Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3064 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3064  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20355/2020 proposto da:
COGNOME  NOME,  rappresentata  e  difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
-ricorrente – contro
NOME, NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
-controricorrenti – nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in  persona dell’Amministratore pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 561/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/04/2020;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2002 NOME COGNOME ed NOME COGNOME, comproprietari di un appartamento facente parte del fabbricato condominiale di INDIRIZZO, in Rivisondoli INDIRIZZO, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Sulmona NOME AVV_NOTAIO COGNOME, proprietaria dell’appartamento sovrastante il loro, per ivi sentirla condannare al risarcimento dei danni da infiltrazioni d’acqua subite alla struttura del proprio immobile ed agli arredi. A fondamento della domanda parte attorea deduceva che le infiltrazioni, verificatesi alla fine del mese di dicembre 2001, erano state causate dalla rottura di un tubo dell’acqua posto nell’unità immobiliare della RAGIONE_SOCIALE e che tali infiltrazioni, particolarmente copiose, tanto che l’acqua avrebbe raggiunto un’altezza di circa cm 20, avevano provocato danni per un ammontare complessivo di euro 13.859,00.
Si costituiva in giudizio la convenuta, che contestava la domanda  risarcitoria attorea, assumendo  che  la  rottura si era verificata in un tratto di proprietà condominiale, prima del contatore divisionale, posto all’ingresso dell’appartamento, e, all’uopo, chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa il condominio, che indicava come unico responsabile dei danni causati agli attori.
Chiamato in causa, il condominio si costituiva in giudizio, a mezzo del proprio amministratore p.t. e giusta delibera condominiale, il quale: chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti dalla convenuta chiamante (deducendo che l’accertamento tecnico preventivo, espletato nelle more del processo, aveva individuato la causa delle infiltrazioni nell’appartamento di proprietà della convenuta); e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti alla facciata del fabbricato condominiale, danni ammontanti ad euro 1.410,50.
La causa veniva istruita mediante accertamento tecnico preventivo (seguito da successiva c.t.u.), acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, escussione di testi.
Il Tribunale di Sulmona, con sentenza n. 244/2006:
 accoglieva  la  domanda  attorea  e,  ritenuta  la  responsabilità della convenuta ex art. 2051 c.c., condannava quest’ultima, a pagare, a  favore  degli  attori,  la  somma  di  euro  15.193,00,  oltre  interessi legali  dalla  data  della  sentenza  al  saldo  e  condannava  la  convenuta alla rifusione delle spese processuali e di c.t.u.;
rigettava la domanda riconvenzionale proposta dal condominio e compensava le spese tra convenuta e terzo chiamato.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la COGNOME COGNOME, chiedendo che la Corte di merito, previa sospensione dell’efficacia esecutiva ed in riforma della stessa, rigettasse la domanda proposta nei suoi confronti dagli originari attori e dichiarasse che la responsabilità per il verificarsi dei danni subiti dagli stessi fosse attribuita a responsabilità esclusiva del condomino. In particolare, con il primo motivo, deduceva che la conduttura (che aveva originato le perdite) fosse di proprietà condominiale e che il Giudice di prime cure fosse incorso in errore nel ritenere che <> e, nel ritenere che, ai fini della decisione, ciò che rilevava era (non il fatto che il punto di rottura si trovasse a monte della valvola, bensì) il fatto che il punto di rottura medesimo si trovasse all’interno del suo appartamento. Deduceva inoltre che la comunione di talune parti dell’edificio andasse individuata secondo il criterio della destinazione e che le sentenze citate dal primo Giudice a sostegno della decisione impugnata si riferissero a casi del tutto diversi da quello in esame. Deduceva infine che anche il richiamo all’art. 2051 c.c. sarebbe stato del tutto inconferente poiché la tubazione sfuggiva dalla sua sfera di custodia. Con il secondo motivo, lamentava che la quantificazione dei
danni  era  eccessiva  rispetto  a  quanto  era  emerso  dagli  atti.  Con  il terzo  motivo  chiedeva  la  sospensione dell’efficacia  esecutiva  della sentenza.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME si costituivano nel giudizio di appello, chiedendone il rigetto.
Il RAGIONE_SOCIALE invece rimaneva contumace.
La Corte d’appello di L’Aquila, respinta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnata, con sentenza n. 621/2012, in accoglimento dell’appello e in riforma dell’impugnata sentenza:
 rigettava la domanda proposta dai NOME COGNOME nei confronti della COGNOME;
-dichiarava  che  la  responsabilità  dell’evento  dannoso  subito dagli  attori  dovesse ‘ascriversi  al  RAGIONE_SOCIALE che,  per l’effetto, veniva condannato a pagare, a favore degli originari attori, la somma di euro 15.193,00, oltre rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, fino alla data di pronuncia della sentenza d’appello, ed interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, fino al saldo;
condannava inoltre il RAGIONE_SOCIALE ed i NOME COGNOME al  pagamento,  in  solido  tra  loro,  delle  spese  del  doppio  grado  di giudizio  liquidandole  a  favore  della  COGNOME;  mentre  dichiarava compensate tra il RAGIONE_SOCIALE e gli originari attori le spese del doppio grado di giudizio.
3.Avverso la suddetta sentenza il RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione articolando due motivi. Con il primo motivo denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 n. 3 e 2051 c.c. : la Corte d’appello aveva erroneamente interpretato l’art. 1117, comma 3 o comunque aveva applicato una norma inesistente, avendo ritenuto, con riferimento al condotto delle acque, che il criterio distintivo tra parte di proprietà esclusiva e parte di proprietà condominiale fosse (non quello dell’ubicazione, ma) quello della
destinazione.  Il  secondo  motivo  riproponeva  le  medesime  doglianze sotto  il  profilo  della  congruità  della  motivazione:  la  Corte  d’appello, pur avendo accertato che il punto di rottura dell’impianto si trovava all’interno  dell’appartamento  di  COGNOME,  aveva  ritenuto  che,  in mancanza di elementi tecnici diversi, tale punto fosse da considerarsi situato sulla parte di impianto di proprietà condominiale.
NOME ed NOME rimanevano contumaci.
In accoglimento del ricorso, questa Corte, con sentenza n. 27248/2018, cassava la gravata sentenza e rimetteva gli atti alla corte territoriale, indicando alla stessa di attenersi al principio per cui <>.
I NOME COGNOME (che, pur intimati, non avevano resistito con controricorso in sede di legittimità) riassumevano il giudizio davanti alla Corte territoriale nei confronti della originaria convenuta e del condominio, chiedendo alla corte di rinvio di respingere, in applicazione del predetto principio di diritto, in quanto inammissibile, improcedibile e comunque infondato l’appello proposto dalla COGNOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Sulmona n. 244/2006, con vittoria delle spese processuali.
Si  costituiva  il  RAGIONE_SOCIALE,  il  quale,  associandosi  a  quanto richiesto  dagli  originari  attori,  concludeva  chiedendo,  in  ossequio  al principio  di  diritto  enunciato  da  questa  Corte,  di  rigettare  l’appello proposto dalla COGNOME, con vittoria delle spese processuali.
Si costituiva, altresì, la COGNOME, la quale, in via preliminare eccepiva: la nullità della notifica dell’atto di citazione in riassunzione, in quanto avvenuta ad un indirizzo diverso da quello in cui la stessa risiedeva sin dal 20.11.1991; la mancanza di interesse e di
legittimazione attiva dei NOME COGNOME alla riassunzione del giudizio a seguito  della  sentenza  emessa  da  questa  Corte,  che  aveva  cassato con rinvio la sentenza della corte territoriale n. 621/2012, in quanto gli stessi non si erano nemmeno costituiti nel giudizio di legittimità e, peraltro,  avevano  transatto  ogni  questione,  perché  integralmente risarciti dal RAGIONE_SOCIALE; nel merito, concludevano per il rigetto della domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto.
La  Corte  territoriale,  quale  giudice  di  rinvio,  con  sentenza  n. 561/2020, rigettava l’appello proposto dalla COGNOME avverso la sentenza n. 244/2006 del Tribunale di Sulmona, sentenza che veniva integralmente  confermata,  e  provvedeva  a  regolamentare  le  spese processuali.
Avverso  la  sentenza  della  Corte  territoriale  propone  ricorso  la COGNOME COGNOME.
Hanno  resistito  con  controricorso:  sia  i  NOME  COGNOME  (originari attori)  che  il  RAGIONE_SOCIALE  (chiamato  in  causa  dalla  COGNOME).
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni  scritte,  mentre  il  Difensore  della  ricorrente  COGNOME ed il Difensore dei NOME COGNOME hanno presentato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
Il  Collegio  si  è  riservato  il  deposito  della  motivazione  nel termine di cui all’art. 380 -bis 1 secondo comma c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Ai  fini  di  una  migliore  comprensione  dei  motivi  di  ricorso appare opportuno richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte e come lo stesso è stato applicato dalla corte di rinvio.
1.1. Questa Corte, con sentenza n. 27248/2018 ha affermato:
<<Dall'accertamento  dei  fatti  operato  dal  giudice  di  merito -accertamento insindacabile in questa sede – risulta che le infiltrazioni nell'appartamento  di  NOME  e  NOME  sono  state  causate  dalla
rottura della chiave di stacco dell'acqua sita nella cucina dell'appartamento di COGNOME .
<<Sulla base di queste premesse, la conclusione del giudice di responsabilità  del  condominio  per  i  danni  subiti  dai  COGNOME  non  è corretta.
<<È vero che, secondo un orientamento presente in questa Corte, 'la presunzione di comunione delle parti comuni, elencate dal n. 3 dell'art. 1117 c.c., fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, non sempre implica che, nell'ambito della porzione di fabbricato esclusiva del singolo condomino, non ricada alcuna parte comune' in quanto 'il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condominio è dato solo dalla loro destinazione, così che il condotto di acque è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini' (Cass. 2151/1964).
<<Tale orientamento, che, per individuare la 'diramazione degli impianti' di cui all'art. 1117 c.c., fa riferimento unicamente alla destinazione del condotto delle acque, prescindendo dal tutto dalla sua ubicazione, non convince, in quanto l'art. 2051 c.c. prevede 'una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l'effettiva disponibilità della stessa' (Cass. 19045/2010).
<>
1.2. Dando applicazione al suddetto principio la corte di merito, quale giudice di rinvio, ha ritenuto che:
<>.
2.La COGNOME COGNOME affida il ricorso a tre motivi.
Con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 393 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha rigettato, in tesi della ricorrente errando, l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione alla riassunzione in capo ai NOME COGNOME, eccezione che era stata da
essa sollevata, affermando che la legittimazione alla riassunzione in capo ai NOME COGNOME, che (contrariamente a quanto sembra opinare la convenuta in riassunzione) sono stati parte del giudizio di Cassazione (nel  quale,  pur  intimati,  semplicemente  non  hanno    svolto  difese), oltre  che  dei  precedenti  gradi  di  merito,  si  desume  pianamente dall’art.  392  c.p.c.  che  legittima  alla  riassunzione  <>.
Sostiene che la corte di rinvio avrebbe dovuto ritenere inammissibile l’atto di riassunzione dei NOME COGNOME, in quanto gli stessi non avevano impugnato la sentenza della corte territoriale, alla quale avevano prestato definitiva acquiescenza, e non si erano costituiti nel giudizio di legittimità. Con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del processo, con caducazione di tutte le pronunce esaminate nel corso del processo, salvo che per le sentenze passate in giudicato.
Il motivo è infondato.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la quale pretende di riservare la qualità di parte a coloro che in un giudizio si difendono attivamente e non anche a chi scelga legittimamente di non svolgervi difese in alcuni dei suoi gradi in relazione al concreto interesse sul punto, la corte di merito ha correttamente ritenuto i NOME COGNOME legittimati alla riassunzione in quanto l’art. 392 c.p.c. legittima alla riassunzione <>: visto che parti erano indubbiamente i NOME NOME, in quanto originari attori, che avevano dato impulso e partecipato al giudizio di merito e in quanto erano stati ritualmente intimati nel giudizio di legittimità, nel quale pure hanno deciso di non svolgere difese.
Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione  degli  artt.  100  e    115  c.p.c.  e  artt.  1362  e  ss.  c.c.  in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha  rigettato, secondo  il ricorrente  errando,
l’eccezione di carenza di interesse alla riassunzione in capo ai NOME COGNOME, ritenendo che <> e che <>.
Sostiene che i NOME COGNOME non avevano interesse alla riassunzione,  in  quanto  questa  Corte,  con  sentenza  n.  27248/2018, aveva  escluso  la  responsabilità  del  RAGIONE_SOCIALE  per  i  danni  causati nell’appartamento dei NOME COGNOME, per cui l’unica diatriba ancora in essere  era  rimasta  quella  tra  lei  ed  il  RAGIONE_SOCIALE.  A  sostegno  del motivo  osserva  che  i  NOME  COGNOME  avevano  con  lei  transatto  ogni questione con scrittura privata del 12 maggio 2016.
Sotto altro profilo si duole che la corte di rinvio, nell’interpretare il contratto tra le parti, ha affermato che <>, in violazione dei principi stabiliti in materia di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Al riguardo rileva che la corte di merito, violando anche l’art. 115 c.p.c., ha anche omesso di considerare la seguente circostanza rimasta incontestata: e cioè che i NOME COGNOME erano stati integralmente risarciti dal RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile.
È inammissibile, nella parte in cui invoca il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., per difetto di specificità, in quanto non riporta: a) gli elementi essenziali della scrittura privata o di quella parte di essa che conterrebbe la transazione che avrebbe fatto venire meno l’interesse alla riassunzione, così consentendo a questa Corte di poter valutare la fondatezza del motivo senza essere costretta ad accedere a fonti esterne al ricorso (quali sono gli atti del giudizio di merito); b) non riporta gli atti del processo dai quali evincere che la circostanza dell’avvenuto risarcimento fosse pacifica tra le parti. Ed al riguardo è noto che le eventuali lacune del ricorso neppure possono essere colmate con alcun atto successivo e, tanto meno, con la memoria illustrativa.
Ancora, il motivo non tiene conto del fatto che la corte territoriale, affermando che l’intenzione dei contraenti era solo quella di regolare alcuni profili delle obbligazioni restitutorie conseguenti alla cassazione della sentenza, ha dato della scrittura privata una interpretazione plausibile in estrinsecazione della potestà riservata al giudice del merito in tema di ermeneutica contrattuale, sulla quale a questa Corte non è dato tornare: infatti, la critica al risultato di un’operazione di ermeneutica contrattuale è mossa senza il rispetto dei rigorosi criteri sul punto elaborati da questa Corte per il caso di contestazione dell’interpretazione di atti negoziali.
È  inammissibile  nella  parte  in  cui  invoca  il  vizio  di  cui  all’art. 360 n. 5 c.p.c., perché non è fatto in senso fenomenico un elemento istruttorio espressamente preso in considerazione, quale per l’appunto è la scrittura privata intercorsa tra le parti, peraltro a fronte di  una  doppia  conforme,  soltanto  interpretato  in  senso  contrario  a quello auspicato dalla parte.
Il motivo è, per altro verso, pure infondato.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la corte di merito ha correttamente ritenuto che, secondo la regola generale di cui all’art. 393 c.p.c., alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero  processo,  ragion  per  cui  i  NOME  COGNOME,  se  non  avessero riassunto il processo, non avrebbero avuto alcun titolo nei confronti della COGNOME.
5. Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e n. 5 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 384, 392 e 394 c.p.c. nella parte in cui la corte di merito ha deciso la causa, limitandosi a confermare la sentenza di primo grado, senza compiere alcun ulteriore accertamento in fatto (evidentemente necessario in tesi difensiva, non avendo questa corte deciso direttamente la causa nel merito), sottolineando <>, del quale lei era proprietaria e custode.
Sostiene che quando, come nel caso di specie, la sentenza sia stata annullata per i concorrenti motivi di cui all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c., il giudice di rinvio è sì vincolato al principio di diritto affermato ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati nella sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, può e deve procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quelli la cui acquisizione si renda necessaria in virtù delle direttive espresse dalla Corte di cassazione, nei soli limiti delle preclusioni e delle decadenze già eventualmente verificatesi.
Pertanto,  il  giudice  di  rinvio,  applicando  il  suddetto  principio, avrebbe  dovuto  valutare  nuovamente  la  circostanza  che  la  rottura
della tubazione ha riguardato un tratto della conduttura (non di sua proprietà  esclusiva,  ma)  di  proprietà  condominiale,  in  quanto  si  è verificata  nel  punto  che  precede  la  saracinesca  da  cui  si  dirama  la tubazione interna al suo appartamento.
Osserva che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, lei in sede di atto di appello aveva rilevato (p. 3 e p. 4) la suddetta circostanza come pure il fatto che non aveva avuto con la tubatura, nel punto di rottura, alcun dovere di custodia o di vigilanza.
Prospetta come auspicabile la rimessione alle Sezioni Unite della questione oggetto del presente giudizio.
Il motivo è inammissibile.
Invero, da un lato, la Corte di merito, partendo dall’accertamento già compiuto in punto di origine della fuoriuscita dell’acqua (valvola di chiusura dell’impianto idrico) e di collocazione della valvola (all’interno dell’appartamento della COGNOME), assunto quale presupposto per l’enunciazione del principio di diritto affermato da questa Corte e dandovi applicazione, è pervenuta alla decisione di rigettare l’appello della COGNOME e di confermare integralmente la sentenza del giudice di primo grado.
In via dirimente (e a prescindere dalla disamina dei limiti in cui può aver luogo la rimeditazione dei presupposti di fatto posti a fondamento della decisione di cassazione con rinvio: per di più, come da applicarsi alla specie, in cui pare appunto individuato, nella parte della sentenza già cassata ma non interessata dal vizio, il punto di origine del sinistro), può osservarsi che, con apprezzamento di fatto, la corte di merito motiva anche rilevando che la sentenza del giudice di primo grado (con statuizione non censurata e dunque passata in giudicato) aveva accertato che la rottura della valvola è dipesa dalla formazione di ghiaccio nelle tubature collocate nell’appartamento della COGNOME, resa possibile dal loro mancato svuotamento in periodo invernale ed in località montana: sostanzialmente aderendo a
tale prospettazione, congruamente inserita nella ricostruzione dell’eziologia del sinistro, quale condotta omissiva propria del custode di  un  bene di quelle caratteristiche e, pertanto, quale ulteriore -se non autonoma -fonte di responsabilità proprio ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Rispetto  all’ iter motivazionale  svolto  dalla  corte  territoriale,  la ricorrente,  pur  evocando  la  violazione  di  legge,  sostanzialmente sollecita  questa  Corte  a  procedere  ad  una  nuova  valutazione  nel merito senza tener conto dell’intervenuta definitività dell’accertamento della rilevanza della condotta omissiva tenuta dalla COGNOME (circa il mancato svuotamento in periodo invernale).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna  di parte ricorrente  alla  rifusione  delle  spese  sostenute  da  parte  resistente, nonché  la  declaratoria  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali per  il  pagamento  dell’importo,  previsto  per  legge  ed  indicato  in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
 condanna  parte  ricorrente  al  pagamento  delle  spese  del presente  giudizio,  spese  che  liquida,  in  favore  dei  NOME  COGNOME,  in euro 3.200 per compensi, e, in favore del RAGIONE_SOCIALE, in euro 2500 per compensi, oltre, per ciascuna di tali parti, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  ad  opera  di  parte  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  il  21  dicembre  2023,  nella  camera  di