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Responsabilità del professionista: l’obbligo di info

La Corte di Cassazione conferma la responsabilità del professionista (commercialista) per non aver adeguatamente informato i propri clienti sui rischi legati a una cessione di quote societarie. A causa di questa negligenza, i clienti hanno subito un danno economico e hanno legittimamente rifiutato di pagare la parcella, sollevando l’eccezione di inadempimento. La Corte ha stabilito che l’obbligo informativo va oltre il mero mandato e deriva dai principi di diligenza e buona fede, anche in presenza di tempi ristretti per l’esecuzione dell’incarico.

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Responsabilità del professionista: quando la mancata informazione giustifica il mancato pagamento

La responsabilità del professionista, in particolare del commercialista, non si esaurisce nella mera redazione di atti, ma include un fondamentale obbligo di informazione e consulenza sui rischi connessi alle operazioni gestite. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando che un’inadeguata informazione può configurare una grave negligenza, tale da giustificare non solo una richiesta di risarcimento danni, ma anche il rifiuto di pagare la parcella.

I fatti di causa: una complessa operazione societaria

Due imprenditori decidevano di cedere un importante pacchetto azionario, pari all’80% del capitale di una holding da loro controllata. Per la redazione del contratto preliminare di vendita, si affidavano a uno studio di commercialisti.

Tuttavia, l’operazione presentava un’insidia significativa: un precedente contratto di mutuo, stipulato dai soci con un’altra società, conteneva una clausola che subordinava qualsiasi cessione di azioni a una preventiva autorizzazione scritta del mutuante. In caso di violazione, il contratto di mutuo si sarebbe risolto immediatamente.

I professionisti, secondo la ricostruzione dei giudici, non avrebbero adeguatamente informato i clienti delle gravi conseguenze derivanti dalla violazione di tale clausola. La vendita procedeva e, come prevedibile, la società mutuante contestava l’operazione. Per risolvere la controversia, i clienti erano costretti a stipulare una transazione onerosa, pagando una somma considerevole.

Quando i commercialisti presentavano il conto per la loro assistenza, ottenendo due decreti ingiuntivi, i clienti si opponevano, lamentando proprio la grave negligenza professionale e chiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno subito, pari a quanto versato nella transazione.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello davano ragione ai clienti. I giudici ritenevano che i commercialisti avessero agito con grave negligenza, omettendo di valutare correttamente i rischi dell’operazione e di fornire le necessarie informazioni. Di conseguenza, revocavano i decreti ingiuntivi e condannavano i professionisti a risarcire il danno patrimoniale patito dai loro ex clienti.

I motivi del ricorso in Cassazione e la Responsabilità del professionista

I commercialisti decidevano di ricorrere in Cassazione, basando la loro difesa su diversi motivi:

1. Violazione dei doveri di diligenza e buona fede: Sostenevano che il loro mandato si limitasse a redigere il contratto di vendita, non a fornire un parere sui rischi.
2. Impossibilità della prestazione: Affermavano di aver avuto solo due giorni di tempo per redigere il contratto, un termine troppo breve per un’analisi approfondita.
3. Carenza del nesso causale: Negavano che il danno (il costo della transazione) fosse una conseguenza diretta della loro condotta.
4. Errata applicazione dell’eccezione di inadempimento: Ritenevano che i clienti non potessero rifiutare il pagamento per una prestazione che, comunque, era stata eseguita.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti e fornendo chiarimenti importanti sulla responsabilità del professionista.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che il dovere di diligenza qualificata (art. 1176 c.c.) e i principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) impongono al professionista di andare oltre il tenore letterale dell’incarico. Egli ha l’obbligo di proteggere gli interessi del cliente, fornendo tutte le informazioni necessarie per consentirgli di prendere decisioni consapevoli, inclusa la segnalazione di rischi e criticità. Questo obbligo informativo, ha precisato la Corte, non viene meno neanche in presenza di tempi ristretti per l’esecuzione dell’incarico.

In secondo luogo, la Corte ha confermato la legittimità del rifiuto di pagamento da parte dei clienti. L’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) non si applica solo in caso di mancata esecuzione della prestazione, ma anche quando questa è eseguita in modo inesatto o negligente, come nel caso di specie. L’inadempimento dei professionisti era stato così significativo da privare di valore la loro prestazione, giustificando il mancato versamento del compenso.

Infine, per quanto riguarda il nesso causale, la Corte ha ritenuto che la valutazione dei giudici di merito fosse corretta e non sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di un accertamento di fatto. Il danno subito dai clienti era una conseguenza diretta e immediata della mancata informazione sui rischi legati alla clausola del contratto di mutuo.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: la prestazione di un professionista non è un mero atto tecnico, ma un’attività di consulenza fondata sulla fiducia e sulla tutela dell’interesse del cliente. L’obbligo di informazione è un pilastro della diligenza professionale. La sua violazione costituisce un inadempimento contrattuale grave, che può esporre il professionista non solo a una richiesta di risarcimento danni, ma anche alla perdita del diritto al compenso per l’attività svolta.

L’obbligo di informazione di un commercialista si limita a quanto espressamente previsto nel mandato?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’obbligo informativo, basato sui principi di diligenza professionale e buona fede, va oltre il mero incarico formale e impone al professionista di segnalare al cliente tutti i rischi connessi all’operazione per cui è stato incaricato.

È possibile rifiutare il pagamento della parcella se la prestazione del professionista è stata negligente?
Sì. La sentenza conferma che il cliente può legittimamente sollevare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) e rifiutare di pagare il compenso quando la prestazione professionale è stata eseguita in modo imperfetto o negligente, al punto da risultare inadeguata a soddisfare l’interesse del cliente.

La mancanza di tempo esonera il professionista dalla sua responsabilità per mancata informazione?
No. La Corte ha specificato che l’obbligo di informazione non viene meno neanche in caso di tempi ristretti per l’esecuzione dell’incarico. La diligenza richiesta al professionista impone di gestire anche le tempistiche, avvisando eventualmente il cliente dell’impossibilità di svolgere un’analisi completa nei termini richiesti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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