Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2056 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2056 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10111/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) , che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 70/2019, depositata il 11/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME NOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto con il quale il Tribunale di Novara le aveva ingiunto il pagamento di euro 16.093 in favore di RAGIONE_SOCIALE, a saldo delle opere di ristrutturazione di un immobile. L’opponente deduceva di non avere stipulato alcun contratto con RAGIONE_SOCIALE e di non sapere se RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente eseguito le opere di cui chiedeva il pagamento, opere che, qualora eseguite, erano state commissionate da NOME COGNOME. Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo all’opposizione, pur riconoscendo che l’importo ingiunto era erroneo.
Il Tribunale di Novara, con la sentenza n. 686/2017, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opposta a pagare euro 12.800, quale corrispettivo delle opere di ristrutturazione eseguite anche su suo incarico, oltre alla rifusione delle spese di lite e a euro 2.400 quale risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 cpc.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME. La Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 70/2019, ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 81 e 112 c.p.c. e 2697 c.c., per avere il giudice d’appello del tutto omesso di pronunciarsi sull’eccezione preliminare di difetto di legittimazione della RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo non può essere accolto.
È vero che la ricorrente aveva riproposto in appello la doglianza relativa alla mancanza di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE ‘per le ragioni esposte nell’atto di citazione, nonché negli scritti difensivi di primo grado’ (si vedano al riguardo le sue conclusioni riportate alla pag. 1 della sentenza impugnata) e che la Corte d’appello non ha espressamente pronunciato al riguardo. L’eccezione deve però considerarsi disattesa, essendo la mancanza di legittimazione di RAGIONE_SOCIALE incompatibile con la soluzione adottata dal giudice d’appello, di conferma della decisione di primo grado che ha riconosciuto la sussistenza del credito in capo alla medesima. Come afferma questa Corte, ‘il vizio di omessa pronuncia -configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto -non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto’ (così Cass. n. 12652/2020).
Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi:
il secondo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la Corte d’appello identifica la ricorrente quale committente sull’assunto che la stessa avesse potere di controllo e di vigilanza sulle opere stesse, ma in corso di causa è emerso dalla deposizione del testimone NOME COGNOME -unicamente che la ricorrente avesse assistito alla realizzazione delle opere, il che non equivale alla dimostrazione di un effettivo potere di controllo e di vigilanza, dimostrazione che è stata ricavata dalle dichiarazioni della testimone NOME COGNOME, testimone inattendibile;
il terzo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 246, 115 e 116 c.p.c. perché la Corte d’appello non ha ‘fornito un’esaustiva motivazione’ in merito alle censure sollevate dalla ricorrente con riguardo alla valutazione delle risultanze probatorie
da parte del Tribunale, in particolare in riferimento all’attendibilità della testimone NOME COGNOME, socia accomandante della RAGIONE_SOCIALE e convivente more uxorio con il socio accomandatario.
I motivi non possono essere accolti. Si contesta infatti la valutazione delle prove testimoniali, operata dal giudice di primo grado e confermata dal giudice d’appello, valutazione che spettava al giudice di merito e che non è sindacabile di fronte a questa Corte di legittimità, in particolare contestando il giudizio di attendibilità della testimone COGNOME (si veda al riguardo Cass. n. 25166/2019, che sottolinea come il ‘giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità’).
3. Il quarto motivo contesta violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c.: la Corte d’appello nell’affermare che la ricorrente avrebbe ammesso solo nelle note conclusive che l’esecuzione delle opere di ristrutturazione avveniva sotto il suo controllo e vigilanza, avrebbe erroneamente interpretato quanto scritto nella memoria conclusionale di primo grado; nella memoria depositata il 20 luglio 2018 si legge infatti che ‘la presente causa, così come quella r.g.n. 1601/2017 e la n. 704/2018 hanno in comune l’univocità dell’incarico conferito dalla famiglia COGNOME in relazione all’abitazione familiare (naturalmente nel merito lo scrivente contesta l’esistenza di tale incarico)’, affermazione che non consiste affatto in una tardiva ammissione di responsabilità da parte della ricorrente.
Il motivo non può essere accolto. Va anzitutto premesso che ‘l’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato’ (Cass. n. 7222/2022). La Corte d’appello, poi, ha rigettato il motivo di gravame che contestava la condanna al risarcimento del danno
ai sensi dell’art. 96 c.p.c., condanna disposta dal giudice di primo grado sulla base del comportamento processuale dell’opponente, che aveva ‘esordito escludendo di avere avuto alcun rapporto con l’impresa opposta’, ‘società con la quale non ha avuto il minimo rapporto personale’, per poi al termine del giudizio ammettere e riconoscere nelle note conclusive che l’esecuzione delle opere era avvenuta sotto il suo controllo e vigilanza, e che non aveva poi aderito senza alcuna motivazione alla proposta transattiva del consulente tecnico d’ufficio. La Corte d’appello ha al riguardo osservato ‘che pacificamente la stessa appellante ha ammesso il presupposto di fatto che il primo giudice ha posto a fondamento della condanna, ossia il riconoscimento, solo nelle note conclusive, che l’esecuzione delle opere avveniva sotto il suo controllo e vigilanza’. A tale affermazione la ricorrente obietta di avere formulato tale ammissione, non richiamando però le note conclusive di primo grado (ove effettivamente si legge ‘i signori COGNOME agli occhi di terzi estranei apparivano i reali committenti, vuoi perché beneficiari delle opere eseguite, vuoi perché presenti in cantiere a sovrintendere i lavori’, v. la pag. 5 delle note conclusive autorizzate datate 18 settembre 2017), ma la memoria depositata il 20 luglio 2018, quindi nel giudizio di appello.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente,
che liquida in euro 3.300, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della seconda