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Responsabilità commercialista: prova del nesso causale

Una società di ristorazione ha citato in giudizio il proprio commercialista a seguito di un accertamento fiscale derivante da una contabilità con saldo di cassa costantemente negativo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la responsabilità commercialista non sorge automaticamente. Spetta al cliente dimostrare il nesso causale tra l’errore del professionista e il danno subito. In questo caso, il danno (maggiori imposte) derivava dai ricavi non dichiarati dell’azienda, non dalla condotta del commercialista.

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Responsabilità commercialista: non basta l’errore, serve provare il danno

Quando un’azienda subisce un accertamento fiscale, la prima reazione può essere quella di cercare un colpevole. Spesso, il dito viene puntato contro il professionista che cura la contabilità. Ma l’errore del commercialista è sufficiente a renderlo responsabile per le imposte e le sanzioni richieste dal Fisco? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la responsabilità commercialista non è automatica e richiede una prova rigorosa del nesso causale tra la sua condotta e il danno subito dal cliente.

I Fatti del Caso: Un Conto Cassa in Negativo e l’Accertamento Fiscale

Una società di ristorazione, insieme ai suoi soci, ha convenuto in giudizio il proprio commercialista, accusandolo di negligenza professionale. Il professionista aveva curato per anni la contabilità dell’azienda, inclusa la consulenza fiscale e del lavoro.

Il problema è emerso nel 2012, quando l’Agenzia delle Entrate ha avviato una verifica fiscale sull’annualità 2010. Gli ispettori hanno rilevato “costanti saldi negativi” nel conto cassa, una grave anomalia contabile. Secondo la prassi dell’amministrazione finanziaria, un saldo di cassa negativo fa presumere l’esistenza di ricavi non dichiarati (“in nero”), utilizzati per coprire le uscite non giustificate. Sulla base di questa presunzione, l’Agenzia ha accertato maggiori ricavi per oltre 374.000 euro, liquidando imposte, sanzioni e interessi per quasi 600.000 euro.

La società ha quindi chiesto al commercialista il risarcimento di questo danno, sostenendo che la sua grave colpa professionale, consistente nel non averli avvertiti delle conseguenze di una cassa in negativo, fosse la causa diretta dell’accertamento subito.

Il Giudizio di Merito: la mancanza del nesso causale

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda della società. Secondo i giudici, non era stato provato il nesso di causalità tra la condotta del commercialista e il danno lamentato.

Le maggiori imposte, infatti, non costituivano un “danno ingiusto”, ma la legittima conseguenza della violazione di norme tributarie da parte della società stessa. In altre parole, il debito fiscale era sorto perché l’azienda aveva percepito ricavi non dichiarati, non perché il commercialista aveva tenuto male la contabilità. L’errore del professionista non aveva creato il debito, ma si era limitato a non impedire che venisse scoperto. Per ottenere un risarcimento, la società avrebbe dovuto dimostrare che, senza l’errore del commercialista, l’accertamento non ci sarebbe stato o che le imposte accertate non erano comunque dovute.

La prova nella responsabilità commercialista

La Corte d’Appello ha ribadito un principio chiave: anche in un caso di responsabilità contrattuale come quella del commercialista, spetta al cliente (attore) provare non solo l’inadempimento del professionista, ma anche il danno subito e, soprattutto, il legame diretto (nesso causale) tra i due. Allegare semplicemente l’errore del professionista non è sufficiente per addossargli automaticamente ogni conseguenza negativa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, investita del ricorso della società, ha confermato integralmente le decisioni dei gradi precedenti, dichiarando il ricorso infondato. I giudici supremi hanno ribadito con forza i principi consolidati in materia di onere della prova e responsabilità commercialista.

Il punto centrale della decisione è il “doppio ciclo causale” nella responsabilità professionale:
1. Causalità tra condotta e inadempimento: Il cliente deve dimostrare che il professionista ha tenuto una condotta negligente, violando i suoi obblighi contrattuali (ad esempio, non avvisando dei rischi di una cassa negativa).
2. Causalità tra inadempimento e danno: Il cliente deve poi provare che da questo specifico inadempimento è derivato un danno concreto.

In questo caso, il danno lamentato erano le imposte e le sanzioni. Tuttavia, la causa di questo “danno” non era l’errore contabile, ma l’evasione fiscale commessa dalla società. L’accertamento fiscale è stato solo lo strumento con cui l’amministrazione ha recuperato somme che erano comunque dovute all’Erario. Pertanto, manca il nesso causale tra la negligenza del commercialista e l’obbligo di pagare le imposte evase.

La Corte ha specificato che il cliente non può limitarsi a sostenere che un commercialista più diligente avrebbe evitato l’accertamento. Deve provare che il comportamento del professionista ha causato un pregiudizio effettivo che altrimenti non si sarebbe verificato. Un esempio potrebbe essere la perdita della possibilità di accedere a un condono fiscale a causa di un ritardo del commercialista, ma non il pagamento di imposte legittimamente dovute.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un importante monito per imprenditori e professionisti. Per i clienti, chiarisce che non è possibile utilizzare la negligenza del commercialista come scudo per le proprie inadempienze fiscali. Il pagamento delle imposte dovute non è un danno risarcibile. Per ottenere un risarcimento, è necessario dimostrare un pregiudizio ulteriore e direttamente causato dall’errore professionale. Per i commercialisti, pur confermando che la responsabilità non è automatica, la sentenza sottolinea l’importanza di adempiere ai propri doveri di diligenza e informazione, per evitare di incorrere in contestazioni che, seppur infondate nel merito del risarcimento, possono comunque generare contenziosi lunghi e costosi.

Chi deve provare il danno in una causa per responsabilità commercialista?
Spetta sempre al cliente che agisce in giudizio (l’attore) provare il nesso di causalità tra la condotta inadempiente del professionista e il danno specifico di cui chiede il risarcimento. Non è sufficiente allegare l’errore, ma bisogna dimostrare che quel preciso errore ha causato un pregiudizio economico.

Il commercialista è responsabile per le maggiori imposte accertate al cliente?
No, di regola il commercialista non è responsabile per il pagamento delle imposte dovute dal cliente. Queste somme rappresentano il corretto adempimento di un obbligo tributario del contribuente. Il danno risarcibile può sussistere solo per voci diverse, come sanzioni o interessi che sarebbero stati evitati con una condotta diligente, o per la perdita di una concreta chance favorevole.

La tenuta di un libro cassa con saldo negativo è di per sé sufficiente a fondare la responsabilità commercialista per l’accertamento fiscale subito dal cliente?
No. Sebbene la tenuta di una contabilità irregolare costituisca un inadempimento del professionista, la Corte ha stabilito che ciò non è la causa del danno rappresentato dalle maggiori imposte. La causa di tale obbligazione risiede nei ricavi non dichiarati dal cliente, che la cassa negativa fa solo presumere. Manca quindi il nesso causale tra l’errore contabile e l’obbligo di versare le imposte evase.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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