Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17469 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17469 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22272/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege
: ROSELLA OPPO
-ricorrente-
contro
SITZIA COGNOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 279/2022 depositata il 14/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c. del 15 novembre 2016 NOME COGNOME esponeva che, in data 10 febbraio 2006 aveva stipulato un contratto di compravendita, a rogito del notaio NOME COGNOME con il quale NOME COGNOME e NOME e NOME COGNOME gli avevano trasferito la proprietà di un immobile in Oristano per il prezzo di euro 115.000. Aggiungeva che diversi anni dopo era venuto a conoscenza che i suoi danti causa in realtà erano titolari del solo diritto di superficie, contrariamente a quanto dichiarato nel contratto. Apprendeva che con delibera del 18 dicembre 2014 del Consiglio comunale di Oristano era stata adottata la ‘cessione in proprietà di aree PEEP concesse in diritto di superficie, rimozione vincolo relativo alla determinazione del prezzo massimo di cessione di singole unità abitative e loro pertinenze, rimozione dei vincoli ai sensi dell’articolo 35 della legge n. 865 del 1971, riapertura termini’. Aveva pertanto appreso che l’immobile era stato realizzato su un terreno di proprietà esclusiva del Comune e che il diritto sull’area di sedime era pervenuto all’Istituto Autonomo RAGIONE_SOCIALE in virtù di un atto di costituzione del diritto di superficie trascritto in data 5 giugno 1979. Il Comune aveva comunicato il costo per la cessione in proprietà dell’area in oggetto, pari ad euro 15.321,51, oltre spese notarili.
Sulla base di tali elementi aveva dedotto che il professionista incaricato del trasferimento aveva omesso di compiere gli accertamenti per la verifica della provenienza e della situazione giuridica del bene avendo acquistato, contro la propria volontà, la proprietà della superficie in luogo della piena proprietà. Chiedeva, pertanto, l’accertamento della responsabilità contrattuale del notaio e il risarcimento del danno, corrispondente al costo della cessione del diritto di proprietà, oltre alle spese sopportate per acquisire i dati relativi alla situazione giuridica dell’immobile.
Si costituiva il notaio COGNOME contestando che l’immobile fosse stato realizzato su terreno di proprietà superficiaria del Comune di Oristano. In particolare, sosteneva che gli immobili di proprietà degli enti soppressi erano stati devoluti agli IACP ai sensi del d.p.r. n. 1036 del 1972 per cui i venditori avevano legittimamente trasferito la piena proprietà del bene.
Il Tribunale di Oristano, con sentenza del 24 giugno 2020, dichiarava la responsabilità professionale del notaio accogliendo la domanda di risarcimento del danno. In particolare, aveva accertato che, con atto pubblico del 21 gennaio 1988, l’RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito ai danti causa dell’attore l’alloggio in oggetto con la indicazione specifica che l’area di sedime su cui era sorto il fabbricato era stata concessa alla Cooperativa in diritto di superficie per 99 anni.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME e NOME COGNOME si costituiva in giudizio contestando i motivi di impugnazione.
Con sentenza del 14 giugno 2022 la Corte d’appello di Cagliari in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Oristano, condannava il notaio al pagamento della minore somma di euro 14.742,38, oltre interessi, provvedendo sulle spese di lite.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso NOME COGNOME Il ricorrente deposita memorie ex art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. il difetto di motivazione inteso quale travisamento della prova e l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione dell’articolo 115 c.p.c. e 2697 c.c. In particolare, la Corte territoriale avrebbe valutato in maniera errata le risultanze documentali, poiché dall’atto del 18 maggio 1979 sarebbe possibile desumere esclusivamente la cessione da parte del Comune di Oristano del diritto di superficie in favore di IACP, ma non anche che il Co mune fosse l’effettivo proprietario
dell’area di sedime. Inoltre, il giudice di appello avrebbe mal interpretato la ‘relazione Pellerano’ atteso che il redattore della stessa avrebbe introdotto il riferimento al rogito del 1978 in maniera ‘singolare’. Infine, il rogito del 1988, pure richiam ato, farebbe un riferimento specifico al trasferimento ‘in proprietà’ della quota indivisa dei millesimi dell’area su cui esiste il fabbricato.
Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, perché formulato ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. mentre tale ipotesi non può essere posta a fondamento del ricorso per cassazione nel caso di doppia conforme e cioè di decisione del giudice di secondo grado che abbia confermato quella del Tribunale sulla base dei medesimi presupposti di fatto. Ciò è inibito all’articolo 348 ter, quarto comma c.p.c., che non consente ricorso per cassazione per tale fattispecie a meno che il ricorrente non alleghi e dimostri che le due decisioni si fondano su presupposti di fatto differenti. Nel caso di specie -in cui sul punto in questione la decisione di appello è conforme a quella di primo grado – alcun riferimento a tale profilo è contenuto nel ricorso per cassazione. Si tratta di orientamento assolutamente costante.
In secondo luogo, le censure riguardano il profilo della interpretazione di contratti di compravendita e relazioni riguardanti tali trasferimenti senza alcun riferimento, richiesto dalla giurisprudenza a pena di inammissibilità, alla specifica violazione delle norme previste agli articoli 1362 e seguenti c.c. Costituisce orientamento assolutamente consolidato di questa Corte quello secondo cui al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 3/09/2010, n. 19044).
In terzo luogo, il motivo, sotto l’apparente deduzione di difetto di motivazione e travisamento degli atti, richiede alla Corte di legittimità il riesame di tutta la documentazione dell’attività istruttoria svolta attraverso una inammissibile richiesta di celebrazione di un terzo grado di giudizio (di merito), peraltro dedotto in totale violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. Costituisce , infatti, principio consolidato quello secondo il quale, nel momento in cui il ricorrente pone a fondamento del motivo atti e documenti, sullo stesso incomba il triplice onere di trascrivere i passaggi essenziali di tali documenti, individuare il momento processuale del tempestivo e regolare deposito degli atti e la localizzazione degli stessi all’interno del fascicolo di merito. Nessuno di tali adempimenti risulta sufficientemente espletato ad eccezione del passaggio riportato a pagina 13 del ricorso, riguardo al presunto trasferimento della piena proprietà, che peraltro non si pone in contrasto con la lucida e coerente ar gomentazione della Corte d’appello che ha specificato che il trasferimento della piena proprietà riguarda soltanto l’alloggio e non anche il suolo e il profilo di responsabilità del professionista attiene anche alla mancata comunicazione di tale profilo essenziale al contraente (v. sentenza impugnata in questa sede, p. 10).
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 12 delle disposizioni della legge in generale e degli articoli 14 15 del d.p.r. n. 1036 del 1972 e della legge n. 9 del 1974, oltre che la violazione degli articoli 1175 1176 e 2236 c.c. Infine, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. il difetto di motivazione riguarda l’omesso esame di documenti e fatti decisivi per il giudizio. Il ricorrente, ribadendo quanto già oggetto del corrispondente motivo di appello, sostiene la tesi secondo cui, in virtù delle norme citate, il subentro di RAGIONE_SOCIALE nei beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE riguarderebbe la piena proprietà e non il diritto di superficie. In ciò la Corte territoriale avrebbe violato i criteri di interpretazione della legge. Ribadisce l’insussistenza di ogni profilo di responsabilità professionale, poiché nella relazione notarile del 23 gennaio 2006 si dava atto delle ricerche catastali effettuate e si segnalava che l’atto del 10 febbraio 1988 integrava gli estremi della usucapione abbreviata decennale.
Il motivo è inammissibile perché non specifico, non confrontandosi con le complesse argomentazioni della Corte territoriale e limitandosi a ribadire le medesime tesi sostenute davanti al giudice di appello. Sotto tale profilo come affermato da questa Corte, ‘l’espropriazione dei suoli per la costruzione di alloggi di edilizia economica e popolare ai sensi della legge n. 865 del 1971 trasferisce la proprietà dei suoli stessi al Comune, il quale costituisce su di essi un diritto di superficie in favore dello I.A.C.P., che, a sua volta procede alla costruzione degli alloggi’ (Sez. 1, Sentenza n. 6204 dell’ 1/06/1991, Rv. 472477 – 01).
Quindi, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il diritto di superficie si sostanzia nel diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo altrui. Il Comune di Oristano con l’atto del 18 maggio 1979 aveva attribuito a IACP di Cagliari, al quale erano stati devoluti beni ai sensi del d.p.r. n. 1036 del 1972, gli immobili
già realizzati o in corso di costruzione, che erano di proprietà della cooperativa RAGIONE_SOCIALE
Il trasferimento riguardava il diritto di superficie a tempo determinato (99 anni) sulle aree individuate dalla legge. IACP era poi subentrato nella proprietà di tutti gli alloggi di edilizia residenziale pubblica realizzati nel territorio della provincia di Oristano, ma la proprietà riguardava gli appartamenti e non anche il suolo, che era rimasto di proprietà del Comune.
Conseguentemente IACP aveva trasferito ai danti causa degli odierni controricorrenti (e non avrebbe potuto fare diversamente), soltanto la proprietà degli alloggi e non anche quella del suolo.
Sotto tale profilo sono inconferenti le deduzioni secondo cui nell’atto del 1988 sarebbe stata trasferita la proprietà sia dell’alloggio, che del suolo.
Come pure irrilevante è il riferimento, contenuto anche nel presente motivo, ai presupposti per la usucapione abbreviata decennale.
È evidente che il contenuto della relazione notarile si pone in contrasto con la tesi posta a sostegno delle difese del professionista e reiterate in questa sede, secondo cui gli acquirenti avrebbero acquistato la piena proprietà dai venditori.
Il riferimento ai presupposti per la usucapione avrebbe dovuto essere inserito, come osserva la Corte territoriale, nell’atto di compravendita del 2006 e la relazione avrebbe dovuto segnalare tale profilo come fortemente critico, presupponendo l’esistenza di un atto solo astrattamente idoneo a consentire l’acquisto della proprietà per usucapione.
Per il resto il motivo è inammissibile, perché tende ad una rivalutazione del materiale probatorio non consentita la Corte di legittimità, mentre l’omesso esame di documenti e fatti decisivi per il giudizio, dedotte sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. non è consentito nell’ipotesi di doppia conforme, così come già evidenziato con riferimento al primo motivo.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 5 la violazione dell’articolo 1159 c.c. e, con riferimento al solo articolo 360, n. 5 c.p.c. il difetto di motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione di avvenuta usucapione abbreviat a decennale.
Tale ultimo profilo è inammissibile nella parte dedotta ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. , per quanto già osservato in relazione al primo motivo, e questo a prescindere dal fatto che il rigetto dell’eccezione di avvenuta usucapione (non) possa costituire il fatto storico decisivo, discusso dalle parti, cui fa riferimento la norma citata (articolo 360, n. 5 c.p.c.).
Con le censure veicolate ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. , il ricorrente sostiene che l’eccezione di usucapione abbreviata sarebbe stata formulata nel senso di ‘difesa’ al fine di sollecitare una pronunzia sui fatti costitutivi di tale allegazione. Sussisterebbero i presupposti per la usucapione abbreviata decennale ricorrendo un titolo idoneo, la trascrizione del titolo e la buona fede.
Preliminarmente va detto che nelle memorie il ricorrente insiste contraddittoriamente nell’eccezione di usucapione, facendo riferimento a tale istituto come sostitutivo della validità del contratto oggetto di causa.
A prescindere da ciò, il motivo è inammissibile perché non si confronta con la motivazione del giudice di appello, il quale correttamente ha evidenziato, come già illustrato nel confutare il precedente motivo, che la difesa tecnica fondata sulla astratta sussistenza dei presupposti per una usucapione abbreviata decennale rappresenta un profilo di aggravamento della responsabilità professionale del notaio, poiché deve intendersi come riconoscimento della inidoneità del contratto al trasferimento della piena proprietà. Questo sulla base della considerazione che la premessa della relazione, nella quale si legge che i beni ‘risultano di piena proprietà’ dei danti causa degli odierni controricorrente, si pone in stridente contrasto sulla possibilità per i contraenti di fare
affidamento sulla maturata usucapione abbreviata decennale. Questione che la a Corte territoriale ha ritenuto essere stata eccepita tardivamente e da un soggetto non legittimato.
Al riguardo il ricorrente ha sostenuto che l’eccezione in parola era ‘da intendersi in senso generico’ e ‘andava accertata incidentalmente al solo fine di respingere la domanda attorea’ e che tale eccezione sarebbe stata proposta sia con la prima che con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c. nel primo grado del giudizio e, quindi, a suo avviso, tempestivamente.
Va sul punto osservato che spetta al giudice del merito dare qualificazione giuridica alle eccezioni proposte, trovando tale potere un limite in relazione agli effetti giuridici che la parte vuole conseguire deducendo un certo fatto (v. Cass. 12/10/2007, n. 21484). Tuttavia il ricorrente non ha riportato, nel motivo all’esame, la parte che qui rileva degli atti in cui assume aver proposto la questione, onde consentire a questa Corte di valutare quando e in quali esatti termini l’eccezione in parola è stata proposta, con evidente difetto di specificità della censura in scrutinio, sicché anche sul punto il motivo è inammissibile; né, infine, il ricorrente ha adeguatamente e specificamente contestato l’affermazione della Corte territoriale della Corte territoriale secondo cui l’ecc ezione in parola è stata sollevata da soggetto non legittimato.
Le considerazioni contenute nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. non consentono di superare le osservazioni che precedono, insistendo il ricorrente nella valutazione del materiale probatorio e richiedendo a questa Corte un inammissibile nuovo esame degli elementi istruttori non consentito in questa sede per quanto già detto.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-
quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in € 2.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte