Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15096 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 15096 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
SENTENZA
R.G.N. 24990/20 U.P. 23/5/2025
Appalto -Materiale da produrre -Responsabilità per difetto di fornitura -Risarcimento danni sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24990/2020) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del dott. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo procuratore NOMECOGNOME in forza di procura di cui all’atto pubblico del 24 luglio 2017, rep. n. 54.886, racc. n. 27.545, e RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), già RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che le rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME per la seconda, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1401/2019, pubblicata il 30 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 maggio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente e dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentito , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. NOME COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 21 dicembre 2002, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Brindisi, l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE chiedendo che le convenute fossero condannate, in solido ovvero ognuna in ragione del proprio titolo di responsabilità, al risarcimento dei danni subiti nella misura di
euro 1.511.676,93 o nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia, in esito alla mancata attuazione dell’ordine di cui alla lettera PAAW11061 del 1° giugno 1998, avente ad oggetto la fornitura di calcare macinato, calce idrata e ritiro del gesso prodotto nell’impianto di desolforazione della centrale di Fiume Santo, ordinativo cui la Semes aveva aderito con lettera del 15 settembre 1998.
Si costituivano separatamente in giudizio RAGIONE_SOCIALE -risultante dall’incorporazione della RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, le quali eccepivano il difetto di competenza territoriale del giudice adito e, nel merito, contestavano la fondatezza, in fatto e diritto, della domanda avversaria, concludendo per il suo rigetto. In via riconvenzionale subordinata, chiedevano che fosse pronunciata la risoluzione del contratto per grave inadempimento della Semes.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Con sentenza n. 1362/2011, depositata il 15 novembre 2011, era dichiarata l’incompetenza territoriale del Tribunale di Brindisi.
All’esito della proposizione di regolamento di competenza, con ordinanza n. 5725/2013, depositata il 7 marzo 2013, il regolamento era accolto ed era, per l’effetto, dichiarata la competenza territoriale del Tribunale di Brindisi.
Quindi, riassunto il giudizio, il Tribunale adito, con sentenza n. 1/2016, depositata il 4 gennaio 2016, rigettava la domanda di risarcimento dei danni.
2. -Con atto di citazione notificato l’11 marzo 2016, la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) che -contrariamente all’assunto del Tribunale -l’accettazione dell’ordine di fornitura non poteva reputarsi incondizionata, quantomeno con riguardo ai tempi di avvio; 2) che erroneamente era stato escluso che la realizzazione di un impianto di micronizzazione, ai fini dell’erogazione della fornitura, rappresentasse un elemento costitutivo della prestazione, in quanto non prevista direttamente nel contratto, costituendone invece un’implicita e pacifica presupposizione condivisa dalle parti, con la conseguente violazione dell’obbligo di cooperazione della richiedente della fornitura; 3) che erroneamente era stata esclusa la violazione dei doveri di correttezza e buona fede a cura dell’ordinante, poiché la mancata erogazione di energia elettrica avrebbe costituito vero e proprio fatto impeditivo dell’esecuzione del contratto e, dunque, del tempestivo avvio della fornitura; 5) che erroneamente era stata ritenuta legittima la risoluzione del contratto, unilateralmente operata da RAGIONE_SOCIALE con raccomandata a.r. del 4 luglio 2000, sul rilievo che l’art. 8 delle condizioni generali di fornitura, come richiamato dall’art. 1.1. del contratto, avrebbe consentito alla committente di non effettuare una preventiva diffida ad adempiere, attesa la natura vessatoria di tale clausola e la sua mancata espressa approvazione per iscritto; 6) che era stato omesso l’esame delle risultanze istr uttorie e, in specie, delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio in ordine ai danni causati dall’inerzia colposa di Enel, rispetto alla richiesta delle
autorizzazioni necessarie alla realizzazione della linea elettrica, mediante la quale alimentare l’impianto di micronizzazione.
Resistevano separatamente all’impugnazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le quali concludevano per il rigetto dell’appello, con la conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Lecce, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, nella vicenda oggetto di causa, non poteva configurarsi un’ipotesi di presupposizione, poiché il fatto che si assumeva quale presupposto indefettibile degli accordi contrattuali -ossia la realizzazione dell’impianto di micronizzazione del calcare -difettava in sé del requisito dell’indipendenza dall’attività e volontà dei contraenti, mancando, dunque, una caratteristica essenziale dell’istituto, mentre risultava pienamente riscontrato l’inadempimento dell’obbligo dell’appaltatore di premunirsi dei mezzi necessari ad eseguire il contratto; b ) che, esclusa la presupposizione, una volta stabilito che era obbligo dell’appaltatore predisporre tutto quanto necessario a garantire la fornitura del calcare micronizzato, era evidente che le vicende inerenti ai tempi di allaccio dell’impianto alla rete elettrica poiché esterne rispetto al rapporto contrattuale -non potevano essere imputate alla violazione degli obblighi di cooperazione gravanti sulla società committente; c ) che, per l’effetto, il ritardo nella predisposizione dei mezzi per l’esecuzione dell’appalto era
stato correttamente ascritto a COGNOME, che avrebbe dovuto prevedere i tempi, i modi e i costi per l’allaccio e premunirsi di un puntuale impegno dell’ente erogatore, anziché assumere ‘al buio’ gli obblighi di fornitura, senza poterli poi rispettare in tempi compatibili con il cronoprogramma concordato; d ) che le questioni inerenti alla natura vessatoria della clausola e alla mancata approvazione specifica dovevano ritenersi assorbite nel più ampio accertamento in ordine alla responsabilità esclusiva di NOME per inadempimento degli obblighi assunti nel contratto di fornitura, avendo NOME, nel corso delle trattative, dichiarato di essere in grado di fornire calcare e calce nelle quantità e con le modalità previste dall’ordinazione, tenuto conto degli oneri previsti per gli eventuali piani di sicurezza e valutate tutte le alee connesse con l’esecuzione della fornitura, senza che vi fosse alcun cenno all’impossibilità di eseguire la fornitura medesima nel caso in cui non fosse stato realizzato in situ l’impianto di frantumazione/micronizzazione; e ) che la censura sull’omesso esame delle risultanze istruttorie atteneva alle vicende relative all’allaccio della linea elettrica, che in quanto tali -erano esterne al contratto di fornitura, sicché correttamente gli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, in ordine agli esborsi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE e al lucro cessante, erano stati ritenuti irrilevanti, una volta esclusa, a monte, l’imputabilità dell’inadempimento in capo alla società committente.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito, con controricorso, le intimate RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, la ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione sollevata dai controricorrenti, relativa alla contestata inammissibilità del ricorso, in quanto esso difetterebbe dell’analitica esposizione dei fatti di causa, avendo la ricorrente provveduto alla mera trascrizione di stralci di atti processuali e documenti dei precedenti gradi di merito del giudizio, in spregio al dovere processuale di chiarezza e sinteticità, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa.
1.1. -L’eccezione è infondata.
E ciò perché dalla disamina del ricorso -letto non in chiave meramente formalistica -è comunque possibile desumere le vicende processuali attraverso cui si è snodato il giudizio, con i relativi esiti e con le correlate argomentazioni poste a fondamento delle decisioni di merito.
La possibile ricostruzione dei fatti sostanziali e processuali salienti esclude la pertinenza di qualsiasi rilievo in ordine alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, in relazione al principio di autosufficienza.
2. -Tanto premesso, con il primo articolato motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e la falsa
applicazione dell’art. 1454 c.c., per avere la Corte di merito mancato di pronunciarsi sulla specifica questione sollevata da Semes circa l’assenza di una preliminare diffida ad adempiere, nonostante essa fosse stata preannunciata nella nota del 22 aprile 1999 e nel corso della riunione del 28 aprile 1999, con la conseguente inefficacia della risoluzione intimata con la nota del 4 luglio 2000.
Nel corpo della stessa doglianza la ricorrente contesta, altresì, la ‘mancata’ applicazione dell’art. 183, sesto comma, c.p.c. (all’epoca dei fatti processuali dell’art. 184 c.p.c.), in ragione del fatto che la Corte d’appello avrebbe esaminato il motivo di gravame, proposto in via subordinata, inerente alla natura vessatoria della clausola contenuta nell’art. 8 delle condizioni generali, senza previamente esaminare l’ulteriore motivo, logicamente antecedente, riguardante l’inammissibilità della produzione in giudizio delle condizioni generali, a cura del committente.
Obietta, dunque, l’istante che la sentenza impugnata non avrebbe potuto prendere in considerazione l’art. 8 delle condizioni generali, che avrebbe consentito ad Enel di risolvere il contratto senza previa diffida.
Evidenzia, ancora, la ricorrente -nel corpo della medesima censura -la ‘mancata’ applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. nonché dell’art. 1456 c.c., alla stregua dell’omessa pronuncia anche su un altro motivo di gravame, sebbene specificamente proposto, ossia sulla circostanza secondo cui, quand’anche fosse stata ritenuta l’essenzialità dei termini di esecuzione della fornitura, l’intervenuta risoluzione contrattuale dichiarata con la
nota del 4 luglio 2000 sarebbe stata priva dei requisiti prescritti dalla disciplina sulla clausola risolutiva espressa, in mancanza dell’esplicita manifestazione di volontà di avvalersi di detta clausola.
L’istante, sempre nel corpo della stessa doglianza, adduce pure la ‘mancata’ applicazione dell’art. 1341 c.c., sulla scorta del prospettato assorbimento della questione relativa alla natura vessatoria della clausola di cui all’art. 8 delle condizioni generali e alla conseguente sua inefficacia, sotto il duplice profilo della mancata sottoscrizione a cura dell’appaltatore e dell’insufficienza del rinvio operato nella lettera d’ordine del 1° giugno 1998 alla disciplina contenuta in un distinto documento, mai portato a conoscenza dell’appaltatore.
In questa logica sostiene la ricorrente che, intanto l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto assumere un rilievo assorbente, in quanto fosse stata accertata preliminarmente l’efficacia risolutiva della richiamata nota, sicché solo la verifica dell’avvenuta risoluzione del contratto in base alla clausola risolutiva espressa avrebbe potuto giustificare il giudizio sulla definitività e gravità dell’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, tale da inibire qualsiasi pretesa risarcitoria per l’affidamento della fornitura a terzi (lucro cessante) e per la realizzazione e il successivo smontaggio dell’impianto di micronizzazione (danno emergente).
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Occorre premettere che sia nel giudizio di primo grado sia nel giudizio d’appello la domanda risarcitoria avanzata da Semes per inadempimento dell’ordinante è stata disattesa, alla stregua dell’esclusione dell’inadempimento dedotto (ossia dell’assunzione
di alcun impegno di Enel ad assicurare l’allacciamento elettrico atto a consentire il funzionamento di un impianto di micronizzazione da realizzare, necessario per la produzione del materiale da fornire).
Sul punto, la sentenza impugnata ha accertato che era obbligo dell’appaltatore predisporre tutto quanto necessario a garantire la fornitura del calcare micronizzato, sicché le vicende inerenti ai tempi di allaccio dell’impianto alla rete elettrica poiché esterne rispetto al rapporto contrattuale -non avrebbero potuto essere imputate alla violazione degli obblighi di cooperazione gravanti sulla società committente. Per l’effetto, il giudice di merito ha rilevato che il ritardo nella predisposizione dei mezzi per l’esecuzione dell’appalto era ascrivibile a Semes, che avrebbe dovuto prevedere i tempi, i modi e i costi per l’allaccio e premunirsi di un puntuale impegno dell’ente erogatore, anziché assumere ‘al buio’ gli obblighi di fornitura, senza poterli poi rispettare in tempi compatibili con il cronoprogramma concordato.
In conseguenza, non è stata esaminata la domanda subordinata proposta da Enel, volta ad ottenere la pronuncia della risoluzione del contratto concluso tra le parti.
Ne discende che le questioni attinenti all’assenza di una preliminare diffida ad adempiere affinché potesse determinarsi l’effetto risolutivo, -alla natura vessatoria della clausola contenuta nell’art. 8 delle condizioni generali (con la connessa questione processuale concernente la tardività della produzione di tali condizioni generali), – al difetto dei requisiti prescritti dalla disciplina sulla clausola risolutiva espressa non assumevano alcun rilievo sull’esito decisorio, tanto da legittimarne l’assorbimento.
Una volta esclusa, infatti, l’integrazione della condotta inadempiente addebitata alla committente, ai fini di giustificare la spiegata pretesa risarcitoria, non assumeva un peso dirimente la verifica dell’avvenuta risoluzione del contratto, come dichiarata nella nota di Enel del 4 luglio 2000.
Si tratta, dunque, di un’ipotesi di assorbimento ‘proprio’, il quale postula che la decisione della domanda (o questione) assorbita divenga superflua per effetto della decisione sulla domanda (o questione) assorbente, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse all’esame della domanda (o questione) rimasta assorbita (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26507 del 14/09/2023; Sez. L, Sentenza n. 12193 del 22/06/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 28995 del 12/11/2018; Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez. 5, Sentenza n. 7663 del 16/05/2012).
3. -Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e comunque la ‘mancata’ applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., per avere la Corte territoriale mancato di pronunciarsi anche con riguardo ai profili relativi alla ritenuta presupposizione e, in ogni caso, alla rilevanza integrativa degli accordi intervenuti, su proposta di Semes, il 28 aprile 1999.
Osserva l’istante che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare lo specifico motivo con il quale Semes aveva censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto di dover escludere che, in ragione di specifici comportamenti posti in essere dalle parti e di specifici accordi formalmente raggiunti, la realizzazione dell’impianto fosse divenuta un vero e proprio
elemento costitutivo del contratto di fornitura e, in particolare, con riguardo all’aspetto temporale; con la conseguenza che il mancato allaccio alla rete elettrica, da parte di Enel, sarebbe divenuto un fatto impeditivo e, comunque, un fattore produttivo del ritardo nell’erogazione della fornitura, non imputabile a Semes, bensì alla committenza.
Aggiunge la ricorrente che la realizzazione dell’impianto di micronizzazione (anche in ragione della tipologia di materiale che doveva essere fornito), in sostituzione dell’esistente impianto di frantumazione, avrebbe assunto valore costitutivo del contratto di fornitura, posto che gli stessi funzionari della committenza avrebbero riconosciuto la preliminare necessità di detta realizzazione, tanto da permettere a Semes di ricalibrare il cronoprogramma proprio in relazione all’insediamento di tale impianto, insediamento già effettuato nel giugno 2000, prima cioè della comunicazione della risoluzione del contratto, ma che non era stato possibile mettere in esercizio a causa del mancato allaccio alla rete elettrica; sicché, attribuendo correttamente alla citata interlocuzione l’efficacia di una vera e propria integrazione contrattuale, la realizzazione dell’impianto sarebbe divenuta una prestazione intrinseca al contratto, che si sarebbe riflessa sulla mancata imputazione dell’inadempimento a Semes, bensì all’ordinante, che -secondo quanto sarebbe risultato dall’istruttoria svolta non aveva posto in essere l’attività necessaria per garantire l’allaccio alla rete elettrica.
4. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame di un ‘punto’ decisivo e la ‘mancata’ applicazione degli artt. 1374 e
1375 c.c., per avere la Corte d’appello negato che vi fosse una lesione del canone di buona fede oggettiva (con il correlato obbligo di cooperazione), nonostante l’ordinante avesse garantito il tempestivo allaccio dell’impianto alla rete elettrica.
Deduce l’istante che, ove si fosse dato atto della volontà delle parti di ottenere la fornitura di materiale micronizzato, e non più semplicemente di materiale frantumato, mediante l’insediamento in loco di un nuovo impianto -in questo sarebbe consistita l’integrazione della volontà contrattuale , tanto da imporre la predisposizione di un nuovo cronoprogramma della fornitura, come accettata dal committente, il giudice di merito non avrebbe potuto escludere la violazione, a cura appunto dell’ordinante, degli obblighi di cooperazione gravanti sulla stessa.
4.1. -I motivi che precedono -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono inammissibili.
Le doglianze mirano, infatti, a scardinare il rilievo secondo cui l’inadempimento degli obblighi assunti nel contratto di fornitura doveva ascriversi a Semes che, nel corso delle trattative, aveva dichiarato di essere in grado di fornire calcare e calce nelle quantità e con le modalità previste dall’ordinazione, tenuto conto degli oneri previsti per gli eventuali piani di sicurezza e valutate tutte le alee connesse con l’esecuzione della fornitura, senza che vi fosse alcun cenno all’impossibilità di eseguire la fornitura medesima nel caso in cui non fosse stato realizzato in situ l’impianto di frantumazione/micronizzazione.
Con l’effetto che alla luce dell’esegesi negoziale è stato negato che potesse essere ricavata, in via esplicita o implicita,
alcuna obbligazione integrativa ricadente sull’ordinante circa la subordinazione della prestazione cui era tenuto il fornitore alla realizzazione e messa in funzione, con la garanzia dell’allaccio, di un impianto di micronizzazione.
In proposito, si rileva che, in materia contrattuale, affinché sia configurabile la fattispecie della ‘presupposizione’ (o condizione inespressa), è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti stesse (per converso, secondo la stessa ricostruzione della ricorrente, nella fattispecie, il mancato allaccio dell’impianto di micronizzazione sarebbe dipeso da un inadempimento colpevole del destinatario della fornitura) -Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5112 del 05/03/2018; Sez. 3, Sentenza n. 20620 del 13/10/2016; Sez. 1, Sentenza n. 22580 del 23/10/2014 -; il relativo accertamento, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20245 del 18/09/2009; Sez. 1, Sentenza n. 5390 del 11/03/2006; Sez. L, Sentenza n. 23520 del 17/12/2004; Sez. 3, Sentenza n. 19563 del 29/09/2004; Sez. L, Sentenza n. 17534 del 09/12/2002).
Nei termini anzidetti, per un verso, i mezzi di critica articolati -sebbene formalmente riconducibili al vizio di violazione di legge o di omesso esame di accadimenti decisivi -non possono
costituire un espediente idoneo a giustificare una rivalutazione delle acclarate circostanze in fatto, rivalutazione che non può essere svolta in questa sede (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Per altro verso, tali mezzi di critica non possono legittimare, in questa sede, l’adesione ad un’interpretazione alternativa circa l’estraneità della realizzazione e del funzionamento dell’impianto di micronizzazione alle obbligazioni contemplate in contratto.
Ora, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti (il che non risulta avvenuto nella specie), ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (ed anche questa attività non è stata compiuta nella specie), non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 236 del 07/01/2025; Sez. L, Ordinanza n. 18214 del 03/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Sez. 3,
Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009).
5. -Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo e la ‘mancata’ applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale reputato irrilevante il materiale istruttorio acquisito -e, in particolare, gli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio , sulla scorta della sua inerenza all’allaccio della linea elettrica, vicenda esterna al contratto di fornitura.
Espone l’istante che, laddove la sentenza impugnata avesse esaminato tali risultanze istruttorie, pervenendo al ragionevole convincimento che le vicende descritte costituivano vere e proprie integrazioni contrattuali, avrebbe dovuto riconoscere la fondatezza della censura.
5.1. -Il motivo è infondato.
Questo in quanto, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847
del 12/10/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019).
Ed ancora, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome ‘suo’ è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che ‘la legge disponga altrimenti’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 65, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).
Nella fattispecie, le critiche mosse dalla ricorrente sono funzionali, appunto, al raggiungimento di un diverso esito valutativo della prova assunta.
6. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore delle controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 14.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda