciò posto, l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere il giudice d’appello trascurato la considerazione di fatti decisivi emersi dalla consulenza tecnica d’ufficio, con particolare riguardo all’affermata riconducibilità dei vizi e dei difetti denunciati dalla società committente alla scelta dei materiali e alle soluzioni progettuali realizzate nei lavori di ristrutturazione deAVV_NOTAIOi in giudizio; scelta, nella specie, direttamente imputabile alla responsabilità del progettista;
il motivo è inammissibile.
osserva il Collegio come, ai fini della decisione sulla censura in esame, assuma carattere dirimente la circostanza della non consentita evocabilità del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione a una sentenza d’appello emessa sulla base delle medesime considerazioni e argomentazioni in fatto dettate dal primo giudice (c.d. doppia decisione conforme di merito), sensi dell’art. 348ter c.p.c.;
tanto basta al riscontro del l’inammissibilità della censura; e ciò, a tacere della pur rilevabile carente allegazione del ricorso, sotto il profilo del rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c., con riguardo alla mancata integrale riproduzione della consulenza tecnica d’ufficio (e delle sue complessive considerazioni), nella specie riportate in ricorso in modo solo parziale e arbitrario, senza neppure l’ indicazione della sua eventuale localizzazione tra gli atti del processo;
varrà al riguardo considerare come l’intero significato della censura in esame muova da presupposti di fatto (l’avvenuta ‘scelta dei materiali’ e l’adozione di determinate ‘soluzioni costruttive’ come fatti imputabili alla responsabilità del progettista e direttore dei lavori) che si assumono come premesse certe e incontestate, là dove l’attestazione documentale di tali circostanze sarebbe apparsa indispensabile, quantomeno, ai fini della verifica dell’eventuale decisività della doglianza in esame;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere il giudice d’appello omesso di aAVV_NOTAIOare alcuna decisione sui motivi di gravame avanzati dalla società appellante con riguardo alle questioni concernenti il mancato assolvimento, da parte del COGNOME, dei propri doveri di informazione verso la committenza, e l’elaborazione e la consegna, a quest’ultima, di un programma di manutenzione delle opere murarie, nella specie
realizzate con materiali necessitanti detta specifica manutenzione ai fini della propria conservazione nel tempo;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del l’ 8/05/2023, Rv. 667614 -01; Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01);
nel caso di specie, la decisione implicitamente assunta dal giudice a quo , consistita nell’escludere la rilevanza della questione concernente il mancato adempimento dei doveri di informazione e l’elaborazione e la consegna di un programma di manutenzione delle opere murarie, non risulta adeguatamente censurata in questa sede, essendosi la società ricorrente qui limitata unicamente a dolersi della mancata pronuncia, senza affrontare, ex professo , il tema dell’erroneità della decisione d’appello circa la ritenuta cogenza dei doveri non assolti dal
professionista; tema, peraltro, neppure assistito da un’adeguata allegazione documentale che valga a consentire il riscontro, in questa sede, dell’eventuale erroneità del giudizio sul punto fatto proprio dai giudici di merito;
con il quarto motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 345 e 189, co. 1, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto rinunciata l’istanza istruttoria avanzata dalla società appellante con riguardo alla richiesta di una rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale si sia limitata a ritenere genericamente rinunciata l’istanza istruttoria avanzata in appello dalla società appellante, senza riferirsi in modo specifico alla richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio ;
varrà considerare, al riguardo, come l’eventuale rinnovazione di una prova ammissibile unicamente d’ufficio (come appunto la consulenza tecnica), non solo non è suscettibile di provocare alcuna decadenza della parte dalla possibilità di invocarne l’ammissione, ma neppure può essere censurata, in caso negata ammissione, là dove il giudice abbia ritenuto di non doverla disporre avendo già acquisito tutti gli elementi indispensabili ai fini della decisione, come specificamente avvenuto nel caso di specie, attraverso l’espressa riferimento alla completezza e alla qualità delle indagini tecniche conAVV_NOTAIOe dall’ausiliario del giudice di primo grado, di per sé idonee, secondo il giudice d’appello, a consentire la definizione della controversia;
sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o
rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Sez. 2, Ordinanza n. 21525 del 20/08/2019, Rv. 655207 – 01);
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev ‘ essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione