LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Responsabilità del dirigente: i limiti del mandato

Un dirigente apicale è stato condannato a un cospicuo risarcimento danni per aver stipulato un contratto di agenzia a condizioni più onerose rispetto a quelle autorizzate dal Consiglio di Amministrazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, rigettando il ricorso del manager. L’ordinanza sottolinea come la responsabilità del dirigente sia esclusiva quando agisce in violazione di un mandato specifico, escludendo un concorso di colpa dell’azienda per carenza di controlli e negando l’esistenza di una ratifica successiva dell’operato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Responsabilità del dirigente: I limiti del mandato e le conseguenze

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nel diritto societario e del lavoro: la responsabilità del dirigente che agisce oltre i poteri conferitigli dal Consiglio di Amministrazione (CdA). La Corte di Cassazione, con una pronuncia chiara e decisa, stabilisce i confini del mandato dirigenziale e le conseguenze di un suo superamento, condannando un manager a un ingente risarcimento danni per aver causato un pregiudizio economico di 10 milioni di euro alla propria azienda.

I fatti di causa: un mandato, due contratti

La vicenda trae origine da una delibera del CdA di una grande società, con la quale un dirigente apicale, responsabile del business internazionale, veniva autorizzato a stipulare un contratto di agenzia con una società intermediaria. Il mandato era preciso e delineato nei suoi termini economici: il CdA aveva approvato una bozza di contratto e una nota informativa che fissavano i compensi per l’intermediario entro soglie ben definite (2,5% del valore per contratti sopra il miliardo di euro, 3% per quelli inferiori).

Pochi giorni dopo, tuttavia, il dirigente sottoscriveva un accordo diverso. Il nuovo contratto prevedeva uno schema di compensi molto più gravoso per la sua azienda, che ha portato a un esborso aggiuntivo di 10 milioni di euro. Questa discrepanza tra il mandato ricevuto e l’atto compiuto è il fulcro della controversia legale.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, giudicando in sede di rinvio, aveva già riconosciuto la responsabilità del dirigente per inadempimento contrattuale. Secondo i giudici di merito, il manager aveva operato in maniera difforme dallo specifico mandato conferitogli, causando un danno diretto e quantificabile alla società. La Corte aveva quindi condannato il dirigente a risarcire la somma di 10 milioni di euro, oltre accessori, pur riducendo il totale del 50%.

L’analisi della Cassazione e la piena responsabilità del dirigente

Il dirigente ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su diversi motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte. L’analisi dei giudici di legittimità è fondamentale per comprendere i principi che regolano la responsabilità del dirigente.

Il disconoscimento dei documenti

Il ricorrente ha tentato di invalidare le prove a suo carico, disconoscendo la firma su alcuni documenti chiave. La Corte ha ritenuto questa difesa inefficace, sottolineando che l’uniformità del contenuto tra la bozza approvata dal CdA, la nota informativa e gli altri atti processuali rendeva evidente la difformità del contratto poi stipulato. La ricostruzione dei fatti era solida e basata su un quadro probatorio ampio, che includeva anche documenti prodotti dallo stesso dirigente.

L’esclusione del concorso di colpa della società

Un punto centrale della difesa era l’argomento secondo cui la società avrebbe avuto una parte di colpa per non aver implementato controlli adeguati che avrebbero potuto prevenire il danno. La Cassazione ha respinto questa tesi, qualificandola come un tentativo di riesaminare il merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità. La Corte ha affermato un principio chiave: l’inesatto inadempimento del dirigente, incaricato specificamente dal CdA, ha un’efficienza causale così determinante che non può essere sminuita da eventuali negligenze di altri soggetti aziendali in fase di controllo.

L’inesistenza di una ratifica

Il dirigente ha inoltre sostenuto che la società avesse, nei fatti, ratificato il suo operato. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. I giudici hanno chiarito che le successive proroghe contrattuali si riferivano all’accordo originariamente approvato dal CdA il 4.10.2007, e non al diverso e più oneroso contratto stipulato dal manager. Non vi era quindi alcuna prova di una volontà della società di sanare l’operato non autorizzato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su una rigorosa interpretazione dei doveri legati al mandato. Il dirigente è stato individuato dal CdA come gestore unico dell’operazione, con il potere di firma e la responsabilità di agire nel rispetto di quanto deliberato. Il suo ruolo non era meramente esecutivo, ma implicava il controllo sull’intera operazione, inclusa la verifica delle corresponsioni a favore dell’intermediario. Apponendo la sua firma sulle fatture con la dicitura ‘OK’, egli attestava la conformità dell’operazione a quanto concordato, inducendo gli organi di controllo a ritenere tutto regolare. La violazione di questo mandato specifico e fiduciario costituisce un inadempimento contrattuale grave, che è causa diretta del danno subito dalla società. L’argomentazione secondo cui altri uffici o dirigenti avrebbero potuto essere negligenti è stata considerata ultronea, ossia non in grado di scalfire la ragione principale della decisione: la responsabilità diretta e personale del manager incaricato.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: un dirigente con un mandato specifico del CdA non può discostarsi dalle direttive ricevute. Qualsiasi modifica unilaterale dei termini contrattuali approvati costituisce un inadempimento che espone il manager a una diretta responsabilità del dirigente per i danni cagionati. La pronuncia chiarisce inoltre che la catena di controllo aziendale, seppur importante, non serve a ‘diluire’ la responsabilità di chi ha ricevuto un incarico fiduciario e lo ha violato. Questa decisione rappresenta un monito per tutti i manager, ricordando loro l’importanza di agire sempre entro i confini precisi dei poteri conferiti dagli organi societari.

Un dirigente può modificare unilateralmente i termini di un contratto approvato dal Consiglio di Amministrazione?
No. Secondo la Corte, un dirigente che riceve un mandato specifico dal CdA per stipulare un contratto deve attenersi scrupolosamente alle condizioni approvate. Agire in modo difforme, stipulando un accordo a condizioni diverse e più onerose, costituisce un grave inadempimento contrattuale che lo espone a responsabilità per i danni causati.

La mancanza di controlli interni da parte dell’azienda può ridurre la colpa del dirigente?
No. La Corte ha stabilito che l’inadempimento del dirigente, che ha violato un incarico diretto e fiduciario, ha un’efficacia causale primaria e assorbente. Eventuali negligenze da parte di altri soggetti o uffici aziendali nei controlli successivi non sono sufficienti a ridurre o escludere la sua responsabilità per il danno direttamente causato dalla sua condotta.

Cosa si intende per ‘ratifica’ e perché in questo caso è stata esclusa?
La ratifica è l’atto con cui un soggetto approva l’operato di un altro che ha agito in suo nome senza averne i poteri. In questo caso, il dirigente sosteneva che l’azienda avesse ratificato il contratto modificato. La Corte ha escluso la ratifica perché le successive delibere aziendali (come la proroga del contratto) facevano esplicito riferimento all’accordo originariamente approvato dal CdA e non a quello, diverso, stipulato dal dirigente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati