Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3019 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3019 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27198/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Brescia n. 290/2019, depositata il 14 febbraio 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre
2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato in data 17 febbraio 2012, la società RAGIONE_SOCIALE conveniva NOME COGNOME avanti il Tribunale di Mantova esponendo che: a) con rogito del 11 luglio 2005 la società ha acquistato da NOME COGNOME un fabbricato a destinazione alberghiera, denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sito in Marina di Pietrasanta. b) Prima del rogito la venditrice aveva presentato una domanda di sanatoria al Comune di Pietrasanta per alcune opere realizzate in difformità delle licenze e autorizzazioni edilizie. c) Il 22 ottobre 2007 la società riotteneva la disponibilità dell’immobile a seguito di procedura di sfratto per morosità nei confronti della conduttrice RAGIONE_SOCIALE. d) L’immobile è risultato non totalmente sanabile e quindi inagibile per l’attività alberghie ra. Soltanto nel luglio 2008 la venditrice, con il consenso della FMC, ha provveduto a demolire alcune porzioni abusive del fabbricato per circa mq. 24,50 ed ha presentato due richieste di sanatoria tramite il geometra COGNOME COGNOME. In data 3 giugno 2009 il geometra COGNOME ha potuto attestare la conformità urbanistica dell’immobile , consentendo alla attrice di presentare il 4 giugno 2009 il progetto di ampliamento e ristrutturazione. e) L’inadempienza della controparte ha causato un danno alla società istante che si può quantificare in euro 232.740,00 per il controvalore delle parti di fabbricato demolite (circa mq 25,86) e in euro 170.000,00 per il mancato godimento dell’immobile. Ciò esposto, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 402.740,00 quale risarcimento dei danni.
La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande svolte dalla attrice e, in via subordinata, previa chiamata
in giudizio, condannarsi il geometra NOME COGNOME al risarcimento dei danni pretesi dalla società attrice o, comunque, condannarsi il geometra a tenere manlevata e indenne la convenuta da ogni domanda della attrice e da ogni onere e conseguenza pregiudizievole.
Autorizzata la chiamata in causa del terzo, il geometra NOME COGNOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice e convenuta.
Ammessa CTU, con sentenza n. 116/2017 depositata il 3 febbraio 2017, il Tribunale di Mantova condannava NOME COGNOME a pagare in favore di RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 90.000,00 oltre interessi; condannava NOME COGNOME, quale erede del geometra NOME COGNOME, a rimborsare alla COGNOME la somma di euro 40.000,00; condannava NOME COGNOME a rifondere a RAGIONE_SOCIALE le spese legali e compensava nella misura di un mezzo le spese legali di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, ponendo a carico di quest’ultimo il residuo.
-Con atto di appello, NOME COGNOME proponeva impugnazione contro la sentenza.
L’appellata COGNOME proponeva appello incidentale.
Con sentenza n. 290/19, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, condannava NOME COGNOME a pagare alla RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALElRAGIONE_SOCIALE la somma di euro 77.500,00 oltre interessi; condannava NOME COGNOME a rimborsare alla COGNOME l’intero importo di euro 77.500,00; condannava entrambi gli appellanti a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE le spese del grado di giudizio e COGNOME a rifondere alla COGNOME la metà delle spese di lite.
-Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE si sono costituite ciascuna con proprio controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo, il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha negato l’applicabilità al caso in esame dell’art. 1489 cod. civ. (che avrebbe escluso il diritto della acquirente al risarcimento in quanto edotta delle irregolarità edilizie) poiché nell’atto di compravendita, alla informativa sulle irregolarità è seguita l’affermazione della venditrice (poi rivelatasi errata) che l’ immobile era in regola con le prescrizioni urbanistiche (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. e per errata ricostruzione dei fatti e violazione dei principi di diritto e delle norme sostanziali (artt. 1489 e 1362 e segg. cod. civ., art. 2236 cod. civ. art. 1368 cod. civ.) e processuali (artt. 113, 115, 116, 342 cod. proc. civ.) su ricostruzione fatti e inadempimento contrattuale). Secondo quanto dedotto, sarebbe errata la ricostruzione dei fatti e l’esposizione delle ragioni di diritto effettuata dalla Corte d’appello riguardo alla garanzia prestata e alle condizioni materiali dell’immobile, prima e dopo la stipula della rogito, effettuando una analisi insufficiente degli eventi causativi e della reale concreta esistenza degli asseriti danni. Dichiarando la regolarità urbanistica dell’immobile nella prospettiva dell’esito favorevole della sanatoria e “in caso contrario” di voler rilevare indenne l’acquirente dalle conseguenze demolitorie, la COGNOME avrebbe in sostanza dichiarato di ben conoscere che “la cosa venduta è gravata da oneri” ex art. 1489 cod. civ. e che la stessa COGNOME ha in realtà adempiuto alla prestata garanzia demolendo a sue spese, e tramite il geometra COGNOME, la parte abusiva di mq. 24,50. Nell’ascrivere al «tecnico» la responsabilità diretta verso la FMC e nella condanna dello stesso a risarcire i danni, in solido con la COGNOME,
la Corte bresciana non ha considerato che il geometra COGNOME – che non è stato parte del contratto – può esser chiamato a rispondere verso le committenti COGNOME ed COGNOME dei tempi e modi con cui ha svolto la sua attività, ma non dei risultati in una situazione nella quale la sua prestazione professionale implicava “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” (art. 2236 cod. civ.) quali sicuramente erano quelli che si ponevano nel caso in esame per l’intreccio delle problematiche urbanistiche ed ambientali della sanatoria col progetto della ristrutturazione dell’albergo. Al di là del mancato esame del fatto denunciato, la Corte bresciana non avrebbe considerato che la prestata garanzia della regolarità o sanabilità urbanistica va ricondotta all’ipotesi dell’obbligazione del «fatto del terzo».
1.1. -Il motivo è infondato.
In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l’art. 1489 cod. civ., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto (Cass., Sez. II, 21 giugno 2024, n. 17148; Cass., Sez. II, 28 settembre 2023, n. 27559).
Nel caso di specie, la parte venditrice ha chiaramente garantito la regolarità urbanistica dell’immobile sia in fase di preliminare sia in sede di definitivo per cui risponde di tale garanzia, a nulla rilevando che l’acquirente fosse stata edotta della irregolarità edilizia, per cui non trova applicazione la giurisprudenza di questa Corte in merito alla conoscenza della difformità dichiarata nel contratto o conosciuta dalla parte.
Riguardo alla posizione del ricorrente, la responsabilità del geometra viene ricondotta al fatto di avere provveduto a chiedere una sanatoria in mancanza dei presupposti per poterla ottenere,
giacché le irregolarità edilizie riguardavano un immobile ricadente in area a vincolo paesaggistico. Sotto altro profilo è indubbio che la demolizione ha determinato un pregiudizio alla parte acquirente che ha visto ridursi l’utilità del bene, come accertato in sede di merito.
-Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per non avere tenuto conto del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, e delle prove acquisite, risultante dal rogito e dalla c.t.u. che il complesso immobiliare era costituito da un fabbricato di vecchia costruzione, in cattivo stato di manutenzione, insomma una struttura obsoleta: questo proverebbe la consapevolezza della acquirente FMC che la porzione di mq. 24,50 poi demolita non aveva alcuna incidenza sul valore e sul prezzo dell’immobile, visto che FMC intendeva ampliare e trasformare, come ha fatto, l’Hotel Central Park a 3 piani, 18 camere (rogito pag. 2) e 2 stelle nell’attuale Hotel Central Park Versilia Resort con 4 piani, 27 camere e 3 stelle (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. e per errata ricostruzione dei fatti e violazione dei principi di diritto e delle norme sostanziali (artt. 1489 e 1362 e segg. cod. civ.) e processuali (artt. 113, 115, 116, 342 cod. proc. civ.) su ricostruzione fatti e inadempimento contrattuale).
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Parte ricorrente chiede invero una diversa valutazione dei fatti così come apprezzati in sede di merito, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Le censure poste a fondamento del ricorso non possono infatti risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass., Sez. I, 30 marzo 2007, n. 7972).
Nel caso di specie il danno deriva dalla mancanza del permesso in sanatoria.
3. -Con il terzo motivo, il ricorrente contesta la sentenza nella parte in cui la Corte ha affermato che COGNOME non ha impugnato in appello la determinazione del risarcimento di euro 40.000,00 collegato al ritardato utilizzo del complesso alberghiero (violazione dell’art. 112 e dell’art. 113 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. e per errata ricostruzione dei fatti e violazione dei principi di diritto e delle norme sostanziali (artt. 1223 e 2043 cod. civ.) e processuali (artt. 113, 115, 116, 342 cod. proc. civ.) su danni da inadempimento contrattuale e da fatto illecito). Il ricorrente contesta la decisione della Corte d’appello nella parte in cui avrebbe erroneamente dichiarato che “il COGNOME non ha impugnato in nessuna parte del suo atto di appello, la determinazione del risarcimento (in euro 40.000) collegato” al “ritardato utilizzo del complesso alberghiero”, mostrando di non aver letto o adeguatamente considerato che, a pag. 13 del motivo 2 dell’atto d’appello, il ricorrente ha richiamato “i fatti ed atti attestanti l’esercizio della gestione alberghiera alla data del rogito, 12 luglio 2005, e fino al rilascio, 22/10/2007, quando l’attrice, ” a seguito di procedura si sfratto per morosità ha avuto la piena disponibilità del compendio ” e che a pag. 13, ultime righe, dell’atto d’appello il ricorrente ha anche contestato che la clausola contrattuale comprenda la garanzia del risarcimento per il ” mancato godimento ed esercizio dell’immobile secondo la sua destinazione ” negando in radice il “ritardo” e nel motivo 4 dell’appello ha allegato, a pag. 25, che ” il ritardo non c’ è stato e, se c’è stato, deve, semmai, essere imputato a FMC per il «disinteresse» dimostrato nel tempo precedente lo sfratto e perché, dopo che FMC acquistò il possesso materiale dell’albergo e vennero demolite le «tettoie», si esaurì ogni obbligo della COGNOME verso la FMC e del geometra COGNOME verso la COGNOME “. Comunque, quand’anche non vi sia stata un’esplicita
censura sul quantum dei danni resta il fatto che il geometra COGNOME e l’attuale ricorrente, suo avente causa, hanno sempre contestato la domanda proposta in citazione del risarcimento di danni per il complessivo importo di € 402.740,00.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
Non vi è nell’atto di appello una specifica e formale censura sul punto della quantificazione del risarcimento del danno disposto in prime cure, così come concordatamente evidenziato nella pronuncia impugnata e nei due controricorsi, per cui la relativa contestazione in questa sede risulta inammissibile.
-Con il quarto motivo il ricorrente evidenzia che il geometra COGNOME e il suo erede sono estranei alla realizzazione della porzione di fabbricato di mq. 24,50 che fu demolita per poter attestare la conformità dell’edificio ( violazione dell’art. 112 e dell’art. 113 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 2, n. 3, cod. proc. civ. e per errata ricostruzione dei fatti e violazione dei principi di diritto e delle norme sostanziali (artt. 1223 e 2043 cod. civ.) e processuali (artt. 113, 115, 116, 342 cod. proc. civ.) sul risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale e/o da fatto illecito). Come si desume dagli atti, dalla relazione del c.t.u. e dalle sentenze del Tribunale e della Corte d’appello sarebbe infatti pacifico il fatto che la messa in opera del manufatto, in violazione della legge urbanistica e dei regolamenti locali, che è una condotta «illecita», è stata posta in essere dai proprietari dell’immobile e non dal geometra COGNOME.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio della decisione che fa discendere la responsabilità del geometra COGNOME non già dalla realizzazione delle opere abusive ma dalla pratica di sanatoria che non aveva nessuna possibilità di essere accolta.
-Col il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui ha escluso l’esimente della speciale difficoltà dell’opera del professionista e ha affermato che il tecnico
aveva assicurato la totale sanabilità degli abusi (violazione dell’art. 112 e dell’art. 113 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. e per errata ricostruzione dei fatti e violazione dei principi di diritto e delle norme sostanziali (artt. 1223 e 2043 cod. civ., artt. 1218 e 1381 cod. civ.) e processuali (artt. 113, 115, 116, 342 cod. proc. civ.) sul risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale e/o da fatto illecito). La Corte bresciana avrebbe erroneamente ritenuto che la prestazione del COGNOME avesse ad oggetto l’esito ‘necessariamente non negativo’ della pratica di sanatoria e che il contratto tra la venditrice e il geometra COGNOME prevedesse un’obbligazione di risultato che non solo collide con la disciplina della promessa dell’obbligazione o del fatto di un terzo di cui all’art. 1381 cod. civ. e tanto più della P.A., senza individuare alcun riscontro oggettivo ai sensi dell’art. 2236 cod. civ. e senza che, in alcun atto e grado del giudizio di merito, la venditrice abbia allegato e prodotto e/o provato che oggetto dell’incarico da lei attribuito al geometra COGNOME (prima della vendita dell’immobile) avesse ad oggetto l’e sito ‘necessariamente -nonnegativo’ della pratica di accertamento. Per altro profilo la Corte d’appello , negando la ‘esimente della speciale difficoltà’, ha riconosciuto l’importanza del quadro probatorio offerto dalle osservazioni del ctp che dimostrano che la questione ha implicato la «soluzione di profili tecnici di speciale difficoltà», senza considerare che la COGNOME non ha fornito alcuna prova e non ha proposto alcun argomento di prova della sussistenza del «dolo» o della «colpa grave» del geometra COGNOME. L’assunto presuntivo della Corte bresciana che l’esito non negativo della sanatoria sarebbe stato, per la parte venditrice, una conditio sine qua non della stipula del rogito e l’attribuzione al geometra COGNOME di una responsabilità contrattuale per non aver adempiuto ad una prestazione senza verifica che il fatto sia stato specificamente dedotto, allegato o provato dalla COGNOME – e tanto meno da FMC – quale inadempimento specifico del professionista e,
per altro verso, che nell’estendere la responsabilità contrattuale verso l’acquirente ritenendolo compartecipe e addirittura mandatario esclusivo di un impegno che non poteva essere rispettato è infondato ed è frutto della falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. In ultimo, si evidenzia che non esiste traccia nel contratto di compravendita, né, soprattutto, nel rapporto tra il professionista e venditrice di un impegno della stessa venditrice, né del professionista di far ottenere la regolarità urbanistica entro un termine perentorio oltre il quale, l’eventuale ottenimento della regolarità urbanistica fosse da considerare tra le parti e a tutti gli effetti una inesatta prestazione fonte di risarcimento del danno ex art. 1218 cod. civ.
5.1. -Il motivo è infondato.
In materia di esercizio di attività professionale, il professionista è responsabile anche per colpa lieve (art. 1176, secondo comma, cod. civ.), salvo che la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto in quest’ultimo caso egli è tenuto al risarcimento dei danni unicamente per dolo o per colpa grave (art. 2236, cod. civ.) (Cass., Sez. II, 24 novembre 2003, n. 17871). La disposizione dell’art. 2236 cod. civ. deve intendersi nel senso che l’impegno intellettuale richiesto in tali casi sia superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media; l’onere di dimostrare la sussistenza di quel “quid pluris” che potrebbe comportare una attenuazione della responsabilità incombe in ogni caso sul professionista (Sez. 2, Sentenza n. 5928 del 23/04/2002).
Nel caso di specie è stato escluso che si trattasse di una questione che poneva la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Come evidenziato in atti, la pratica non aveva alcuna possibilità di essere accolta per ragioni obiettive derivanti dall’applicazione della disciplina vigente, giacché l’immobile ricadeva in area a vincolo paesaggistico e le opere erano state realizzate dopo
il 1967. La sussistenza dei presupposti per condurre a un esito positivo era chiaramente nella responsabilità esclusiva del professionista incaricato.
6. -Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuno dei controricorrenti, in euro 7.500,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi e rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione