Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15358 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15358 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21994/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliazione telematica EMAIL, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME DIEGO
-intimati- e contro
ZONTA NOME, domiciliazione telematica EMAIL, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente e altresì ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1177/2021 depositata il 21/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di sette motivi, corredati da memoria, per la Cassazione della sentenza numero 1177 del 2021 della Corte di appello di Venezia, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
-aveva convenuto in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, l’architetto NOME COGNOME ed il geometra NOME COGNOME, allegando che aveva acquistato, nel 2005, tre unità immobiliari dalla società chiamata in lite, la quale si era obbligata a procurare il rilascio del certificato di agibilità e abitabilità, prestando la correlata garanzia del costruttore;
-la RAGIONE_SOCIALE aveva incaricato quale progettista l’architetto citato, mentre, nel 2007, aveva presentato una variante in sanatoria al permesso di costruire, con richiesta redatta e sottoscritta dal geometra COGNOME, direttore dei lavori sin dall’inizio delle attività;
-il Comune aveva accertato gravi irregolarità nelle opere di edificazione, rappresentate in particolare dalla sopraelevazione dell’edificio, dal mancato adeguamento dello spazio al parcheggio pubblico e privato e, infine, dall’omesso rispetto della distanza dal confine nord, con conseguente diniego del permesso di costruire in sanatoria e sospensione dei lavori;
-il processo era stato interrotto per il fallimento della RAGIONE_SOCIALE con successiva riassunzione;
-il Tribunale aveva dichiarato improcedibili le domande nei confronti della società fallita e rigettato quelle nei confronti dei professionisti,ritenute infondate;
-la Corte di appello aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado accogliendo, in particolare, la domanda nei confronti del geometra;
-il giudice di secondo grado aveva osservato, in specie, che: non sussistendo un rapporto contrattuale tra la deducente e il geometra, andava valutata ed era da ritenere sussistente la responsabilità aquiliana di quest’ultimo che, nella sua qualità, era risultato consentire la realizzazione di lavori diversi da quelli autorizzati con l’approvazione, da parte dell’ente locale, del progetto redatto dall’architetto; era risultato sia l ‘ abuso della sopraelevazione che quello relativo allo spazio da destinare a parcheggio; lo stesso geometra aveva poi predisposto la domanda di variante edilizia in sanatoria mai accolta; era dunque corresponsabile, a titolo extracontrattuale, dell’inadempimento della venditrice; a ragione gli andava quindi imputato, a titolo di danno, l’obbligo di rifondere il pagamento della sanzione pecuniaria infine comminata e saldata dalla parte acquirente, con depurazione degli importi corrispondenti al contributo normalmente dovuto a fronte della maggiore volumetria realizzata e poi mantenuta, e a titolo di equivalente monetario dei parcheggi che si sarebbero dovuti realizzare, nonché per le spese legali relative al contenzioso amministrativo; il geometra doveva infatti ritenersi responsabile, a titolo di causalità diretta, degli abusi richiamati, senza che viceversa fosse risultata prova di un suo ruolo successivo nella gestione della vicenda e non potendo imputarsi al medesimo tutto quanto accaduto fino alla definizione amministrativa in chiave sanzionatoria risalente al 2018, con il deprezzamento degli immobili conseguente alla crisi finanziaria ed economica mondiale
in uno a quello correlato all’usura del tempo; analogamente, doveva disattendersi la domanda di risarcimento per vizi e difetti relativi alle unità immobiliari compravendute perché non formulata in primo grado, trattandosi di causa petendi del tutto diversa, e restando quindi superfluo aggiungere che dalla relazione peritale d’ufficio non emergevano, viceversa, certezze riguardo alla riconducibilità di quei vizi e difetti a carenze della direzione dei lavori piuttosto che ad altri fattori verificatisi nel corso del tempo; da ultimo, non si poteva apprezzare la deduzione circa la valorizzazione patrimoniale conseguita dall’immobile in forza del maggior volume ottenuto, e ormai consolidata con il pagamento della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, in quanto non sorretta da prove acquisite; le spese di lite, nei rapporti tra la deducente e il geometra, andavano compensate per un terzo in ragione della prevalente soccombenza, mentre quelle di consulenza tecnica d’ufficio andavano distribuite in egual misura poiché la stessa era risultata solo in parte funzionale alla decisione di parziale accoglimento;
resiste con controricorso NOME COGNOME, che ha proposto, altresì, ricorso incidentale, fondato su tre motivi, corredati anch’essi da memoria;
sono rimasti intimati NOME COGNOME e l’amministrazione fallimentare di RAGIONE_SOCIALE;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 186, sesto comma, n. 1, 132, 360, n. 5, cod. proc. civ., 1227, in specie secondo comma, 1223, 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, in particolare, che i tempi della definizione in sede amministrativa, che aveva permesso
l’ultimazione dei lavori, cui correlare il pregiudizio da deprezzamento e usura dei cespiti, erano stati imputati, nella logica della decisione gravata, a inerzia della deducente società invece che, necessariamente, al geometra che aveva concorso agli abusi, senza che vi fosse stata tempestiva allegazione e prova di questo ad opera della controparte onerata dell’eccezione in senso stretto tanto quanto della relativa dimostrazione;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 360, n. 5, 115, 116, cod. proc. civ., 2697, 1227, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, in particolare, mancando di motivare ed esaminare, ai medesimi fini dei pregiudizi da deprezzamento e usura dei beni, oggetto di diniego di ristoro, la conclamata partecipazione di COGNOME al procedimento amministrativo di definizione con sanzione in luogo della demolizione immobiliare, desumibile documentalmente dalla prodotta Convenzione con il Comune cui lo stesso aveva preso parte;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132, 360, n. 5, cod. proc. civ., 2043, 2056, 1223, 2697, cod. proc., poiché la Corte di appello avrebbe errato, in particolare, negando, senza motivazione se non apparente, la riferibilità causale dei pregiudizi da deprezzamento e usura degli immobili, atteso che la sospensione dei lavori era stata generata, evidentemente, dagli abusi cui aveva concorso il geometra, secondo quanto risultante e accertato dal medesimo Collegio;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 115, 116, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, in particolare, mancando di pronunciarsi e motivare sulla domanda di rifusione dei costi di ultimazione dei lavori necessari sugli immobili;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 115, 116, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, in particolare, epurando dagli importi della sanzione pecuniaria oggetto di condanna risarcitoria, voci, quali quella da contributo edilizio per la maggiore volumetria e i parcheggi da realizzare, nonché per le spese di contenzioso amministrativo, che invece erano assenti nella richiamata relazione peritale e delle quali non vi era altra prova;
con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, 360, n, 5, cod. proc. civ., 1669, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, in particolare, ritenendo immotivatamente inammissibile la domanda risarcitoria per vizi e gravi difetti riscontrati nell’opera, invece proposta in citazione originaria e diffusamente ribadita in appello;
con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 92, secondo comma, 360, n. 5, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe compensato in parte le spese di lite e posto a carico solidale paritario quelle peritali, senza una razionale e riconoscibile motivazione e senza che ricorressero i necessari gravi motivi;
con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare -ovvero, in subordine, avrebbe errato motivando sul punto in modo solo apparente -che non esisteva alcun rapporto contrattuale tra la RAGIONE_SOCIALE e il geometra COGNOME, mentre, al contempo, era stato apoditticamente affermato un inadempimento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, mai contestato, laddove gli abusi erano stati realizzati dall’impresa di costruzione e il direttore dei lavori aveva solo un obbligo di segnalazione all’amministrazione comunale di quelli, una volta però constatati come già compiuti, come avvenuto con la redazione della variante
in sanatoria non approvata, senza alcuna condotta commissiva oppure omissiva rilevante ai fini aquiliani direttamente allo stesso riferibile;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui alla prima censura, poiché la Corte di appello avrebbe errato immotivatamente mancando di considerare che il deducente era rimasto ignaro della vendita, così come estraneo alla realizzazione degli abusi, e non aveva posto in essere alcuna attività diretta a creare affidamento in capo all’acquirente, né aveva redatto una dichiarazione di fine lavori, sicché era del tutto estraneo alla garanzia facente capo al venditore, non essendovi pertanto alcuna ragione né riscontro quanto alla responsabilità imputata;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui alla prima censura, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando immotivatamente di considerare che non vi era stata lesione aquiliana del preteso credito, posto che non vi era stata perdita definitiva e irreparabile per il creditore, rimanendo realizzabile la prestazione del venditore, mentre, al contempo, era risultato che il saldo del prezzo non era ancora avvenuto, tanto da legittimare una sopravvenuta e solo successivamente conosciuta insinuazione al passivo del fallimento, non essendo quindi ipotizzabile un risarcimento del danno a favore del soggetto che non aveva neppure pagato la prestazione in relazione alla quale chiedeva i ristori;
considerato che
il ricorso incidentale deve scrutinarsi prioritariamente per ragioni logiche;
preliminarmente, va detto che, nelle more della pubblicazione della presente sentenza, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che l’ impugnazione incidentale tardiva è ammissibile, anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta
contro
la parte destinataria dell’impugnazione principale, in ragione del fatto che l ‘ interesse alla sua proposizione può dirsi sorgere, come nel caso, dall ‘ impugnazione principale, come pure da un ‘ impugnazione incidentale tardiva stessa, una volta, cioè, che l’assetto degli interessi, quale regolato dalla decisione impugnata, è stato messo in discussione (Cass., Sez. U., 28/03/2024, n. 8486);
nel merito cassatorio vale ciò che segue;
i motivi della suddetta impugnazione incidentale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;
questa Corte ha da tempo chiarito che, in caso di inadempimento contrattuale, il terzo, che abbia, colposamente o dolosamente, arrecato un contributo causale alla condotta inadempiente di una delle parti, è tenuto al risarcimento del danno, a titolo extracontrattuale, in solido con il contraente inadempiente, una volta dimostrata l’esistenza del nesso causale tra il danno subìto dal creditore e la condotta del terzo stesso (Cass., 8/01/1999, n. 108);
nella stessa logica, ad esempio, è stato ritenuto configurabile il concorso tra la responsabilità contrattuale della società e quella extracontrattuale dell’amministratore o di altro soggetto comunque estraneo al rapporto negoziale vincolante la società: si trattava di una fattispecie in cui era stato accertato che la distrazione di somme versate da terzi alla società era stata operata dall’amministratore della stessa con la collaborazione della moglie, con incidenza causale sull’inadempienza della società medesima (Cass., 3/12/2002, n. 17110);
il concorso tra l’inadempimento della società e l’illecito aquiliano dell’amministratore è stato ribadito anche di recente (Cass., 13/03/2023, n. 7272, che, in motivazione, a pag. 5, menziona anche gli arresti di Cass., 8/09/2015, n. 17794 e Cass. 5/08/2008, n. 21130);
nel caso in scrutinio, la Corte territoriale ha accertato in fatto, nell’ambito del suo proprio ed esclusivo sindacato, anche sulla base delle risultanze peritali, che «il geometra COGNOME in sede di direzione dei lavori ha consentito la realizzazione di lavori diversi da quelli autorizzati» (pag. 13 della sentenza in questa sede impugnata), tanto, infatti, da redigere e presentare, dopo, la variante in sanatoria non approvata;
di qui il concorso, con la responsabilità contrattuale del venditore, a titolo extracontrattuale relativamente ai pregiudizi causati;
la riferibilità causale degli abusi è stata dunque ricostruita, in questa prospettiva, come diretta seppure concorrente, e a nulla rileva la dedotta quanto soggettiva ignoranza della vendita o delle trattative per la stessa, posto che il nesso eziologico in discussione, di tipo oggettivo, non è escluso ma concretizzato, rispetto ai pregiudizi di cui la parte attrice chiede il risarcimento, proprio dall’alienazione, che, quindi, innanzi tutto, non integra una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare il danno interrompendo la correlazione eziologica in discussione;
in altri e aggiuntivi termini, l’argomento di parte ricorrente incidentale, per cui la sua responsabilità avrebbe potuto in tesi essere solo, e atomisticamente, quella contrattuale nei confronti della venditrice che lo aveva incaricato, oblitera il contributo causale della condotta compartecipe degli abusi rispetto al pregiudizio che i terzi, nell’ipotesi già divenuti acquirenti due anni prima della presentazione della variante, subiscono oggettivamente per la realizzata violazione delle norme urbanistiche ostative alla disponibilità anche commerciale dei beni, in modo direttamente determinato da quelle, sicché la vendita non integra né una soluzione di continuità del nesso causale, né un momento che rende indiretto quest’ultimo, essendo invece dello stesso una
componente in concorso con quanto derivante dall’obbligazione di garanzia del venditore;
in questo quadro è chiaro che la mancata redazione della dichiarazione di fine lavori non assume alcun rilievo, come non lo assume il discusso saldo del prezzo di acquisto dei cespiti, che non esclude la sussistenza dell’obbligazione né l’intervenuta traslazione dominicale;
i primi tre motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione;
la Corte territoriale non ha rilevato d’ufficio l’eccezione ex art. 1227, secondo comma, cod. civ., ma ha affermato, sul piano della ricostruzione della riferibilità causale, che i tempi per la definizione amministrativa, che aveva permesso di riacquistare l’utile disponibilità dei beni, non potevano dirsi dipesi dal geometra COGNOME, che non risultava aver avuto alcun «ruolo nella gestione della vicenda», non essendovi dunque «prova che la definizione solo nel 2018… dipesa» da quello «e non già dai diversi interlocutori che hanno gestito a vario titolo quella fase» (pag.18), e non essendo pertanto possibile imputare eziologicamente al contributo del convenuto tutto quanto accaduto sino a quel momento, dal deprezzamento degli immobili per gli andamenti macroeconomici, all’usura per il tempo;
così ragionando, però, la Corte di appello oblitera senza comprensibile motivazione la considerazione per cui:
-quel procedimento amministrativo era stato causato dagli abusi, e non a caso alla convenzione conclusiva risulta documentalmente quanto pacificamente aver preso parte COGNOME;
-non poteva addebitarsi alla parte attorea l’onere di provare che quei tempi non fossero in ipotesi imputabili ad altri, dovendo invece essere il convenuto ad allegare e
dimostrare, viceversa, un tale fatto parzialmente impeditivo;
il pregiudizio da deprezzamento e usura dei cespiti poteva e potrebbe essere escluso, in tutto o in parte, in base ad altro accertamento e altra valutazione in fatto, ma non concludendo illogicamente che il procedimento amministrativo in parola, funzionale alla ripresa della disponibilità dei beni, non poteva in alcuna misura essere imputato agli abusi verificati come concausati dal geometra quale direttore dei relativi lavori;
non a caso la stessa Corte di appello afferma che «non vi è prova che la definizione solo nel 2018 della vicenda amministrativa sia dipesa dal geometra COGNOME», dunque ammettendo, implicitamente, di ritenere che in diversa misura non poteva non ritenersi dipendente dalla condotta del professionista;
pertanto, il fatto che al deprezzamento possa aver contribuito «la crisi finanziaria ed economica mondiale», deve raffrontarsi con il contributo eziologico in parola per tradursi in motivi razionalmente decifrabili, e, parimenti deve dirsi quanto al pregiudizio «conseguente all’usura del tempo»;
sul punto vi è, in questo senso, una motivazione per un verso irresolubilmente illogica, per altro poggiata su una distribuzione erronea dell’onere probatorio;
il quarto motivo è fondato per quanto di ragione;
la Corte di appello non si è pronunciata sulla domanda di rifusione dei costi per l’ultimazione dei lavori, valutati, su quesito istruttorio, dallo stesso perito d’ufficio, e anch’essi, nella logica componente delle opere necessarie per la messa a norma, costituiscono voce di danno specularmente e perciò direttamente riferita agli abusi;
il quinto motivo è solo parzialmente fondato;
come anticipato, la Corte di appello ha escluso, dall’importo stabilito nella ricordata convenzione, «le ulteriori voci siccome
dovute al Comune non a titolo di sanzione bensì come contributo normalmente dovuto a fronte della (maggiore) volumetria realizzata e poi mantenuta e di equivalente monetario dei parcheggi che si sarebbero dovuti realizzare per la ridetta maggiore volumetria edificatoria»;
la motivazione (importi correlati all’edificazione come tale e non sanzionatori in senso proprio) è quindi decifrabile, mentre non viene riportata in ricorso, violando il requisito di specificità dello stesso, la pag. 29 della relazione peritale officiosa richiamata, quale supporto istruttorio dunque circostanziato, dalla sentenza di seconde cure (sempre a pag. 18), e neppure per intero la convenzione con il Comune nella parte in cui specifica la somma (di euro 29.214,46) dovuta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (che poi è risultato aver pagato il tutto);
quanto invece alle spese del procedimento amministrativo, l’esclusione viene fondata dalla Corte territoriale sulle stesse e come visto infondate ragioni discusse scrutinando la quarta censura, ossia escludendo incomprensibilmente che quel procedimento fosse correlabile ai medesimi abusi edilizi viceversa imputati al geometra;
il sesto motivo è infondato;
la Corte di appello ha affermato che la domanda di ristoro per vizi, ex art. 1669, cod. civ., non era stata formulata in prime cure, e non che non lo fosse in seconde, con conseguente novità per diversità di causa petendi ;
parte ricorrente riporta diffusamente l’atto di appello, mentre della citazione in primo grado riporta solo un insufficiente frammento nel quale viene richiamato solo numericamente l’art. 1669, cod. civ.;
il settimo motivo è logicamente assorbito; spese al giudice del rinvio;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari quello previsto per il detto ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i primi cinque motivi di ricorso principale, rigettato il sesto, assorbito il settimo, rigetta il ricorso incidentale, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari quello previsto per il detto ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
Così deciso in Roma, il 22/03/2024.