Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7582 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18790/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale: EMAIL
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale: e EMAIL
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7582 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 193/2021, pubblicata in data 30 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, proprietario di un appartamento adibito ad uso medico posto al piano seminterrato di un edificio condominiale, conveniva in giudizio NOME COGNOME proprietario del locale seminterrato sottostante, lamentando che il convenuto, nell’eseguire lavori di ristrutturazione, aveva causato l’insorgere di numerose fessurazioni nell’immobile di sua proprietà e aveva modificato il locale destinato a vano caldaia a servizio dell’edificio condominiale, sostituendo la porta che vi consentiva l’ingresso con una finestra e tagliando le tubature condominiali che attraversavano il soffitto del locale seminterrato, così impedendo l’attivazione dell’impianto di riscaldamento condominiale; chiedeva la rimessione in pristino delle tubature dell’impianto termico e la ricostruzione del locale caldaia, previa esecuzione dei lavori a tal fine necessari, oltre al risarcimento del danno subito ed al rimborso delle spese sostenute per lo smontaggio ed il rimontaggio delle attrezzature sanitarie presenti nello studio medico.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME il quale replicava che, nel marzo 2007, aveva eseguito lavori di ristrutturazione dei locali di sua proprietà, provvedendo ad unificarli previo abbattimento delle mura divisorie ed includendo il locale adibito a caldaia; precisava che i lavori erano stati affidati alla ditta RAGIONE_SOCIALE negando che dalla loro esecuzione fossero derivati danni all’immobile di proprietà dell’attore.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva in giudizio anche la società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE la quale insisteva per il rigetto delle
domande di parte attrice, sul rilievo che le lesioni lamentate dal Sechi non potessero essere causalmente ricollegate ai lavori da essa eseguiti; l’attore, a fronte delle difese svolte dalla terza chiamata in causa, chiedeva ed otteneva l’autorizzazione alla chiamata in causa della impresa individuale COGNOME Giuseppe, che pure era stata incaricata dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
Il Tribunale di Oristano, sopravvenuto il fallimento di RAGIONE_SOCIALE con conseguente interruzione e riassunzione del giudizio, con sentenza n. 545/2018, dichiarava la cessazione della materia del contendere tra NOME COGNOME e COGNOME NOME, titolare della omonima ditta appaltatrice, e rigettava le domande avanzate dal l’attore .
La Corte d’appello di Cagliari, accogliendo parzialmente l’appello proposto da NOME COGNOME ha condannato NOME COGNOME ‹‹ alla ricostruzione del locale caldaia con esecuzione di ogni lavoro necessario ed opportuno per adibirlo come in origine a locale caldaia ed alla rimessione in pristino delle tubature condominiali dell’impianto termico ›› , nonché al risarcimento dei danni patrimoniali, quantificati in euro 38.347,70, oltre interessi, rigettando le altre richieste risarcitorie.
Per quel che rileva in questa sede, premettendo che il regolamento condominiale, all’art. 2, prevedeva espressamente che costituivano proprietà ad uso comune i locali occupati dall’impianto di riscaldamento e che i condomini non potevano destinarli ad uso diverso, la Corte territoriale ha osservato che il Vargiu non aveva offerto prova idonea a vincere la presunzione che i medesimi locali fossero al servizio dell’edificio condominiale, facendo da tanto discendere l’illegittimità dell’abbattimento del muro divisorio tra le due unità confinanti dallo stesso acquistate e del conseguente impossessamento dell’unità in origine destinata a vano caldaia, in
assenza di produzione di delibera condominiale dalla quale potesse evincersi la rinuncia, da parte dei condomini, al godimento del bene comune. Superando le contestazioni svolte dal COGNOME, il quale aveva opposto che l’inizio dei lavori risaliva al 22 marzo 2007, ossia al giorno successivo a quello in cui era stata espletata la perizia di parte di accertamento dei danni lamentati dall’appellante, ha ritenuto, al contrario, che avevano avuto inizio in data 15 marzo 2007, come emergeva dalla denuncia di inizio lavori presentata dallo stesso appellato, erano stati affidati a due distinte imprese, la impresa individuale RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE che se ne erano occupate in tempi diversi.
NOME COGNOME propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con tre motivi, cui resiste, mediante controricorso, NOME COGNOME
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, pur avendo accertato che le lesioni e le fessurazioni nelle pareti dell’immobile di proprietà dell’attore sono stati causati dai lavori di ristrutturazione eseguiti nell’immobile di sua proprietà fra il 15 ed il 21 marzo 2007, ad opera della impresa appaltatrice COGNOME Giuseppe, chiamata in causa dallo stesso COGNOME, non ha spiegato le ragioni per cui i danni sarebbero da attribuire ad una diretta responsabilità del committente, anziché alla ditta appaltatrice che aveva operato in autonomia.
Sostiene, in particolare, che la sentenza impugnata, in violazione dell’art. 2043 cod. civ, nulla dice in relazione ad una eventuale ‘ingerenza da parte del committente nei confronti dell’appaltatore Arca tale da averlo ridotto a mero esecutore ‘ , né contesta una culpa in eligendo, ma si limita ad affermare ‘il nesso di causalità tra lavori e danni successivamente denunciati’ .
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. La censura poggia sull’assunto che NOME COGNOME aveva formulato domanda ex art. 2043 cod. civ. ed evidenzia che i danni subiti dall’immobile di proprietà dell’odierno controricorrente sarebbero stati cagionati dall’appaltatore (COGNOME NOME) nel corso dell’esecuzione delle opere affidategli per la ristrutturazione dell’immobile e che, avendo l’impresa operato in autonomia, apprestando i mezzi a ciò necessari, dovrebbe rispondere il solo appaltatore e non anche il committente.
Non si evince, tuttavia, né dalla sentenza, né dalla narrativa del ricorso che sia stata effettivamente dedotta nel giudizio di merito la esclusiva responsabilità dell’appaltatore, risultando, sul punto, il motivo non rispettoso del principio di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.
Difatti, il COGNOME assume genericamente nell’esposizione del fatto e nella illustrazione del motivo che la controparte nel dedurre, sin nell’atto di citazione di primo grado, che ‘i lavori di ristrutturazione, a cagione delle forti vibrazioni provocate dall’uso di un escavatore e di un martello pneumatico, avevano causato l’insorgere di numerose fessurazioni nel soprastante immobile dell’attore, fino a quel momento perfettamente integro’, avrebbe inteso invocare la responsabilità dell’impresa appaltatrice incaricata, tanto che era stata chiamata in causa la impresa RAGIONE_SOCIALE la quale aveva fatto uso di un escavatore e di un martello pneumatico.
Aggiunge che anche in appello il COGNOME aveva riproposto la domanda ex art. 2043 cod. civ., rimarcando la sussistenza di un nesso di causalità tra i lavori effettuati presso l’immobile sottostante ed il contestuale insorgere delle lesioni strutturali nell’immobile di sua proprietà, che risultava integro sino a quel momento.
Ma l ‘univoca prospettazione d ell’ esclusiva responsabilità ascrivibile a ll’appaltatore, legata ad accertamenti di fatto che avrebbero dovuto essere dedotti e provati dallo stesso proprietario committente, non risulta idoneamente supportata mediante la riproduzione, in via diretta o indiretta, del contenuto degli atti del giudizio di merito, quanto meno nelle parti rilevanti, essendosi il ricorrente limitato a ritrascrivere in ricorso solo uno stralcio dell’atto di citazione e dell’atto di appello, così non consentendo a questa Corte di valutare la doglianza sulla base del solo ricorso e senza fare riferimento ad atti ad esso esterni (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).
Dalla sentenza impugnata si evince, al contrario, che il Sechi ha rivolto la sua domanda esclusivamente nei confronti dell’odierno ricorrente e non si fa menzione di eventuali domande spiegate dal committente dei lavori nei confronti del primo appaltatore, COGNOME NOMECOGNOME volte a contestare una eventuale responsabilità di quest’ultimo derivante da una non corretta esecuzione dei lavori.
In tale contesto, la riscontrata carenza del ricorso preclude la disamina della doglianza.
Con il secondo motivo -rubricato: ‹‹ nullità ex art. 360 n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. poiché l’attore appellante ha proposto domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c. ed il giudice d’appello ha condannato il committente (Vargiu), sostituendo alla domanda originaria, quella nuova e diversa di cui all’art. 2051 c.c., integrante un’ipotesi di responsabilità oggettiva, incorrendo nel vizio di ultrapetizione ›› -il
ricorrente addebita ai giudici di appello di avere fatto applicazione delle regole sull’obbligo di custodia, non invocate dal Sechi, così sostituendo alla domanda proposta dall’originario attore, f ondata sul principio generale del neminem laedere , una diversa domanda, quella ex art. 2051 cod. civ, inconciliabile con quella ex art. 2043 cod. civ. per diversità dei presupposti.
Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di cui al l’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.
Manca, invero, tanto l’allegazione dell’avvenuta deduzione de i presupposti dell’azione ex art. 2051 cod. civ. dinanzi al giudice di merito, quanto l’indicazione degli atti specifici dei gradi precedenti in cui quella sarebbe stata sottoposta al giudice di merito, onde dar modo a questa Corte -a cui sono prospettate questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto -di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
In difetto di ottemperanza a tale onere, non può che conseguirne la inammissibilità, per carenza di prova sulla non novità, della censura, trattandosi di questione mai menzionata dalla sentenza impugnata (tra molte: Cass., sez. 6-1, 13/06/2018, n. 15430; Cass., sez. 2, 24/01/2019, n. 2038; Cass., sez. 1, 01/07/2024, n. 18018).
Con il terzo motivo il ricorrente censura la decisione gravata, ai sensi del n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., per illogicità della motivazione e violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. cv. in merito alla rinuncia da parte dell’attore -appellante alla domanda e agli atti del giudizio avanzata nei confronti dell’ appaltatore COGNOME GiuseppeCOGNOME
Facendo espresso riferimento ai principi enunciati da Cass. n. 23442 del 2018, che ha distinto tra i danni derivanti dall’attività dell’appaltatore, per i quali si applica l’art. 2043 cod. civ., da quelli derivanti dalla cosa oggetto dell’appalto, per i quali si applica l’art.
2051 cod. civ. , assume che la Corte d’appello, coerentemente con l’accertamento svolto, dal quale era emerso che i danni non derivavano dalla cosa (immobile di proprietà del ricorrente), ma dai lavori effettuati su di essa, avrebbe dovuto rigettare la domanda di risarcimento dei danni avanzata nei suoi confronti, avendo il Sechi rinunciato alla domanda svolta nei confronti dell’appaltatore COGNOME
Il motivo è inammissibile, perché non pertinente alla ratio della decisione gravata, che si fonda sulla ritenuta sussistenza di una autonoma responsabilità del committente, in difetto di prova di domanda formulata da ll’originario convenuto committente, ora ricorrente, contro l’appaltator e Arca, beneficiario della rinunzia.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del soccombente ricorrente alle spese del giudizio di legittimità sopportate dal controricorrente.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione