Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15293 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 15293 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO P.U. 11/04/2024
SANZIONI AMMINISTRATIVE
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di distinte procure speciali allegate al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata su separato foglio allegato materialmente al controricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso i medesimi, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4459/2018 (pubblicata il 2 luglio 2018);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, per i ricorrenti, e l’AVV_NOTAIO, per la controricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento del 23 ottobre 2012 n. 890349, approvato con deliberazione del Direttorio n. 689/2012, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia definitiva il procedimento sanzionatorio instaurato, tra gli altri, contro NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali componenti del collegio sindacale della RAGIONE_SOCIALE, a seguito degli accertamenti ispettivi di vigilanza eseguiti dal 30 maggio al 30 settembre 2012, all’esito dei quali veniva irrogata, nei riguardi di ciascuno degli stessi, la sanzione pecuniaria di euro 15.000,00.
Ai citati sanzionati era stato contestato l’illecito riconducibile alle carenze nei controlli imposti dall’art. 53, comma 1, lett. b) e d) del d. lgs. n. 385/1993, nonché delle norme contenute nel tit. IV cap. 11 delle Istruzioni di vigilanza delle banche -circ. 229/1999, nonché nel tit. I cap. I, parte IV, delle nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, circ. 263/2006 -disposizioni di vigilanza del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche.
Il COGNOME e il COGNOME proponevano opposizione avverso la suddetta delibera sanzionatoria dinanzi al TAR Lazio, il quale -con sentenza del 25 febbraio 2015 -dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. A seguito della riassunzione avanti alla Corte di appello di Roma, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE d’Italia e con l’intervento del PG presso la stessa Corte laziale, le opposizioni venivano integralmente respinte con sentenza n. 4459/2018, ravvisandosi l’insussistenza:
della dedotta violazione dell’art. 14 della legge n. 689/1981, avuto riguardo all’asserita tardività della contestazione dell’addebito, avvenuta oltre il novantesimo giorno dall’accertamento del 30 settembre 2011;
della denunciata violazione della mancata corrispondenza tra contestazione e condotta sanzionata;
della prospettata carenza, erroneità e motivazione dell’impugnata delibera sanzionatoria;
dell’erroneità dell’accertamento di condotte illecite ascrivibili a componenti del collegio sindacale della RAGIONE_SOCIALE;
della sproporzione ed incongruità della misura delle sanzioni irrogate.
Contro la suddetta sentenza di rigetto della Corte di appello di Roma hanno formulato un congiunto ricorso per cassazione COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, affidato a otto motivi (di cui il primo riferibile, in via esclusiva, al solo COGNOME).
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
Il PG e i difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 140 c.p.c., per aver la Corte di appello ritenuto -con la sentenza impugnata – tempestiva la notifica del verbale di avvio del procedimento sanzionatorio, da considerarsi, invece, affetta da nullità.
In particolare, il COGNOME lamenta che la procedura notificatoria di cui all’art. 140 c.p.c. non era stata correttamente eseguita, in quanto esso ricorrente non aveva reperito l’avviso del deposito presso la Casa comunale, che avrebbe dovuto essere affisso sulla porta della sua casa di abitazione. Per contro, si evidenzia che la Corte di appello aveva preso in esame la questione della scissione degli effetti della notificazione fra mittente e destinatario, la quale, tuttavia, non era stata dallo stesso sollevata in giudizio con l’atto di opposizione.
1.1. Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Diversamente da quanto con esso prospettato, la Corte di appello non è incorsa nella dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che ha posto riferimento alla richiamata rilevata
distinzione relativa alla scissione degli effetti della notificazione fra notificante e notificatario proprio per desumerne che, nella fattispecie, non si era venuta a verificare la supposta violazione dell’art. 140 c.p.c.
La Corte laziale, proprio sulla base di questo ormai pacifico presupposto giuridico (che trova applicazione anche nell’ambito dei procedimenti sanzionatori amministrativi: cfr. Cass. SU n. 12332/2017, Cass. n. 28388/2017 e Cass. n. 20515/2020), ha ritenuto legittima e tempestiva la notificazione dell’atto di contestazione dell’addebito nei confronti del COGNOME, rilevando che, a fronte della definizione dell’accertamento avvenuto il 30 settembre 2011, si era provveduto all’invio del suddetto atto di contestazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario il 21 dicembre 2011 e, quindi, entro il termine decadenziale di legge.
A tal proposito la Corte di appello ha opportunamente richiamato, considerandolo applicabile, quanto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 12332/2017, con cui è stato affermato che il principio della scissione degli effetti della notificazione tra il notificante ed il destinatario dell’atto trova applicazione anche per gli atti del procedimento amministrativo sanzionatorio – non ostandovi la loro natura recettizia -tutte le volte in cui dalla conoscenza dell’atto stesso decorrano i termini per l’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato e, ad un tempo, si verifichi la decadenza dalla facoltà di proseguire nel procedimento sanzionatorio in caso di omessa comunicazione delle condotte censurate entro un certo termine, dovendo bilanciarsi l’interesse del notificante a non vedersi imputare conseguenze negative per il mancato perfezionamento della fattispecie “comunicativa” a causa del fatto di terzi che intervengano nella fase di trasmissione del contenuto dell’atto e quello del destinatario a non essere impedito nell’esercizio di propri diritti, compiutamente esercitabili solo a seguito dell’acquisita conoscenza del contenuto dell’atto medesimo. Pertanto, a questi fini, non rileva che l’esecuzione della notificazione sia avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., senza trascurare il dato che
lo stesso ricorrente ha attestato di aver ricevuto il plico, con effetto perciò sanante e tale da consentirgli il pieno dispiegamento delle sue attività difensive (cfr. Cass. n. 11713/2011 e Cass. n. 19522/2016).
Oltretutto, per quanto evincibile dagli atti acquisiti in causa (esaminabili anche nella presente sede, vertendosi in un caso di denuncia di un vizio processuale), è emerso che il timbro apposto dall’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione dell’atto di contestazione degli addebiti ai sensi dell’art. 140 c.p.c. reca la data del 28 dicembre 2011 e nella stessa data il medesimo aveva compiuto le attestazioni relative all’affissione dell’avviso di deposito alla porta del destinatario e all’invio di altro avviso R.R. con spedizione presso il domicilio dello stesso COGNOME comunicandogli l’avvenuto deposito, così risultando completata la procedura notificatoria prevista dal citato art. 140 del codice di rito (peraltro, per vincere tali attestazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario, occorreva proporre -rimedio che non risulta, invece, essere stato esperito dal COGNOME – querela di falso, stante la natura fidefaciente della relazione di notificazione: v., ad es., Cass. n. 1699/2019 e, già, Cass. n. 1125/1998).
Pertanto, deve ritenersi che, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981, non costituisce elemento integrante della notificazione l’effettiva conoscenza acquisita dal destinatario in una data successiva, la quale -semmai -esercita la sua efficacia sulle attività di cui costui ha diritto di avvalersi, quali la presentazione delle proprie controdeduzioni, il cui termine di 30 giorni previsto dal TUB viene a decorrere dalla data di ricezione del plico, avvenuta, nel caso di specie, il 10 gennaio 2012 (come dallo stesso ricorrente ammesso: cfr. pag. 8 del ricorso).
Con il secondo motivo di ricorso sia il RAGIONE_SOCIALE che il RAGIONE_SOCIALE deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost., sul presupposto che la Corte di appello avrebbe, erroneamente, ritenuto corretta la motivazione del provvedimento sanzionatorio.
La censura è priva di pregio.
A tale proposito, occorre rilevare che l’atto sanzionatorio, pur se sostanzialmente riproduttivo degli esiti delle operazioni ispettive, non può certo, per tale motivo soltanto, essere considerato insufficientemente motivato (v., ad es., Cass. n. 10745/2015), rispondendo, pertanto, per quanto in modo essenziale, alle doglianze mosse dai ricorrenti, non risultando, perciò, integrata la violazione del diritto di difesa ed al contraddittorio degli stessi.
Va, oltretutto, ricordato che -sul piano generale -il provvedimento sanzionatorio con cui la P.A., disattendendone le deduzioni difensive, irroga al trasgressore una sanzione amministrativa è censurabile dal giudice dell’opposizione, sotto il profilo del vizio motivazionale, unicamente nel caso in cui sia del tutto privo di motivazione (ovvero quando questa sia solo apparente) e non anche se la stessa risulti insufficiente, atteso che l’eventuale giudizio di inadeguatezza motivazionale involge una valutazione di merito che non compete al giudice ordinario, concernendo il giudizio di opposizione non l’atto della P.A., ma il rapporto sottostante (Cass. SU n. 1786/2010, Cass. n. 2959/2016 e Cass. n. 12503/2018).
Nel caso di specie, oltretutto, vengono in rilievo sanzioni amministrative irrogate ex art. 144 TUB, le quali non sono comparabili a quelle di cui all’art. 187 -ter TUB, e quindi non possono considerarsi del tutto soggette al regime di garanzie proprio del processo penale (Cass. n. 3656/2016 e Cass. n. 16517/2020).
Con il terzo motivo i due ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia sull’eccezione di violazione dei principi di colpevolezza e personalità, previsti dagli artt. 3 e 6 della legge n. 689/1981, stante l’uniformità degli addebiti mossi indistintamente a tutti i membri degli organi amministrativi e di controllo della RAGIONE_SOCIALE
Diversamente da quanto denunciato, il Collegio rileva che -per come chiaramente emergente dallo sviluppo motivazionale contenuto nelle pagg. 10-11 della sentenza impugnata – risultano essere stati evidenziati i puntuali doveri incombenti sugli organi di controllo societari e, in particolare, le carenze concretamente
rilevate nello svolgimento di tale specifica attività rispetto agli organi di amministrazione.
Da ciò consegue l’insussistenza del dedotto vizio di omessa pronuncia.
Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2403 c.c., dell’art. 53, comma 1, lett. b) e d), TUB, nonché delle norme contenute nel Titolo IV, Capitolo 1 delle Istruzioni di vigilanza per le Banche di cui alla Circolare n. 229/99 della RAGIONE_SOCIALE d’Italia; nel Titolo I, Capitolo 1, parte quarta delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le Banche, di cui alla circolare n. 263/06 della RAGIONE_SOCIALE d’Italia e, infine, nelle Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, adottate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia con provvedimento del 4 marzo 2008, in ordine al contenuto degli obblighi di controllo del Collegio sindacale.
In sostanza, con tale censura, i ricorrenti denunciano, nel ripercorrere le motivazioni del provvedimento sanzionatorio, che la Corte di appello avrebbe avvalorato l’attribuzione ai sindaci della citata banca (qualità rivestita dal COGNOME e dal COGNOME) della funzione di valutare nel merito la convenienza ed opportunità delle scelte gestorie societarie, obliterando, però, di considerare che al collegio sindacale non compete l’organizzazione delle funzioni di controllo interno, spettanti alla governance bancaria.
La censura è priva di fondamento.
La sentenza impugnata si è, infatti, uniformata alla giurisprudenza -ormai costante -di questa Corte, alla stregua della quale sono stati enunciati i seguenti principi:
-i n tema di sanzioni amministrative pecuniarie applicabili ai sensi degli artt. 144 e 145 TUB, il componente del collegio sindacale è imputabile a titolo di dolo o di colpa per l’omesso o il difettoso compimento, cosciente e volontario, dei doveri di controllo e di ispezione di cui all’art. 2403, terzo comma, c.c., non diversamente da quanto previsto dalla disciplina generale dell’illecito amministrativo di cui alla legge n. 689 del 1981 che esclude forme di responsabilità oggettiva;
-in materia di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia bancaria, i componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo “quoad functione”, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società, secondo i parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare di vigilanza e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
In altri termini, diversamente da quanto prospettato con il motivo in esame, non si tratta di imputare ai sindaci una responsabilità per il compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri, né di sottoporre gli organi amministrativi ad un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma di esigere l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge pone a carico dei sindaci, esercizio che, nella specie, la Corte di appello di Roma ha accertato essere mancato con una motivazione del tutto logica e sufficiente, perciò insindacabile nella presente sede di legittimità.
Al riguardo, la citata Corte (v., soprattutto, pagg. 13-14 della motivazione della sentenza qui impugnata) ha adeguatamente evidenziato l’assenza di iniziative volte a far emergere e a rimuovere le anomalie e le irregolarità rilevate (sul punto, v. Cass. SU n. 20934/2009 e, già con specifico riferimento alle sanzioni ex art. 144 TUB, Cass. n. 5239/2008), non essendosi i medesimi attivati per far emergere gli indici di criticità correlati all’attività gestoria bancaria (tra i quali la larga diffusione di condotte scorrette dei promotori, la vendita di prodotti rischiosi senza adeguate cautele, il ritardo nella segnalazione dell’applicazione della normativa antiriciclaggio).
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della disciplina normativa regolatrice del riparto
dell’onere probatorio, di cui all’art. 2697 c.c. ed all’art. 3 della legge n. 689/1981 (in rapporto all’art. 115 c.p.c.), sostenendosi che la Corte di appello avrebbe conferito rilevanza unicamente alle risultanze degli accertamenti ispettivi, senza considerare le controdeduzioni documentali degli stessi ricorrenti, fra le quali il rapporto della RAGIONE_SOCIALE D’ITALIA 18.10.2012 prot. 0873007/12, che aveva escluso qualsivoglia responsabilità, e degli organi gestori e degli organi di controllo, per le perdite patrimoniali subite da BNI.
Contrariamente a quanto sostenuto con la formulata censura, deve evidenziarsi che la Corte di appello non si è limitata a recepire acriticamente e pedissequamente le risultanze degli accertamenti ispettivi, ma ha provveduto a vagliare autonomamente e in modo tra loro coordinato varie circostanze fattuali, fra cui: il significativo contenzioso sviluppatosi a seguito della offerta di prodotti finanziari non adeguati, nel periodo di operatività dell’organo sindacale di controllo; il non aver impedito, quindi, un’estesa diffusione di vendita incauta di prodotti ad elevata rischiosità per la clientela (oltretutto riferita ad una banca di piccole dimensioni) e -come già evidenziato il ritardo nell’adozione della normativa antiriciclaggio.
Peraltro, è appena il caso di aggiungere che il riferimento al su citato rapporto della RAGIONE_SOCIALE d’Italia concerne unicamente lo specifico problema della diminuzione della patrimonialità della BNI, ma non esclude in alcun modo che all’organo di controllo fossero addebitabili specifiche omissioni nelle loro funzioni.
Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’arco temporale degli accertamenti ispettivi.
Si deduce che tali accertamenti avrebbero posto riferimento unicamente a fatti occorsi fra il maggio 2010 e il settembre 2011, senza considerare quelli anteriori, sui quali la stessa RAGIONE_SOCIALE d’Italia aveva condotto un accertamento ispettivo diverso da quello oggetto della presente causa, riferibile sino alla data del 17.10.2008, conclusosi senza la contestazione di addebiti.
Diversamente da quanto opinato dai ricorrenti, la Corte di appello ha adeguatamente chiarito che l’esclusione della responsabilità del
sindaco COGNOME era giustificata dal fatto che egli aveva cominciato a svolgere il suo incarico dal 27 aprile 2010, nel mentre il RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE lo avevano assunto a far data dal 26.9.2007 e che le loro omissioni di vigilanza – nel corso del periodo in cui essi avevano rivestito tale qualità – erano state verificate con gli accertamenti ispettivi che erano stati poi posti a fondamento della impugnata delibera sanzionatoria.
La circostanza della contestata ‘perimetrazione temporale’ risulta, dunque, essere stata esaminata.
Con il settimo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 144 e 145 TUB in relazione al rilievo ispettivo n. 11), con il quale si contestava la mancata osservanza delle prescrizioni antiriciclaggio, di cui all’art. 7, d.lgs. 231/2007, fattispecie estranea al potere di controllo degli Istituti di credito e di normazione secondaria della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, di cui al citato art. 53 TUB.
A tal proposito va rilevato che l’area applicativa dell’art. 53 TUB concerne il controllo interno (comma 1, lett. d) e il contenimento del rischio (comma 1, lett. b) e la violazione della relativa normativa secondaria trova la disciplina sanzionatoria nell’art. 144 TUB.
Nel caso, non risulta essere stato applicato il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 56 del d.lgs. 231/2007, che pertanto non viene in rilievo nella vicenda dedotta in causa.
Con l’ottavo ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa pronuncia sulla dedotta incompetenza della RAGIONE_SOCIALE d’Italia all’irrogazione di sanzioni concernenti la prestazione di servizi di investimento, da intendersi, invece, devoluta alla competenza RAGIONE_SOCIALE dal TUF.
La doglianza è priva di fondamento, dal momento che la Corte di appello ha preso specifica posizione sulla questione (v. ultima parte di pag. 11 e la prima della successiva pag. 12), rilevando che le sanzioni irrogate al RAGIONE_SOCIALE e al COGNOME attenevano alla violazione della disciplina dell’attività di controllo interno e non invadevano, pertanto, la sfera di attribuzioni propria della RAGIONE_SOCIALE.
Più specificamente nella sentenza impugnata è stato correttamente posto in risalto che non aveva rilievo che la contestata carenza nei controlli interni concernesse anche l’attività di collocamento tra i clienti della banca di prodotti finanziari soggetta a vigilanza della RAGIONE_SOCIALE, poiché la contestazione e la conseguente sanzione applicata avevano riguardato i controlli interni della banca e l’adeguatezza dell’attività di controllo da esercitarsi sulle funzioni societarie e non esorbitavano, quindi, dai compiti di vigilanza sulle banche assegnati alla RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
È da escludersi, quindi, la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.
In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile