Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5699 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5699 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25078/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME già domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME ed attualmente domiciliata per legge presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di entrambi i predetti legali;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2176/2021 depositata il 09/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Dalla lettura della sentenza impugnata e del controricorso (e si spiegherà il perché di tale precisazione) si evince quanto di seguito succintamente indicato.
La società RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio avanti il Tribunale di Monza la società RAGIONE_SOCIALE esponendo: a) di aver dato in locazione a quest’ultima un immobile ad uso commerciale in Concorezzo – INDIRIZZO; b) che il bene, consegnato alla convenuta in data 4/08/2012, in data 15/10/2012 era andato pressoché completamente distrutto a seguito di un incendio.
Sulla base di tali premesse di fatto la società ricorrente chiedeva condannarsi (ex artt. 1587-1588 c.c. e/o artt. 2043 e 2051 c.c.) la controparte al risarcimento del danno, quantificato in complessivi € 1.424.425, oltre a canoni rimasti impagati dal 16/10/2012 a giugno 2013 per complessivi € 59.500+IVA.
La società convenuta si costituiva, escludendo ogni propria responsabilità, essendo l’evento dovuto a fatto doloso di terzo, rimasto estraneo.
Il Tribunale di Monza, espletata c.t.u. in relazione ai costi di ripristino del capannone, con sentenza n. 1080/2017, in accoglimento della domanda attorea, condannava la società convenuta ex art. 1588 c.c. al risarcimento del danno nella misura di euro 1.332.542,55 (ma non al pagamento dei suddetti canoni), oltre che alla rifusione delle spese processuali, e poneva a carico di detta parte soccombente anche le spese di c.t.u.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva nel giudizio di secondo grado la società RAGIONE_SOCIALE che chiedeva la reiezione dell’avverso gravame, e, in via di appello incidentale, la riforma della sentenza impugnata in ordine ai menzionati canoni locativi e alla quantificazione del danno.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2176/2021, respingeva sia l’appello principale (pp. 3-5) che quello incidentale (pp. 5-7) e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado, condannando parte appellante alla rifusione delle spese relative al grado di giudizio, con distrazione a favore dei difensori antistatari.
2.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE che, in sede di conclusioni, ha chiesto anche la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ed i Difensori delle parti non hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: <> nelle parti in cui la corte territoriale: a) ha condannato essa ricorrente al risarcimento del danno derivante dalla perdita dell’immobile, causata da incendio, nonostante vi fosse la prova positiva e concreta del carattere doloso dell’incendio medesimo; b) ha affermato la responsabilità di essa ricorrente sul presupposto che il solo incendio non aveva causato da sé solo la totale distruzione dell’immobile, dovendosi tener conto delle “considerevoli dimensioni dell’immobile” nonché “dell’infiammabilità delle merci’ ivi custodite, con ciò valorizzando unicamente la circostanza della mancanza di idonei strumenti antincendio, che non erano mai stati messi nemmeno dalla proprietà del capannone.
Si duole che la corte di merito non ha preso in considerazione un fatto decisivo, che era influente sulla catena causale che aveva condotto all’evento danno e che aveva formato oggetto di discussione tra le parti; e cioè il fatto che l’incendio, che si era verificato in data 15 ottobre 2012 e che aveva causato il perimento dell’immobile da essa condotto in locazione, aveva avuto carattere pacificamente doloso.
Invocando principi di diritto affermati da questa Corte (e, in particolare, da Cass. n. 11972/2010, n. 19126/2015, n. 3/1999) sostiene che il conduttore è liberato ove provi la causa positiva dell’incendio da cui è derivata la perdita dell’immobile condotto in locazione.
Sottolinea di avere documentalmente dimostrato che l’incendio aveva avuto carattere doloso e che tale circostanza era stata indicata come pacifica dalla corte territoriale nella impugnata sentenza (p. 3).
1.2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha respinto il motivo di censura relativo all’omessa sospensione del procedimento civile in attesa della definizione del procedimento penale pendente sub n. R.G.N.R. 10907/2012 a seguito di sua denuncia e volto all’accertamento delle responsabilità della causazione dell’incendio dell’immobile.
Sostiene che la corte territoriale ha dato una errata interpretazione del principio di diritto di pregiudizialità, cui fa riferimento quello di dipendenza enunciato dall’art. 295 c.p.c., poiché la ricostruzione del fatto dell’incendio doloso si rendeva ineludibile ai fini della corretta applicazione dell’art. 1588 c.c. in quanto atteneva ad una situazione sostanziale che rappresentava un fatto costitutivo o comunque un elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale, che tuttavia era elemento costitutivo del rapporto
giuridico, oggetto della domanda fatta valere in via principale e dedotta in giudizio.
Chiede applicarsi il principio di diritto secondo il quale l’apprezzamento relativo alla sussistenza del nesso di pregiudizialità tra le cause, compiuto dal Giudice per determinare circa l’operatività o meno dell’art. 295 c.p.c., si risolve in un giudizio di diritto, in quanto si esaurisce nella valutazione del collegamento esistente, a livello di fattispecie legali, tra gli oggetti del giudizio.
1.3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale: a) ha erroneamente ritenuto che la perdita dell’immobile – pur a fronte della prova del fatto doloso di un terzo – sia derivata dall’omessa predisposizione di idoneo impianto antincendio ravvisandone la imputabilità alla sola ricorrente; b) ha erroneamente valutato il verbale dei Vigili del Fuoco (che avevano annotato che “non è stata rilevata un’attività soggetta alla normativa di prevenzione incendi’); c) non ha tenuto in considerazione il lasso di tempo dell’inadempimento per il sistema antincendio, essendo il rapporto locatizio iniziato ad agosto 2012 ed essendosi verificato l’incendio doloso in data 15 ottobre 2012; d) ha erroneamente ritenuto che essa società aveva determinato un aumento del rischio, senza considerare che, quand’anche essa avesse predisposto l’impianto antincendio, l’incendio si sarebbe comunque avuto, poiché di tipo doloso, proveniente dalla sfera di azione di un terzo.
1.4. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, percependo erroneamente l’intero compendio probatorio posto alla base della sua pronuncia, ha erroneamente determinato il quantum risarcitorio sulla scorta della considerazione che il bene immobile perito dovesse essere risarcito secondo le errate conclusioni del nominato c.t.u.
Osserva che quest’ultimo, nonostante le specifiche osservazioni poste dal suo consulente di parte, non si era limitato a rispondere al quesito – che gli chiedeva la stima dei costi di ripristino dell’immobile, risalente agli anni settanta e già dato in locazione privo di impianti antincendio, con riferimento precipuo allo “stato in cui si trovava nel momento in cui era stato consegnato alla ricorrente RAGIONE_SOCIALE (agosto/settembre 2012)” – ma aveva anche stimato i costi per il ripristino di un capannone costruito ex novo.
Riporta, ai fini dell’autosufficienza del ricorso, il contenuto della consulenza tecnica, le note del suo consulente tecnico di parte ed il secondo motivo del suo atto di appello.
Sostiene che, qualora la parte muova critiche precise e puntuali supportate da elementi probatori di riscontro concreti e decisivi per la decisione della controversia in relazione ad aspetti essenziali dell’elaborato del c.t.u., il giudice è tenuto a prendere espressamente in esame le osservazioni del c.t.p., esponendo le ragioni per cui le disattenda; mentre nel caso di specie la corte territoriale si è limitata a confermare in maniera apodittica la sentenza di primo grado, in punto di esame delle risultanze della c.t.u.
In definitiva, secondo parte ricorrente, che invoca il principio affermato da Cass. n. 8460/2020, la corte territoriale, venendo meno al suo dovere motivazionale, non ha controllato la decisione del giudice di primo grado, che si era adagiata sulle conclusioni di una c.t.u. senza considerare i rilievi svolti dal consulente tecnico di parte.
2.1. Il ricorso si presta ad un preliminare rilievo di inammissibilità, in quanto l’esposizione del fatto, in esso contenuta, si palesa gravemente insufficiente.
Al riguardo, occorre ricordare che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenutoforma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. un. n. 11653 del 2006).
La prescrizione di detto requisito risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. Un. n. 2602 del 2003).
Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga l’indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Tale indirizzo deve ritenersi a più forte ragione applicabile con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c.
(non applicabile ratione temporis al ricorso odierno, ma evidente espressione del consolidamento del preesistente principio generale), che ha previsto in maniera ancor più stringente il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione costituito dalla <>, evidenziando che l’esposizione deve essere non solo chiara, ma anche limitata ai fatti essenziali per la comprensione dei motivi di ricorso, quindi non integrale.
Nella specie, il ricorso non rispetta tali contenuti, in quanto all’esposizione dei motivi è premessa (non una sommaria esposizione dei fatti idonea a far percepire tale requisito almeno ai fini dell’utile scrutinio dei motivi, ma) soltanto una sintesi della decisione impugnata (pp. 2 e 3), nella quale si riferisce soltanto che:
il giudice di primo grado, istruita la causa a mezzo di ctu (contestata dal proprio ctp), ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 1588 c.c., aveva condannato la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 1.332.542,55, oltre interessi legali;
la questione dedotta riguardava una controversia promossa dal locatore RAGIONE_SOCIALE nei confronti della conduttrice RAGIONE_SOCIALE a seguito di perimento (occorso nell’ottobre 2012 e dovuto ad incendio doloso) del capannone industriale, oggetto di locazione;
la corte territoriale aveva confermato la sentenza di primo grado.
Pertanto, per ciò stesso, va dichiarato inammissibile per inosservanza dell’art. 366 n. 3 (nel testo ad esso applicabile).
2.2. Ove mai i fatti di causa fossero stati adeguatamente esposti, si dovrebbe rilevare l’inammissibilità di tutti i motivi.
In via gradata sono inammissibili tutti i motivi.
Il primo motivo è inammissibile in primo luogo perché non indica la motivazione con cui sarebbero state violate le norme evocate. Essa viene vocata limitatamente a due brevissimi incisi.
In secondo luogo, sollecita rivalutazione di questioni di fatto.
Con riferimento al vizio ai sensi del n. 5 lamenta omesso esame della natura dolosa dell’incendio, quando la sentenza ha valutato tale circostanza.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 295 c.p.c., là dove tale norma non disciplina il rapporto fra processo civile e processo penale, che è disciplinato nel c.p.p.
Il terzo motivo non spiega la violazione dell’art. 1455 c.c. e nemmeno quella dell’art. 40 c.p. e nuovamente non individua la motivazione criticanda. Il vizio ai sensi del n. 5 del 360 è dedotto senza rispettare i criteri indicate dalle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 delle Sezioni Unite.
Il quarto motivo si risolve in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti , deducendo il vizio di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. sulla base di elementi aliunde , il che non risponde ai principi sulla deduzione di tale vizio indicati sempre dalle ora citate Sezioni Unite.
La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è dedotta senza rispettare i criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11982 del 2016, ribaditi, ex multis , da S.U. n. 20867 del 2020.
Mette conto di rilevare che
2.3. A tali rilievi si dovrebbe aggiungere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 27089/2024), <>.
Orbene – rilevato che nel giudizio di merito non risulta che l’odierna società ricorrente abbia provato di aver assolto tutti i doveri di diligenza a cui era tenuta, ed, anzi, nel ricorso introduttivo del presente giudizio (p. 7) ha ammesso di non aver assolto i doveri, derivanti dal contratto di locazione e concernenti l’adeguamento del capannone alla normativa antincendio – la sentenza impugnata risulterebbe pure conforme alla suddetta consolidata giurisprudenza di legittimità, e, d’altro lato, parte ricorrente non ha prospettato alcuna valida motivazione atta a giustificare una diversa interpretazione.
2.4. A proposito del primo ed del terzo motivo terzo, si dovrebbe aggiungere:
il fatto che parte ricorrente, non tenendo conto di un consolidato principio affermato da questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 26874/2018, n. 19443/2011 e n. 9470/2008), eccepisce sia la violazione o falsa applicazione di legge che l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, cioè cumula doglianze tra loro intrinsecamente contraddittorie. Tanto più che, nella specie, non è consentita l’impugnativa ex art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto: da un lato, il giudice di primo grado ha parzialmente accolto l’originaria domanda attorea e la corte di merito confermato la statuizione del giudice di primo grado, mentre, dall’altro, parte ricorrente non ha indicato, come era suo onere fare (Cass. n. 9483/2020 e n. 29715/2018), che le ragioni di fatto poste a fondamento delle due sentenze erano tra loro diverse.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento
dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 9000 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025, nella camera di consiglio