Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33147 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33147 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto:
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ CIVILE COGNOME
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliera
Ad. 04/12/2024 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 13962/2022
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 13962 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto
da
NOME COGNOMEC.F.: MDD LVI 53R05 D643T) NOBILE NOME (C.F.: NBL SFN 66E63 H501C)
rappresentati e difesi dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CZZ CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
nei confronti di
COGNOME Bruno (C.F.: NGR BRN 41P21 I535E)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: TARGA_VEICOLO
CONDOMINIO TREVI (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del l’amministratore, legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
nonché RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Venezia n. 597/2022, pubblicata in data 18 marzo 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal proprio appartamento, sito nel Condominio Trevi, in Malcesine (VR), locINDIRIZZO, a causa di una perdita d’acqua proveniente dall’appartamento sovrastante di proprietà dei convenuti. Il COGNOME e la COGNOME hanno chiamato in causa il Condominio Trevi, quale preteso effettivo responsabile del danno, sull’assunto che la perdita provenisse da una tubazione condominiale. Il condominio, a sua volta, ha chiamato in causa la propria compagnia assicuratrice, RAGIONE_SOCIALE per essere garantito in caso di soccombenza.
La domanda del COGNOME è stata accolta dal Tribunale di Verona, che ha condannato i convenuti a risarcire all’ attore la somma di € 14.472,36, escludendo la responsabilità del condominio.
La Corte d’a ppello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermata per il resto, ha ridotto l’importo del risarcimento ad € 10.672,36 .
Ricorrono il Medda e la Nobile, sulla base di cinque motivi.
Resistono con distinti controricorsi: a) il Nigro; b) il Condominio Trevi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altra società intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto , ed in particolare dell’ art. 2 comma 2 D.L.
132/2014, (negoziazione assistita), violazione dell’ art. 1335 c.c. violazione art. 5, commi 1-bis e 2-bis, d.lgs. n. 28 del 2010 (mediazione obbligatoria), violazione dell’ art. 111 Cost. (violazione del principio del contraddittorio e parità tra le parti). Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 nn. 4 e 5: nullità della sentenza o del procedimento ed omesso esame di fatto decisivo, ed in particolare violazione dell’ art. 112 cpc , dell’ art. 132 n. 4 cpc e art. 111 Cost., per difetto di pronuncia e omesso esame di fatto decisivo, assenza radicale di motivazione ».
I ricorrenti deducono che la domanda degli attori avrebbe dovuto essere ritenuta improcedibile, per il mancato regolare svolgimento delle procedure di mediazione obbligatoria e di negoziazione assistita.
Il motivo è infondato.
1.1 Per quanto riguarda l’eccezione di mancato svolgimento della procedura di mediazione prevista dall’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, deve considerarsi che la domanda originaria avanzata dal COGNOME contro il COGNOME e la COGNOME certamente non era ‘ in materia di condominio ‘, trattandosi di una domanda relativa a danno da cose in custodia avente ad oggetto gli appartamenti di proprietà esclusiva delle parti.
Poiché la mediazione obbligatoria imposta dall’ art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità finalizzata al raggiungimento di una soluzione conciliativa che scongiuri l ‘ introduzione della causa, è applicabile al solo atto introduttivo del giudizio (Cass., Sez. U, Sentenza n. 3452 del 07/02/2024, Rv. 670006 -01), deve ritenersi correttamente affermata la procedibilità della domanda, senza necessità di mediazione, in quanto l’estensione dell’oggetto del giudizio, conseguente alla chiamata in causa del condominio da parte dei convenuti, non poteva, di per sé, determinare la necessità di alcuna mediazione obbligatoria.
D’altronde, l’eventuale improcedibilità avrebbe al più potuto riguardare, almeno in astratto, nella stessa prospettazione dei ricorrenti, le domande contro il condominio, che non hanno trovato accoglimento e sono rimaste, in sostanza, assorbite e che, in ogni caso, erano venute a far parte dell’oggetto del giudizio in conseguenza delle difese proposte degli stessi ricorrenti.
Quanto appena esposto determina l’irrilevanza, ai fini dell’esito del presente ricorso, della questione relativa alla stessa possibilità di considerare effettivamente la domanda risarcitoria proposta contro un ente condominiale come una domanda ‘ in materia di condominio ‘, ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28.
1.2 Per quanto riguarda la condizione di procedibilità relativa all’invito alla negoziazione assistita, si premette che l’art. 3, comma 1, del Decreto-Legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito con modificazioni dalla Legge 10 novembre 2014 n. 162, prevede:
« 1. … … Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all ‘ articolo 2 comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell ‘ invito »
Nella specie, non essendovi stato, in origine, esperimento della negoziazione, è pacifico che si sia reso necessario il successivo invito alla stessa e che la relativa comunicazione ai convenuti sia stata effettuata con lettera raccomandata il cui tentativo di recapito ha avuto luogo il 7 agosto 2017 (la raccomandata risulta peraltro restituita al mittente per compiuta giacenza).
Il comma 2 dell’art. 3 del decreto -legge appena richiamato, inoltre, prevede:
« 2. Quando l ‘ esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la
condizione si considera avverata se l ‘ invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ».
La corte d’appello ha ritenuto che il procedimento avesse avuto esito negativo per la mancata adesione dei convenuti.
1.2.1 In effetti, non risulta dagli atti che i convenuti abbiano mai manifestato adesione all’invito alla negoziazione , che certamente hanno ricevuto.
I ricorrenti sostengono che il procedimento di negoziazione si sarebbe svolto tra l’attore ed il condominio all’inizio di settembre 2017 (è stato, in effetti, definito con un verbale di esito negativo, per l’assenza dei convenuti principali, in data 11 settembre 2017), senza la loro partecipazione, quando però ancora essi erano in tempo ad aderirvi: a loro avviso. infatti, il termine di un mese per l’adesione non iniziava a decorrere dal 7 agosto 2017, ma dal 6 settembre successivo, perché la raccomandata d el 7 agosto era stata depositata presso l’ufficio postale e – sempre secondo tale prospettazione -in tal caso la comunicazione avrebbe dovuto ritenersi perfezionata solo dopo i 30 giorni di giacenza del plico presso l’ufficio postale .
Sostengono, inoltre, che la convenzione di negoziazione tra attore e condominio sarebbe irregolare per difetto di sottoscrizione e che su tale eccezione la corte d’appello avrebbe omesso la pronuncia.
1.2.2 Premesso che non è ammissibile la censura di omessa pronuncia su una questione processuale, onde rileva, nella presente sede, esclusivamente se nel procedimento di merito si fosse o meno verificata la condizione di procedibilità di cui si discute, deve ritenersi assorbente, in proposito, la considerazione che, al di là dello svolgimento del procedimento di negoziazione tra attore e condominio e della data di perfezionamento della comunicazione dell’invito alla negoziazione rivolto ai convenuti, gli st essi ricorrenti non negano che l’invito sia
stato loro comunicato (essi contestano, in effetti, solo la data del perfezionamento della comunicazione), né deducono di avere mai aderito al suddetto invito.
Di conseguenza, deve ritenersi che la condizione di procedibilità della domanda dell’attore, per la mancata adesione all’invito alla negoziazione da parte dei convenuti, si sia comunque verificata, perché è pacifico che l’invito vi è stato e l’adesione è mancata.
Infatti, ai sensi dell’art. 3 del D.L. 132/2014 « la condizione si considera avverata se l ‘ invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione » e, nella specie, non vi è dubbio che l’invito non sia mai stato seguito da adesione.
1.2.3 Inoltre, la corte d’appello ha ritenuto perfezionata la comunicazione dell’invito il 7 agosto 2017, in quanto la raccomandata era « giunta a destinazione » in tale data.
Secondo i ricorrenti, in realtà, essi erano assenti e vi sarebbe stato deposito presso l’ufficio postale seguito da compiuta giacenza; richiamano, in proposito, una certificazione dall’agente postale contenuta nel « doc.1 allegato alla seconda memoria ex art. 183/6 cpc fascicolo convenuti in primo grado », assumendo che la compiuta giacenza sarebbe intervenuta solo allo scadere dei trenta giorni dall’omesso recapito.
Tale assunto è infondato in diritto.
Anche se il periodo di giacenza presso l’ufficio postale delle ordinarie raccomandate è di trenta giorni (prima della restituzione del plico al mittente), da ciò non deriva affatto che il perfezionamento della comunicazione effettuata tramite lettera raccomandata ordinaria debba ritenersi verificato allo scadere del trentesimo giorno.
Al più, esso può ritenersi verificato dopo dieci giorni, per analogia con la regola valida per la notificazione degli atti giudiziari (cfr., in proposito, con riguardo agli atti impositivi notificati
da ll’Agenzia delle Entrate a mezzo raccomandata ordinaria: Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2047 del 02/02/2016, Rv. 638907 -01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19958 del 10/08/2017, Rv. 645329 -01; Sez. 5, Ordinanza n. 10131 del 28/05/2020, Rv. 657732 -01), ove non voglia reputarsi operante la presunzione di conoscibilità per il raggiungimento dell’indirizzo del destinatario ai sensi dell’art. 1335 c.c.. .
Quindi, il perfezionamento della comunicazione dell’invito alla negoziazione assistita sarebbe, al più tardi, avvenuto il 17 agosto 2017 e il termine per aderire sarebbe scaduto il successivo 16 settembre.
I ricorrenti, d’altra parte, non indicano la data della successiva udienza fissata per la prosecuzione del giudizio di primo grado. Se tale data fosse successiva al 17 settembre 2017, la condizione di procedibilità del giudizio dovrebbe ritenersi regolarmente verificata, in mancanza di adesione dei convenuti all’invito alla negoziazione entro il termine di un mese dalla ricezione dell’invito.
Dunque, in relazione a tale censura (per quanto sia già, di per sé, assorbente il mero rilievo che adesione non vi fu mai e per quanto possa ben dubitarsi dell’interesse a dolersi della mancata fruizione di un termine per compiere un’attività che non si intendeva porre in essere e che in essere neppure è stata posta) vi è anche un difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., per il mancato adeguato richiamo del contenuto degli atti di causa rilevanti ai fini della verifica della fo ndatezza dell’eccezione di nullità.
Con il secondo motivo si denunzia « Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n. 3: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare, violazione dell’ art. 2051 c.c. e art. 1117 c.c., da leggersi in combinato disposto con gli artt. 115, 116, e art. 132 n. 4 cpc e art. 111 Cost., per incongrua, lacunosa, insufficiente, e contraddittoria motivazione ».
I ricorrenti deducono che non sarebbe mai stato effettivamente accertato, nel giudizio di merito (almeno non « con tranquillizzante certezza »), se la tubazione dalla quale proveniva la perdita che aveva causato danni all’attore fosse di loro proprietà o di proprietà condominiale, con conseguente falsa applicazione del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. a loro esclusivo carico.
Il motivo è inammissibile.
La corte d’appello ha ritenuto sufficientemente provato, sulla base delle risultanze delle consulenze tecniche espletate nel corso del giudizio ed in sede di accertamento tecnico preventivo, nonché delle emergenze delle prove orali (in particolare, della deposizione testimoniale dell ‘idraulico NOME COGNOME, che la tubazione da cui derivava la perdita era di proprietà esclusiva dei convenuti, affermando che « il C.T.U. dell’accertamento tecnico preventivo, contrariamente all’assunto degli appellanti, risulta aver accertato in maniera certa che la perdita d’acqua proveniva da un tubo di proprietà esclusiva degli appellanti » e ulteriormente precisando, in proposito, con più specifico riguardo alle contestazioni operate dagli stessi convenuti, che « quanto alla rottura del muro sul vanno scale l’idraulico si riferiva al primo intervento urgente per far terminare la fuoriuscita dell’acqua non potendo in quel momento entrare nell’appartamento di MeddaNobile, ma l’intervento risolutivo avvenne quando l’idraulico poté entrare nell’appartamento dei predetti e constatare la causa della perdita ».
Si tratta di un accertamento di fatto fondato sulla prudente valutazione del materiale probatorio, sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
Sotto il profilo in esame, le censure dei ricorrenti finiscono per risolversi nella contestazione dell’indicato accertamento di fatto
nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che certamente non è consentito nel giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo si denunzia « Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n. 3: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare, violazione dell’ art. 132 n. 4 cpc, e art. 111 Cost. incongrua, lacunosa, insufficiente, e contraddittoria motivazione, violazione dell’ art. 112 cpc (ultra petizione) ».
L’esposizione a sostegno di tale motivo di ricorso non è affatto chiara.
I ricorrenti fanno espresso riferimento al loro terzo motivo di appello, che era relativo esclusivamente alla quantificazione dei danni; espongono, peraltro, almeno incidentalmente, delle considerazioni che sembrano avere riguardo anche alla questione della effettiva proprietà della tubazione da cui era derivata la perdita, oggetto del precedete motivo del ricorso.
In ogni caso, è sufficiente rilevare, in proposito, quanto segue. 3.1 In primo luogo, con riguardo alle questioni relative alla proprietà della tubazione da cui era derivata la perdita, che peraltro appaiono esposte solo in via incidentale nell’ambito del motivo di ricorso in esame, devono ritenersi esaustive ed assorbenti di ogni altro profilo, le considerazioni espresse in relazione al precedente motivo.
3.2 Con riguardo alla censura di carenza di motivazione, premesso che il vizio di insufficiente motivazione non è ammissibile motivo di ricorso per cassazione ai sensi della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c. (certamente applicabile nella specie, ratione temporis ), si osserva che la decisione impugnata contiene adeguata motivazione (non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede), sia in relazione all’accertamento di fatto avente ad oggetto la natura di mero acconto corrisposto all’attore dalla compagnia di assicurazione, sia in
relazione alla liquidazione dei danni subiti dall’attore, operata peraltro dalla corte territoriale sulla base della prudente valutazione delle emergenze delle consulenze tecniche fatte espletare nel corso del procedimento.
È, poi, appena il caso di aggiungere che il fatto che le conclusioni dei consulenti tecnici non fossero del tutto coincidenti non è certo motivo di nullità della sentenza, avendo comunque il giudice il dovere di valutare criticamente gli esiti degli accertamenti tecnici fatti espletare, per giungere alla sua motivata decisione definitiva, il che nella specie è certamente avvenuto.
Anche sotto il profilo in esame, pertanto, le censure dei ricorrenti finiscono per risolversi nella contestazione di accertamenti di fatto adeguatamente motivati, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
3.3 Infine, la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., riguardante il danno per la mancata disponibilità dell’immobile danneggiato, è da ritenere inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
La corte d’appello ha espressamente chiarito, in relazione al relativo motivo di gravame avanzato dai ricorrenti, che « il capitolo di prova invocato dagli appellanti riguardava solo la spesa per l’alloggio in albergo in un determinato periodo, ma la domanda era sempre stata più ampia riguardando tutto il periodo in cui il COGNOME e la sua famiglia non avevano potuto usufruire dell’appartamento e cioè anche i periodi nei quali non erano andati in albergo ».
I ricorrenti sostengono, al contrario, che « la domanda economica dell’attore in merito al rimborso delle spese per il mancato soggiorno nell’immobile (per avere soggiornato in Hotel) era pari ad Euro 1.822,00 », ma si limitano a richiamare, in proposito, tre righe della « memoria 183/6 n. 2 capitolo 16 dell’attore », che non è certamente sufficiente a consentire a questa
di Corte di valutare la fondatezza della censura, facendo quindi difetto il necessario adeguato richiamo del contenuto di tutti i rilevanti atti del giudizio, in palese violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
Con il quarto motivo si denunzia « Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n. 3: violazione falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare, violazione dell’ art. 1227 c.c. da leggersi in combinato disposto con gli art. 115, 116 e art. 132 n. 4 cpc, e art. 111 Cost. Incongrua, lacunosa, insufficiente, e contraddittoria motivazione. Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n. 4 cpc nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cpc per assenza radicale di motivazione ».
I ricorrenti contestano ancora, anche in tal caso sulla base di una esposizione ben poco chiara e sintetica, la liquidazione dei danni.
4.1 È certamente infondata la censura di carenza assoluta di motivazione, nonché di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo alla suddetta liquidazione.
In proposito, è sufficiente ribadire quanto già esposto e, cioè: che la decisione impugnata contiene adeguata motivazione (non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede) in relazione alla liquidazione dei danni subiti dall’attore, operata sulla base della prudente valutazione delle emergenze istruttorie e, in particolare, delle consulenze tecniche espletate nel corso del procedimento; che il fatto che le conclusioni dei consulenti tecnici non fossero del tutto coincidenti tra loro non è motivo di nullità della sentenza, avendo comunque il giudice il dovere di valutare criticamente gli esiti dei suddetti accertamenti; che le censure dei ricorrenti finiscono, quindi, per risolversi nella contestazione dell’indicato accertamento di fatto nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle
prove, il che certamente non è consentito nel giudizio di legittimità.
4.2 La censura avente ad oggetto un preteso ‘errore di calcolo’ relativo alla liquidazione dei danni per il mancato godimento dell’immobile danneggiato (con conseguente pretesa violazione dell’art. 1227 c.c.) è inammissibile per difetto di specificità, in vio lazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto non sostenuta da un adeguato e specifico richiamo al contenuto degli atti e dei documenti di causa sui quali si fonda, che consenta di valutare in modo puntuale le generiche contestazioni rivolte avverso la statuizione criticata.
In ogni caso, trattandosi di liquidazione operata in via equitativa dalla corte d’appello e che appare, come tale, certamente ragionevole e adeguatamente motivata, deve ritenersi che la predetta statuizione si sottragga, comunque, alle censure formulate dai ricorrenti, che richiederebbero una rinnovata valutazione dei profili necessari all’esercizio del potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno, riservato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità, se non in caso di motivazione del tutto carente ovvero insanabilmente contraddittoria sul piano logico, ipotesi che nella specie questa Corte non ritiene ravvisabile.
Con il quinto motivo si denunzia « Vizio di cui all’ art. 360 comma 1 n. 3: violazione falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare, violazione dell’ art. 91, 92 cpc, 132 n. 4 cpc, 111 Cost. in materia di governo delle spese del procedimento ». I ricorrenti contestano che « la sentenza impugnata ha compensato le spese solo per 1/3, mentre doveva al limite compensarle almeno per 2/3, anzi a ben vedere, secondo il principio della soccombenza era l’attore a dovere pagare le spese legali ai convenuti in primo grado, e così doveva regolare anche le spese di CTU e CTP » in quanto « siamo in presenza di un notevolissimo scarto tra l ‘ entità della domanda e quella del suo accoglimento
ed appare del tutto corretto, equo e coerente con il principio di causalità che la parte attrice, pur parzialmente vittoriosa, debba subire una condanna al rimborso di parte delle spese di lite in favore del convenuto ».
Il motivo è infondato.
È sufficiente richiamare, in proposito, i principi di recente sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022, Rv. 666063 -01), secondo i quali « i n tema di spese processuali, l ‘ accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale ».
Nella specie, la corte d’appello ha ritenuto sussistere i presupposti per una compensazione parziale, nella misura di un terzo, e tale valutazione non è sindacabile nella presente sede.
Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione (e, quindi, a fortiori , di una compensazione in misura maggiore di quella in concreto riconosciuta), non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 -01; Sez.
3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 -01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 -01; Sez. 3, Sentenza n. 10009 del 24/06/2003, Rv. 564510 -01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 -01; Sez. 3, Sentenza n. 6756 del 06/04/2004, Rv. 571882 -01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 -01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 -01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925 – 01).
6. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascuno di essi, in complessivi € 2.400,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-