Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22169 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22169 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12329/2022 R.G. proposto da : COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrenti
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME, DI COGNOME e, quali ex soci di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME
– intimati
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 237/2022 depositata il 3/3/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torino NOME COGNOME, amministratore unico della società, NOME COGNOME e NOME COGNOME, soci e asseriti amministratori di fatto della compagine, nonché i soci RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME onde sentirli condannare -i primi tre ai sensi degli artt. 146, comma 2, lett. a), l. fall., 2476, comma 1, 2394 o 2043 cod. civ., gli altri ex artt. 146, comma 2, lett. b), l. fall. e 2476, comma 8, cod. civ. – al risarcimento dei danni subiti dalla società fallita e dai creditori sociali.
Deduceva, in particolare, la responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di amministratori di fatto, con dovere di richiedere al tribunale l’iscrizione della causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2485, comma 2, cod. civ., e la nomi na dei liquidatori in forza dell’art. 2487, comma 2, cod. civ.
Prospettava, inoltre, la responsabilità di tutti gli altri soci (nonché di COGNOME e COGNOME qualora non fossero stati ritenuti amministratori di fatto) ai sensi dell’art. 2476, comma 8, cod. civ., perché non avevano deliberato, a seguito dell’assemblea de l 30 aprile 2013, la ricapitalizzazione della società, la sua trasformazione o la messa in liquidazione, pur essendo asseritamente consapevoli dei relativi obblighi, procrastinando la decisione nel corso delle successive assemblee sino a quella del 6 febbraio 2014, quando i soci non avevano comunque disposto la liquidazione, ma solo conferito mandato in tal senso all’amministratore.
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 1450/2020, dopo aver qualificato il solo COGNOME NOME amministratore di fatto della società, riteneva -fra l’altro e per quanto qui di interesse – che i soci fossero responsabili ai sensi dell’art. 2476, comma 8, cod. civ., in quanto, pur essendo a conoscenza, già alla prima assemblea del 2013 di
approvazione del bilancio, delle perdite di esercizio, che avevano eroso completamente il capitale sociale, e della necessità di provvedere ai sensi degli artt. 2482ter e 2487 cod. civ., avevano intenzionalmente tenuto una condotta consistita nel differimento della decisione sulle azioni da assumere, causando l’aggravamento delle perdite; condannava, pertanto, tutti i convenuti, in solido tra loro, a pagare al fallimento di RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 268.371,65, oltre interessi di legge da lla sentenza al saldo (oltre che gli amministratori COGNOME e COGNOME al pagamento dell’ulteriore importo di € 68.298,98 e interessi aggiuntivi).
La Corte distrettuale di Torino rigettava l’appello presentato da NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME con sentenza pubblicata in data 3 marzo 2022.
Precisava, in particolare, che ciò che si contestava ai soci non era la mancata convocazione dell’assemblea per deliberare quanto imposto dall’art. 2482 -ter cod. civ., né la delibera di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2012, ma la condotta di prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante il verificarsi delle condizioni di cui agli artt. 2482ter cod. civ. e la decisione di posticipare l’adozione delle determinazioni imposte da detta norma o la messa in liquidazione della società.
Sottolineava, inoltre, che non veniva imputato ai soci il mancato rispetto di un inesistente termine perentorio per l’adozione di simili decisioni, quanto piuttosto il differimento per mesi di ogni iniziativa, doverosa per legge, con prosecuzione dello svo lgimento dell’attività d’impresa già in perdita.
Escludeva, alla luce del contenuto delle deliberazioni assunte dai soci sempre all’unanimità, che essi avessero avuto una non completa o distorta percezione della situazione economico/patrimoniale della società o avessero potuto confidare in una soluzione di risanamento di una simile situazione, alternativa alla messa in liquidazione, emergendo, al contrario, che gli stessi erano perfettamente
consapevoli che la prosecuzione dell’attività (in perdita, priva di liquidità e svolta in locali condotti in locazione mai pagata) erodeva ulteriormente la liquidità e il patrimonio della società.
Condivideva l’approccio interpretativo del primo giudice laddove aveva riferito l’intenzionalità richiesta dalla norma all’antigiuridicità dell’atto.
Constatava, inoltre, che il deficit patrimoniale imputato ai soci a titolo di risarcimento danni era la quota di aggravamento maturata successivamente all’inerzia dell’assemblea e conseguita alla prosecuzione dell’attività d’impresa fino al febbraio 2014, nonostante il verificarsi della perdita del capitale sociale.
NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 3 marzo 2022, prospettando un unico, articolato, motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
Gli intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME e, quali ex soci di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME non hanno svolto difese.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre in primo luogo constatare che l’Avv. NOME COGNOME quale difensore di NOME COGNOME ha depositato, in data 4 gennaio 2023, un atto di rinuncia al ricorso da lui sottoscritto in virtù del mandato conferito all’ interno della procura alle liti.
Il difensore del fallimento controricorrente, in data 30 marzo 2023, ha depositato un atto di accettazione di tale rinuncia.
Ricorrono, pertanto, le condizioni per dichiarare l’estinzione del presente giudizio di cassazione, in parte qua , con esclusione di ogni
statuizione in merito alle spese, ai sensi dell’art. 391, comma 4, cod. proc. civ.
Il ricorso originario deve perciò essere preso in esame unicamente rispetto alle posizioni dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il motivo di ricorso presentato denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2476, comma 8, cod. civ., adducendo distinti profili di doglianza.
Durante tutto l’anno 2013, nel corso del quale si era verificato il progressivo peggioramento della situazione patrimoniale della società, l’attività gestoria di RAGIONE_SOCIALE era stata diretta ed ‘orientata’ spiegano i ricorrenti – esclusivamente dall’amministratore COGNOME il quale aveva causato una situazione di ‘stallo’ destinata a protrarsi sino al mese di febbraio 2014; in questa fase i soci non avevano in alcun modo influenzato e orientato l’attività dell’organo amministrativo, poic hé la delibera di messa in liquidazione della società e di conferimento del relativo mandato all’amministratore era stata adottata solo in data 6 febbraio 2014 a causa della lacunosità delle informazioni messe a loro disposizione, dell’accentramento di ogn i potere gestorio in capo al Pavesio, il quale aveva sempre amministrato in totale autonomia la società, e della prospettiva di trovare soluzioni alternative alla messa in liquidazione della compagine.
Peraltro, la responsabilità dei soci doveva essere circoscritta -aggiungono i ricorrenti -ai soli atti gestori relativi all’amministrazione della società posti in essere per dare attuazione all’oggetto sociale e funzionali alla gestione dell’impresa; di conseguenza, andavano esclusi tutti quegli incombenti che erano stati, invece, espressione delle competenze attribuite ex lege ai membri di una compagine sociale, tra i quali rientravano le delibere con le quali l’assemblea aveva approvato il bilancio di e sercizio e
deciso sulla distribuzione degli utili oppure -come nel caso di specie -aveva disposto lo scioglimento della società aprendo la fase di liquidazione.
Inoltre, l ‘avverbio « intenzionalmente » presente all’interno dell’art. 2476, comma 8, cod. civ. doveva essere interpretato nel senso che la responsabilità dei soci sussisteva solo in caso di dolo concernente il danno.
Infine, i COGNOME, rappresentando solo una percentuale minoritaria delle quote (del 20%), non avrebbero comunque potuto incidere in modo significativo sul risultato delle delibere assembleari, dovendosi così escludere -in tesi dei ricorrenti – tanto la sussistenza di un nesso causale tra l’asserita condotta, omissiva e non gestoria, a loro attribuita e i danni subiti in conseguenza della prosecuzione dell’attività sociale, quanto l’elemento psicologico dell’intenzionalità prescritto dall’art. 2476, comma 8, cod. civ.
Il motivo presenta, ad un tempo, profili di infondatezza e profili di inammissibilità.
6.1 Il disposto dell’art. 2476, comma 8, stabilisce che « sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi ».
La norma, nel porre un’eccezione alla regola generale prevista dall’art. 2462, comma 1, cod. civ., correla la responsabilità dei soci al fatto che gli stessi abbiano « deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi », prevedendo così che la responsabilità sussista in conseguenza di una condotta commissiva a cui abbia fatto seguito il compimento di un determinato atto indotto, avente ad oggetto la gestione della società, ad opera degli amministratori.
Il testo normativo non esige che la condotta di decisione e/o autorizzazione sia in qualche modo formalizzata, cosicché essa può desumersi tanto dal compimento di atti formali, quanto da
manifestazioni di volontà dei soci che abbiano, anche in via di mero fatto, direttamente dato impulso o comunque influenzato l’attività degli amministratori, inducendoli a compiere atti di gestione dannosi per la compagine.
‘ Ciò che si richiede, quindi, sia pure non soltanto nelle sedi ufficialmente deputate alla manifestazione di volontà dei soci, è una effettiva influenza sull’attività gestoria, in uno dei modi che la legge stessa menziona, in quanto al socio possa imputarsi il coinvolgimento diretto nell’assunzione di scelte gestorie pregiudizievoli ‘ (cfr. Cass. 19191/2023, pag. 6, non massimata).
Non rientrano nell’ambito applicativo della norma le condotte che sono per legge inderogabilmente riservate agli stessi soci ed esulano dalla competenza decisoria degli amministratori, a meno che l’ingerenza dei soci non si eserciti determinando gli ammini stratori al compimento dei conseguenti atti esecutivi.
6.2 L’intenzionale decisione o autorizzazione richiesta dalla norma non può essere intesa come dolo di danno, nel senso che l’intenzionalità dei soci debba essere riferita al danno che sia derivato dall’atto indotto dai soci e compiuto dagli amministratori .
Una simile interpretazione non può essere condivisa, sia per motivi lessicali legati alla lettera della specifica disposizione di legge (giacché, se l’avverbio assolve la funzione di determinare il significato del verbo a cui si affianca, allora l’espressione « intenzionalmente » va riferita ai verbi decidere o autorizzare che la seguono e non ai termini successivi e deve essere intesa come implicante la necessità che l’atto commissivo di decisione o autorizzazione sia doloso), sia perché in questo modo la portata della norma sarebbe oltremodo ridotta, creando una irragionevole divaricazione -nell’ambito della responsabilità solidale tra soci e amministratori prevista dal capoverso in questione -fra la responsabilità del socio, che risponderebbe solo se abbia previsto e voluto il danno quale conseguenza dell’atto indotto, e quella
dell’amministratore, che è invece responsabile del danno che arreca a prescindere dal fatto che si sia prefigurato o meno le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla sua condotta.
La norma, invece, deve essere intesa nel senso che l’intenzionalità del socio abbia direttamente ad oggetto l’atto compiuto dagli amministratori nella consapevolezza della sua antigiuridicità, cosicché questi diviene responsabile del danno arrecato dall’at to compiuto dagli amministratori in ragione del fatto che lo abbia deciso o autorizzato con l’intenzione di orientare in quei termini il loro operato.
6.3 Nel caso di specie la decisione impugnata attribuisce chiaramente ai soci un concorso determinante nella prosecuzione della gestione sociale, attraverso una condotta complessiva nel cui ambito la mancata adozione di una delibera di messa in liquidazione costituiva solo un aspetto, nel preciso intento di cedere la loro partecipazione prima che la società venisse posta in liquidazione.
Il comportamento dei soci valorizzato dai giudici distrettuali è consistito, perciò, nella loro determinazione a che venisse adottata una condotta amministrativa di continuità nella gestione aziendale mentre venivano ricercate soluzioni al venir meno dell’ equilibrio patrimoniale consistenti non nel risanamento della società o nella sua ricapitalizzazione, ma nella possibilità di cedere le quote prima che le stesse perdessero un valore di mercato.
Alla luce di una simile ricostruzione delle vicende societarie, che ha valorizzato la condotta dei soci nel suo complesso unitario (non si capirebbe altrimenti il risalto attribuito in sentenza non solo alle delibere assembleari attendiste, ma anche alle trattative condotte per cedere le quote, affinché i soci potessero disimpegnarsi senza subire danni), non assume alcun rilievo la distinzione tra atti di amministrazione determinati dalla volontà dei soci e altri atti tipici dei soci in quanto tali.
Una simile critica non coglie la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata, dato che la Corte distrettuale ha ritenuto che la condotta dei soci, considerata nel suo insieme, fosse volta a dare continuità alla gestione dell’impresa senza che ne ricorressero i necessari presupposti e abbia così determinato la produzione del danno.
6.4 Non vale ad escludere la responsabilità degli odierni (residui) ricorrenti il fatto che costoro fossero titolari di quote di minoranza all’interno della compagine e, come tali, non in grado di orientare le scelte dell’assemblea sociale.
Invero, se assume rilievo ai fini dell’applicazione della norma in discorso la condotta commissiva dei soci a cui abbia fatto seguito il compimento, da parte degli amministratori, di un determinato atto indotto avente ad oggetto la gestione della società, allora la responsabilità deve essere attribuita a tutti coloro che abbiano aderito e contribuito a questa condotta, a prescindere dal ‘peso’ della loro partecipazione nell’ambito societario (e all’interno dell’assemblea in cui le successive decisioni di ri nvio della messa in liquidazione della compagine furono adottate).
La volontarietà della condotta tenuta dal socio, perciò, supera e assorbe la misura del suo contributo al compimento di un determinato atto indotto avente ad oggetto la gestione della società. La constatazione che le condotte tenute all’unisono dai soci fossero confluite nel comune tentativo di evitare di subire perdite attraverso la cessione della quota prima che la società venisse posta in liquidazione e che le delibere che posponevano l’adozi one delle deliberazioni previste dall’art. 2482 -ter cod. civ. fossero sempre state assunte all’unanimità risultava così sufficiente a ravvisare la responsabilità anche dei soci titolari di quote minoritarie che avevano intenzionalmente aderito alla condott a induttiva dell’atto di gestione risultato pregiudizievole per la società.
6.5 Ogni valutazione concernente il ricorrere dell’intenzionalità della condotta nei termini appena descritti appartiene al merito della controversia e non può essere posta in contestazione in questa sede. In particolare, non possono essere riviste le valutazioni compiute dalla Corte di merito in ordine al fatto che la procrastinazione della delibera di messa in liquidazione della società era avvenuta non a causa della lacunosità delle informazioni messe a disposizione dei soci, come continuano a sostenere i ricorrenti, ma nella ‘perfetta avrebbe consapevolezza’ che la prosecuzione dell’attività ulteriormente eroso la liquidità e il patrimonio della società.
Infatti, risulta inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non è dovuto, da parte del solo COGNOME, il raddoppio del contributo unificato: infatti, l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 115/2002 non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione, in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (v. Cass. 19071/2018, Cass. 23175/2015).
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il processo di cassazione per rinuncia rispetto alla posizione di NOME COGNOME a spese compensate;
rigetta il ricorso rispetto alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 9.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 26 giugno 2025.