Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33366 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33366 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14008/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RE COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SASSARI n. 117/2023 depositata il 09/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME, nel 2001, ha stipulato un preliminare per l’acquisto di un immobile, vendutole da NOME COGNOME. Il prezzo è stato interamente corrisposto al momento della sottoscrizione di tale preliminare.
Successivamente, le parti, a luglio del 2002, sono andate dal notaio NOME COGNOME ed hanno stipulato il contratto definitivo, in cui si è dato atto che il prezzo era stato interamente corrisposto in precedenza, al momento del preliminare.
Dieci anni dopo la stipula, il Fallimento della società di cui COGNOME era socio ha notificato alla acquirente una citazione per ottenere la revocatoria dell’atto di vendita, stipulato dal socio, in quanto la società nel 1986 era stata dichiarata fallita: dunque l’atto di vendita da parte del socio COGNOME era successivo al fallimento.
In quel giudizio, davanti al Tribunale di Tempio Pausania, la COGNOME, non solo si è costituita, ma ha chiesto ed ottenuto la chiamata in causa sia degli eredi del COGNOME, nel frattempo deceduto, che del notaio stesso, per essere da costui tenuta indenne degli effetti della revocatoria avanzata nei suoi confronti dal Fallimento.
2.- Nel corso del giudizio, la COGNOME ha trovato un accordo con il Fallimento corrispondendo una somma che ha soddisfatto le ragioni della procedura, ed ha rinunciato alla domanda nei confronti degli eredi, i quali avevano in realtà rinunciato alla eredità. E’ rimasta dunque in piedi la sola
domanda (della Rossanigo) verso il notaio, per la responsabilità professionale di quest’ultimo.
Il Tribunale l’ha rigettata. E così ha fatto la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.
I giudici di secondo grado hanno accertato che il notaio ha fatto, nei limiti di quanto era suo obbligo, le visure ipocatastali, finalizzate ad individuare vincoli sul bene o incapacità a contrarre e che da quelle visure non era emerso alcunché.
Questa decisione è qui impugnata dalla COGNOME con quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria, cui ha fatto seguito il controricorso del notaio, anche esso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione.
1.- Va preliminarmente disatteso un argomento, utilizzato dal notaio nel controricorso, e volto ad escludere in via preliminare la fondatezza della pretesa.
Si osserva in particolare che il prezzo è stato corrisposto dalla acquirente interamente prima della stipula, e che pertanto l’eventuale errore del notaio non può avere avuto efficienza causale, ossia non può essere stato causa del danno, posto che questo consiste nel pagamento del prezzo, che, per l’appunto, al momento dell’eventuale errore era stato già corrisposto, con irrimediabile perdita del denaro.
Si cita ad esempio di tale argomento un precedente di questa Corte (Cass. 3657 / 2013).
Si è tuttavia successivamente osservato che il danno non consiste nel pagamento della somma, ma in ciò che l’acquirente avrebbe potuto recuperare (e non ha potuto farlo) ove il professionista avesse agito con diligenza (Cass. 12244/
2014). Ossia: ove il notaio avvisi del vincolo sul bene o di una condizione di inefficacia dell’atto, l’acquirente può sempre risolvere il precedente pagamento, con la conseguenza che la negligenza del notaio è comunque causa del danno.
2.Il primo motivo di ricorso prospetta violazione dell’articolo 88 legge fallimentare nella versione a quel tempo vigente.
Questo motivo di censura mira a contestare una affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale, vigente quella norma, non era fatto obbligo al curatore di trascrivere la sentenza di fallimento a carico del socio fallito.
Il motivo è tutto volto a smentire questa tesi, prospettando una interpretazione diversa, e dunque la tesi secondo cui invece l’obbligo di trascrizione era vigente e discendeva dal citato articolo 88 legge fallimentare. A sostegno di tale tesi la ricorrente cita una serie di opinioni dottrinali, nonché una circolare dell’Agenzia del Territorio.
Il motivo è inammissibile.
E’ inammissibile in quanto la ratio della decisione impugnata è un’altra. I giudici di merito infatti hanno ritenuto che il notaio ha svolto gli accertamenti anche per il periodo precedente l’informatizzazione degli atti, dando incarico ad una ‘visurista’, e da quegli accertamenti non era emerso alcun fallimento, perché il curatore non lo aveva trascritto (pp 7-9 della sentenza).
Secondo i giudici di merito, dunque, il notaio ha svolto le ricerche necessarie a stabilire la libera disponibilità del bene da parte del venditore, ma da quelle ricerche non è emersa alcuna sentenza di fallimento, che, secondo l’accertamento dei giudici di appello, non era stata trascritta, non essendovi a quel tempo obbligo di farlo.
Dunque, la ratio della decisione non sta tanto nella interpretazione dell’articolo 88 legge fallimentare, ed in particolare se tale norma imponesse o meno al curatore di trascrivere, ma sta in un accertamento in fatto: che il notaio aveva effettuato comunque le visure.
Così che, ove anche si smentisse la decisione impugnata su tale punto, ossia sul fatto se fosse o meno d’obbligo la trascrizione della sentenza di fallimento, l’esito non muterebbe, poiché, secondo l’accertamento in fatto compiuto dai giudici, è emerso che il notaio ha fatto la ricerca e non è emersa alcuna sentenza di fallimento.
Ma il motivo è altresì inammissibile in quanto non dimostra che la decisione impugnata, nella parte si ripete, non decisiva, relativa all’obbligo di trascrivere, è resa in violazione di legge. La tesi che assume l’esistenza di un obbligo di trascrizione, pur se suffragata da opinioni favorevoli e da una circolare amministrativa, resta una tesi opinabile, come emerge dallo stesso motivo di ricorso.
3.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 1176 e 1218 c.c.
Secondo la ricorrente, i giudici di appello non hanno considerato che l’obbligo del notaio si estende fino a dovere svolgere tutte le attività preliminari e complementari per la redazione dell’atto.
Tra queste attività vi è di certo la verifica della capacità di contrarre da parte del venditore, e dunque del potere di costui di vendere, potere escluso o limitato dalla sentenza di fallimento.
La ricorrente cita alcune decisioni di questa Corte che hanno ritenuto, per l’appunto, il notaio responsabile per il fatto di non avere verificato l’esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento in capo al venditore. Ciò che sarebbe accaduto nel
caso presente, dove invece i giudici non avrebbero tenuto conto della violazione di quell’obbligo.
Se effettivamente fatta, la visura catastale avrebbe evidenziato l’esistenza del fallimento.
Il motivo è inammissibile.
La ratio della decisione impugnata è altra.
I giudici di appello non negano che sia obbligo del notaio fare tutti gli accertamenti, compresi quelli necessari a verificare l’esistenza di una sentenza di fallimento. Piuttosto ritengono che il notaio li abbia svolti, dando incarico ad una professionista della visura cartacea (poiché prima del 2006 i registri erano per l’appunto cartacei) ed osservano che la risposta della visurista è stata negativa. Dunque, la ratio è nel senso non già che non vi fosse obbligo del notaio, ma che tale obbligo era stato assolto.
Altra questione è quella relativa all’ambito di tale indagine: i giudici di merito osservano che essa, dati i tempi in cui la sentenza di fallimento era stata resa, non poteva estendersi a Tribunali lontani, e che un tale incarico, esulando dalla normale attività del notaio, neanche risultava conferito.
In sostanza, la ratio della decisione è che, fermo restando l’obbligo di visura del notaio, tale obbligo è stato adempiuto (p. 7-9 della sentenza impugnata).
Mentre la tesi secondo cui l’obbligo, pure adempiuto nei limiti in cui è imposto, non poteva estendersi fino a dovere accertare l’esistenza di procedure fallimentari in ogni altro circondario, dove la società aveva svolto attività, non appare significativamente smentita. Né appare smentita la tesi che un tale obbligo avrebbe dovuto essere oggetto di apposito mandato, essendo esorbitante da quello normalmente posto al notaio e che un tale mandato non vi è stato. Questo aspetto è oggetto di un motivo successivo, e ci si tornerà.
4.- Il terzo motivo prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c.
La tesi della ricorrente è che il danneggiato, la parte ossia adempiente, deve solo dimostrare di avere subito il danno dall’inadempimento, mentre compete al notaio la prova di avere adempiuto o della causa non imputabile di inadempimento.
La Corte di Appello avrebbe invece disatteso tale regola, assolvendo il notaio dall’onere della prova, e ritenendo provato l’adempimento, pur in assenza di una prova di esso.
Inoltre, la prova della esistenza della trascrizione del fallimento era emersa, ma i giudici l’hanno travisata incorrendo in un errore percettivo suscettibile di censura.
Il motivo è inammissibile.
La Corte non ha ritenuto che il notaio non avesse a suo carico la prova di avere adempiuto; piuttosto ha ritenuto che, dagli atti, emergeva l’adempimento, e che dunque tale prova, pur se in carico al notaio, era emersa.
L’idea della ricorrente che tale prova invece non vi fosse, ossia che il notaio non ha effettuato le visure cartacee, e che se lo avesse fatto avrebbe notato l’esistenza del fallimento, è contro l’accertamento in fatto da parte dei giudici di merito, che, si ripete, ricordano come invece l’accertamento è stato fatto mediante delega alla ‘visurista’ e che ha avuto esito negativo. E che la visura del 2012 è irrilevante poiché successiva ai fatti.
Ora, questo accertamento non è qui censurabile. Né può esserlo sotto il profilo del travisamento della prova o dell’errore percettivo, che è inammissibile per come formulato: si dice che i giudici hanno ritenuto come effettuata l’ispezione cartacea che invece non ci sarebbe stata: ma non vi è allegazione di tale fatto. I giudici di merito infatti affermano che l’ispezione è stata demandata alla ‘visurista’ che ha anche riferito in ordine agli esiti negativi. Non è chiaro perché questo
accertamento (vi è stata ispezione sui registri cartacei) possa essere stato travisato dai giudici di merito in maniera tale da poter costituire vizio della sentenza. Non è fornita prova del contrario, ossia del fatto che mai vi è stato incarico alla visurista o mai vi è stata comunque ispezione dei registri cartacei.
5.- Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c.
Attiene alla ampiezza dell’obbligo di verifica da parte del notaio.
Come si è detto, i giudici di merito hanno escluso che il notaio dovesse fare ricerche lontane nel tempo e nello spazio, ossia estese a circondari diversi da quello di stipula dell’atto onde verificare l’esistenza di procedure concorsuali a carico della società presso un qualunque altro tribunale.
Hanno altresì ritenuto che un tale obbligo, pur se normalmente non gravante sul notaio, poteva ravvisarsi in capo al professionista solo se conferito con apposito mandato da parte della cliente, mandato di cui però non era stata fornita prova.
Ritiene la ricorrente che questa ratio violi le regole sull’onere della prova, in quanto, da un lato, i giudici hanno rigettato la prova, volta a dimostrare che era stato affidato incarico, e per altro verso hanno rigettato la domanda in quanto sfornita di prova.
Il motivo è inammissibile.
Potrebbe addursi contraddizione nella sentenza impugnata e dunque violazione delle regole che guidano il giudizio, ove i giudici di merito, effettivamente, dopo aver rigettato le prove ritenendole non necessarie, avessero altresì rigettato la domanda perché sfornita di prove: in questo caso vi sarebbe contraddizione.
Ma, come riportato dalla stessa ricorrente (p. 39 del ricorso), emerge che i giudici hanno rigettato le prove in quanto inammissibili, ossia in quanto fondate su capitoli generici, il che è diverso. Bene è possibile che il giudice di merito, dopo aver rigettato le prove, non già in quanto irrilevanti, ma in quanto, si, rilevanti, ma non formulate adeguatamente, debba poi concludere che la domanda non è conseguentemente provata.
Inoltre, resta il fatto che la ratio della decisione impugnata è ancora una volta un’altra. I giudici di appello infatti osservano che la prova di un mandato più ampio, ossia di estendere le ricerche anche fuori dal circondario, doveva risultare documentalmente e non poteva essere provata con altri mezzi (p.9-10). E questa ratio non risulta qui impugnata, ossia non è contestato che la prova potesse venire altresì da mezzi orali anziché documentali.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, in ragione della difficoltà di prova, possono compensarsi.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 02/12/2024.