Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31164 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 31164 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6550/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-ricorrente successivo-
-resistente al ricorso NOME–
-resistente al ricorso COGNOME–
COGNOME, quale titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, rappresentato e difeso
rimasto ignoto. Omessa pronuncia su domanda restitutoria.
Ud pu 19/11/2025
dall’AVV_NOTAIO COGNOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificato è domiciliata per legge;
-ricorrente successivo-
-resistente al ricorso NOME–
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 81/2024 depositata il 12/01/2024;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2025 dal Consigliere COGNOME.
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto NOME COGNOME, che, richiamate le conclusioni scritte, ha chiesto l ‘ accoglimento del ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nonché la declaratoria di inammissibilità dei restanti due ricorsi;
uditi i Difensori delle parti, che hanno insistito nell ‘ accoglimento delle rispettive richieste.
FATTI DI CAUSA
La vicenda riguarda l’incendio divampato il 23 luglio 2018 in un immobile, situato a Cesano Maderno, di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condotto in locazione da COGNOME NOME.
In data 10 luglio 2018, quest’ultima sublocò l’immobile all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, il quale intendeva avviare un’attività di pizzeria d’asporto.
Il COGNOME stipulò con RAGIONE_SOCIALE una polizza assicurativa commerciale in vigore dal 16 luglio 2018 per l’attività imprenditoriale. In pari data avvenne l’immissione della subconduttrice nel possesso dell’immobile.
Pochi giorni dopo la stipula della polizza, precisamente il 23 luglio 2018, scoppiò un incendio all’interno del locale, causando ingenti danni
sia all’immobile sublocato (pizzeria) che ai diversi immobili adiacenti (anch’essi di proprietà dei coniugi COGNOME–COGNOME).
Il 31 luglio 2018 la conduttrice COGNOME NOME e il subconduttore COGNOME sottoscrissero un accordo per la risoluzione consensuale e immediata del contratto di sublocazione, senza alcun corrispettivo a carico del conduttore.
Il 10 gennaio 2019 la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ricevuta la denuncia di sinistro, respinse la richiesta di indennizzo sul presupposto dell’inoperatività della polizza (ex art. 1892 c.c.), in quanto l’intercorso contratto assicurativo sarebbe stato inficiato dalle dichiarazioni inesatte e non veritiere sul rischio assicurato che erano state fornite dal COGNOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, al momento della stipula. RAGIONE_SOCIALE sosteneva che il COGNOME aveva assicurato un rischio (attività di pizzeria con 5 dipendenti) che non era affatto in essere, poiché il locale era inagibile e mancavano elementi essenziali (es. canna fumaria, impianto di riscaldamento) per l’apertura del locale.
Nel frattempo, RAGIONE_SOCIALE – in forza di polizza a garanzia dei rischi da incendio in relazione a danni all’immobile confinante con quello oggetto di incendio – corrispose ai propri assicurati una somma pari ad euro € 25.150,00.
I proprietari (COGNOME, COGNOMENOME) e la conduttrice (COGNOME NOME) convenivano in giudizio RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Monza per il risarcimento dei danni.
Il COGNOME si costituiva, negando la propria responsabilità (sostenendo che l’incendio non era imputabile a sua condotta negligente) e chiedeva di essere manlevato da RAGIONE_SOCIALE. Egli avanzava anche una domanda riconvenzionale contro RAGIONE_SOCIALE per ottenere l’indennizzo dei danni subiti dalla pizzeria.
RAGIONE_SOCIALE interveniva volontariamente per esercitare azione di surroga ex art. 1916 contro il COGNOME, in relazione alle somme corrisposte ai propri assicurati.
Il Tribunale disponeva una consulenza tecnica d’ufficio per accertare la natura dell’incendio (dolosa, colposa o fortuita) e la quantificazione dei danni.
La c.t.u. acclarava che l’incendio era di natura dolosa.
Il giudice di primo grado, con sentenza n. 73/2021:
accoglieva la domanda di indennizzo del COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE, rigettando l’eccezione di inoperatività della polizza;
riconosceva l’incendio come caso fortuito (fatto del terzo), escludendo la responsabilità del COGNOME nei confronti dei proprietari e della locatrice;
rigettava, di conseguenza, la domanda di surroga di RAGIONE_SOCIALE contro il COGNOME;
condannava COGNOME a rifondere le spese di lite al Di COGNOME e ripartiva le spese della espletata c.t.u. ponendole a carico degli attori per ¼ e delle altre tre parti per ¼ ciascuna.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello principale, lamentando l’errore del Tribunale nel rigettare l’eccezione di inoperatività della polizza ( ex art. 1892 c.c.) e l’eccezione relativa all’esagerazione dolosa del danno ( ex art. 35 CGA).
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello incidentale, contestando la sussistenza del caso fortuito e la conseguente esclusione della responsabilità del COGNOME ex art. 2051 c.c.
Il COGNOME si costituiva nel giudizio di impugnazione, chiedendo il rigetto di entrambi gli appelli.
Gli attori in primo grado non si costituivano.
Durante il giudizio di appello, NOME produceva nuova documentazione, inclusi gli atti di un procedimento penale a carico del COGNOME per frode assicurativa.
La stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avendo dovuto dare esecuzione alla sentenza di primo grado, formulava in appello una domanda di restituzione degli importi versati al COGNOME.
La Corte d’appello di Milano con sentenza n. 81/2024:
accoglieva l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE;
dichiarava l’inoperatività della polizza assicurativa ex art. 1892 c.c., ritenendo che COGNOME avesse reso dichiarazioni inesatte e non veritiere sul rischio (assicurando un’attività non ancora in essere, per la quale mancavano opere necessarie e che sarebbe stata avviata dopo mesi e, comunque, non a breve); e osservava anche che il COGNOME, con colpa grave, aveva incrementato il danno richiesto, dichiarando la presenza di cose inesistenti ( ex art. 35 CGA);
rigettava la domanda di indennizzo avanzata dal COGNOME;
-rigettava l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, confermando che l’incendio doloso da parte di un terzo costituiva prova liberatoria per il custode (COGNOME) ex art. 2051 c.c. (caso fortuito);
condannava il COGNOME al pagamento delle spese di lite dei due gradi a favore di COGNOME;
condannava RAGIONE_SOCIALE a rifondere al COGNOME il 50% delle spese di lite dei due gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte d’appello n. 81/2024 sono stati proposti tre separati ricorsi. Precisamente:
ha proposto ricorso (notificato il 12/03/2024, ma depositato per primo, il 21-22/03/2024) la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contro il rigetto del suo appello incidentale, insistendo sulla responsabilità del COGNOME ex art. 2051 c.c. (primo motivo) e lamentando l’errore della corte di merito nell’averla condannata alle spese di primo grado (vizio di ultrapetizione: secondo motivo);
ha proposto ricorso (notificato anch’esso il 12/03/2024, ma con deposito perfezionatosi solo il 28/03/2024) la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, pur vittoriosa nel giudizio di appello, con un unico motivo, di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) sulla domanda di restituzione delle somme versate a RAF in esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado;
ha proposto ricorso (notificato per primo, in data 11/03/2024, ma con deposito perfezionatosi per ultimo, solo in data 28/03/2024) il COGNOME contro l’accoglimento dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, contestando, con unico motivo, l’inoperatività della polizza ex art. 1892 c.c. e la sussistenza di esagerazione dolosa del danno.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con distinti controricorsi nei confronti sia del ricorso proposto dal COGNOME, che nei confronti del primo dei due motivi di ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il COGNOME ha resistito con controricorso ad entrambi i motivi del ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Nessun controricorso è stato depositato dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi inammissibili sia il ricorso proposto dal COGNOME che il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il Difensore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dato atto che il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è stato iscritto in data 22 marzo 2024, mentre i ricorsi proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e dal COGNOME sono stati iscritti in data 28 marzo 2024. Ne consegue che i ricorsi RAGIONE_SOCIALE e COGNOME vanno qualificati successivi al ricorso NOME e, pertanto, incidentali rispetto a quello. E va esclusa qualsiasi alterità soggettiva tra NOME COGNOME e la sua RAGIONE_SOCIALE (non ‘ditta’, tanto riferendosi al solo segno distintivo della prima) ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE‘, come pure qualunque soggettività di quest’ultima, separata dal suo titolare.
Sempre in via preliminare, vanno dichiarate infondate entrambe le eccezioni sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in sede di controricorso al ricorso del COGNOME e in sede di controricorso al ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Infondata è l’eccezione di <>.
Risulta dal giudizio di merito che gli originari attori (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), rimasti contumaci nel giudizio di appello, sono stati regolarmente intimati nel presente giudizio soltanto da RAGIONE_SOCIALE, avendo ricevuto la notifica del ricorso presso la loro residenza, mentre non sono stati regolarmente intimati dalla RAGIONE_SOCIALE NOME e dal COGNOME, che hanno entrambi effettuato la notifica del ricorso nel domicilio eletto dagli attori nel giudizio di primo grado.
Vero è che, alla luce di consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U., ord. 10817/2008 e successive, tra cui Cass. Sez. U., sent. n. 14916/2016 anche sulla qualificazione del vizio quale nullità e non quale inesistenza, cui si è attenuta la successiva giurisprudenza di legittimità), la notifica del ricorso da parte della RAGIONE_SOCIALE è irrituale, in quanto, nel caso in cui gli originari attori siano stati contumaci nel giudizio di appello, il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità deve essere notificato alla parte personalmente ai sensi dell’art. 292 c.p.c .; e, d’altra parte, non avendo gli originari attori presentato controricorso, detto vizio non può essere ritenuto sanato.
Senonché, detti ricorsi possono essere comunque decisi.
In primo luogo, va rilevato che un’eventuale irritualità della notifica ad un litisconsorte, se necessario, implica (non già l’inammissibilità dell’impugnazione, ma) semplicemente la necessità di impartire l’ordine di rinnovazione ai sensi dell’art. 331 c. p.c.
In via dirimente, peraltro, la fattispecie va correttamente sussunta entro la previsione dell’art. 332 c.p.c. (rubricato ‘Notificazione dell’impugnazione relativa a cause scindibili’), con conseguente sostanziale irrilevanza, elassi i termini ivi previsti, della irritualità della notifica dell’impugnazione stessa.
Infatti, gli originari attori sono evidentemente privi della qualifica di litisconsorti necessari: non solo nella causa tra il sublocatario (COGNOME) e la sua assicurazione (RAGIONE_SOCIALE), ma anche nella domanda dispiegata in via di intervento, a titolo di surrogazione nei diritti dei suoi assicurati (ed originari attori COGNOME NOME), nei confronti dell’originario convenuto (lo stesso sublocatario COGNOME) dalla RAGIONE_SOCIALE NOME.
A questo riguardo, infatti:
la surrogazione è una successione a titolo particolare nel credito, sicché non v’è bisogno che partecipino al giudizio surrogante e surrogato, per la stessa ragione – ad es. per la quale il cedente d’un credito non è parte necessaria nel giudizio tra cessionario e ceduto;
il debitore può opporre al creditore surrogante tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al surrogato; se non lo fa (e quindi paga male, perché, ad esempio, la surrogazione non era avvenuta) questo pagamento sarà inopponibile all’originario creditor e, che potrà esigere un secondo pagamento; e, se la sentenza gli è inopponibile, non v’è ragione per farlo partecipare al giudizio;
-l’assicurato -danneggiato, ricevuto il pagamento dell’assicuratore, perde il suo credito risarcitorio, che si trasferisce ope legis in capo all’assicuratore (in motivazione, Cass. Sez. U. n. 12564/2018): e, se l’assicurato non è più creditore di nulla, non si vede a quale titolo dovrebbe partecipare al giudizio;
-delle due l’una: se la domanda di surrogazione è rigettata, ciò non può nuocere all’assicurato -danneggiato; se è accolta la sentenza gli è inopponibile per quanto detto; pertanto, l’assicurato -danneggiato non ha interesse a partecipare a un giudizio che in nessun caso può pregiudicarlo e neppure giovargli.
In definitiva, l’eccezione viene respinta sulla base del seguente principio di diritto:
<>.
2.2. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso del COGNOME per difetto di procura speciale.
Vero è che nella procura conferita dal COGNOME al proprio difensore si legge: <> .
Tuttavia, nonostante la mancanza di un riferimento esplicito alla sentenza impugnata e nonostante l ‘ ambiguità delle espressioni adoperate nel conferimento del mandato difensivo, non può essere ritenuto il difetto di procura alla luce dei più recenti arresti delle Sezioni Unite (a partire da Cass. Sez. U. n. 36057/2022), che valorizzano la collocazione topografica, intesa ora in ambiente digitale come unione dei file relativi, della procura a preferenza del suo contenuto testuale.
Ciò premesso, può passarsi all’esame del ricorso qualificato principale per priorità di iscrizione a ruolo, cioè quello di RAGIONE_SOCIALE: la quale articola due motivi.
3.1. Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia <>, nella parte in cui la corte territoriale – applicando erroneamente l’articolo 1588 (invece dell’art. 2051 c.c.) avrebbe erroneamente escluso la responsabilità della ditta subconduttrice per i danni all’appartamento confinante.
Sottolinea che l’incendio era partito all’interno dei locali che il COGNOME aveva in uso, ma che l’immobile che aveva subito i danni (da essa indennizzati e per i quali essa si è surrogata nei diritti del proprio assicurato) era (non quello sublocato dal COGNOME, ma) un immobile confinante.
Osserva che la corte territoriale avrebbe dovuto applicare (non i principi in materia di perdita o deterioramento della cosa locata di cui all’art. 1588 c.c., ma) l’art. 2051 c.c.: in altri termini, secondo la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il diritto cui la stessa si è surrogata non deriva dai contratti di locazione (o sublocazione) stipulati fra le parti, ma dalla responsabilità extracontrattuale prevista dall’articolo 2051 c.c. a carico di NOME COGNOME, titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME, nella sua qualità di custode dell’immobile da dove sono scaturite le fiamme, che avevano poi danneggiato l’immobile vicino.
Con la conseguenza che il COGNOME, per essere mandato esente da responsabilità, avrebbe dovuto dare prova positiva, concreta e certa, del fatto del terzo, anche non individuato, cioè di un fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e, per di più, carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità, incombente questo che non sarebbe stato assolto.
3.2. Con il secondo motivo la RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia <>, nella parte in cui la corte territoriale l’ha condannata al pagamento della metà delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore della ditta convenuta, benché
quest’ultima non avesse impugnato la sentenza di primo grado, che invece aveva compensato le relative spese.
Osserva che la corte territoriale, tanto affermando, non ha tenuto conto di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (e in particolare affermati da Cass. n. 14916/2020).
RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso un unico motivo, con il quale denuncia <>, nella parte in cui la corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla domanda restitutoria delle somme corrisposte all’originario attore in esecuzione della sentenza di primo grado.
NOME COGNOME, quale titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, articola in ricorso un unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1892 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto inesatte le dichiarazioni da lui rese al momento della conclusione della polizza con RAGIONE_SOCIALE e, conseguentemente, ha ritenuto inoperativa la polizza ai sensi dell’art. 35 delle Condizioni Generali, nonché nella parte in cui, pur ritenuto assorbito il secondo motivo di appello, ha concluso che lui aveva con colpa grave incrementato il danno richiesto, dichiarando la presenza di cose inesistenti.
Sostiene che la corte territoriale è caduta in un grave errore, posto che, nel glossario delle condizioni generali di assicurazione, era espressamente indicato che il termine <> identificava <>.
Aggiunge che la suddetta circostanza dovrebbe portare, di per sé sola, alla cassazione della sentenza, trattandosi di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, operando la polizza a far tempo dallo svolgimento delle attività prodromiche all’apertura dell’attività.
Secondo il ricorrente, quand’anche si volesse ritenere che la polizza stipulata non operava a far tempo dalle attività preliminari all’apertura al pubblico, ma solo dal momento dell’apertura effettiva ai clienti dell’attività commerciale, la corte territoriale avrebbe comunque erroneamente applicato l’art. 1892 c.c., dal momento che di questa norma non ricorrevano i presupposti applicativi. In particolare, non sarebbe stato provato che una eventuale sua dichiarazione inesatta abbia influenzato negativamente il perfezionamento del consenso da parte della RAGIONE_SOCIALE.
Esclude, infine, di aver posto in essere alcun comportamento atto ad aumentare l’importo indennizzabile, ma ribadisce di essersi limitato a fornire tutta la documentazione in suo possesso.
Il primo motivo di ricorso di NOME è fondato, come pure è fondato il motivo di ricorso di RAGIONE_SOCIALE, mentre è inammissibile il ricorso del COGNOME.
6.1. Il primo motivo di ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è fondato.
Occorre premettere che dal giudizio di merito è risultato che l’incendio è partito dall’interno dei locali che il COGNOME, ma che l’immobile, che ha subito i danni indennizzati da RAGIONE_SOCIALE (e per i quali la RAGIONE_SOCIALE si è surrogata nei diritti del proprio assicurato), è stato un immobile confinante con quello locato dal COGNOME: non, quindi, l’immobile locato da quest’ultimo.
In tale contesto fattuale, la corte di merito ha applicato formalmente l’art. 2051 c.c., ma, nel farlo, confondendo nella sostanza la corretta interpretazione di detto articolo con la corrente interpretazione dell’art. 1588 c.c., ha erroneamente ritenuto provato il
caso fortuito sulla base del mero fatto che dalla c.t.u. (espletata in primo grado) e dagli atti relativi al procedimento penale (acquisiti nel giudizio di appello) era risultato provato che l’incendio era dovuto a fatto doloso; inoltre, è ormai non più revocabile in dubbio che tale fatto doloso fosse da ascriversi a persone diverse dall’assicurato (e custode), non risultando adeguatamente contestata in questa sede la relativa conclusione ad opera dei giudici del merito.
Senonché va rimarcato che, nella specie, non può trovare applicazione l’art. 1588 c.c., poiché si tratta di danni da immobile (oggetto bensì di sublocazione, ma soprattutto di custodia da parte del sublocatario) ad altro immobile e non invece di danni all’immobile oggetto del contratto di locazione (o di sublocazione).
A questo riguardo, i principi in materia di perdita o deterioramento della cosa locata (art. 1588 c.c.) vanno rigorosamente tenuti distinti dai principi in materia di responsabilità oggettiva da custodia di cosa (art. 2051 c.c.), in quanto l’art. 1588 c.c. (in materia di locazione) prevede una presunzione di colpa, che può essere superata anche soltanto dando prova positiva di aver assolto ad ogni proprio dovere di custodia, conservazione e gestione del bene locato, mentre l’art. 2051 c.c. (in materia di danni da cosa) prevede una responsabilità oggettiva che non può essere superata dimostrando di aver assolto goni proprio dovere di custodia.
Orbene, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 7789/2024): <>
Occorre qui ribadire che, per principio generale, il custode della cosa, a prescindere da qualsiasi sua condotta colposa, si libera dalla responsabilità per i danni, che siano derivati dalla cosa, solo se prova il caso fortuito, cioè la causa per i quali detta danni si sono verificati.
Il principio si giustifica alla luce di un argomento di economia del diritto: il costo economico di un danno dev’essere allocato a carico del soggetto che, a prescindere dal fatto che sia stato autore di una condotta colpevole, per avere a sua disposizione e vantaggio la cosa custodita (tanto da esercitarvi un’autentica signoria di fatto) è il soggetto più idoneo a sopportare il costo del danno, per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata a evitarlo nel modo più conveniente.
Pertanto, per essere mandato esente dalla responsabilità oggettiva che su di lui grava, il custode ha l’onere di dare prova positiva, concreta e certa, del caso fortuito, cioè di un fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.
Nel caso di fatto del terzo, che per l’appunto ricorre nella specie, non è necessario che il terzo responsabile sia individuato (non potendosi di certo addebitare al custode l’infruttuoso esito dell’attività investigativa degli organi deputati alle indagini), ma il custode, per provare l’interruzione del nesso eziologico tra la cosa ed il danno, deve provare la causa concreta di quest’ultimo.
La causa ignota non va confusa con il fatto del terzo rimasto ignoto. Invero, la causa ignota ricorre quando vi è incertezza sulla individuazione della causa concreta del danno, pur essendo certo che
esso deriva dalla cosa: e comporta il permanere della responsabilità a carico del custode. Il fatto del terzo, anche se rimasto ignoto, invece, interrompe il rapporto causale tra la cosa e l’evento, con la conseguenza che del danno il custode è liberato, sempre che vi sia certezza sull’effettivo ruolo che il terzo ha avuto nella produzione dell’evento, in relazione alle condizioni della cosa custodita.
Di tali principi di diritto non ha tenuto conto la corte territoriale, che, si ribadisce, ha erroneamente ritenuto provato il caso fortuito sulla base della mera ritenuta natura dolosa dell’incendio, senza considerare necessario determinare, indipendentemente dall’asserita natura dell’incendio, quale sia stata la sua causa effettiva, in modo positivo e concreto, in relazione alle condizioni della cosa custodita: queste sicuramente ascrivibili alla responsabilità del custode.
In altri termini, quand’anche fosse stato sufficientemente provato che l’incendio era stato causato dal fatto doloso di un terzo rimasto ignoto, sarebbe stato necessario per il giudice del merito accertare le condizioni in cui si trovava la cosa e, soprattutto, che, per la dinamica attentamente ricostruita del fatto, in relazione ad esse questo avrebbe dovuto qualificarsi imprevedibile ed imprevenibile, con l’ordinaria diligenza richiesta secondo un criterio di normalità o regolarità causale, da parte del custode (per un caso speculare, in cui l’imprevenibilità era stata ritenuta, ma in base ad un ragionamento francamente incongruo, si veda la fattispecie esaminata da Cass. ord. 9990/2025). Perché possa essere affermata la sussistenza del caso fortuito, nella forma del fatto del terzo, capace di interrompere il nesso di causa fra cosa in custodia e danno, non è sufficiente un accertamento per esclusione e in astratto, come quello posto alla base della sentenza impugnata, ma occorre un accertamento positivo e concreto del fatto del terzo, per di più con specifico riferimento alle condizioni della cosa custodita, il quale, nella specie, non risulta essere stato effettuato.
Occorre ribadire che, in tema di responsabilità per danno da cosa in custodia, ai fini dell’esonero da responsabilità del custode, nel caso in cui l’effettivo ruolo di un terzo nella produzione del danno è certo, la sua individuazione non è indispensabile ai fini dell’esonero del custode da ogni responsabilità, ma la certezza sull’effettivo ruolo che il terzo ha avuto, in relazione alle condizioni della cosa custodita, è imprescindibile affinché il fatto del terzo, rimasto ignoto, interrompa il rapporto causale tra la cosa e l’evento, liberando il custode.
Pertanto, ai fini dell’esonero da responsabilità del custode, la causa ignota si distingue dal fatto del terzo rimasto ignoto. La causa ignota ricorre se l’origine del danno rimane ignota, incerta o anche soltanto dubbia: in tal caso, il nesso eziologico tra la cosa e il danno non viene interrotto e la responsabilità per il danno permane sempre in capo al custode. Invece, nel caso del fatto del terzo rimasto ignoto: il custode è esonerato se viene accertato positivamente che il danno è stato causato dal fatto del terzo, sempre che tale fatto abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento in relazione alle condizioni della cosa custodita; se invece, pur essendo certo il fatto del terzo, non risulta provato il ruolo effettivo e esclusivo del terzo come fattore interruttivo, la prova liberatoria non può dirsi raggiunta ed il custode rimane obbligato. Pertanto: l’incertezza sulla causa comporta l’addebito al custode (causa ignota); mentre la certezza sull’intervento causale esclusivo di un fattore esterno (il fatto del terzo), pur se l’autore è sconosciuto, esclude la responsabilità (fatto del terzo rimasto ignoto).
In definitiva, il motivo viene deciso in applicazione dei seguenti principi di diritto:
-<>;
-<>.
6.2. Il secondo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE resta assorbito per effetto dell’accoglimento del primo, essendo relativo alla regolamentazione delle spese, da rinnovarsi in relazione all’esito finale della lite (e, comunque, tenendo conto dell’impossibilità di riformare una statuizione di primo grado sul punto, in difetto di impugnazione che possa dire averla investita).
Fondato è pure l’unico motivo di ricorso della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Dal giudizio di merito risulta che: a) la RAGIONE_SOCIALE era stata condannata in primo grado dal Tribunale di Monza a versare al COGNOME, titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la
somma di € 22.405,57, oltre alle spese di lite liquidate in € 518 per spese esenti, € 3.000 per compensi, oltre accessori di legge; b) a fronte dell’azione esecutiva promossa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (e, in particolare, a seguito di ordinanza di assegnazione 25/03/2021, successiva alla instaurazione del giudizio di appello), aveva corrisposto a quest’ultima le somme oggetto della sentenza di condanna di primo grado; c) in sede di precisazione delle conclusioni, aveva provveduto a dedurre l’intervenuto pagamento delle somme nel corso del giudizio, formulando così tempestivamente relativa domanda di restituzione.
È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, accogliendo l’appello avverso sentenza provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in forza della decisione riformata, pur essendo stata tempestivamente formulata la relativa domanda restitutoria (cfr. Cass. n. 7144/2021; cfr. altresì Cass. 2662/2013; Cass. 8639/2016, 2662/2013 e 8639/2016).
Di tale principio non ha tenuto conto la corte territoriale, che pur riportando nella parte introduttiva della sentenza impugnata le conclusioni rassegnate dalle parti, compresa la domanda di restituzione formulata da RAGIONE_SOCIALE – ha poi omesso di pronunciarsi rispetto a detta domanda di restituzione, sia in punto di sua tempestività che nel merito, nonostante l’integrale accoglimento dell’appello promosso dalla RAGIONE_SOCIALE.
Inammissibile, invece, è l’unico motivo del ricorso del COGNOME.
Invero, il motivo non rispetta il principio di specificità (mescolando vizi ex art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), in quanto il ricorrente lamenta nell’unico motivo di gravame sia una violazione e falsa applicazione delle norme ex art. 360 n. 3 c.p.c., sia un omesso esame decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., senza illustrare, come era
tenuto a fare, quali siano le ragioni poste alla base del primo vizio e quali quelle poste alla base del secondo vizio.
Inoltre, il ricorrente, pur eccependo formalmente vizi di legge, articola un motivo sostanzialmente diretto a sollecitare un inammissibile riesame del merito della vicenda, per quanto riguarda la valutazione delle prove e la ricostruzione del fatto storico, valutazione e ricostruzione che, come è noto, costituiscono invece attività riservate al giudice di merito e precluse al giudice di legittimità.
Infine, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata è del tutto conforme ai principi espressi da consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di art. 1892 c.c. (peraltro espressamente richiamata) là dove – dopo aver ha premesso che la reticenza è causa di annullamento del contratto allorché si verifichino simultaneamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore; e dopo aver precisato che l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni (che costituiscono il presupposto di fatto e di diritto dell’inoperatività della garanzia assicurativa) è a carico dell’assicuratore – applicando correttamente l’art. 1892 c.c., ne ha ravvisato la sussistenza di tutti i requisiti, poiché ha ritenuto provato, ad esito di un accertamento in fatto insindacabile in questa sede, che il Di COGNOME aveva reso dichiarazioni mendaci o reticenti con consapevolezza circa un’attività che non sarebbe stata svolta per mesi (mancando autorizzazioni e lavori essenziali) e che la sua reticenza sarebbe stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore.
Al riguardo, deve reputarsi che la censura si infrange contro una chiara valutazione complessiva di fatto. Infatti, pur potendo – in astratto e in tesi – concludersi che un’attività commerciale non ancora iniziata potrebbe perfino implicare un rischio minore rispetto ad
un’attività già iniziata, tanto da escludere la congruità della conclusione del carattere determinante di tale circostanza ai fini della formazione del consenso dell’RAGIONE_SOCIALE, è evidente che la corte territoriale ha motivato, sia pure sommariamente, in tale ultimo senso non esclusivamente in base al primo (ed effettivamente, di per sé solo considerato, discutibile) presupposto, ma soprattutto in esito ad una complessiva valutazione del contesto di tutte le condizioni concrete del bene assicurato nel suo assetto anteriore all’avvio dell’attività.
La Corte ha peraltro anche ritenuto ad abundantiam che il Di COGNOME aveva incrementato il danno richiesto con colpa grave, dichiarando la presenza di cose inesistenti, il che comportava la perdita integrale del diritto all’indennizzo ai sensi dell’Art. 35 delle Condizioni Generali di Assicurazione (CGA): in disparte il fatto che si tratta di un obiter , il motivo di ricorso del sublocatario assicurato mira a una rivalutazione dei fatti accertati dalla corte territoriale sui quali in questa sede, a fronte della plausibile interpretazione data dalla corte di merito al contratto inter partes , non è consentito tornare.
Per le ragioni che precedono, dell’impugnata sentenza, assorbita ogni altra e diversa questione, s’impone la cassazione in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame delle impugnazioni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione e provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio; mentre il ricorso del COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, soltanto da parte sua, dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso della RAGIONE_SOCIALE, assorbito il secondo, nonché l’unico motivo di ricorso della RAGIONE_SOCIALE; e, per l’effetto:
cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e
rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del solo COGNOME al competente ufficio di merito, dell’importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 novembre, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME