Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11568 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11568 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7963/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale e tributario COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’avvocatura della banca, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso il decreto n. 8419/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
1. La Corte d’appello di Roma, con decreto reso pubblico il 26/8/2019, rigettò l’opposizione proposta da NOME COGNOME Vice Direttore Generale e RAGIONE_SOCIALE (‘chief financial officer’) della Banca Popolare di Vicenza, avverso la delibera della Banca d’Italia, che gli aveva inflitto la sanzione amministrativa pecuniaria di € 208.500,00, di cui € 93.000,00 per le riscontrate irregolarità dell’operazione denominata ‘Fresh’.
1.2. NOME COGNOME si oppose all’inflitta sanzione sulla base di plurimi motivi, compendiati dalla Corte di Roma, in sintesi, nei termini seguenti:
-in virtù della regola del ‘favor rei’ il provvedimento era divenuto illegittimo, in quanto gli artt. 144 e 144 ter T.U.B. erano stati modificati dal d. lgs. n. 72 del 12/5/2015;
non era stato assicurato il contraddittorio nel procedimento attivato dalla B.C.E.;
-era stato violato il principio del contraddittorio e, in particolare, lesa la distinzione tra funzione istruttoria e decisoria;
-l’istruttoria e la motivazione erano inadeguati e il procedimento amministrativo sanzionatorio era stato svolto in contrasto con le norme che imponevano di distinguere tra funzione istruttoria e decisoria; inoltre, il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso in attesa che quello penale, intentato contro il ricorrente, si concludesse;
-era stato violato il principio di pregiudizialità dell’accertamento amministrativo rispetto a quello penale ex art. 24, l. n. 689/1981;
-era stato violato il principio di specialità di cui all’art. 9, l. n. 689/1981;
-era stato violato o falsamente applicato l’art. 145 T.U.B., addebitandosi al provvedimento amministrativo intrinseca contraddittorietà, carenza d’istruttoria, contraddittorietà e carenza
della motivazione a riguardo della ipotizzata sua responsabilità funzionale;
la sanzione era stata determinata senza tener conto dei criteri di cui all’art. 11, l. n. 689/1981.
NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di Roma sulla base di sette motivi.
La Banca d’Italia resiste con controricorso, in seno al quale propone ricorso incidentale condizionato.
Il ricorrente ha depositato memoria e il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta, con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso; parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa contenente anche istanza di trattazione della causa in pubblica udienza.
Preliminarmente, si deve disattendere l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza avanzata dal ricorrente. Invero, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare (Cass. Sez. U. n. n.38162/2022). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass. n.6118/2021; Cass. n.8757/2021).
Venendo al merito, con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 9, l. n. 689/1981 (principio di specialità).
Assume il ricorrente di avere dimostrato davanti alla Corte di Roma l’identità del fatto, con un plus specializzante nella imputazione penale mossa all’esponente.
Da qui la conclusione secondo la quale avrebbe dovuto trovare applicazione la sola previsione di cui all’art. 2638 cod. civ.
4.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
A fronte della pluralità di contestazioni amministrative, esuberanti rispetto a quelle penali, siccome osservato dal Giudice del merito, il motivo difetta di specificità, non essendo stato riportato il puntuale contenuto delle contestazioni mosse in sede penale.
Contenuto che, comunque, tenuto conto della qualità del delitto definito dall’art. 2638 cod. civ., caratterizzato da dolo specifico (‘ al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza ‘), non può reputarsi assiomaticamente sovrapponibile all’incolpazione amministrativa, la quale presuppone la sola ‘suitas’ della condotta.
Di conseguenza, non appare risolutiva l’affermazione, enunciata in materia di controlli CONSOB, secondo la quale la condotta sarebbe la medesima (Cass. n. 8855/2017).
Invero, se il fatto materiale, imputato in sede penale e contestato in quella amministrativa, può dirsi identico (in sintesi, essere venuto meno all’obbligo di collaborazione con l’autorità di controllo), la condotta non lo è.
Mentre nella seconda ipotesi è sufficiente che essa sia caratterizzata dalla mera consapevolezza dell’ ‘agere’ (‘suitas’), nella prima l’agente deve perseguire dolosamente il fine di ostacolare le funzioni di vigilanza.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 51, co. 1, 66, co. 1, T.U.B., nonché delle circolari della Banca d’Italia n. 229/19991 (istruzioni di vigilanza per le banche), n. 155/1991 (nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche), n. 49/1989, n. 272/2008 e n. 115/1990.
La contestazione, deduce il ricorrente, presupponeva che egli fosse gravato di assicurare la correttezza del quadro informativo da
trasmettere alla Vigilanza, in quanto coinvolto nell’operazione ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Ciò sulla base di una erronea ricostruzione del ruolo e della qualificazione dei doveri dell’esponente.
Per contro, <>.
Pur dopo avere assunta la carica di CFO l’esponente non era interlocutore della Banca d’Italia, avendo il solo compito, secondo il regolamento interno, di <>.
Il provvedimento impugnato, pur non avendo esaminato il predetto regolamento, aveva dato vita a <>, ancorando il dovere di comunicazione agli artt. 51 e 66 T.U.B., che, invece, si riferivano, secondo l’impugnante, <>, che la Corte di Roma non aveva distinto al fine di un corretto apprezzamento giuridico e se ciò avesse fatto avrebbe dovuto concludere che solo la supervisione delle segnalazioni periodiche spettavano al CFO, che <>.
6. Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 689/1981.
L’addebito di non avere attestato, come richiesto dalla Banca d’Italia, l’inesistenza di altri contratti, oltre quelli comunicati, così
impedendo l’acquisizione di fatti rilevanti per l’apprezzamento dell’operazione ‘Fresh’, avrebbe dovuto, semmai, essere mosso nei confronti degli esponenti della Banca deputati a interloquire con la Banca d’Italia.
In ogni caso le condotte omissive, soggiunge il ricorrente, si erano consumate prima del 20/10/2008 (epoca in cui l’esponente aveva assunto il ruolo di CFO).
In conclusione, la norma evocata era stata violata per essere stato il ricorrente giudicato responsabile per condotta non propria.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 689/1981.
Si sostiene che il ricorrente non avrebbe potuto essere giudicato colpevole di avere omesso di comunicare informazioni che riguardavano gestione altrui, così finendo per richiedere un vaglio intollerabilmente penetrante diretto alla ricostruzione ex post di <>. Vaglio che avrebbe implicato poteri di vigilanza che non competevano al CFO.
Con il quinto motivo, posto in via di subordine, viene denunciata violazione degli artt. 27, co. 2, Cost., 13 l. n. 689/1981 e 2697 cod. civ.
L’esponente afferma che la Corte romana aveva illegittimamente preteso che fosse egli tenuto a provare la propria estraneità all’addebito.
I motivi dal secondo al quinto, tra loro correlati, meritano rigetto.
9.1. Il provvedimento della Corte distrettuale (pagg. 17 e seg.) accerta in fatto che il COGNOME, CEO dal 20/10/2008, tenuto dallo stesso regolamento della Banca a curare <>, era stato destinatario della nota del 27/10/2008 della Banca d’Italia, che riscontrando la missiva dell’Istituto bancario del 23/9/2008, dal tenore pienamente
rassicurante quanto all’eliminazione dei rischi che avrebbero potuto scaturire dai contratti di usufrutto e ‘swap’ stipulati con JP Morgan, dichiarandosi estranea ai <>, giudicò che <>.
Da qui, prosegue la Corte di Roma, l’obbligo del nuovo CFO di informarsi sul contenuto della lettera del 23/9/2008, ricostruire la vicenda e curare i rapporti con la Banca d’Italia, il che gli avrebbe consentito di constatare che <>.
Premesso che i responsabili tenuti al dovere di comunicazione alla Banca d’Italia (artt. 51 e 66 T.U.B.) non godono di alcuna discrezionalità d’apprezzamento della rilevanza o meno della documentazione da mettere a disposizione dell’Autorità di controllo, <>. Dalle emergenze di causa risultava che il COGNOME fosse pienamente a conoscenza di tutto ciò.
Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non
potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate.
La Corte di Roma, ben oltre l’essenziale sintesi sopra riportata, spiega analiticamente, non solo gli accadimenti che avrebbero
dovuto indurre a segnalare all’autorità di controllo la mancanza dei presupposti per far luogo all’operazione, senza esporre a rischio il capitale della Banca e, quel che più importa, evidenzia l’assunzione della posizione di garanzia da parte del Morelli.
Costui era tenuto, sulla base dello stesso regolamento dal medesimo invocato e al quale egli assegna un irragionevole significato riduttivo, a curare la <>.
Invero, la cura della correttezza implica, di necessità, la verifica del permanere di essa correttezza e il pieno padroneggiamento della vicenda finanziaria, peraltro di rilievo niente affatto secondario. Opinando il contrario, irragionevolmente il ruolo del direttore finanziario resterebbe svilito a quello di un impiegato d’ordine, cui sia assegnato il compito di ‘passa -carte’.
9.2. La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, Cass., S.U., n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
9.3. L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
9.4. La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf., Cass. nn. 15879/2018, 3709/2014).
9.5. Quanto, infine, all’imputabilità soggettiva è fermo principio che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’art. 190 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, individuando una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e
funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, àncora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., S.U., n. 20930 del 30/09/2009, Rv. 610512 -01; conf. Cass. nn. 4114/2016, 27365/2018).
Ovviamente, il principio, stante la contiguità per materia e valori tutelati, nonché per medesimezza di complessità e responsabilità, non può non applicarsi alle violazioni in materia bancaria.
Più in generale, il principio posto dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981 secondo il quale per le violazioni amministrativamente sanzionate è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente, sul quale grava, pertanto, l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa (Cass. Sez. 62, n. 11777, 8/06/2020, Rv. 658212 -01; conf., ex multis, Cass. n. 13610/2007).
10. Con il sesto motivo, posto in ulteriore subordine, viene denunciato l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, costituiti dalle emergenze probatorie del procedimento penale, che avrebbero dimostrato l’estraneità del COGNOME.
10.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
In primo luogo, la critica è aspecifica, non essendo dato sapere quali siano state le emergenze del processo penale che si assumono rilevanti e per quale ragione lo sarebbero state.
In secondo luogo, non si versa in ipotesi di omesso esame, bensì di esclusa rilevanza in concreto, avendo la Corte di merito spiegato, sul piano sostanziale, la caratterizzazione per dolo specifico del delitto di cui all’art. 2638 cod. civ.
11. Con il settimo motivo, posto in ultimo subordine, viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 8, co. 2, e 11 l. n. 689/1981, determinante errore nella determinazione della sanzione, sotto duplice profilo: erroneo inquadramento nella fattispecie del concorso di illeciti ex art. 8 l. n. 689/1981 e conseguente applicazione dell’art. 144 T.U.B., non vertendosi in più condotte frazionabili; <>, rapportata a quella addebitata ad altri incolpati, puniti meno severamente, nonostante fossero stati giudicati colpevoli delle medesime violazioni e, addirittura, rivestissero ruoli di maggiore responsabilità.
11.1. La doglianza è priva di fondamento.
Le condotte poste in essere dal COGNOME, sebbene realizzanti la medesima violazione di legge, furono plurime.
In tema di sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere inequivocabilmente più condotte realizzatrici della medesima violazione, non è applicabile in via analogica l’istituto della continuazione di cui all’art. 81, comma 2, c.p., ma esclusivamente quello del concorso formale, in quanto espressamente previsto dall’art. 8 della legge n. 689 del 1981, il quale richiede l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni. La disciplina stabilita dal citato art. 8 non subisce deroghe neppure in base al successivo art. 8 bis della medesima legge che, salve le ipotesi eccezionali del comma 2, ha escluso, sussistendo determinati presupposti, la computabilità delle violazioni
amministrative successive alla prima solo al fine di rendere inoperanti le ulteriori conseguenze sanzionatorie della reiterazione (Sez. 2, n. 10890, 07/05/2018, Rv. 648176 -01).
Nel resto la critica è manifestamente aspecifica e inconcludente: in disparte dell’invincibile insondabilità dell’entità della sanzione inflitta ad altri, la determinazione del ‘quantum’ di essa non è in questa sede censurabile.
Nel suo complesso, in conclusione, il ricorso principale merita rigetto.
Rigettato il ricorso principale, quello incidentale condizionato è assorbito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.200,00 per compensi, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 12