Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11857 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 11857 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
Oggetto: Responsabilità civile -Domanda risarcitoria – Danni da appalto privato -Rapporti tra responsabilità ex art. 2043, 1662 c.c. e art. 2051 c.c.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14710/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso, ex lege domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO e come da pec: EMAIL
– ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e
CC 13.01.2025
Ric. n. 14710/2022
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliata in ROMA, in INDIRIZZO. pec:
3, presso lo studio del primo e come da EMAIL, EMAIL;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso e con questi elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’A vv. NOME COGNOME e come da pec: EMAIL
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia , già RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia , in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv.ti. NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procura in calce al controricorso e con quest’ultimo, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’A vv. NOME COGNOME e come da pec: EMAILordineavvocatitorinoEMAIL EMAILpec.ordineavvocatitorino.it;
– controricorrente –
nonchè contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, ex lege domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO e come da pec:EMAIL;
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Ric. n. 14710/2022
Pres. G. COGNOME
Est. I. COGNOME
– controricorrente-
nonchè contro
Impresa Individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME,
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE;
– intimate – avverso la sentenza n.1314/2021 della Corte di Appello di Ancona, pubblicata il 30 novembre 2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/01/2025
dalla Consigliera Dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Ancona ha respinto i due distinti atti di appello riuniti proposti, rispettivamente, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Macerata n. 50/2017 che, per l’effetto , ha confermato, con condanna di NOME COGNOME a rifondere in favore di RAGIONE_SOCIALE le spese del grado d ‘ appello e condanna di NOME COGNOME a rifondere in favore di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Rappresentanza Generale per l’Italia, UnipolSai Assicurazioni , ex RAGIONE_SOCIALE le spese del grado d’appello, con compensazione integrale delle spese di lite tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e tra quest’ultima ed RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte d’appello ha escluso la responsabilità della proprietaria/committente RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che, nel caso di specie, il danno al fabbricato dell’attrice sia derivato « esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato di RAGIONE_SOCIALE» e che la responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE non potesse trovare accoglimento «neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode».
Per quanto ancora qui di rilievo, NOME COGNOME aveva premesso in fatto di essere proprietaria di un immobile sito in Porto Recanati confinante con l’immobile di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE
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Est. I. COGNOME
deducendo che i lavori di ristrutturazione affidati alla RAGIONE_SOCIALE e da questa subappaltati alla ditta RAGIONE_SOCIALE di Eshja Bardhyl, sotto la direzione dei lavori dell’ Arch. NOME COGNOME, iniziati mese di settembre 2011 e protrattisi sino a febbraio 2012, avevano provocato danni da infiltrazioni ammontanti a non meno di euro 145.000,00, cui andavano aggiunti i danni subiti dall’attrice per il mancato utilizzo dell’abitazione nel periodo estivo, quelli per i beni mobili rovinati e per le conseguenze personali dal punto di vista sanitario, che stavano interessando l’attrice, da stimarsi in non meno di euro 50.000; tanto premesso, aveva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Macerata, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, la ditta RAGIONE_SOCIALE Eshja RAGIONE_SOCIALE, l’arch. NOME COGNOME per senti re accertare che i lavori eseguiti dalle parti convenute avevano determinato i danni all’immobile dell’attrice e sentirle condannare, in solido, al risarcimento dei danni patrimoniali e non, stimati in almeno euro 250.000,00, o nella somma che verrà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali.
Si erano costituite:
-la società RAGIONE_SOCIALE contestando la domanda e deducendo che tutte le opere erano state affidate con contratto di appalto alla società RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, li aveva subappaltati alla ditta RAGIONE_SOCIALE e che la direzione dei lavori era stata affidata ad un professionista di comprovata esperienza, per cui – quale mera proprietaria del bene immobile – non poteva essere coinvolta nella richiesta risarcitoria; aveva chiesto, inoltre, di essere autorizzata a chiamare in causa la Fondiaria Sai Assicurazioni e la NOME per essere manlevata in caso di condanna;
la società RAGIONE_SOCIALE contestando l’avversa domanda e deducendo che, prima dell’inizio dei lavori, in contraddittorio con l’attrice era stato redatto un verbale di stato e consistenza della proprietà della medesima in cui erano state descritte le preesistenti infiltrazioni che già da tempo interessavano
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l’immobile, che i due fabbricati erano tra di loro autonomi, per cui il fatto che il muro nord dell’immobile dell’attrice, a seguito della demolizione, non fosse più protetto dal fabbricato di RAGIONE_SOCIALE non poteva costituire alcuna responsabilità a carico della RAGIONE_SOCIALE o della RAGIONE_SOCIALE; aveva chiesto, comunque, di essere autorizzata a chiamare in causa la società Unipol Assicurazioni s.p.a. per essere tenuta indenne nell’ipotesi di condanna e, in via principale, il rigetto della domanda attrice ed in via riconvenzionale, di dichiarare che il fabbricato oggetto di causa era stato costruito in violazione delle norme in materia di costruzione e che, quindi, le infiltrazioni e le lesioni erano da imputarsi alla sua inidoneità costruttiva;
Unipol s.p.a., che aveva contestato l’operatività della polizza assicurativa contratta dall’Immobiliare Storani , dal momento che non contemplava i danni provocati da sub-appaltatori;
Fondiaria Sai s.p.a., deducendo la non operatività della polizza sottoscritta da RAGIONE_SOCIALE.p.a. ed in ogni caso, riportandosi a quanto dedotto dall’assicurata per respingere una qualsiasi responsabilità della stessa;
–RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia che rilevava il difetto di titolarità passiva di RAGIONE_SOCIALE rispetto alla pretesa risarcitoria avanzata, dal momento che l’esecuzione dei lavori era stata affidata all’impresa RAGIONE_SOCIALE COGNOME in virtù di contratto di appalto e la direzione dei lavori all’ arch. COGNOME e aveva eccepito, infine, la violazione da parte dell’assicurata dell’obbligo di denuncia del sinistro entro i dieci giorni.
-l’ Arch. NOME COGNOME associandosi al contenuto della comparsa di costituzione della RAGIONE_SOCIALE e deducendo che comunque nessuna responsabilità poteva a lui imputarsi atteso che, in qualità di direttore dei lavori, aveva seguito l’opera di ristrutturazione con competenza e diligenza, che l’immobile
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dell’attrice già presentava dei difetti di costruzione, risultando le murature del tutto inidonee a supportare il fabbricato e che essendo le murature dei due fabbricati autonome non sussisteva alcuno obbligo di protezione verso quello della COGNOME;
infine, l’impresa RAGIONE_SOCIALE di Eshja COGNOME , deducendo di avere eseguito i lavori secondo le regole dell’arte nel pieno rispetto del progetto e secondo le direttive impartite dal direttore dei lavori e chiedeva il rigetto della domanda.
Espletata istruttoria e esperita CTU, il Tribunale di Macerata con la sentenza n. 50/2017, in accoglimento parziale della domanda, aveva condannato i convenuti NOME COGNOME e l’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di Eshja Bardhyl, in solido, al risarcimento di tutti danni subiti da NOME COGNOME, liquidati in euro 32.400,00 oltre rivalutazione monetaria dal 31/12/2013 ed interessi; rigettato la domanda proposta dall’attrice nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; rigettato la domanda riconvenzionale proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME posto a carico dei convenuti COGNOME ed Alba RAGIONE_SOCIALE, in solido, i costi di CTU e condannato entrambi alla refusione delle spese di lite in favore dell’attrice; condanna to NOME COGNOME alla rifusione delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, di Fondiaria Sai s.p.a., di RAGIONE_SOCIALE; condannato la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite in favore d Unipol Assicurazioni s.p.a.; compensato integralmente la spese tra NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE
A vverso la decisione della Corte d’appello di Ancona , NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Hanno resistito con distinti atti di controricorso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia. Seppure intimate, Impresa Individuale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e UnipolSai RAGIONE_SOCIALE, già FondiariaSai
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s.p.a., non hanno ritenuto di svolgere difese nel giudizio di legittimità.
La trattazione del ricorso, originariamente fissata in adunanza camerale, in vista della quale tutte le parti costituite avevano depositato memoria, è stata rinviata alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 3 settembre 2023, n. 23634.
Fissata la pubblica udienza, il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME anticipando le medesime richieste formulate in udienza in data 13 gennaio 2025, ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria; hanno depositato distinte memorie le parti controricorrenti RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia e RAGIONE_SOCIALE
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt.2043 e seguenti c.c. e in particolare, dell’art.2051 c.c. anche con riguardo all’art.1662 c.c. in relazione all’art.360, primo comma, n.3, c.p.c.. Nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt.112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art.360, primo comma, n.4, c.p.c.. ‘ ; nello specifico, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’a ppello, pur richiamando correttamente l’arresto di legittimità Cass. Sez. 3 23442/2018, ha erroneamente respinto la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente nei confronti della società proprietaria dell’immobile interessato dai lavori di rifacimento che hanno determinato i danni a quello limitrofo della ricorrente, affermando «nel caso di specie, il danno al fabbricato dell’attrice non è derivato direttamente dalla cosa oggetto dell’appalto, ma esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato di Garinvest, con esclusione, come affermato dal CTU, della rilevanza causale di ogni
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Est. I. Ambrosi altro tipo di intervento realizzato nella proprietà RAGIONE_SOCIALE. Di conseguenza la responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE non può trovare accoglimento neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode». Nello specifico, contesta quanto affermato dalla Corte territoriale in tema di responsabilità dell’appaltatore ex art. 2043 c.c. ritenuta assorbente rispetto alla responsabilità ex art. 2051 c.c. del committente, affermazione che non corrisponderebbe affatto ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. ed in particolare, richiama il principio di diritto secondo cui la consegna del bene all’appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicché questi resta responsabile, alla stregua dell’art. 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall’esecuzione dell’opera, salvo che provi il caso fortuito (Cass. Sez. 3, 17/03/2021 n. 7553 e ulteriori precedenti richiamati in ricorso e nelle memorie). Sottolinea che la prova del fortuito non sarebbe stata fornita dalla RAGIONE_SOCIALE e neppure la prova della propria condotta diligente, quale committente, tenuto conto che sebbene la demolizione dovesse avvenire ‘ a mano e a piccoli tratti ‘, avvenne i n concreto in un’unica fase procedendo dall’alto al basso con l’ausilio di mezzi meccanici.
1.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Con esso viene posta la questione delle diverse responsabilità imputabili al proprietario di un immobile il quale abbia commissionato un appalto privato edile da cui siano derivati danni a terzi e che può rispondere sia per responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) sia per responsabilità da custodia (art.2051 c.c.) sia per responsabilità contrattuale per omessa verifica nel corso di esecuzione dell’opera (art.1662 c.c.), lamentando la odierna ricorrente che con la decisione qui impugnata la Corte territoriale avrebbe deciso in contrasto con gli orientamenti di legittimità – che
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pure ha formalmente richiamato (Cass. Sez. 3 n. 23442/2018) in materia di responsabilità da custodia.
1.1.1. Va evidenziato, in via generale, che questa Corte ha già affermato che nel caso in cui i danni siano stati causati a terzi da un’attività di esecuzione di un appalto , risponde di regola esclusivamente l’appaltatore in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l’art. 2049 c.c. al committente, fatta salva l’ipotesi in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell’attività dell’appaltatore e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo, gravanti sul committente, ipotesi nella quale è configurabile la responsabilità del committente, concorrente o esclusiva rispetto a quella dell’appaltatore (Cass. Sez. 3, 29/10/1997 n. 10652).
Nello stesso ambito, è stato evidenziato che il committente può rispondere anche ai sensi dell’art. 2051 c.c. in quanto l’appalto e l’autonomia dell’appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della res da parte del committente, fatta salva l’ipotesi in cui il committente dimostri che il danno si è verificato per causa esclusiva del fatto dell’appaltatore, quale fatto del terzo che egli non poteva prevedere e/o impedire, ipotesi questa nella quale il committente è esonerato da responsabilità e, in caso di condanna, ha comunque il diritto di agire eventualmente in manleva contro l’appaltatore (Cass. Sez. 3, 27/04/2023 n. 11152).
1.1.2. In ordine alla natura della responsabilità ex art. 2051 c.c., le Sezioni Unite di questa Corte hanno da ultimo chiarito che «La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode» (Cass. Sez. U, 30/06/2022 n. 20943).
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Per quanto qui di rilievo, con l’appena richiamato arresto, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato:
«a) “l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;
“la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”;
c ) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”;
“il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso in applicazione anche ufficiosa dell’art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;
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e) quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”» (punti 8.4. e ss., in motivazione, Cass. Sez. U n. 20943/2022).
Le appena richiamate precisazioni costituiscono l’attuale statuto della responsabilità del custode, il cui fondamento riposa, pertanto, su elementi di fatto individuati tanto in positivo – la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muo ve dall’accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l’imputazione in capo al custode dell’ obbligazione risarcitoria, dalla quale il custode si libera giusta il disposto dell’art. 2051 c.c., provando il caso fortuito) -quanto in negativo (l’inaccettabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente) (Cass. Sez. 3, 27/04/2023 n. 11152).
Nello stesso ambito, è stato posto in evidenza, con indirizzo che qui si condivide in pieno e si intende ribadire, che «sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dal massimo organo della nomofilachia) come il caso fortuito appartenga alla categoria dei fatti giuridici e si ponga in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res , senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del
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Est. I. COGNOME danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227, comma 1, c.c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale, Cass. n. 21619/2007), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode» (Cass. Sez. 3, n. 11152/2023).
In tale prospettiva, è stato altresì osservato che «sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) “interruzione del nesso tra cosa e danno”, bensì alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res , deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell’ipotesi di efficacia ca usale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe» (Cass. Sez. 3, n. 11152/2023).
Per completezza, meritano un cenno, infine, due recenti arresti di questa Corte ove, da un lato, si è esclusa la responsabilità per custodia del committente per il danno arrecato dall’appaltatore a terzi nell’ipotesi in cui il danno derivi in via esclusiva dalle modalità di esecuzione dei lavori sulla cosa oggetto dell’appalto (su cui v. Cass. Sez. 3, 16/02/2024 n.4288) e, dall’altro lato, si è ricostruita la responsabilità del proprietario ai sensi degli artt. 840 e 2053 c.c. per i danni cagionati da escavazioni ed opere sul proprio suolo o sottosuolo (Cass. Sez. 3, 02/02/2024 n. 3092).
1.1.3. Venendo all’esame della fattispecie, la sentenza qui impugnata ha escluso la responsabilità della proprietaria/committente RAGIONE_SOCIALE ritenendo, in primo luogo, che i motivi di appello dell’odierna ricorrente fossero «in gran parte assorbiti da quanto argomentato nel rigettare l’appello proposto da
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COGNOME sul capo della sentenza che ha escluso la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE» ( appello proposto dall’Arch. COGNOME direttore dei lavori, ritenuto responsabile del danno cagionato in solido alla ditta subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE, pag. 13 della sentenza impugnata); in proposito, la Corte dorica ha ritenuto «Nel caso di specie, la parte attrice o il direttore dei lavori non hanno dedotto alcuna culpa in eligendo dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE e non hanno mai messo in dubbio la capacità tecnica della stessa a compiere l’opera oggetto dell’appalto (la relativa prova va offerta dal danneggiato, cfr. Cass. civ. n. 25173/2007), né risulta da alcun elemento processuale che l’Imp resa COGNOME si sia ingerita nell’esecuzione dell’attività di demolizione, né tanto meno ciò è stato dedotto in primo grado dall’impresa RAGIONE_SOCIALE» (pag. 12 della sentenza impugnata).
In secondo luogo, la Corte d’appello ha posto in evidenza che il danno al fabbricato dell’attrice « non è derivato direttamente dalla cosa oggetto dell’appalto, ma esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato di RAGIONE_SOCIALE, con esclusione, come affermato dal CTU, della rilevanza causale di ogni altro tipo di intervento realizzato nella proprietà RAGIONE_SOCIALE. Di conseguenza, la responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE non può trovare accoglimento neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode» (pag. 14 della sentenza impugnata).
1.1.4. Riconducendo la fattispecie alla cornice dello statuto della responsabilità per custodia sopra meglio tratteggiato, va escluso, contrariamente a quanto sostenuto dalla odierna ricorrente, che la sentenza impugnata abbia aprioristicamente negato l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. sul mero e unico presupposto della conclusione del contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e l’Impresa RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto che, in modo piano e chiaro, la Corte territoriale ha dapprima dato conto delle circostanze, pacifiche tra le parti, secondo cui la progettazione e direzione di tutti i lavori
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Est. I. Ambrosi riguardanti l’edifico confinante con quello dell’attrice fosse stata affidata dalla proprietaria RAGIONE_SOCIALE all’ Arch. NOME COGNOME e all’Impresa RAGIONE_SOCIALE e che quest’ultima l’avesse subappaltata all’impresa RAGIONE_SOCIALE proprio per l’esecuzione della demolizione del fabbricato RAGIONE_SOCIALE e sempre sotto la direzione del predetto professionista; la Corte ha ritenuto reponsabili sia il direttore dei lavori sia la ditta subappaltante esecutrice dei medesimi, stante che i danni riportati dal fabbricato dell’attrice furono «la conseguenza dell’inosservanza di regole di prudenza e di condotta nell’esecuzione della demolizione del fabbricato di Garinvest quali, come rilevato dal perito, la mancata protezione della parete muraria posta sul lato nord del fabbricato di proprietà dell’attrice, in modo da renderla impermeabile all’acqua piovana (p. 59 CTU) e la non idoneità nel caso specifico delle modalità dell’attività di demolizione che anzichè essere eseguita a ‘ piccoli tratti ‘ è stata fatta ‘ in un’unica fase, procedendo dall’alto verso il basso con l’ausilio di mezzi meccanici …’; sicché ‘ il quadro fessurativo riscontrato su ll’immobile risulta essere perfettamente compatibile con le sollecitazioni prodotte da un pesante mezzo meccanico durante le fasi di demolizione ‘ (p. 69 CTU)» (pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata).
Pertanto, nel caso in esame, in confornità al richiamato statuto della responsabilità da custodia, la Corte d’appello non ha dato rilievo a quanto dedotto dalla proprietaria RAGIONE_SOCIALE sia per escludere la propria responsabilità in mancanza di una propria ingerenza nell’autonomia dell’appaltatore sia per affermare la propria diligenza come custode (circostanze, entrambe, come si è veduto, irrilevanti rispetto alla natura oggettiva della responsabilità invocata), ma ha ritenuto, viceversa, che il danno cagionato al fabbricato della odierna ricorrente dall’atto dei terzi (in particolare, dalla demolizione del fabbricato di proprietà RAGIONE_SOCIALE effettuata dalla ditta subappaltatrice, sotto la supervisione del direttore dei lavori)
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Est. I. COGNOME consentisse di relegare al rango di mera occasione la relazione con la res , che in tal guisa veniva deprivata dalla sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano naturalistico (preesistenza della res e sua specifica caratterizzazione, come esattamente accaduto nel caso di specie), espressione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode.
1.1.5. Ciò posto, non sussiste il vizio lamentato né sotto il profilo della violazione di legge né sotto quello del l’apparenza della motivazione, tenuto conto che le argomentazioni utilizzate dalla Corte d’appello sono più che rispettose del c.d. ‘minimo costituzionale’ e, dunque, non confligg ono con l’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e gli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; al riguardo, difatti, è stato già da tempo affermato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (cfr. Cass. Sez.U, n. 8053/2014; e più di recente, Cass., 30/06/2020, n. 13248, Cass., 17/05/2021, n. 13170; Cass., 14/11/2019, n. 29495; Cass., 24/01/2023, n. 2122).
Pertanto, non è possibile dedurre una censura di nullità della sentenza basandola su un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia
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disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (tra tante, di recente, Cass. Sez. 1, 1/03/2022 n. 6774). Pretese violazioni, che, nella specie, risultano già ampiamente superate da quanto ritenuto specificatamente e in modo piano e adeguato dalla Corte di merito, in base ad un accertamento in fatto fondato sulla valutazione delle risultanze istruttorie.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt.2043 e ss., ivi compreso l’art. 2051 c.c., e 1655 e seguenti c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. Nullità della sentenza Impugnata per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ‘; in particolare, assume che la Corte d’appello abbia erroneamente respinto la domanda risarcitoria proposta dall’attrice nei confronti dell’appaltatore Impresa COGNOME, addebitandole altresì l’omessa dimostrazione di una circostanza pacifica in causa (concernente il ruolo attivo di controllo della Immobiliare COGNOME sull’appalto anche per la parte dei lavori svolti dalla subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE con assunzione di piena responsabilità in merito) emergente dal riconoscimento dell’appaltatore stesso e, comunque, dalla documentazione agli atti già del primo grado di giudizio e richiamata espressamente in appello.
2.1. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto quello dell’apparenza della motivazione.
Risulta evidente dalla stessa confezione della articolata censura che con essa l’odierna ricorrente, sebbene formalmente lamenti un vizio di violazione di legge e, nel contempo, un vizio di nullità della decisione impugnata, tuttavia pretende una ricostruzione alternativa dei fatti sottesi al giudizio atteso che la motivazione resa dal giudice d’appello, lungi dall’essere nulla
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(contraddittoria o irrazionale o apparente) ripercorre e condivide l’ iter decisorio del giudice di prime cure, senza incorrere nel lamentato vizio di cui agli artt. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e 360, comma 1, n. 4) c.p.c..
Dirimente in tale ottica, quanto ritenuto dalla Corte territoriale con la decisione impugnata, la quale innanzitutto ha escluso la responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, quale ditta che aveva subappaltato i lavori all’impresa RAGIONE_SOCIALE sulla scorta della regola generale secondo cui l’appaltatore esegue i lavori in autonomia, affermando che, all’esito della espletata CTU, la causa delle problematiche verificatesi nell’immobile di proprietà della COGNOME erano da individuarsi esclusivamente nella mancata adozione di regole precauzionali nello svolgimento della demolizione del fabbricato della RAGIONE_SOCIALE, attività che secondo le risultanze del primo grado di giudizio risultava svolta dall’Impresa RAGIONE_SOCIALE e che, sul punto, non ci fosse stata contestazione specifica (pag. 11 della sentenza impugnata) ed ha evidenziato, poi, come la parte attrice (odierna ricorrente) e l’allora convenuto, direttore dei lavori, non avessero dedotto alcuna culpa in eligendo dell’ appaltatore Immobiliare COGNOME e mai messo in dubbio la capacità tecnica della subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE a compiere l’opera oggetto dell’appalto ( incombendo sul danneggiato la relativa prova) né che risultasse alcun elemento processuale da cui desumere che l’Impresa COGNOME si fosse ingerita nell’esecuzione dell’attività di demolizione, nè tanto meno che ciò fosse stato dedotto in primo grado dall’impresa subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE (pag. 12 della sentenza impugnata).
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la ‘ Violazione degli artt. 115 e 132 n. 4 c.p.c. per motivazione incomprensibile, inconciliabile e meramente apparente (con conseguente violazione degli artt. 2043 e seguenti, 1223 c.c.), in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c. ‘ ; in particolare, censura la sentenza impugnata
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che, nel confermare la quantificazione del risarcimento operata dal Tribunale con riguardo alla mancata disponibilità dell’immobile da parte della signora COGNOME avrebbe reso una motivazione meramente apparente e inconciliabile rispetto ai presupposti e parametri dalla stessa Corte di Appello affermati.
3.1. Parimenti inammissibile il secondo motivo di ricorso sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto quello dell’apparenza della motivazione.
Lungi dall’aver motivato apparentemente, la Corte dorica ha ritenuto di confermare il periodo indennizzabile a due mesi l’anno, e tale valutazione costituisce un accertamento di fatto cui il Giudice di prime cure era pervenuto sulla scorta delle stesse dichiarazioni della odierna ricorrente che aveva affermato, espressamente, di non aver mai affittato l’immobile e di utilizzarlo personalmente durante le vacanze estive.
Di conseguenza, la Corte d’appello ha condiviso quanto ritenuto dal Giudice di prime cure e cioè, che il danno per il mancato godimento dell’immobile non p otesse essere commisurato all’intero anno ma andasse circoscritto al periodo estivo che «nella normalità dei casi, mancando specifiche allegazioni da parte della danneggiata, si identifica nei mesi di luglio e agosto», sottolineando altresì che in proposito non fosse stato impugnato neppure il metodo di calcolo utilizzato dal CTU, come correttamente quantificato dal primo giudice (pag. 17 della sentenza impugnata).
Con il quarto motivo, prospettato dalla ricorrente ‘ in via subordinata ‘, ella denuncia la ‘ Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. Violazione degli artt. 112, 115 e 132, n.4 c.p.c. per motivazione meramente apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ‘; a parere della ricorrente, sarebbe erronea la conferma della propria condanna al pagamento delle spese legali in favore delle assicurazioni, terze chiamate in causa dalla RAGIONE_SOCIALE proprietaria
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dell’immobile , anche per il grado di appello, in violazione dei principi di causazione e di soccombenza (anche virtuale), spese, liquidate a favore di RAGIONE_SOCIALE, che i Giudici di merito avrebbero dovuto porre, non già a suo carico, bensì della chiamante RAGIONE_SOCIALE
4.1. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto quello dell’apparenza della motivazione.
L’ odierna ricorrente ha riproposto la medesima censura già ritenuta infondata dalla Corte d’appello che ha in modo piano e adeguato escluso che RAGIONE_SOCIALE chiamando in garanzia RAGIONE_SOCIALE avesse esercitato il proprio diritto di difesa in modo abusivo, tenendo una condotta processuale temeraria, poichè l’inoperatività causale della garanzia assicurativa (stante la previsione di esclusione prevista dall’art. 1.1.4 di poli zza) aveva effettivamente trovato definitiva conferma solo all’esito della C.T.U. tecnica espletata.
Anche sul punto va evidenziato che la motivazione resa dal giudice d’appello, lungi dall’essere nulla (contraddittoria o irrazionale o apparente) ripercorre e condivide l’ iter decisorio del giudice di prime cure, senza incorrere nel lamentato vizio di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e articolo 360, comma 1, n. 4) c.p.c..
5. Il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine in considerazione della complessità della questione posta con riferimento alla responsabilità del committente quale proprietario custode del bene oggetto d’appalto privato , atteso che l’arresto Cass. Sez. U, 30/06/2022 n. 20943, che ha definitivamente chiarito la natura della responsabilità da custodia, è sopravvenuto all’introduzione del presente ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a
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Est. I. Ambrosi titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso.
Spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra tutte le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione