Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4096 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4096 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22991-2021 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 254/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/03/2021 R.G.N. 4/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 22991/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 09/01/2025
CC
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n.254/2021, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 25168/2019 di questa Corte di cassazione, in accoglimento della domanda riconvenzionale azionata in primo grado, ha condannato COGNOME Pietro a pagare a favore di Saipem S.p.A. la somma di 10 milioni di euro a titolo di risarcimento del danno, oltre accessori e spese processuali dei gradi di giudizio, nella misura del 50%.
2.- Per quanto qui rileva, limitatamente alla domanda di risarcimento danni derivante dal pagamento delle maggiori commissioni corrisposte in conseguenza di una arbitraria modifica degli atti negoziali unilateralmente operata, la Corte ha riconosciuto la responsabilità di COGNOME NOME ed il suo inadempimento, avendo egli operato in maniera difforme dallo specifico mandato conferitogli dal Cda in data 4.10.07 relativamente al contratto di Agency agreement concluso in data 17/10/2007 tra la società Pearl e la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) con incremento delle commissioni versate a Pearl in misura pari a 10 milioni di euro.
Ha premesso in sintesi la Corte che COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE e poi RAGIONE_SOCIALE, era un dirigente apicale quale responsabile del business internazionale del gruppo, a diretto riporto con l’A.D. Il 4.10.07 il Cda di RAGIONE_SOCIALE, presente COGNOME, lo aveva autorizzato a stipulare un contratto con l’intermediario Pearl nei termini che erano stati riferiti dallo stesso COGNOME e che erano riportati nella nota informativa allegata e nella bozza di contratto. Ne dava pure atto espressamente il verbale della seduta al punto 1) intitolato “approvazione contratti”.
Venivano definiti lo schema dei compensi per i servizi che sarebbero stati resi nei due anni successivi alla data di
sottoscrizione del contratto, riassumibile nei seguenti termini: ‘un compenso massimo pari al 2,5 del valore contrattuale nel caso di aggiudicazione di contratti di ammontare superiore a 1 miliardo di euro e un compenso massimo pari al 3% del valore contrattuale nel caso di aggiudicazione di contratti di ammontare inferiore al miliardo di euro’. Identico schema risultava riportato al punto quattro (remuneration) della bozza di contratto, anch’esso allegato al verbale della seduta del Cda. Varone redigeva dunque la nota informativa e la bozza di contratto che venivano esposti nel Cda del 4.10.07, ricevendo l’incarico di dare attuazione a quanto approvato in quel contesto; mentre, una decina di giorni dopo, redigeva l’Agent Agreement 02/07 con il diverso e più gravoso schema di compensi in danno di Saipem (circostanza questa accertata anche nella sentenza penale definitiva dove COGNOME era stato indicato come proponente e redattore della nota informativa per il Cda del 4.10. 2007 – pag.221).
La differenza di previsione dei compensi da conferire all’intermediaria RAGIONE_SOCIALE tra quanto esaminato e approvato dal Cda del 4.10.2007 e quanto sottoscritto dall’agency agreement 02/07 del 17/10/2007, era pertanto di immediata evidenza, con un incremento delle commissioni versate a Pearl in misura pari a 10 milioni di euro.
3.Secondo la Corte d’appello, per sottrarsi alle conseguenti responsabilità, COGNOME avrebbe dovuto allegare e provare che al Cda del 4/10/2007 ne era seguito un altro che aveva approvato le modifiche da lui apportate, ovvero che l’aumento del compenso si fosse reso necessario per ottenere il consenso di Pearl alla stipulazione dell’agency agreement o, ancora, che il Cda avrebbe comunque consentito all’aumento. Mentre nulla di tutto ciò era stato dedotto né, tantomeno, provato.
Neppure era emerso che fossero seguite nei mesi successivi ratifiche del contratto del 17/10/2007. Certamente, a tal fine, di nessun rilievo era il verbale del Cda del 15.7.08 posto che in tale occasione veniva autorizzata l’estensione temporale sino all’aprile 2011 dell’Agency Agreement ‘approvato dal Cda nell’adunanza del 4.10.07 e posto agli atti della società con il protocollo SP/20007/02’.
A ciò andava aggiunto che sulle fatture emesse da Pearl a pagamento delle sue competenze era riportata la dicitura a mano di COGNOME e da lui sottoscritta “OK per avvenute prestazioni dei servizi e il rispetto delle condizioni di pagamento previste contrattualmente”, elemento questo che concorreva a far ritenere, da parte di chi era addetto ai controlli successivi, che l’operazione commerciale (doc.11 atti Saipem) non avesse presentato contrasti di sorta e fosse conforme a quanto concordato.
Anche la sentenza penale aveva accertato che COGNOME, insieme a COGNOME, aveva beneficiato di propri ritorni monetari rispetto ai costi di intermediazione sostenuti da Saipem e da loro proposti. 4.- Sotto il profilo del danno, doveva ritenersi provato il nesso di causalità con il danno subito da Saipem per il non corretto adempimento del mandato conferito. Per quanto atteneva alla sua quantificazione, la clausola sul compenso di Pearl inserita da COGNOME nel contratto da lui sottoscritto il 17/10/2007 aveva comportato a carico di Saipem il pagamento di un importo di gran lunga superiore a quello che sarebbe stato dovuto in base al contratto che il Cda aveva autorizzato Varone a sottoscrivere. Per le commesse aventi un valore contrattuale superiore all’importo di 1 miliardo di euro il contratto approvato il 4/10/2007 prevedeva una commissione pari al 2,5% dell’intero valore contrattuale, mentre quello sottoscritto il 17 ottobre 2017 prevedeva un compenso fisso di euro 30 milioni oltre al
2,5% del valore contrattuale eccedente 1 miliardo di euro. Per il progetto RAGIONE_SOCIALE e il progetto MLE aventi un valore contrattuale superiore all’importo di 1 miliardo di euro (rispettivamente pari ad € 2.895.040.000 e € 1.455.247.778) Saipem aveva pagato commissioni a Pearl maggiorate, per ciascun progetto, di € 5 milioni, subendo un maggiore esborso complessivo di euro 10 milioni.
5.- Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Pietro con quattro motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie conclusive prima dell’udienza. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 214 e 215 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c., nonché omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, in riferimento al disconoscimento dei documenti operato da COGNOME nel corso del giudizio. Violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c.; in particolare per avere la Corte affermato che ‘COGNOME non ha disconosciuto il contenuto degli atti prodotti da Saipem in primo grado ma ha limitato il disconoscimento alla sottoscr izione apposta in calce alla nota informativa’ e che ‘a ciò va aggiunto che COGNOME non ha mai contestato la bozza del contratto allegata anch’essa sub doc. 9 al verbale del Cda del 4 ottobre 2007, la quale contiene, all’art. 4, la clausola sulla determinazione del compenso dell’agente negli stessi termini esposti nella nota informativa’ (pag. 7 della sentenza).
1.1.- Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui lamenta l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ed è infondato laddove deduce la violazione delle norme in materia di disconoscimento.
1.2. Ed invero, sotto il primo profilo, va rilevato che la Corte ha in realtà esaminato tutti i fatti decisivi, nessuno escluso. Mentre una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 17/01/2019).
1.3. Per quanto attiene l’efficacia del disconoscimento occorre in primo luogo considerare che il compendio documentale di cui si discute è costituito dal verbale del Cda del 4.10.2007, dalla bozza di contratto e dalla nota informativa, prodotti in giudizio da Saipem. Va però osservato che la Corte di appello ha rilevato che la medesima documentazione (una copia del verbale unitamente alla relativa nota informativa munita di timbri e una copia con nota informativa estratta dagli atti depositata dal PM) era stata prodotta in giudizio dallo stesso COGNOMEe che pertanto questa non fosse soggetta a disconoscimento; Cass. n. 9329 del 08/04/2024 ) .
Inoltre, la Corte ha rilevato che COGNOME aveva limitato il disconoscimento alla sottoscrizione apposta in calce alla ‘nota informativa’, disconoscimento che non poteva assumere però alcun decisivo rilievo a fronte della uniformità del contenuto di tutti i suddetti atti e della paternità dell’atto assu nta da COGNOME in sede di Cda.
Si tratta di una valutazione quindi ampia sul corredo probatorio documentale prodotto in giudizio, sostenuta attraverso una affermazione logica, congruamente motivata e conforme a
dritto e che si sottrae, pertanto, alle censure sollevate col primo motivo di ricorso.
Inoltre, altrettanto logica è la considerazione svolta dai giudici di merito secondo cui COGNOME non aveva mai contestato la ‘bozza del contratto’ allegata anch’essa al verbale del Cd a del 4 ottobre 2007, la quale contiene all’art.4 la stessa clausola sulla determinazione del compenso all’Agente e nei medesimi termini esposti nella ‘nota informativa’.
In definitiva, va rilevato come la Corte non si è limitata a negare effetto al disconoscimento della firma effettuato dalla parte, ma ha operato un giudizio articolato sulla ricostruzione dei fatti di causa, basato su tutti i documenti acquisiti al giudizio (non esclusi quelli di provenienza penale, le fatture, i verbali successivi del Cda) e sulle copia prodotta dallo stesso ricorrente (munita dei relativi timbri, unitamente alla nota informativa, oltre che sulla copia del verbale del CDA del 4.10.07, con nota informativa allegata estratta dagli atti depositati dal PM nel processo penale).
Essa ha accertato quindi, sulla scorta di tutte le prove acquisite, l’esistenza di una evidente difformità tra i contenuti dei due contratti (la bozza del 4/10 e quello definitivo del 17/10/2007 ) ovvero tra il contratto per cui COGNOME aveva ricevuto il mandato a stipulare dal Cda e quello che aveva poi effettivamente concluso; ed ha accertato che il responsabile di questa difformità che integrava un inadempimento contrattuale era COGNOME.
Tale ricostruzione dei fatti risultava corroborata dalle stesse difese svolte in giudizio dal ricorrente -disattese dalla Corte di appello -laddove egli ha pure invocato una ratifica del suo operato successivo, ratifica che non avrebbe avuto motivo di invocare in mancanza del fatto obiettivo della difformità originaria contestata.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, comma 1 e 2, c.c., nonché l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, in riferimento al comportamento di Saipem, ex art. 360 n. 3 c.p.c. perché la sentenza impugnata aveva riconosciuto l’esclusiva responsabilità di COGNOME ed affermato che ‘il potere di firma e di direzione dell’intera operazione relativa alla definizione e alla gestione del contratto di consulenza con l’intermediario era pertanto assegnato a COGNOME non solo per la funzione di responsabile dell’Unità business ricoperta ma soprattutto per specifica disposizione del Cda che approvando la nota e la bozza come da lui presentati lo individuava quale gestore del contratto che conferiva mandato ad agire nel rispetto di quanto deliberato. Il controllo sull’esecuzione del contratto, così come previsto dalle disposizioni standard in materia di contratti di intermediazione, era affidata al gestore del contratto, che era COGNOME, al quale spettava anche di controllare le corresponsioni a favore dell’intermediario cosa che faceva attestando l’avvenuto pagamento’ e che ‘né COGNOME può sostenere che il testo del contratto del 17 ottobre 2017 sarebbe stato preparato e deciso da altri uffici e/o dirigenti atteso che, al di là dei compiti svolti dalle altre funzioni societarie, il CdA di Saipem aveva affidato soltanto a lui le funzioni di Amministratore dell’Agency Agreement’ (pagina 8 della sentenza). Ed ancora che ‘Peraltro è evidente che anche se fossero configurabili negligenza violazioni contrattuali da parte di altri soggetti per aver posto in essere controlli o verifiche in maniera incompleta o superficiale ciò non farebbe venire meno l’efficienza causale del inesatto inadempimento da parte del COGNOME il quale incaricato dal CDA di sottoscrivere un ben determinato contratto ne sottoscriveva uno di contenuto diverso’ (pag. 9 della sentenza).
La Corte d’Appello aveva quindi erroneamente affermato che il comportamento del COGNOME fosse stata l’unica causa del danno con l’esclusione di ogni colpa di Saipem, che aveva invece adottato plurimi comportamenti rilevanti, evidenziati sin dal primo grado di giudizio.
2.1. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto mira esclusivamente al riesame degli elementi di fatto valorizzati dalla Corte al fine del giudizio sulla responsabilità e sull’inadempimento contrattuale del Varone, non censurabile in sede di legittimità al di fuori degli artt. 360 n.5 e 124 n.4 c.p.c. La Corte di merito, oltre alla responsabilità del ricorrente, non ha invero accertato alcun elemento di corresponsabilità in capo a Saipem, né il ricorrente dice dove ed in che termini abbia sollevato tali questioni e da cosa sarebbe comprovata la corresponsabilità di Saipem, oltre a quella del ricorrente.
2.2. La Corte soltanto in via ipotetica ha affermato che ‘peraltro se anche fossero configurabili negligenze o violazioni contrattuali da parte di altri soggetti per aver posto in essere controlli o verifiche in maniera incompleta o superficiale, non farebbe venire meno l’efficienza causale dell’inesatto inadempimento da parte del COGNOME il quale incaricato da parte del Cda di sottoscrivere un ben determinato contratto ne sottoscriveva uno di contenuto diverso.’
Si tratta però di un’argomentazione ultronea espressa ad abundantiam, la quale è improduttiva di effetti giuridici (Cass. n. 317/02) e che non ha lo scopo di sorreggere la decisione, già basata su altra decisiva ragione, non suscettibile, quindi, di censura in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8087/07; Cass. n. 10420/05).
Con il terzo motivo si sostiene la violazione e l’errata applicazione degli articoli 1704 c.c., 1711 c.c. e 1712 c.c. e 1399
c.c. in relazione all’intervenuta ratifica. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3.
3.1. Il terzo motivo è inammissibile, perché mira al riesame dei fatti valutati dalla Corte territoriale che ha motivatamente escluso la ratifica di Saipem, anche in relazione al verbale di proroga con cui veniva autorizzata l’estensione temporale sino all’aprile 2011 dell’Agency Agreement approvato dal Cda il 4.10.07 e non del diverso contratto stipulato dal ricorrente successivamente e posto a fondamento della sua responsabilità. Il motivo è altresì generico posto che non trascrive i fatti rilevanti e difetta pertanto di specificità.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. per la mancata ammissione di mezzi istruttori rilevanti ai fini del decidere ed oggetto di discussione tra le parti che hanno determinato assenza di motivazione: in particolare, mancata ammissione di capitoli di prova n. 102, 103, 114 e 117, 118 e 120 della memoria difensiva su domanda riconvenzionale del primo grado del 4 novembre 2013 (pag. 22 e pag. 23) e dell’ordine di esibizione della copia integrale del verbale dei C.d.A. del luglio 2008, così come risultante a pag. 21 del medesimo atto depositato nell’interesse del Signor COGNOME. Omessa necessaria acquisizione di documenti indispensabili ai fini della decisione ed anche in relazione all’intervenuta ratifica. 4.1. Il quarto motivo è inammissibile perché, sotto l’apparente deduzione di error in procedendo o in iudicando, denuncia vizi relativi all’accertamento dei fatti, alla valutazione delle prove ed alla individuazione delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione che la Corte ha effettuato motivatamente valutando le emergenze probatorie prodotte dalle parti, sottoponendole al proprio prudente e discrezionale vaglio critico e respingendo richieste probatorie prive di rilevanza.
Inoltre il potere di ammettere le prove appartiene al giudice del merito e comunque non sono stati nemmeno trascritti i capitoli di prova, sicchè nemmeno risulta ex actis quali fossero stati i fatti decisivi che avrebbero cambiato l’esito del giudizio s e si fosse dato corso alla prova. In materia va posto in evidenza che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione soltanto nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (Cass.n. 18072/2024, n. 16214/2019, Cass. 2085/95; Cass. 7472/17; Cass. 26764/19). Si tratta di un ‘ipotesi che non ricorre nel caso di specie.
5.- Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere nel suo complesso rigettato.
6.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 15.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 9.1.2025