Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21603 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 21603 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18199/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, tutte in persona della loro legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME ( ) che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
COGNOME ( );
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato NOME
COGNOME (
la rappresenta e difende;
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elett.te domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato NOMECOGNOME ( ) che la rappresenta e difende;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 1196/2022, depositata il 25/05/2022.
Udita la relazione svolta nell ‘ udienza pubblica del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l ‘ accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso e per il rigetto dei restanti motivi;
uditi gli Avvocati COGNOME e COGNOME.
FATTI DI CAUSA
– RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, convennero in giudizio RAGIONE_SOCIALE (odierna RAGIONE_SOCIALE; di seguito anche solo R.F.I.), quale committente dei lavori, RAGIONE_SOCIALE, quale appaltatrice dei lavori, e RAGIONE_SOCIALE, in qualità di progettista e direzione lavori per conto del committente, al fine di sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni asseritamente subiti in occasione dei lavori di realizzazione della galleria sotterranea della linea Alta Velocità del nodo di RAGIONE_SOCIALE.
1.1. -L ‘ adito Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, accertati danni strutturali agli immobili di RAGIONE_SOCIALE e danni alle attività commerciali delle società del gruppo, dichiarò parzialmente fondate le pretese
attoree condannando le parti convenute, ritenute responsabili in solido tra loro ai sensi dell ‘ art. 2050 c.c., a rifondere alle società attrici i danni da queste ultime subiti, così come quantificati in giudizio.
– Impugnata la sentenza in via principale dalle società attrici e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza resa pubblica il 20 maggio 2022, in accoglimento degli appelli incidentali e in parziale riforma della pronuncia gravata, rigettava le domande proposte dalle società attrici nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, condannando le stesse alla rifusione in favore delle appellanti incidentali delle spese del doppio grado di giudizio, e, con separata ordinanza, rimetteva la causa in istruttoria in relazione ai rapporti delle parti attrici con RAGIONE_SOCIALE
2.1. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che: a ) era insussistente la responsabilità, anche concorrente, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE e ciò in quanto: a.1 ) non rilevava, nei loro confronti, la fattispecie di cui all ‘ art. 2050 c.c., non essendo l ‘ attività del committente e del progettista qualificabile come esercizio di attività pericolosa, riferendosi la norma solo a chi esercita una tale attività e, dunque, all ‘ appaltatore (Cass. n. 7499/2004); a.2 ) in ragione del principio per cui dei danni a terzi derivati da esecuzione di opere appaltate risponde solo l ‘ appaltatore, salva l ‘ ipotesi di responsabilità esclusiva del committente per culpa in eligendo o per aver impartito direttive vincolanti e salva l ‘ ipotesi di responsabilità concorrente di entrambi in caso di direttive del committente che abbiano solo ridotto l ‘ autonomia dell ‘ appaltatore: a.2.1 ) da un lato, ‘alcun difetto di progettazione’ era stato rilevato dalle c.t.u. espletate in corso di giudizio; b.2 ) dall ‘altro lato, non era stata ‘accertata alcuna ingerenza da parte della committente nella esecuzione delle opere affidate all ‘appaltatore’; b ) inoltre, il fatto che, in base alla c.t.u.
redatta dall ‘ing. COGNOME, ‘si sia messo in conto l’ eventualità di modesti danneggiamenti ai fabbricati in superficie e si sia ritenuta questa soluzione meno onerosa rispetto ad opere di presidio preventivo degli stessi immobili, non consent(iva) di imputare a tutte le società la responsabilità per i danni effettivamente prodotti e non eliminati, in quanto la opzione ipotizzata dal C.T.U. non escludeva la riparazione dei modesti danneggiamenti, il cui obbligo ovviamente incombeva a carico dell ‘impresa appaltatrice’; b.1. ) tanto era confermato dalle disposizioni del contratto d ‘ appalto (artt. 12, 16 e 21), le quali venivano in rilievo ‘non già per essere opposta alle società danneggiate, terze rispetto al contratto, bensì a dimostrazione della piena autonomia con cui l ‘ impresa appaltatrice ha operato’; c ) andava, invece, ribadita -in forza di quanto ritenuto dal primo giudice – la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell ‘ art. 2050 c.c., non avendo la società convenuta fornito in giudizio la prova liberatoria.
-Per la cassazione di tale sentenza ricorrono RAGIONE_SOCIALE (anche quale succeduta per intervenuta fusione per incorporazione a RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, affidando le sorti dell ‘ impugnazione a sei motivi.
Resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 c.p.c.
-Con ordinanza interlocutoria n. 1076 del 10 gennaio 2024, questa Corte ha disposto il rinvio della causa per la discussione in udienza pubblica ravvisando gli estremi della ‘particolare rilevanza’, ai sensi del primo comma dell’ art. 375 c.p.c., nella questione di diritto – posta dal primo motivo di ricorso – avente ad oggetto la riconducibilità, o meno, dell ‘ attività di
progettazione edile nell ‘ alveo della fattispecie di cui all ‘ art. 2050 c.c. in quanto configurabile come attività pericolosa.
Il pubblico ministero, con la memoria depositata ai sensi dell ‘ art. 378 c.p.c., ha chiesto il rigetto del primo motivo di ricorso, riservando le proprie conclusioni sugli altri motivi alla discussione in udienza.
Hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. anche le società ricorrenti ed entrambe le parti controricorrenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo mezzo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione di legge: a ) dell ‘ art. 2050 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la ‘pericolosità’ dell’ attività edilizia di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, concretizzatasi nella committenza e progettazione di opera comportante rilevanti lavori di scavi e movimentazione del terreno, accettando il rischio di recare danni a terzi (ossia agli immobili di superficie di proprietà del Gruppo RAGIONE_SOCIALE) che il progetto comunque contemplava in ragione, segnatamente, della prevista, e utilizzata, tecnica di iniezione di malta cementizia -c.d. jet grouting – nonostante la correttezza dei relativi parametri; b ) dell ‘ art. 1372, comma secondo, c.c., per avere la Corte erroneamente fatto dipendere la sussistenza della responsabilità civile verso terzi da un contratto cui esse danneggiate sono rimaste estranee, in violazione del principio di relatività degli effetti del contratto; c ) del combinato disposto degli artt. 2050 e 2055, c.c., per avere il secondo giudice erroneamente ritenuto insussistente la responsabilità di COGNOME che, in qualità di direttore dei lavori, ha attivamente contribuito all ‘ esecuzione dei lavori e, dunque, all ‘ esercizio dell ‘ attività pericolosa svolta da RAGIONE_SOCIALE
1.1. -Il motivo è infondato.
1.1.1. – E ‘ principio consolidato che la nozione di attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti dell ‘ art. 2050 c.c., non deve essere limitata alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di legge, ma deve essere estesa a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un ‘ attività per natura non pericolosa può diventare tale in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla. A tal riguardo, l ‘ indagine fattuale deve essere svolta seguendo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell ‘ esercizio dell ‘ attività (tra le molte: Cass. n. 19180/2018).
Va, inoltre, precisato che, ai fini del riconoscimento della sussistenza della responsabilità da atto illecito ricollegabile all ‘ esercizio di attività pericolosa e del conseguente danno, la necessaria sussistenza del nesso di causalità tra l ‘ attività pericolosa stessa e l ‘ evento di danno deve trovare manifestazione in una relazione diretta tra danno e rischio specifico dell ‘ attività pericolosa o dei mezzi adoperati, giacché, diversamente, il danno cagionato può essere riconosciuto solo in base al criterio generale dell ‘ art. 2043 c.c., se ne ricorrono i presupposti di applicazione (Cassa. n. 20359/2005).
Nel più ampio quadro così delineato si è, quindi, riconosciuto che l ‘ attività edilizia, massimamente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o di spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree, non può non essere considerata attività pericolosa ai fini indicati dall ‘ art. 2050 c.c. (Cass. n. 1954/2003; Cass. n. 10300/2007; Cass. n. 8688/2009).
Principio, questo, che la sentenza impugnata in questa sede ha ritenuto applicabile nei soli confronti della RAGIONE_SOCIALE, società appaltatrice dei lavori di realizzazione della galleria sotterranea della linea di Alta Velocità del nodo di RAGIONE_SOCIALE, escludendo, quindi, che potesse ascriversi una responsabilità ex art. 2050 c.c. anche a RAGIONE_SOCIALE, committente, e ad RAGIONE_SOCIALE, progettista e direttore dei lavori, e ciò in quanto ‘la norma si riferisce solo a chi esercita l ‘ attività pericolosa e quindi all ‘ appaltatore cui è affidata l ‘attività’.
La decisione assunta dalla Corte territoriale è giuridicamente corretta e la motivazione che la sorregge va integrata con le considerazioni che seguono, tenuto conto delle difese spiegate dalle società ricorrenti.
1.1.2. – La giurisprudenza di questa Corte è stabilmente orientata nel senso che l ‘ affidamento ad altri, in piena autonomia, dello svolgimento di una attività pericolosa esclude che del danno cagionato possa reputarsi responsabile il committente.
Un siffatto approdo nomofilattico si è consolidato proprio nell ‘ ipotesi di appalto (Cass. n. 455/1965; Cass. n. 835/1966; Cass. n. 16638/2017), che trova esecuzione, di regola, in base ad una piena autonomia organizzativa e gestionale dell ‘ appaltatore, sul quale, pertanto, graveranno le conseguenze pregiudizievoli dell ‘ attività pericolosa, salvo che il committente, anche attraverso il direttore dei lavori, non mantenga un rigido potere di controllo e direzione sull ‘ attività stessa determinativa del danno.
Ed è nel contesto di siffatta tipica autonomia organizzativa e gestionale che si è, altresì, affermato -con riferimento sia all ‘ appalto pubblico, che a quello privato – che rientra tra gli obblighi di diligenza del solo appaltatore (non già, quindi, del progettista e/o del direttore dei lavori), senza necessità di una specifica pattuizione (nella specie, peraltro, sussistente), esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal
committente (che ricomprende anche il rilievo e la correzione di eventuali errori progettuali: Cass. n. 1981/2016 e Cass. n. 15732/2018) anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l ‘ opera deve sorgere, accertandone le caratteristiche idrogeologiche con l ‘ uso di particolari mezzi tecnici (tra le altre: Cass. n. 2725/1987; Cass. n. 11783/2000; Cass. n. 12995/2006; Cass. n. 3932/2008; Cass. n. 5144/2020).
Né contrasta con tale indirizzo la pronuncia richiamata in ricorso a sostegno delle censure (Cass. n. 10300/2007), giacché con essa è stata affermata la responsabilità ex art. 2050 c.c. della P.A. committente (Cassa del Mezzogiorno: RAGIONE_SOCIALE) precisandosi, però, che, sebbene progettate e materialmente eseguita da imprese private, ‘le opere marittime eseguite lungo il litorale erano state eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE, con gestione diretta’ (p. 9 della sentenza).
L ”esercente’ chiamato a rispondere ai sensi dell’ art. 2050 c.c. è, infatti, colui che assume effettivi poteri di governo ed organizzazione dell ‘ attività pericolosa, non potendo, invece, attribuirsi una tale legittimazione passiva (quale soggetto danneggiante) in capo a chi non ne abbia la diretta gestione oppure, eterodiretto, si palesi come mero esecutore materiale dell ‘ attività stessa.
1.1.3. – L ‘ accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello -non investito, come tale, da censure scrutinabili in questa sede, non avendo le ricorrenti veicolato un motivo di omesso esame del fatto, storico e decisivo, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. -dà evidenza alla circostanza che, nella specie, non vi è stata ‘alcuna ingerenza della committente nella esecuzione delle opere affidate all ‘appaltatore’, sulla scorta di un progetto che non presentava ‘alcun difetto’, anche in relazione alle ‘modalità tecniche indicate per la esecuzione’ (cfr. pp. 5/6 della sentenza di appello e sintesi al § 2.1. dei ‘Fatti di causa’).
Sicché, una siffatta valutazione ha consentito al giudice di appello, per un verso, di affermare la piena autonomia dell ‘ impresa appaltatrice nella realizzazione del progetto e, per altro verso, ad escludere qualsiasi responsabilità, anche concorrente, non solo della committente RAGIONE_SOCIALE, ma anche della RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di progettista e di direttore dei lavori, così da doversi intendere, quanto a quest ‘ ultima posizione, assumente la veste tipica di rappresentante del committente, esteso l ‘ accertamento sull ‘ assenza di ingerenza nella esecuzione delle opere edili (e, segnatamente, di scavo e movimentazione del terreno) affidate all ‘ appaltatore, là dove, peraltro, le deduzioni di parte ricorrente (p. 18 del ricorso) si limitano ad un generico richiamo di compiti pertinenti alla figura del direttore dei lavori.
Tanto trova ulteriore conforto nell ‘ apprezzamento della Corte territoriale circa il contenuto del regolamento dettato dal contratto di appalto (artt. 12, 16, 21), che – contrariamente a quanto censurato dalle ricorrenti società in guisa di violazione del principio di relatività del contratto – è stato valorizzato dal giudice di merito non già per esimere, di per sé (ossia, in forza del solo rilievo delle pattuizioni negoziali rispetto alle quali i danneggianti erano terzi), committente, progettista e direttore dei lavori da responsabilità, anche concorrente, con l ‘ appaltatore, ma unicamente per trarre elementi di prova confermativi in ordine alla piena autonomia organizzativa e gestionale della impresa appaltatrice nell ‘ esecuzione dei lavori edili affidatati.
In tale prospettiva, e in armonia con i principi di diritto sopra richiamati, il giudice di appello ha, infatti, messo in risalto, tra gli altri obblighi negoziali, ‘l’ impegno di eseguire i rilievi, indagini, sperimentazioni e studi di varia natura ad integrazione della progettazione esecutiva per la verifica, nel corso dei lavori, delle migliori condizioni di insediamento della linea’, nonché ‘l’ obbligo di
eseguire le opere volte a prevenire danni ai fabbricati e a garantirne la stabilità’.
1.1.4. – Di qui, peraltro, anche l ‘ infondatezza dell ‘ ulteriore profilo di censura che deduce l ‘ assenza di autonomia dell ‘ appaltatore per essere il danno agli immobili di esse ricorrenti già previsto dal progetto e dallo stesso appaltatore accettato.
La Corte territoriale ha, infatti, accertato, in base alle risultanze della C.T.U., che il progetto, privo di difetti, aveva previsto ‘l’ eventualità di modesti danneggiamenti ai fabbricati in superficie’, essendosi, quindi, reputato ‘questa soluzione meno onerosa rispetto ad opere di presidio preventivo degli stessi immobili’; il giudice di appello ha, quindi, ritenuto che incombesse proprio all ‘impresa appaltatrice la ‘riparazione dei modesti danneggiamenti’.
Dall ‘ accertamento del giudice di merito emerge, anzitutto, che l ‘accettazione della verificazione dei ‘modesti danneggiamenti’ non si palesava come conseguenza necessitata dei lavori, bensì era una opzione a fronte di una possibile diversa soluzione tecnica (seppur più onerosa) volta alla prevenzione dei fabbricati dai danneggiamenti; soluzione che, pertanto, per quanto innanzi evidenziato, non poteva comunque essere sottratta alla sfera di autonomia gestionale e organizzativa della stessa impresa appaltatrice.
Peraltro, se RAGIONE_SOCIALE avesse ritenuto, nella esecuzione del contratto d ‘ appalto, che danni a terzi sarebbero stati provocati esclusivamente in ragione non della propria attività pericolosa, ma a causa di quanto necessariamente imposto dalla stessa progettazione dell ‘ opera, così come definito dalla società committente, senza possibilità di operare diversamente in base alla diligenza qualificata che deve caratterizzare l ‘ attività dell ‘ appaltatore, avrebbe potuto e dovuto dimostrare espressamente il suo dissenso alla esecuzione dei lavori ovvero di
essere stata indotta ad eseguirli come mero esecutore di ordini e senza possibilità di vaglio critico (tra le tante, Cass. n. 17819/2021); ciò che, nella specie, non si è verificato.
1.1.5. -Priva di fondamento è, inoltre, la doglianza (ulteriormente illustrata, in particolar modo, con la memoria ex art. 378 c.p.c. da ultimo depositata) che sostiene la intrinseca pericolosità dell ‘ attività di progettazione per la realizzazione della galleria sotterranea della linea di Alta Velocità del nodo di RAGIONE_SOCIALE e, con essa, quindi, dell ‘ attività di direzione dei lavori e della stessa committente che si è assunta il rischio di realizzarla nonostante avrebbe comportato la verificazione, certa, di danni.
Nell ‘ assumere che la responsabilità da attività pericolosa di cui all ‘ art. 2050 c.c. trova applicazione anche in relazione ad attività ‘immateriali’ e, pertanto, ricomprenderebbe quelle di progettazione, direzione dei lavori e committenza, le società ricorrenti richiamano, anzitutto, alcuni precedenti giurisprudenziali di questa Corte in materia di trattamento di dati personali (essendo espresso il riferimento dell ‘ art. 15 del d.lgs. n. 196/2003 -poi abrogato -alla predetta norma codicistica), sulla erronea segnalazione alla Centrale rischi (Cass. n. 1931/2017) e sull ‘ effettuazione di operazioni da remoto per mezzo di strumenti elettronici (Cass. n. 9158/2018).
Invero, pur prescindendo dal rilievo che nelle due indicate pronunce non si rinviene l ‘ enunciazione di un principio di diritto che affermi essere le predette attività rientranti, come tali, nell ‘ alveo applicativo dell ‘ art. 2050 c.c., in ogni caso ciò che rende non concludente il raffronto con il caso in esame è, in via dirimente, la circostanza che, rispetto al trattamento dei dati personali o alle altre attività sopra menzionate, l ‘ evento di danno è in relazione diretta con il rischio specifico dell ”attività pericolosa’ e dei ‘mezzi adoperati’.
Una siffatta immediatezza eziologica, che connota già morfologicamente la stessa fattispecie legale di cui all ‘ art. 2050 c.c., non è dato apprezzare, invece, tra l ‘ attività di progettazione per la realizzazione della galleria sotterranea della linea di Alta Velocità del nodo di RAGIONE_SOCIALE (e con essa della direzione dei relativi lavori per conto della committente) e l ‘ evento di danno (pregiudizio ai fabbricati delle società attrici per effetto dei lavori edili di scavo e movimentazione di terreno), essendo quest ‘ ultimo in relazione diretta soltanto con il rischio specifico insito nell ‘ attività posta in essere dall ‘ impresa appaltatrice.
Analogamente è da ritenersi non concludente il raffronto che le stesse parti ricorrenti operano rispetto ai danni derivati dall ‘ attività di produzione ed immissione in commercio di farmaci, preceduta necessariamente da quella di studio e sperimentazione.
In questi casi l ‘ applicazione dell ‘ art. 2050 c.c. trova ragione in quanto è la ‘pericolosità del prodotto che si riflette sull’ attività di produzione’ (così Cass. n. 814/1997; cfr. anche Cass. n. 6241/1987, Cass. n. 8395/1991 e Cass. n. 8069/1993), verificandosi, dunque, una sorta di ‘ trasmigrazione ‘ della pericolosità dal prodotto (ossia della ‘ cosa materiale ‘ ) all ‘ attività prodromica (studio, sperimentazione, produzione, commercializzazione) alla sua utilizzazione.
Nel caso in esame, come in precedenza evidenziato, l ‘ attività edilizia di scavo e sbancamento effettuata dell ‘ appaltatrice, determinativa direttamente dei potenziali danni a terzi, è pericolosa in sé, a prescindere da quella, collaterale, di progettazione, e, stante la sua organizzazione e gestione in autonomia, non determina, per induzione a ritroso, la pericolosità del progetto.
Né, del resto, una pericolosità intrinseca dell ‘ attività di progettazione potrebbe ravvisarsi per la presenza di eventuali errori nella sua elaborazione, giacché in tal caso non sarebbe l ‘ attività in sé ad essere connotata di pericolosità – e, quindi,
potenzialmente dannosa di per sé, in ragione della sua natura o dei mezzi adoperati -, bensì a causa della condotta colposa di chi l ‘ ha realizzata (tra le altre: Cass. n. 19180/2018).
– Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 2043 e 1372, c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la sussistenza della responsabilità di R.F.I. e di RAGIONE_SOCIALE a tale titolo.
In particolare, con riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE. in quanto committente dell ‘ opera e titolare di un diritto di servitù di dominio sotterraneo nell ‘ area interessata dai lavori, il giudice di appello avrebbe dovuto concludere per la sua concorrente responsabilità in ragione del fatto che l ‘ autonomia dell ‘ appaltatore -ancor più nel caso di appalto di opera pubblica, come in quello in esame, in cui RAGIONE_SOCIALE era concessionaria e figurava, quindi, come stazione appaltante -non esonera il committente dai danni derivanti a terzi dalla esecuzione dell ‘opera ‘conservando il primo rilevanti poteri ed obblighi di controllo e di ingerenza nell ‘ esecuzione dell ‘appalto’ ed essendo il danno derivato dalla esecuzione di un progetto ‘predisposto e/o approvato ed avallato dal committente medesimo’.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare la sussistenza della concorrente responsabilità di COGNOME che, in qualità di direttore dei lavori, era titolare di uno specifico obbligo di sorveglianza dell ‘ operato dell ‘appaltatore ‘volto ad evitare che si verifichino danni a terzi, e salvo che non si dimostri che l ‘ appaltatore abbia agito a sua insaputa ed al di fuori della sua sfera di sorveglianza’; ciò che, nella specie, non era dato ravvisare nel comportamento di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
– Con il terzo mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1655 e 2043, c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente
interpretato il citato art. 1655, nella parte in cui prevede che l ‘ appaltatore assume la gestione dell ‘appalto ‘a proprio rischio’, nel senso che l ”autonomia’ dell’ appaltatore (nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALE) avrebbe escluso la sussistenza di responsabilità del committente e del direttore dei lavori (rispettivamente, R.F.I. e RAGIONE_SOCIALE), discostandosi dal principio secondo cui, nell ‘ appalto pubblico, l ‘ autonomia dell ‘ appaltatore non esonera il committente dalla responsabilità per danni a terzi derivati dall ‘ esecuzione dell ‘ opera ove, segnatamente, i danni siano conseguenza di esecuzione di un progetto redatto e/o approvato dal committente.
3.1. -Il secondo e terzo motivo, da scrutinarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Giova al riguardo richiamare l ‘ accertamento in fatto della Corte territoriale -rimasto, come detto, esente da censure idoneamente veicolate in questa sede (che avrebbero dovuto semmai proporsi in forza di quanto previsto dall ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) -secondo cui, per un verso, la progettazione era corretta e non presentava difetti, essendo la previsione di ‘modesti danneggiamenti’ opzione rimessa ai rimedi riparatori da assumersi dall ‘ appaltatore (e da intendersi nei termini già illustrati: cfr. § 1.1.4, che precede) e, per altro verso, non vi era stata alcuna ingerenza da parte della committente e del direttore dei lavori nella esecuzione delle opere affidate all ‘ impresa appaltatrice.
Un accertamento, questo, condotto dal giudice di appello in base alle risultanze probatorie in atti, dando eminente rilievo -non affatto contrastato da pertinenti specifiche doglianze -alle conclusioni dell ‘ espletata C.T.U. e agli obblighi puntualmente sanciti dal contratto di appalto inter partes , che non è stato oggetto di alcuna contestazione quale effettiva e cogente fonte regolatoria del rapporto, a ciò opponendo le società ricorrenti, in via del tutto generica, la natura pubblica dell ‘ appalto stesso.
Pertanto, è coerente rispetto al contesto dei fatti accertati nel giudizio di merito l ‘ applicazione, operata dal giudice di secondo grado, del principio che valorizza il profilo dell ‘ autonomia organizzativa e gestionale dell ‘ appaltatore al fine di ritenerlo unico responsabile dei danni derivati a terzi dall ‘ esecuzione dell ‘ opera, potendo apprezzarsi, in tesi, una corresponsabilità del committente o del direttore dei lavori, ai sensi dell ‘ art. 2043 c.c., in caso di specifica violazione di regole cautelari (che, tuttavia, non genera un obbligo generale di supervisione a suo carico sull ‘ attività dell ‘ appaltatore che il terzo danneggiato possa comunque far valere nei suoi confronti), in ipotesi di colpa nell ‘ affidamento dell ‘ opera ad impresa assolutamente inidonea o, infine, di ingerenza fattiva della committenza nell ‘ esecuzione del contratto (tra le altre: Cass. n. 13131/2006).
Ipotesi, tutte, che non vengono in evidenza nel caso di specie, là dove, inoltre, il carattere di autonomia inerente all ‘ esecuzione dell ‘ appalto trova particolare rilievo, anche nell ‘ appalto pubblico, proprio in riferimento agli aspetti progettuale che riguardano le caratteristiche idrogeologiche del terreno ove svolgere i lavori edili (cfr. § 1.1.2, che precede).
Né, infine, può trovare accoglimento il profilo di censura che fa leva sulla responsabilità della committente in quanto titolare di un diritto di servitù di dominio sotterraneo nell ‘ aerea dei lavori di scavo, a tal fine richiamandosi la giurisprudenza più risalente (Cass. n. 5809/1990) sulla responsabilità del proprietario del terreno.
Va, infatti, dato seguito al più recente orientamento di questa Corte secondo cui la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell ‘ ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l ‘ appaltatore ad essere, di regola, l ‘ esclusivo responsabile dei danni
cagionati a terzi nell ‘ esecuzione dell ‘ opera, salvo che non risulti accertato (e nella specie, come detto, non lo è stato) che il proprietario committente si sia ingerito nell ‘ esecuzione dell ‘ appalto, impartendo prescrizioni vincolanti o particolari modalità di esecuzione da cui sia derivato il sinistro, nel qual caso la responsabilità dell ‘ appaltatore verso il terzo danneggiato può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla (da ultimo: Cass. n. 7027/2021; in precedenza, Cass. n. 538/2021 e Cass. n. 6296/2013).
– Con il quarto mezzo è prospettato, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia la circostanza relativa al ‘ruolo di direzione dei lavori assunto e concretamente svolto’ da RAGIONE_SOCIALE, così da dover provvedere alla sorveglianza dell ‘ esecuzione dei lavori; omissione, questa, che ha impedito di concludere per la concorrente responsabilità di detta società.
4.1. -Il motivo è infondato alla luce di quanto già evidenziato in precedenza (cfr. § 1.1.3, cui si rinvia) in ordine alla circostanza che l ‘ accertamento effettuato dalla Corte territoriale, e la conseguente pronuncia, riguarda anche la posizione di COGNOME quale direttore dei lavori.
Del resto, sono le stesse ricorrenti ad affermare che la sentenza impugnata ha esaminato la posizione di COGNOME come ‘progettista e Direzione dei lavori’ (p. 25 del ricorso che richiama le pp. 2 e 3 della sentenza di appello), senza, peraltro, indicare quali specifici fatti, emergenti dalle risultanze probatorie, non sarebbero stati considerati dal giudice di appello e, segnatamente, quei fatti manifestatisi in specifiche ingerenze del direttore dei lavori nei confronti dell ‘ appaltatore così da eliderne l ‘ autonomia gestionale e organizzativa.
Non può, dunque, ravvisarsi un vizio di omesso esame di fatto storico e decisivo, discusso tra le parti, di cui al n. 5 dell ‘ art. 360 c.p.c., che non viene in rilievo in base al solo omesso esame di elementi istruttori, ove, come nella specie, il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito (Cass., S.U., n. 8053/2014).
5. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2051 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel non applicare, ai fini della sussistenza della responsabilità di R.F.I., la disciplina derivante dalla responsabilità dei danni da cose in custodia nonostante la stessa società fosse titolare di un diritto di servitù di dominio sotterraneo dell ‘ area interessata dai lavori, da cui sono derivati i danni alle società attrici, e, quindi, avesse di detta area un obbligo di custodia, la cui configurabilità non era esclusa dal fatto che trattavasi di appalto pubblico.
– Con il sesto mezzo è denunciata, in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all ‘ art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di pronunciarsi sulla domanda avanzata dalle parti attrici, in entrambi i gradi di giudizio, di accertamento della responsabilità di R.F.I. e RAGIONE_SOCIALE anche ai sensi dell ‘ art. 2051 c.c.
6.1. -Il quinto e sesto motivo, da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
Nella sostanza, si deduce con entrambi i mezzi una medesima censura, che attiene alla omessa applicazione dell ‘ art. 2051 c.c. (come dedotto nel quinto motivo: ‘… avendo i giudici di merito omesso di applicare tale norma …’: p. 26 del ricorso), da intendersi in guisa di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulla domanda risarcitoria avanzata in base al predetto titolo di responsabilità (vizio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui le stesse
società ricorrenti evidenziano la ‘stretta connessione’ con la precedente censura di omessa applicazione dell ‘ art. 2051 c.c.: p. 28 del ricorso).
Ciò premesso, la Corte territoriale, nell ‘ esercizio del proprio potere di qualificazione giuridica dei fatti dalle parti prospettati, ha individuato negli artt. 2043 e 2050 c.c. i modelli di responsabilità alla luce dei quali accertare la sussistenza o meno di profili di responsabilità in capo alle parti convenute.
E, in particolare, ha ritenuto sussistente una (incontroversa) responsabilità per danni derivanti da esercizio di attività pericolose ai sensi dell ‘ art. 2050 c.c. in capo alla società appaltatrice; e insussistenti profili di responsabilità in capo alle altre società convenute, l ‘ una committente e l ‘ altra progettista e direttore dei lavori.
Varrà, quindi, osservare (in continuità con quanto enunciato da Cass. n. 10513/2017) che la responsabilità di cui all ‘ art. 2043 c.c., quella ex art. 2050 c.c. e quella di cui all ‘ art. 2051 c.c. presuppongono tutte un unico fatto costitutivo, la causazione del danno, ed un elemento reciprocamente specializzante, dato dal criterio d ‘ imputazione alternativo che, in un caso, è la colpa (art. 2043), in altro è lo svolgimento di un ‘ attività pericolosa (art. 2050 c.c.) e in altro ancora è la cosa in custodia da cui derivi il danno (art. 2051 c.c.).
La relazione fra fattispecie legali è, quindi, di esclusione, nel senso che l ‘ applicazione dell ‘ una esclude l ‘ applicabilità dell ‘ altra. Pertanto, la parziale diversità dei presupposti di fatto delle fattispecie legale non esclude, anzi comporta, stante il nesso di reciproca esclusione, l ‘ unicità dell ‘ oggetto del processo, sicché pronunciare in ordine all ‘ applicabilità di una delle ipotesi di cui alle norme predette implica pronunciare sulle altre fattispecie di responsabilità per fatto illecito, rette da un diverso criterio di imputazione della responsabilità per il danno.
Ne consegue, dunque, che non è dato ravvisare, nella specie, un vizio di omessa pronuncia in ordine alla domanda basata sul titolo di responsabilità di cui all ‘ art. 2051 c.c.
-Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese del giudizio di legittimità interamente compensate in ragione della novità e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza