Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32641 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32641 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33950 – 2018 proposto da:
CONDOMINIO INDIRIZZO in TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e PARENTI COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi con l’avv. NOME NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrenti –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
STABILITO DOMENICO;
COGNOME NOMECOGNOME
– intimati – avverso la sentenza n. 698/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, pubblicata il 16/04/2018 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/4/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 14/02/2014, il Condominio di INDIRIZZO in Torino e i condomini NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
Sansalone, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Torino, la RAGIONE_SOCIALE, società venditrice-costruttrice dello stabile, l’ arch. NOME COGNOME e l’ arch. NOME COGNOME quali progettisti e direttori dei lavori e il condomino NOME COGNOME chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti ad alcuni vizi riscontrati nell’edificio, denunciati con lettera del 05/05/2008; rappresentarono che, con accordo del 22/07/2008, RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a rimuovere questi difetti, ma non tutti i vizi risultavano in effetti eliminati perché, in particolare, per quel che qui ancora rileva, persistevano l’eccessiva rumorosità dell’impianto di ascensore e l’altezza insufficiente del vano scale che conduceva ai piani interrati.
NOME COGNOME chiamò, in garanzia, RAGIONE_SOCIALE
Disposta c.t.u. e accertati i vizi, con sentenza n. 744/2017, il Tribunale di Torino condannò RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 63.850, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannò in solido pure COGNOME, nei limiti di Euro 58.000, quale responsabile del solo vizio conseguente al progetto dell’ascensore; rigettò ogni altra domanda proposta dagli attori nei confronti di Stabilito, in accoglimento dell’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi da lui tempestivamente proposta; rigettò le domande nei confronti di COGNOME.
Con sentenza n. 698/2018, la Corte di appello di Torino, in accoglimento dell’appello principale di COGNOME e in parziale riforma della sentenza appellata, respinse le domande proposte nei confronti di quest’ultimo .
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte territoriale, rilevato che risultava la direzione dei lavori da parte del solo Stabilito, ritenne che COGNOME non fosse corresponsabile della rumorosità dell’ascensore in quanto aveva progettato un impianto diverso da
quello poi concretamente realizzato; egli aveva, infatti, progettato un impianto che aveva il motore esterno al vano corsa, non collocato al suo interno, sicché la mancata previsione di un’insonorizzazione del vano non era a lui imputabile; considerò, quindi, che l’impresa, in sede di esecuzione, aveva deciso autonomamente di impiantare un modello di ascensore particolarmente rumoroso, rispetto ad altri esistenti sul mercato; escluse, altresì, che COGNOME fosse responsabile dell’insufficiente altezza del vano scale del piano interrato: questo difetto, infatti, come evidenziato dal c.t.u., era stato causato da un errore di progettazione delle strutture in cemento armato di cui tuttavia si era occupato il terzo estraneo al giudizio arch. COGNOME, intervenuto in una fase successiva a quella della progettazione di COGNOME.
3. Avverso questa sentenza il Condominio di INDIRIZZO in Torino e i condomini NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con separati controricorsi; NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il Condominio e i condomini in epigrafe hanno denunciato la violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. e degli artt. 1669 e 2697 cod. civ., per avere la Corte ritenuto che la progettazione da parte di COGNOME di un impianto ascensore irrealizzabile, e quindi mai attuato, non abbia avuto incidenza causale sul vizio di rumorosità dell’ascensore poi concretamente installato sulla base di un progetto diverso e non suo; sul punto, sarebbe stato altresì invertito l’onere
probatorio relativo alla sussistenza di responsabilità del progettista. Secondo i ricorrenti, il progettista sarebbe comunque responsabile con l’appaltatore nei casi di gravi difetti dipendenti da errata progettazione dell’opera appaltata e il rapporto di causalità non potrebbe essere escluso neanche se l’evento della modifica dell’impianto fosse considerato soltanto quale concausa del danno, in quanto senza di esso il danno non si sarebbe comunque verificato. Il progetto di COGNOME sarebbe stato, pertanto, fatto illecito generativo del danno per sé solo, proprio in quanto irrealizzabile e l’installazione d i un altro tipo di ascensore sarebbe avvenuta per fronteggiare le conseguenze di questo stesso illecito; non vi sarebbe stata, quindi, alcuna interruzione del nesso di causalità. Infine , il principio dell’onere della prova sarebbe stato ribaltato perché l’art. 1669 cod. civ. porrebbe una presunzione iuris tantum di responsabilità a carico dell’appaltatore e del progettista : in conseguenza, l’onere di dimostrare che l’impianto realizzato fosse diverso da quello progettato da COGNOME e che l’originario suo progetto fosse realizzabile e meno rumoroso di quello effettivamente posato gravava soltanto sull’architetto.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 111 Cost., 132 n. 4 e 156 II comma cod. proc. civ. per motivazione apparente, per avere la Corte affermato, contraddittoriamente, che COGNOME avrebbe errato a progettare un impianto non realizzabile ma, ciononostante, non sarebbe responsabile per la rumorosità dell’ascensore installato sulla base di un progetto diverso, resosi invece necessario proprio in conseguenza di quell’ errore di progettazione. La Corte di appello avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto che la rumorosità sia stata causata dalla scelta, attribuibile soltanto alla società costruttrice RAGIONE_SOCIALE, di installare un ascensore non sufficientemente silenzioso, perché avrebbe così sovrapposto il rimedio
individuato dal c.t.u. per eliminare il vizio con la causa del vizio stesso, nel senso che l’insonorizzazione adeguata del vano non avrebbe reso necessario l’impianto di un ascensore meno rumoroso.
I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Innanzitutto, quanto alla denunciata nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ., questa Corte ha costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invero, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte: la Corte territoriale, dedicando alla questione le pag. 18 e 19 della motivazione, ha analizzato la serie dei fatti fino alla produzione della rumorosità, per stabilire poi l’incidenza causale di ciascun evento.
Ciò precisato, deve, quindi, sottolinearsi che i vizi lamentati sono stati ricondotti dal Tribunale all’ipotesi dell’art. 1669 cod. civ. e la Corte non ha modificato questa qualificazione giuridica, né le parti l’hanno contestata.
Decidendo sulla responsabilità del vizio di rumorosità dell’ascensore , quindi, la Corte territoriale ha dapprima considerato che l’arch. COGNOME aveva progettato un impianto con motore esterno, da collocarsi in un vano al secondo piano seminterrato e che questa installazione del motore non avrebbe reso necessaria la insonorizzazione del vano corsa; ha quindi preso atto che quel progetto, secondo la ricostruzione operata dal c.t.u. nominato, si era però rivelato come irrealizzabile, perché «il vano progettato si trova troppo distante dal vano corsa per potervi installare un impianto a fune, mentre la previsione di un impianto oleodinamico non e accettabile in un vano corsa di quasi trenta metri»; di seguito, ha rilevato che non era stato provato, ma «neppure allegato, che l’appellante stato chiamato a rivedere il progetto irrealizzabile e personalmente deciso l’installazione del differente impianto, senza preoccuparsi a quel punto di studiarne un’adeguata insonorizzazione».
In particolare, la stessa Corte, evidenziato che non vi era alcuna prova che l’arch. COGNOME si fosse occupato della direzione dei lavori , ha precisato che la causa del danno era stata individuata dal c.t.u. nella scelta dell’ascensore, attribuibile come tale soltanto alla società RAGIONE_SOCIALE e che l’errore di progettazione di COGNOME non ha avuto, perciò, alcuna incidenza causale sulla rumorosità.
Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente applicato un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, deve essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del
danno, ove abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee (così, in ultimo, Cass. Sez. 3, n. 8778 del 03/04/2024).
Più in particolare, in materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, perché rilevi il nesso di causalità tra una condotta e l’evento lesivo deve ricorrere, secondo la combinazione dei principi della condicio sine qua non e della causalità efficiente, la duplice condizione che si tratti di una condotta antecedente necessaria dell’evento e che la stessa non sia poi neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento stesso (Cass. Sez. 3, n. 9528 del 12/06/2012; Sez. 3, n. 23915 del 22/10/2013).
In tal senso, allora, in sentenza non è stata operata alcuna inversione dell’onere probatorio ; la Corte d’appello, infatti, ha soltanto ritenuto che, nella catena di eventi che hanno collegato il primo progetto irrealizzabile e la installazione di un modello con vano motore interno , la responsabilità della rumorosità dell’ascensore collocato non fosse imputabile a COGNOME perché sono sopravvenuti due fatti interruttivi del nesso di causalità: non vi è stata una domanda, nei confronti dell’architetto , di correzione del progetto e la società ha scelto in piena autonomia di installare un modello particolarmente rumoroso, senza provvedere all’insonorizzazione del vano corsa .
Ciò precisato, è inammissibile in questa sede di legittimità la proposizione, con le censure, di una diversa ricostruzione dei fatti,
sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge o di vizio di motivazione (cfr. Sez. U. n. 34476 del 27/12/2019).
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrent i hanno lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 2697 e degli artt. 1665, 2232 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello escluso la responsabilità di COGNOME per l’operato del collaboratore COGNOME, progettista delle strutture di cemento armato, che ha condotto alla realizzazione di una scala con la volta di altezza insufficiente; la Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, considerare che COGNOME, in quanto progettista, era comunque direttamente responsabile di tutte le strutture dell’opera realizzate, seppure delegate ad altri collaboratori; ancora una volta, peraltro, la presunzione di responsabilità sancita dal l’art. 1669 cod. civ. in capo al progettista avrebbe implicato, a carico di COGNOME, l’onere di dimostrare di essere rimasto estraneo alla progettazione delle strutture in cemento armato e al controllo dell’esecuzione dei lavori.
3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
La Corte d’appello, a pag. 20 della sentenza, ha dapprima escluso che «l’arch. COGNOME abbia curato la progettazione strutturale e dei cementi armati»: tanto, tuttavia, ha stabilito non soltanto affermando che «l’onere di provare la specifica ingerenza del COGNOME nella progettazione incombeva sugli «attori in primo grado», cioè gli attuali ricorrenti, ma anche riportando che questi ultimi hanno, in comparsa di costituzione di appello, «dato per informazione acquisita che il progettista del cement o armato sia ‘intervenuto in una seconda fase’ e sia stato cioè soggetto diverso dall’arch. COGNOME» .
Di là dell’imputazione dell’onere probatorio, pertanto, la Corte territoriale ha ricostruito l’ambito dell’incarico professionale di COGNOME sulla base dell’esame e della valutazione delle allegazioni di
fatto offerte dalle stesse parti ricorrenti e sul punto non vi è stata censura.
Ciò precisato, deve ancora considerarsi che la Corte ha infine rimarcato che la «decisione di realizzare l’unica soletta su cui costruire i gradini a fazzoletto» era riconducibile all’ ultima fase di progettazione, quella relativa, cioè, alla «progettazione strutturale e dei cementi armati» e che a questa «errata decisione» era riconducibile il vizio dell’inadeguata altezza del passaggio lungo la rampa sottostante.
Sul punto, il Condominio e i condomini hanno lamentano che non sia stato considerato, nell’esclusione di ogni responsabilità dell’arch. COGNOME, che l’ing. COGNOME cioè il tecnico che ha progettato le strutture in cemento armato, operasse comunque «sotto il suo controllo»; hanno del tutto omesso, tuttavia, di indicare quando la circostanza di fatto della sussistenza di una relazione di controllante/controllato tra i due professionisti sia stata portata all’attenzione del Giudice di merito, sicché la formulazione della censura risulta non autosufficiente.
Il ricorso è, perciò, respinto, con conseguente condanna del Condominio e dei condomini al rimborso delle spese processuali in favore dell’arch. COGNOME , liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Le spese di RAGIONE_SOCIALE sono irripetibili, perché la società non era contraddittore del ricorrente e sarebbe stata comunque indifferente all’esito della lite, sicché avrebbe dovuto valutare che la notifica del ricorso nei suoi confronti è avvenuta per mera litis denuntiatio (cfr. ex multis , Cass. Sez. 2, n. 8491 del 24/03/2023).
Non vi è luogo a statuizione delle spese nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE che non hanno svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il Condominio di INDIRIZZO in Torino e i condomini NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara irripetibili le spese di RAGIONE_SOCIALEp.a..
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda