Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34677 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34677 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27918/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, con domicilio fiscale come in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE con domicilio fiscale come in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA n. 2007/2021 depositata il 3/08/2021.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 7/06/2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME si rivolse a NOME COGNOME commercialista, per avere un parere sulla maniera fiscalmente più conveniente per uscire da una società di cui era socio lavoratore.
Sostenne che il consiglio del commercialista fu di recedere dalla società facendosi liquidare la quota, anziché cederla ad altri soci, e, che, così facendo, su un realizzo di settecento settantacinquemila euro (€ 775.000,00), avrebbe pagato tributi per circa ottantacinquemila euro (€ 85.000,00).
Il COGNOME seguì il consiglio, recedendo dalla società, ma poco dopo la definizione dell’operazione apprese dallo stesso commercialista COGNOME che l’imposizione fiscale avrebbe dovuto essere di centodiciassettemila euro (€ 117.000,00), e solo pochi mesi dopo ancora, ricevette un accertamento da parte del Fisco che conteneva una pretesa tributaria di quasi duecentomila euro (€ 199.993,82).
Cosicché invece della somma di ottantacinquemila euro indicata dal commercialista inizialmente, il costo fiscale della operazione fu per il COGNOME di centonovantanovemila euro.
Il COGNOME convenne in giudizio l’COGNOME imputandogli di avergli dato un parere sbagliato sulla convenienza fiscale del recesso e dunque di avergli provocato un danno pari alla somma che aveva dovuto versare al Fisco.
In primo grado la domanda, previo espletamento di una consulenza tecnica, venne accolta dal Tribunale di Forlì, con sentenza n. 1180 del 8/10/2015, mentre la Corte di Appello di Bologna, su impugnazione dell’COGNOME, nel contraddittorio con il COGNOME, con sentenza n. 2224 del 2/10/2017, in riforma della decisione di primo grado, ritenne non ravvisabili estremi di responsabilità professionale nella condotta del commercialista.
Il COGNOME propose ricorso per cassazione.
Nella resistenza di NOME COGNOME questa Corte, con ordinanza n. 14387 del 27/05/2019, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Bologna.
NOME COGNOME COGNOME ha riassunto il giudizio e la Corte d’appello di Bologna, quale giudice di rinvio, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha, con sentenza n. 2007 del 3/06/2021, rigettato l’appello.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione, con atto affidato a sette motivi (in realtà sei, come meglio di seguito) NOME COGNOME
Risponde con controricorso NOME COGNOME.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’adunanza del 7/06/2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente propone i seguenti motivi, la cui numerazione principia, in ricorso, dal n. 2, e, quindi, essi sono in numero complessivo di sei e non di sette, come, invece, indicato nello stesso atto.
Primo motivo, rubricato in ricorso con il n. 2: nullità della sentenza, art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 111, comma 6 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., in relazione alla mancata enunciazione della motivazione, alla motivazione apparente e perplessa, in ordine alla supposta negligenza nella mancata comunicazione dei costi fiscali del recesso, della cessione delle quote e della cessione delle quote rivalutate;
secondo motivo, indicato in ricorso con il n. 3: violazione e (o) falsa applicazione di legge, art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 115 cod. proc. civ. ed all’art. 167 cod. proc. civ., in relazione all’accertamento, sulla scorta del mero principio di
non contestazione, dell’ammissibilità della rivalutazione delle quote al momento del conferimento dell’incarico al dott. COGNOME ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’ art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere della prova;
terzo motivo, indicato in ricorso con il n. 4: omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio che è stato fatto oggetto di discussione tra le parti, art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in relazione al mancato rilievo dell’intervenuta quantificazione del prelievo fiscale per l’ipotesi della cessione e della comunicazione di un maggior costo, indeterminabile per l’ipotesi di recesso del socio , nullità della sentenza, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 111, comma 6 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ.;
quarto motivo, indicato in ricorso con il n. 5: nullità della sentenza per art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 111, comma 6 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., in relazione alla mancata enunciazione della motivazione, ovvero per motivazione perplessa, apparente o «sotto soglia» con riferimento al rapporto causale tra inadempimento e danno, in relazione al disposto degli artt. 2236 e 1176 cod. civ.;
quinto motivo, indicato in ricorso con il n. 6: violazione e falsa applicazione ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 384 cod. proc. civ.;
sesto motivo, indicato in ricorso con il n. 7: violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 1218 c od. civ ., all’art. 1223 cod. civ. e all’art. 2697 c od. civ . in relazione all’applicazione delle norme relative al nesso di causalità.
In via preliminare il Collegio ritiene, sulla scorta della giurisprudenza oramai consolidata di questa Corte (Cass. n. 1542 del 25/01/2021 Rv. 660462 -01; Cass. n. 14655 del 18/07/2016
Rv. 640587 – 01) che debba escludersi un’ipotesi di incompatibilità del consigliere NOME COGNOME o un obbligo di astensione a suo carico, a comporre il collegio giudicante, per avere egli assunto la funzione di relatore nell’ordinanza n. 14387 del 2019, in quanto la partecipazione al precedente giudizio conclusosi con il provvedimento di annullamento non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un vizio di attività o in un vizio di giudizio, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta.
Ugualmente in via preliminare deve rilevarsi l’inesattezza dell’affermazione di cui alla pag. 15 del ricorso dell’avere la Corte d’appello di Bologna asseritamente estrapolato dall’ordinanza di questa Corte dei principi di diritto , con ‘sinossi’, ad avviso di parte ricorrente, ‘contestabile’ : i principi di diritto risultano affermati dalla stessa ordinanza n. 14387 del 2019 e sono stati oggetto di due massime (Rv 654093 -02 e 654093 -0 1, quest’ultima iterativa di Cass. n. 13007 del 23/06/2016 Rv. 640402 – 01) tratte, a cura dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Corte, dal testo del provvedimento, recante statuizione di cassazione con rinvio (anche) per violazione di legge (oltre che per nullità del procedimento) , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., e quindi pacificamente suscettibile di esporre il principio di diritto, ai sensi dell’art. 38 4, comma 1, cod. proc. civ.
I motivi secondo, terzo e quarto, che sono congiuntamente e promiscuamente affrontati dal ricorrente dalla pag. 17 alla pag. 27 del ricorso, possono essere congiuntamente trattati, seguendo la stessa prospettazione difensiva, pur involgendo essi sia censure di
nullità della sentenza che di violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto e di omesso esame di fatto decisivo.
I motivi sono infondati e, sotto alcuni profili, inammissibili in quanto: la motivazione della sentenza della Corte territoriale si colloca ampiamente al di sopra del cd. minimo costituzionale, avendo i giudici di merito adempiuto all’obbligo di motivazione secondo il mandato ricevuto da questa Corte con l’ ordinanza di cassazione con rinvio n. 14387 del 27/05/2019, atteso che in motivazione essi hanno richiamato le testimonianze raccolte in corso di causa dalle quali risultava che al COGNOME non era stata resa dall’COGNOME nello svolgimento del mandato professionale ricevuto, una compiuta informazione in ordine a tutte le soluzioni alternative possibili, anche e soprattutto di carattere eventualmente più vantaggioso economicamente al fine di porre termine al rapporto societario con il COGNOME, posto che risultava che egli era stato compiutamente reso edotto della sola soluzione avanz ata da quest’ultimo, ossia del recesso e non anche di quella della cessione delle quote e tantomeno della possibilità della rivalutazione ai sensi della legge n. 448 del 28/12/2001.
Le censure poste ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di fatto decisivo, sono inammissibili, in quanto volte a recuperare omissioni difensive consumate nelle pregresse fasi di merito e relative all’elaborato peritale .
Invero, le critiche alla consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado, e posta a fondamento dell’originaria sentenza di accertamento della responsabilità professionale del commercialista e di quella in questa sede impugnata, e incentrate sull’asserito carattere esplorativo dell’elaborato peritale, per avere il consulente illegittimamente preso in esame la possibilità della rivalutazione ai sensi della legge n. 448 del 2001, non sono state in alcun modo avanzate nelle competenti fasi di merito, n é risulta che l’COGNOME
abbia chiesto il rinnovo della consulenza o un supplemento di indagine.
Inoltre, sulla critica alla consulenza tecnica di ufficio, deve ribadirsi che (Cass. n. 2140 del 31/01/2006 Rv. 588057 – 01) « i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito .».
Giova, infine, a confutazione del motivo di ricorso relativo alla autonoma considerazione, da parte del consulente, del beneficio della rivalutazione ai sensi della legge n. 448 del 2001, ribadire che la consulenza tecnica di ufficio può concernere anche aspetti di ambito strettamente tecnico (Cass. n. 3717 del l’ 8/02/2019 Rv. 652736 – 01), quale, appunto, la possibilità di avvalersi di un determinato beneficio fiscale.
Il quarto e il quinto motivo, che recano i nn. 5 e 6 nell’intestazione che ne fa il ricorso torna no sulla censura di nullità della motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e al vizio di violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 2236 e 1176 cod. civ., in punto di rapporto tra inadempimento e danno.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, in quanto relativi a censure incentrate su carenze motivazionali e di
errata interpretazione delle stesse norme del codice civile, sono infondati.
Essi, invero, a fronte di una parte di motivazione superiore al minimo costituzionale alla stregua dell’orientamento nomofilattico di questa Corte (Sez. U n. 8053 del 7/4/2014 Rv. 629831 -01 e più di recente, con riguardo agli elementi istruttori, Cass. n. 27415 del 29/10/2018 Rv. 651028 – 01), si limitano a chiedere una diversa lettura delle risultanze di causa, non prospettando alcuna adeguata e ragionata critica in diritto: i giudici del merito, ancora una volta in applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte, hanno ritenuto l’inadempimento all’obbligazione professionale dell’COGNOME , avendo egli omesso di rendere compiuta informazione circa i modi più opportuni e fiscalmente vantaggiosi per il COGNOME al fine dell’uscita dalla compagine societaria.
L’inadempimento al mandato professionale è stato fondato sull’incompletezza del ventaglio di alternative prospettate al cliente, il quale, conformemente alla regola di riparto dell’onere della prova in materia contrattuale, doveva limitarsi ad allegare l’inadempimento, cosicché competeva al debitore, ossia all’COGNOME, dimostrarne la non imputabilità.
La Corte distrettuale ha riscontrato, come già fatto da questa Corte nell’ordinanza n. 14387 del 2019 di cassazione con rinvio ed enunciante specifico principio d diritto in punto di onere della prova del commercialista di individuare la causa non imputabile dell’inadempimento , che la sola divergenza tra il carico fiscale, stimato dal commercialista, dell’operazione di recesso superiore agli ottantamila euro a fronte di un’effettiva imposizione di oltre il doppio (di quasi duecentomila euro) comprovava l’inadempimento del l’COGNOME
Giova, inoltre, evidenziare che il richiamo all’art. 2236 cod. civ., ossia ai «problemi tecnici di speciale difficoltà» non è in alcun modo
argomentato e la censura incentrata su detta norma codicistica risulta, anche in questo caso, prospettata per la prima volta in sede di legittimità.
Infine, e in via conclusiva al fine di smentire l’assunto dell’inidonea ricostruzione del nesso causale per essersi in esso inserito un atto negoziale, si rileva che l ‘inserimento nella serie causale dell’atto negoziale è la causa determinativa del danno, posto che il COGNOME si era determinato ad accedere al negozio di recesso in carenza di adeguata informazione circa le alternative praticabili.
Il motivo rubricato con il n. 7 è il sesto nella rideterminazione dei motivi par tendo dell’errata numerazione di cui al ricorso. Esso reca censura di violazione e (o) falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) degli art. 1218, 1223 e 2697 cod. civ., con riferimento ancora al nesso di causalità giuridica, che non sarebbe stato adeguatamente individuato dalla Corte territoriale per mancata effettuazione della verifica controfattuale.
Il motivo è infondato: la individuazione del nesso causale risulta adeguatamente compiuta dai giudici del merito e motivata con riferimento alla circostanza (pag. 5 penultimo capoverso) dell’avere la mancata informativa da parte del commercialista NOME comportato un danno per il COGNOME, concretizzatosi nell’impossibil ità di fruire di un « consistente risparmio fiscale rispetto agli esborsi effettivamente effettuati ».
In conclusione, tutti i motivi vanno disattesi per le ragioni esposte.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate, in favore del controricorrente , come da dispositivo, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia.
La decisione di rigetto del l’impugnazione comporta che deve attestarsi, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di