Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8229 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 19232/2021 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in Vicenza INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrente –
Sanzioni Banca d’Italia
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Roma n. 323/2021 depositata il 18/01/2021.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 28 novembre 2024.
Udita la Sostituta Procuratrice Generale NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. In esito alle indagini ad ampio spettro condotte dalla Banca Centrale Europea (‘BCE’) nei confronti della Banca Popolare di Vicenza ( ‘ BPVi ‘ ), nel periodo compreso tra il 26/02/2015 e il 03/07/2015, in relazione al c.d. Meccanismo di Vigilanza Unico istituito con Regolamento Europeo del Consiglio n. 1024/2013 (che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale (ossia attinenti ai rischi che gravano sul singolo intermediario) degli enti creditizi ‘significativi’ che riserva all’ autorità nazionale di vigilanza il potere di irrogare sanzioni agli organi persone fisiche per violazione sia di norme comunitarie in materia direttamente applicabili, sia di norme nazionali traspositive di direttive comunitarie), con delibera n. 367/2017, prot. 683186, del 25/05/2017, il d irettorio della Banca d’Italia applicò a NOME COGNOME presidente del collegio sindacale della banca dal 04/05/2002 al 06/07/2016 (e nei dieci anni precedenti componente del medesimo collegio), una sanzione amministrativa di euro 105.000 per carenze nell’organizzazione , nella gestione dei rischi e nei controlli interni; per carenze nel governo societario, specie con riferimento all’assetto del gruppo, alla ripartizione delle deleghe e ai flussi informativi da parte del c.d.a. (artt. 53, co. 1, lett. b) e d) e 67,
comma 1, lett. b) e d) del TUB, nonché circolare 229 del 1999 e circolare n. 263 del 2006);
NOME COGNOME ha proposto opposizione, ex art. 145 TUB, davanti alla Corte d’appello di Roma e ha chiesto l’annullamento dell a sanzione.
La Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio della Banca d’Italia, ha rigettato l’opposizione .
Questo, in sintesi, per quanto ancora rileva alla luce dei motivi di ricorso per cassazione di seguito esaminati, il percorso argomentativo seguito dalla CDA di Roma:
(i) i rilievi a carico dell’opponente, che ne deduce la genericità e la mancanza di chiarezza, sono ben circostanziati nella lettera di contestazione (nota prot. 876930 del 07/07/2016) che, soprattutto negli allegati ( finders elaborati dalla BCE nel rapporto ispettivo), individua le irregolarità addebitate al presidente del collegio sindacale e la normativa di riferimento;
(ii) è infondata la doglianza sul rilievo attinente al processo di determinazione del prezzo delle azioni BPVi, demandato a un esperto esterno, il prof. COGNOME: il rilievo si basa sul fatto che il collegio sindacale, in presenza di oggettive criticità nella individuazione del criterio di valutazione delle azioni (poiché dei tre criteri indicati dal c.d.a. in concreto era rimasto applicabile soltanto il dividend discount method ), non ha dato impulso al c.d.a. affinché gestisse tale attività con la necessaria diligenza e avvalendosi del contributo di tutte le funzioni interne, e ha rimesso alla discrezionalità del perito un processo strategico come quello di determinazione del prezzo delle azioni;
(iii) è infondato il motivo di opposizione avverso la contestazione riguardante la violazione della disciplina dei doveri degli intermediari nella prestazione di servizi di investimento (c.d. MiFID), basate
sull’allegazione del comportamento doloso degli organi apicali della banca e sull’ asset quality review del 2014. E, infatti, premesso che ai sindaci era richiesta un’attività di presidio particolarmente penetrante, consistente nel mantenimento di una struttura interna idonea a prevenire la violazione della normativa MiFID, il dedotto comportamento doloso del direttore generale e del suo vice dimostra l’inadeguatezza del sistema di controllo e, del resto, l’attività di vigilanza del 2014 non poteva certo rallentare il sistema interno di controllo e gestione dei rischi rispetto a criticità risalenti nel tempo.
(iv) è priva di pregio la contestazione relativa all ‘ impossibilità del collegio sindacale di intervenire, in assenza di segnali di allarme e del filtro operativo delle funzioni di controllo interno, con riferimento alla concessione di finanziamenti alla clientela e alle modalità di vendita di azioni proprie, considerato tra l’a ltro che un socio (NOME COGNOME, nell ‘assemblea del 26 aprile 2014, aveva rivolto al ricorrente una specifica richiesta di chiarimenti sui finanziamenti erogati o sulle garanzie rilasciate dalla banca per l’acquisto di azioni proprie e che, dai verbali delle sedute consiliari degli anni 2013 e 2014, risultava che erano emerse anomalie relative all ‘ inadeguata disamina delle richieste di fido;
(v) al contrario di quanto ritiene l’opponente, è corretto l’addebito attinente alla procedura finalizzata al rispetto del criterio della priorità cronologica degli ordini nel dare corso alle richieste dei clienti/soci di vendita di azioni della banca in una sorta di mercato interno (dato che le azioni non erano quotate) e con il sistema di (ri)acquisto di azioni proprie : infatti, non è condivisibile la prospettazione dell’opponente secondo cui il riacquisto di azioni proprie sarebbe stato impossibile a causa della capienza del relativo fondo e sarebbe stato onere del collegio sindacale controllare la funzionalità del gestionale informatico di registrazione degli ordini di vendita dei clienti che, come
riconosciuto dai sindaci, doveva essere migliorato perché non funzionava bene;
(vi) il collegio sindacale, per il ruolo centrale che svolge nella funzione di controllo, avrebbe dovuto attivarsi, a seguito della richiesta di chiarimenti formulata dal socio COGNOME nell ‘ assemblea del 26 aprile 2014 , nell’arco dei successivi dieci mesi e prima dell’inizio dell’ispezione della BCE del febbraio 2015. È infondata l’obiezione di carattere formale del ricorrente secondo cui la segnalazione del socio non era stata presa in considerazione a causa di imprecisioni e di gravi errori in essa contenuti, considerato anche che sia la Banca d’Italia che la Consob, investite della questione, non avevano rilevato alcunché di anomalo. Si aggiunga che, l ‘ espresso obbligo di dedurre il ‘capitale finanziato’ dal patrimonio di vigilanza è previsto dalla circolare della Banca d’Italia n. 263/2006 e vige nell’ordinamento italiano dal 2011 ;
(vii) è infondata la doglianza riguardante l’affidamento del collegio sindacale nell’operato di altre funzioni della banca e l’impossibilità di un efficace controllo a causa della condotta fraudolenta della dirigenza. La normativa primaria e secondaria e la giurisprudenza assegnano al collegio sindacale accentuati compiti di controllo, che debbono investire in maniera trasversale l’intera organizzazione aziendale. Nella specie, esistevano significativi indici di anomalia, che l’organo di controllo non ha percepito; inoltre, è inverosimile che il collegio sindacale, secondo cui la direzione generale aveva indotto con minacce i soggetti coinvolti a non segnalare le anomalie, non abbia avuto sentore della gravità della situazione e del clima omertoso che si era venuto a creare. Né assume rilievo la circostanza che gli accertamenti ispettivi del 2012 non avessero messo in luce alcun aspetto anomalo dovendosi al riguardo tenere conto del fatto che l’ispezione del 2012 era finalizzata a verificare il profilo del rischio
del credito e che, in quel periodo storico, la concessione dei crediti ai soci e la pratica delle cd. ‘operazioni baciate’ non erano particolarmente diffuse;
(viii) sussiste anche l’elemento soggettivo della violazione: l’art. 3 della legge n. 689 del 1981 pone una presunzione relativa di colpa ed è onere dell’autore della violazione fornire la prova di avere agito senza colpa. Nel caso in esame la Banca d’Italia , nella lettera di contestazione, ha illustrato in maniera circostanziata le irregolarità accertate, mentre l’incolpato non ha fornito la prova della mancanza di colpa, considerato anche che, in ragione della particolare incisività dei doveri di controllo cui sono tenuti i sindaci, nemmeno il comportamento doloso dei terzi costituisce un’ esimente;
(ix) non vi è stata alcuna duplicazione delle sanzioni applicate per gli stessi fatti: non è stato violato il principio del ne bis in idem perché i fatti sanzionati dalla Banca d’Italia sono diversi e non sono sovrapponibili a quelli sanzionati dalla Consob;
(x) la sanzione è giusta alla luce del ruolo svolto dal ricorrente, il quale è stato sindaco dal 1993 al 2016 e ha ricevuto una sanzione più elevata rispetto agli altri sindaci per non essersi attivato nonostante le ripetute richieste del socio COGNOME di compiere verifiche in merito all’esistenza di finanziamenti ai soci correlati all’acquisto di azioni BPVi.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi.
La Banca d’Italia ha resistito con controricorso .
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che il ricorso sia respinto.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 145 TUB, 14 legge n. 689 del 1981, 24 e 111 Cost., per non avere la sentenza qui impugnata rilevato la genericità della lettera di contestazione, dell’atto di accertamento , della delibera impugnata e, in generale, dell’intero procedimento sanzionatorio.
Il motivo, nel suo complesso, è manifestamente infondato.
In disparte la prospettabile inammissibilità della censura per difetto di autosufficienza, per omessa riproduzione, nel ricorso, della lettera di contestazione contenente i rilievi a carico de ll’opponente, rileva il Collegio che la sentenza impugnata afferma che gli addebiti sono riportati (appunto) nella lettera di contestazione, che indica i fatti contestati e le norme, primarie e secondarie, che si assumono violate.
Del resto, la parte privata ha dato prova di avere compreso gli addebiti rispetto ai quali ha svolto una difesa certosina, sia nel giudizio di merito, nel quale ha proposto un ricorso di centodiciotto pagine suddivise in diciassette motivi, sia in sede di legittimità, dove ha proposto un ricorso con otto motivi.
2. Il secondo motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981, nonché l”omesso esame di fatto decisivo’ , 24 e 111 Cost.: la CDA di Roma avrebbe erroneamente ravvisato l’inerzia del collegio sindacale con riferimento al processo di pricing delle azioni della banca, sollecitato dalla Banca d’Italia, e basato sulla stima operata da un esperto indipendente (il prof. COGNOME), trascurando che la determinazione del sovrapprezzo delle azioni compete all’assemblea dei soci, su proposta del c.d.a.; che, nella specie, il collegio sindacale aveva regolarmente incontrato il
prof. COGNOME che, nel 2012, lo stesso collegio aveva consultato l’associazione professionale avvocati e commercialisti, la quale aveva effettuato una stima del valore unitario delle azioni di BPVi identica a quella del prof. COGNOME che, infine, nel 2014, i sindaci si erano rivolti al prof. NOME COGNOME il quale aveva confermato la correttezza della metodologia utilizzata dall’esperto indipen dente prof. COGNOME.
Il motivo, nel suo complesso, è manifestamente infondato.
Ad avviso del Collegio -e questa considerazione va estesa a tutti i motivi nei quali è dedotto il medesimo vizio -non sussiste l ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.): il ricorrente non individua, nel rispetto della previsione dell’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c., alcun fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. La censura -riproposta in ciascuno degli otto motivi – si sostanzia nella critica alla ricostruzione fattuale operata dalla CDA di Roma in relazione alle violazioni ascritte all’ ex presidente del collegio sindacale della BPVi all’esito della verifica ispettiva e sulla base della delibera sanzionatoria, la cui valutazione esula dal sindacato della S.C.
Il giudice di merito non è incorso nemmeno nel prospettato errore di diritto. Si impongono due premesse concettuali, che si attagliano anche agli altri motivi di ricorso.
In primo luogo, sul piano generale, il vizio di violazione di legge è integrato dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (tra le altre, Cass. 18/04/2023, n. 10263, in motivazione, e le pronunce di legittimità ivi indicate).
In secondo luogo, quanto al tema del decidere, che concerne la sanzione inflitta al presidente del collegio sindacale della BPVi, in accordo con la giurisprudenza sezionale (Sez. 2, Sentenza n. 15293 del 2024, in connessione con Sez. 2, Sentenza n. 1602 del 26/01/2021, Rv. 660155 -01, in tema di sanzioni Consob per violazione degli obblighi di controllo del collegio sindacale), vanno enunciati i seguenti principi di diritto:
(a) in tema di sanzioni amministrative pecuniarie applicabili ai sensi degli artt. 144 e 145 TUB, il componente del collegio sindacale risponde a titolo di dolo o di colpa dell ‘ omesso o del carente adempimento, cosciente e volontario, dei doveri di controllo e di ispezione di cui all ‘ art. 2403 comma 3 c.c., non diversamente da quanto previsto dalla disciplina generale dell ‘ illecito amministrativo di cui alla legge n. 689 del 1981, che esclude forme di responsabilità oggettiva;
(b) i componenti del collegio sindacale, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo ‘ quoad functione ‘ , gravando sui sindaci, da un lato, l ‘ obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell ‘ adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società, secondo i parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare di vigilanza; dall ‘ altro lato, l ‘ obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d ‘ Italia;
(c) i sindaci non sono responsabili per fatto altrui, e cioè per il compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri, e non sono tenuti a sottoporre gli organi amministrativi ad un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma debbono esercitare tempestivamente il potere-dovere di vigilanza e controllo interno riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale.
Nello specifico, la CDA di Roma, attenendosi a questi principi con un accertamento di fatto che sfugge al sindacato della Cassazione – ha stabilito che il collegio sindacale è rimasto inerte e ha omesso di rilevare, segnalare e contribuire a sanare i profili di criticità e di inattendibilità del metodo (previsionale) (cd. dividend discount method ) di determinazione del valore delle azioni (l’unico concretamente applicabile rispetto ai tre criteri che erano stati sottoposti all’esperto esterno) , benché tali aspetti critici potessero essere desunti da una serie di circostanze ignorate (non soltanto dal c.d.a., ma anche) dal collegio sindacale. Sicché, per il giudice di merito, COGNOME non può efficacemente contestare l’addebito (vedi pag. 19 della sentenza) ‘facendo riferimento alla formalistica presa d’atto delle risultanze peritali contenute nel parere annuale del collegio sindacale’.
3. Il terzo motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2403 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981: la CDA di Roma avrebbe erroneamente ravvisato la responsabilità del collegio sindacale in relazioni ad attività (adeguatezza di procedure e struttura dei controlli e delle funzioni interne della BPVi; pianificazione commerciale e ‘campagna svuota fondo ‘) r iconducibili alla sfera discrezionale e alle insindacabili scelte strategiche del c.d.a.
Il motivo, nel suo complesso, è manifestamente infondato.
Come sottolineato in controricorso (pag. 15), la principale contestazione riguarda la carenza di controllo s ull’adeguatezza delle procedure e della struttura dei controlli e le campagne ‘svuotafondo’, che consistevano nel finanziamento occulto prestato dalla banca alla clientela e ai soci, ai quali BPVi rivendeva le proprie azioni dopo averle acquistate attingendo al l’ apposito fondo interno, che ripristinava tramite la rivendita dei medesimi titoli.
La sentenza, basandosi sugli aspetti oggettivi acquisiti nel procedimento sanzionatorio, spiega (a pag. 21) che il collegio sindacale non ha fornito alcun apporto qualitativo alla tenuta del sistema di prevenzione e contenimento dei rischi in ordine alla corretta applicazione della normativa MiFID riferibile al tipo di attività di consulenza svolta dalla banca relativamente all ‘ offerta in sottoscrizione delle proprie azioni, nonostante le ricadute che simili violazioni avrebbero potuto determinare a carico della banca. Per la Corte territoriale, il comportamento doloso dei manager COGNOME e COGNOME non ha efficacia esimente e, anzi, è una circostanza idonea a confermare l ‘ inadeguatezza del sistema dei controlli.
4. Il quarto motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2403, 2407 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981, nonché l”omesso esame di fatto decisivo e motivazione carente’ : la CDA di Roma ha ritenuto insufficiente l’attività di controllo del collegio sindacale in relazione alla concessione di finanziamenti alla clientela della banca, alle modalità di vendita delle azioni della BPVi, e ha stigmatizzato il mancato rilievo e l ‘omessa segnalazione di irregolarità delle funzioni aziendali dell ‘intermediario , trascurando: che si trattava di fatti di gestione; che al collegio sindacale non spettava la revisione legale dei conti, demandata alla società di revisione RAGIONE_SOCIALE che, con riferimento alla concessione dei finanziamenti alla clientela, nel corso
dell’ispezione del 2012 , la Banca di Italia aveva escluso che vi fossero questioni tali da richiedere incontri con il collegio sindacale; che, con riferimento alla vendita di azioni proprie, la Consob aveva riconosciuto l’assenza di rilievi da muovere al collegio sindacale in mancanza di prova del la conoscenza, da parte dei sindaci, dell’attività svolta dalle strutture commerciali.
5. Il quinto motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981 , nonché l”omesso esame di fatto decisivo e motivazione carente ‘ : laddove la CDA di Roma ha attribuito la responsabilità al collegio sindacale con riferimento all’attività di vendita di azioni e di acquisto di azioni proprie da parte della banca, non ha tenuto conto che il collegio sindacale, sia prima che dopo il mese di ottobre 2014 (quando venne imposto alla BPVi di riacquistare le proprie azioni seguendo le disposizioni CRR), non aveva modo di controllare le richieste di vendita, la presa in carico degli ordini e l’eventuale evasione o rifiuto degli stessi, quali attività di competenza di altri organi (divisione mercati e unità operativa gestione operativa soci, funzione compliance , internal audit , comitato dei soci e c.d.a.).
6. Il sesto motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981: la CDA di Roma ha posto l’accento sul mancato approfondimento, da parte del collegio sindacale, delle questioni sollevate dal socio COGNOME trascurando che lo stesso collegio sindacale aveva risposto al socio dopo avere interpellato i responsabili delle funzioni aziendali internal audit e compliance , e che la Banca d’Italia e la Consob, destinatarie di analoghe richieste da parte dello stesso socio, non avevano dato alcuna risposta.
6.1. Il quarto, il quinto e il sesto motivo, suscettibili di esame congiunto perché pongono le stesse questioni, nel complesso delle censure in essi articolate, sono manifestamente infondati.
Debbono essere ripetute considerazioni identiche a quelle svolte nell’esame dei motivi precedenti, con la precisazione, rispetto alla doglianza di ‘motivazione carente’ (motivi quattro e cinque) che la sentenza è chiara e analitica, espone adeguatamente le ragioni su cui poggia, e perciò soddisfa senz’altro il requisito del ‘minimo costituzionale’, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679).
Nel dettaglio, la CDA ha evidenziato i segnali di allarme (emersi anche nelle sedute consiliari degli anni 2013 -2014) che avrebbero imposto al collegio sindacale di svolgere un ruolo attivo di controllo, anziché restare inerte n ell’attesa che , al suo posto, si attivasse qualche altra struttura interna di controllo; inoltre, ha evidenziato -con particolare riferimento alla cruciale problematica dei ‘finanziamenti baciati’ – che nessuna risposta era stata data al socio COGNOME, benché questi, nell’assemblea del 26 aprile 2014, avesse indirizzato al presidente del collegio sindacale una specifica richiesta di chiarimenti sui finanziamenti erogati e sulle garanzie rilasciate dalla banca per l’acquisto d elle azioni proprie.
Per il giudice di merito, conclusivamente, a fronte del ruolo di controllo attivo demandato al (ma non svolto dal) collegio sindacale, sono risultate inconferenti sia le interlocuzioni di quest’ultimo con la società di revisione KPMG, sia l’esistenza di alcune determinazioni Consob favorevoli alla banca (dovendosi anche ricordare che la Consob agisce in funzione della salvaguardia di interessi diversi da quelli la cui tutela è demandata a lla Banca d’Italia).
7. Il settimo motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 c.c., 3, 8 e 9 legge n. 689 del 1981: la CDA di Roma ha errato nel non rilevare che il collegio sindacale non aveva oggettivamente il potere e la possibilità materiale di esaminare le operazioni che le unità operative e la direzione stavano potendo in essere, né di comprendere che il direttore generale e amministratore delegato della BPVi, NOME COGNOME e il vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati, NOME COGNOME, avevano realizzato ‘un impianto operativo volto a mascherare le operazioni di finanziamento correlate all’acquisto di azioni della Banca’ e che – in un clima di crescente omertà da parte dei soggetti coinvolti (direttori generali e capi area), sottoposti a pressioni e minacce -i due manager avevano aggirato le funzioni di controllo, coll’ulteriore considerazione che, come era emerso nel corso del l’audizione del responsabile dell’ internal audit NOME COGNOME effettuata dal collegio sindacale il primo settembre 2015, quest’ultimo, dopo avere svolto indagini sulle segnalazioni di finanziamenti correlati all’acquisto di azioni BPVi, in data 4 settembre 2014, aveva consegnato il suo rapporto soltanto al direttore generale, senza informare né il consiglio di amministrazione né lo stesso collegio sindacale.
Il motivo, nel suo complesso, è manifestamente infondato.
Il dictum della CDA di Roma, basato su profili fattuali incensurabili in sede di legittimità, è in linea con la giurisprudenza della Corte (Sez. 2, Sentenza n. 24170 del 04/08/2022, Rv. 665556 – 02), che il Collegio condivide e intende riproporre, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d ‘ Italia, i sindaci delle società bancarie per andare esenti da responsabilità devono dare prova di aver esercitato i poteri di controllo loro spettanti, non essendo all ‘ uopo sufficiente, in presenza di una
condotta illecita posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all ‘ oscuro; in tal caso, dal comportamento inerte dei sindaci consegue la mancata adeguata vigilanza sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l ‘ attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.
8. L’ottavo motivo censura, ai sensi degli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 legge n. 689 del 1981: la CDA di Roma ha ritenuto giusta la pena pecuniaria amministrativa sulla base del ruolo centrale svolto dal ricorrente, senza ave re valutato se egli, al momento dell’applicazione della sanzione e attualmente, versasse e versi in condizioni economiche compatibili con la sanzione al medesimo inflitta.
Il motivo è infondato.
La CDA di Roma ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto congrua e insuscettibile di riduzione la complessiva sanzione irrogata al presidente del collegio sindacale – pari a euro 105.000 (che, evidenzia la sentenza, è inferiore al massimo edittale di euro 129.110 previsto dall’art. 144 TUB ) – alla luce dei parametri normativi (artt. 11, legge n. 689/1981, 144 TUB).
Sotto questo profilo, è il caso di richiamare il consueto orientamento di questa Corte, secondo cui il giudizio sulla adeguatezza e proporzionalità della sanzione amministrativa è rimesso dalla legge alla discrezionalità del giudice di merito, che ha il potere di quantificarne l ‘ entità, entro i limiti sanciti dalla disposizione applicata, allo scopo di commisurarla all ‘ effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, con
conseguente insindacabilità della relativa valutazione in sede di legittimità (Cass. n. 19856 del 2024 che, in motivazione, menziona Cass. n. 4844 del 2021; Cass. n. 5526 del 2020; Cass. n. 9126 del 2017; in termini, Cass. n. 11481 del 2020).
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
11 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 8.000, a titolo di compenso, più euro 200, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile,