Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6478 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6478 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2460/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante legale p.t., COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL, EMAIL;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME
elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, già SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
e contro
BANCA RAGIONE_SOCIALE PUGLIA RAGIONE_SOCIALE BASILICATA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente-
e nei confronti di
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, NOMECOGNOME
-intimati-
e sul ricorso incidentale proposto da:
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, già SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente incidentale-
e nei confronti di
SPANO NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE PUGLIA e RAGIONE_SOCIALE;
e sul ricorso incidentale proposto da:
BANCA RAGIONE_SOCIALE PUGLIA RAGIONE_SOCIALE BASILICATA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante legale p.t., COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL, EMAIL
– controricorrente-
e nei confronti di
SPANO NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4321/2022, depositata il 22/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’RAGIONE_SOCIALE, ricevuto in data 05.05.2008 l’estratto del conto corrente bancario n. 000010977207, apprendeva che era stato aperto, a sua insaputa, un conto corrente a lei intestato e che il fabbricato di sua proprietà, sito in Roma, INDIRIZZO era stato oggetto di stipula di preliminare di compravendita in data 18.1.2008 e di successivo contratto definitivo di vendita in data 6.3.2008 in favore dell’RAGIONE_SOCIALE con sede in Mercogliano (AV).
Dagli atti dispositivi, che risultavano rogati dal notaio NOME COGNOME, emergevano le seguenti circostanze: i) il conferimento di un mandato a vendere l’immobile a NOME COGNOME con procura speciale con sottoscrizione autenticata dal notaio COGNOME; ii) la vendita dell’immobile, in forza di detta procura, per euro 4.000.000,00; iii) la produzione, ad opera di NOME COGNOME sua rappresentante legale, all’atto della stipula del definitivo, di una delibera della società RAGIONE_SOCIALE Borghese datata 19.02.2008,
nella quale la società, dato atto della partecipazione all’assemblea del socio unico RAGIONE_SOCIALE e della maggioranza del Collegio sindacale, confermava il mandato alla vendita al procuratore speciale NOME COGNOME; iii) la stipulazione in data 6.3.2008, con atto rogato da NOME COGNOME del contratto definitivo, con contestuale versamento del saldo tramite 56 assegni dell’importo di euro 50.000,00 ciascuno e di un assegno circolare dell’importo di euro 33.333,00, emessi in data 6.3.2008 dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata -Filiale Avellino; iv) il trasferimento del corrispettivo ricevuto per la vendita alla RAGIONE_SOCIALE attraverso 216 assegni circolari dell’importo di euro 12.500,00 ciascuno.
L’RAGIONE_SOCIALE presentava querela per i fatti descritti in data 07.05.2008 presso la Questura di Roma nei confronti di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della direttrice della Filiale dell’Unicredit S.p.A., con richiesta di sequestro urgente dell’immobile.
Evocava, poi, in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, la Unicredit S.p.ARAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, chiedendo che fossero accertate la falsità dei documenti che avevano portato alla vendita dell’immobile, compresa l’apertura del conto corrente presso la Unicredit S.p.A., la nullità dei negozi di trasferimento (preliminare e definitivo) dell’immobile di INDIRIZZO e degli ulteriori negozi giuridici, fra cui il contratto di apertura di conto corrente stipulato da NOME COGNOME con la Unicredit S.p.A. -Filiale di INDIRIZZORoma, con conseguente accertamento della responsabilità del notaio COGNOME e della Unicredit S.p.A. per aver operato negligentemente, rendendo possibile la truffa perpetrata ai suoi danni.
Si costituiva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e proponeva domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna al risarcimento del danno, diretta non solo verso l’attrice bensì pure trasversalmente nei confronti degli altri convenuti e dei terzi chiamati che con essa avevano concorso alla verificazione del danno.
Si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande avanzate nei loro confronti: NOME COGNOME, NOME COGNOME, la sua compagnia assicuratrice Cattolica Assicurazioni S.p.A., NOME COGNOME, Unicredit S.p.A., NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME. La Banca Popolare di Puglia e Basilicata veniva dichiarata contumace.
Il Tribunale di Roma, con sentenza non definiva n. 25034/2009, dichiarava la falsità dei seguenti atti: 1) la procura a vendere rilasciata in data 21.12.2007 a in favore di NOME COGNOME e relativo atto di autenticazione della sottoscrizione della apparente rappresentata; 2) il contratto preliminare di compravendita stipulato il 18.1.2008 dal falso NOME COGNOME (in realtà rivelatosi essere NOME COGNOME) con l’RAGIONE_SOCIALE con sottoscrizioni autenticate dal notaio COGNOME avente ad oggetto la vendita dell’immobile sito in Roma INDIRIZZO; 3) la delibera assembleare del 19.2.2008 risultante dall’estratto certificato del libro assemblee della Immobiliare Borghese; 4) il contratto definitivo di compravendita in data 6.3.2008, rogato dal notaio COGNOME relativo all’immobile di INDIRIZZO; 5) il contratto di conto corrente acceso il 30.1.2008 presso la Unicredit S.p.A. a nome della Immobiliare Borghese S.p.A. e relative movimentazioni; 6) il documento di identità utilizzato dal sedicente NOME COGNOME
Dichiarava, di conseguenza, la nullità dei contratti preliminare e definitivo di vendita dell’immobile per cui è causa.
Disposta, altresì, la riunione al giudizio RG 69330/2014, introdotto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Unicredit S.p.A. e della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, per addivenire alla condanna degli Istituti trattario e negoziatore dei titoli di cui al prezzo della compravendita dell’immobile ex art. 43 L. Ass. e nel quale Unicredit S.p.A. aveva formulato istanza di chiamata in causa dei notai COGNOME e COGNOME per essere manlevata da ogni responsabilità, il Tribunale di Roma pronunciava la sentenza n. 8583/2017, con cui, ritenuti accertati il comportamento negligente del notaio COGNOME e dei dipendenti di Unicredit S.p.A., la responsabilità di NOME COGNOME, risultante anche in sede penale, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME considerati gli artefici della truffa, escluso ogni addebito a carico di NOME COGNOME, del notaio NOME COGNOME e di NOME COGNOME, rigettava le domande di risarcimento danni della società attrice; in accoglimento delle domande riconvenzionali della società convenuta, la RAGIONE_SOCIALE, condannava NOME COGNOME, la Unicredit S.p.A., NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, in solido tra loro, a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 1.823.222,00, oltre agli interessi, nella misura legale, dal 18.01.2008 sino all’effettivo soddisfo; condannava la società Cattolica di Assicurazione a tenere indenne il notaio NOME COGNOME di quanto questi avrebbe dovuto pagare all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei limiti del massimale di polizza e detratta la franchigia; rigettava le domande proposte nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME regolava le spese di lite in relazione a ciascuno dei rapporti processuali.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello principale e l’RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE, la Banca Popolare di Puglia e Basilicata spiegavano appello incidentale.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME restavano contumaci.
Nelle more del giudizio, RAGIONE_SOCIALE rinunziava agli atti e all’azione proposta nei soli confronti della RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, della Società Cattolica di Assicurazione, con i quali aveva raggiunto una transazione.
L’RAGIONE_SOCIALE rinunziava agli atti e all’azione proposta nei confronti di Unicredit RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della Società Cattolica di Assicurazione.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 22/06/2022, resa pubblica il 23/06/2022 , dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente all’appello principale proposto da Unicredit S.p.A. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la Società Cattolica di Assicurazione e relativamente all’appello spiegato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Unicredit S.p.ARAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della Società Cattolica Assicurazioni nonché nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha accolto parzialmente l’appello incidentale di Immobiliare Borghese S.p.A., relativamente alla statuizione con cui il tribunale, dopo avere affermato che era indubbio il comportamento negligente tenuto dal notaio NOME COGNOME e dai dipendenti della Unicredit S.p.A., aveva poi erroneamente respinto la domanda di risarcimento, ritenendola non provata, nonostante fosse stata chiesta la condanna generica dei convenuti al risarcimento del danno, per la quale non era necessaria la prova degli specifici danni derivati dalle condotte illecite imputate ai danneggianti, ritenendo detta prova fornita tramite elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti.
Ha confermato la responsabilità di Unicredit S.p.A. per il comportamento colposo dei suoi dipendenti, posto che, se questi fossero stati più accorti al momento dell’apertura del conto e avessero tempestivamente segnalato le operazioni effettuate dalla
correntista in violazione della normativa antiriciclaggio, non sarebbe stato aperto il conto corrente sul quale era transitato il pagamento del prezzo del preliminare di compravendita e del definitivo e sarebbe stato, quindi, ostacolato, se non impedito, il perfezionamento del disegno criminoso orchestrato in danno della RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato il motivo di appello con cui Unicredit S.p.A. aveva censurato la sentenza di primo grado, sostenendo che la domanda di condanna generica di RAGIONE_SOCIALE andava rigettata non per mancanza di prova del danno, ma per l’inconfigurabilità di alcuna sua responsabilità ex art. 1176, 2° comma, cod.civ. e per difetto di nesso causale, previa valutazione dell’incidenza causale esclusiva e o determinante della condotta gravemente colposa di RAGIONE_SOCIALE
Ha escluso il concorso del fatto colposo di RAGIONE_SOCIALE nella produzione del danno, in quanto la perdita temporanea della disponibilità giuridica dell’immobile per cui è causa era derivata non da una materiale apprensione del bene da parte degli autori del raggiro, che la società proprietaria avrebbe potuto agevolmente percepire e impedire con una più attenta sorveglianza dello stabile, ma da una condotta clandestina compiuta mediante l’uso di documenti falsi, della quale l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva avuto notizia solamente dopo la stipula del definitivo.
Ha rigettato anche il terzo motivo d’appello con cui Unicredit S.p.A. aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di manleva e garanzia formulata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per essere tenuta indenne dalle pretese risarcitorie di RAGIONE_SOCIALE e/o nella parte in cui, a fronte dell’implicito rigetto di tale domanda, non aveva compensato le spese processuali tra le predette parti, ritenendo l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE entrambe
danneggiate dal comportamento colposo tenuto dai dipendenti di Unicredit S.p.a. in concorso con altri soggetti.
Ha dichiarato assorbiti i restanti motivi dell’appello proposto da Unicredit S.p.A.
Ha rigettato l’appello incidentale della Banca Popolare di Puglia e Basilicata con cui si doleva del fatto che il tribunale avesse erroneamente affermato che non si era costituita in giudizio e nella parte in cui, conseguentemente, non si era pronunciato sulle spese di lite, perché non avendo l’RAGIONE_SOCIALE proposto nel giudizio di primo grado alcuna domanda nei confronti della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, non era configurabile nemmeno in astratto una soccombenza nei suoi confronti tale da rendere configurabile una sua condanna alle spese ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ. e perché, avendo il tribunale accolto le domande risarcitorie proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, di Unicredit Banca S.p.A., di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, non veniva in rilievo il principio per cui <>.
In accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, ha condannato Unicredit S.p.A. e NOME COGNOME in via generica e in solido al risarcimento dei danni patiti da RAGIONE_SOCIALE, da liquidare in separato giudizio. Accogliendo la domanda riproposta da NOME COGNOME nei confronti della Società Cattolica di Assicurazione, ha dichiarato quest’ultima tenuta a manlevare NOME COGNOME delle eventuali somme dal medesimo dovute all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
limiti del massimale di polizza, detratto lo scoperto contrattualmente pattuito e gli importi eventualmente già corrisposti in esecuzione della sentenza di primo grado.
Ha regolato le spese di lite.
Unicredit S.p.RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi.
L’immobiliare RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale fondato su quattro motivi, i primi due adesivi al secondo e al terzo motivo del ricorso principale.
La Banca Popolare di Puglia e Basilicata ha resistito con controricorso ed ha proposito ricorso incidentale fondato su un motivo, cui ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONE_SOCIALE la Banca Popolare di Puglia e Basilicata e l’RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di Unicredit Banca S.p.A.
1) Con il primo motivo si denunzia <>.
L’errore del giudice a quo consisterebbe nell’avere ritenuto che tra UniCredit S.p.A. e NOME COGNOME fosse intervenuta reciproca rinuncia ed accettazione esclusivamente in relazione alle domande di cui all’impugnativa principale proposta da UniCredit S.p.A. e non già anche con riguardo alla impugnativa incidentale successivamente formulata da Unicredit S.p.A. a seguito del gravame incidentale di RAGIONE_SOCIALE
Il motivo non merita accoglimento, perché è vero che, rispettando le prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., la ricorrente ha dimostrato che, dopo la rinuncia per intervenuta transazione, aveva dichiarato di avere interesse alla prosecuzione del giudizio relativamente all’appello principale con riferimento alle parti con cui non era intercorsa la transazione ed all’appello incidentale, ma ciò non è mai stato messo in dubbio dalla corte territoriale.
Per dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo , la transazione intervenuta con il notaio COGNOME aveva determinato la cessazione della materia del contendere nei suoi confronti anche con riferimento all’appello incidentale, Unicredit Banca S.p.A. avrebbe dovuto dimostrare che la transazione aveva fatto venir meno il suo interesse non solo con riferimento alla domanda nei confronti dell’COGNOME spiegata con l’appello principale ma anche con riferimento a quella oggetto di appello incidentale. La cessazione della materia del contendere infatti implica la constatazione dell’automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti, regolando con l’accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia, in quanto, avendo le parti disposto sui fatti oggetto di accertamento, è venuto meno l’interesse per l’accertamento giudiziale degli stessi.
Ora, l’appello incidentale di cui si discute è quello che era stato proposto, ex art. 343 cod.proc.civ., il 18 dicembre 2017, a seguito dell’impugnazione proposta da Immobiliare Borghese S.p.ARAGIONE_SOCIALE (v. p. 14 della sentenza) ed aveva ad oggetto i capi della decisione impugnati da RAGIONE_SOCIALE trascritti e richiamati al § 4.1 (v. p. 23 della sentenza), quelli cioè che riguardavano il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti dell’COGNOME, sebbene nei confronti dello stesso fossero stati ravvisati plurimi comportamenti negligenti in ordine all’accertamento dell’identità
dei comparenti, e il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti di Unicredit S.p.A. per la negligente condotta tenuta dai suoi dipendenti, in entrambi i casi per la mancata prova della sussistenza del danno richiesto.
Il dubbio che la cessazione della materia del contendere non riguardasse anche l’appello incidentale andava superato dalla ricorrente, a fortiori perché il contenuto della domanda formulata nei confronti dell’COGNOME v. § 5.1.8, p. 32 della sentenza -era stata persino oggetto di diversa qualificazione da parte del giudice a quo , negando che, contrariamente alla pretesa di Unicredit S.p.A., essa contenesse una domanda di regresso ex art. 1299 cod.civ., previo accertamento della quota di responsabilità da attribuirsi a ciascuno dei condebitori solidali.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta <>.
La sua tesi è che la corte appello abbia reso una motivazione meramente apparente, perché, dopo aver dato atto che, là dove il convenuto si opponga alla domanda di condanna generica, non basta l’accertamento probabilistico della sussistenza del danno, essendo il giudice obbligato a stabilire se il pregiudizio si sia verificato o meno con certezza e non con semplice probabilità, con preclusione della prosecuzione della pretesa attorea a seguito di accertamento negativo di detto danno in una seconda fase o in un successivo giudizio, avrebbe deciso diversamente dal tribunale, ritenendo provata per presunzioni la sussistenza di detto danno, ma trascurando di considerare che il verificarsi dello stesso era stato reso possibile dal disinteresse della RAGIONE_SOCIALE, l’asserita danneggiata, nei confronti dell’immobile.
Il motivo è infondato.
Dietro la denuncia formale della ricorrenza di un vizio motivazionale che non ricorre affatto, perché il ragionamento della corte d’appello si comprende pienamente, si cela la denuncia di un’errata valutazione dei fatti perché non corrispondente ai desiderata della ricorrente che è inammissibile, perché incompatibile con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità.
La corte d’appello non ha deciso in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, né è incorsa nel vizio motivazionale imputatole, perché, per un verso, ha tenuto conto del fatto che l’opposizione del convenuto rendeva insufficiente, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la mera prospettazione di una condotta illecita potenzialmente produttiva dei danni lamentati, per l’altro, ha accertato la sussistenza del danno inferendola da indizi gravi, precisi e concordanti, desumibili dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE era una società operante nel settore della gestione alberghiera e immobiliare e nella compravendita di immobili, che essa era stata privata della facoltà di mettere a reddito il bene, di disporne o di provvedere alla sua manutenzione, avendone perso la disponibilità tanto giuridica -in virtù della trascrizione del contratto preliminare e del contratto definitivo – fino al passaggio in giudicato della sentenza parziale n. 25034/2009 -quanto materiale, fino al dissequestro disposto con provvedimento del GIP in data 22 marzo 2017.
Né può imputarsi alla corte d’appello di avere ritenuto provato il danno sulla scorta delle presunzioni, giacché esse costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più
idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (Cass. 02/11/2021, n. 31071).
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729, 2697, 2043 e 2049 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., e della ricorrenza di una motivazione solo apparente quanto alla fondatezza della domanda di condanna generica al risarcimento del danno formulata dall’RAGIONE_SOCIALE, avendo nella sentenza gravata il giudice d’appello fondato la presunzione di esistenza di danni certi per l’RAGIONE_SOCIALE su fatti storici e dati, privi della relativa gravità, precisione e concordanza, quanto, in particolare: a) al fatto che per statuto l’RAGIONE_SOCIALE risultasse operante nel settore della gestione alberghiera, vendita, acquisto e gestione di immobili che non legittimava la conseguente valutazione di perdita del reddito per mancata vendita o gestione dell’immobile su cui si era incentrata l’operazione illecita, essendo rimasto acclarato che l’immobile era stato tenuto in uno stato di incuria; b) alle trascrizioni pregiudizievoli che non legittimavano l’affermazione di alcun certo ed esistente conseguente danno per l’RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALE che se n’era avveduta solo al momento della ricezione del primo estratto conto da parte di Unicredit S.p.A. e delle successive verifiche effettuate; ciò dimostrava che fino a quel momento non aveva pensato di vendere, di ristrutturare l’immobile né di utilizzarlo in alcun modo; c) al sequestro disposto in sede penale che era stato ritenuto la conseguenza di un comportamento illecito ascrivibile ad altri, cioè agli autori della truffa e al notaio rogante l’atto di compravendita, senza considerare che era stata la stessa RAGIONE_SOCIALE a richiedere il sequestro penale del cespite e che quindi le si doveva imputare la perdita della disponibilità materiale dell’immobile fino alla data del dissequestro.
Il motivo è infondato.
Premesso che <> e che la gravità non viene meno se l’inferenza presuntiva non sia certa, che <> e che <>, può imputarsi al giudice di merito di avere sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei caratteri, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma non ci si può limitare a lamentare non solo che il singolo elemento indiziante è stato male apprezzato dal giudice o che è privo valenza inferenziale, ma anche che la valutazione complessiva non conduce nell’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori, prospettando l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ove non emerga l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. 21/03/2022, n. 9054).
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 2° comma, 2697,
2043 e 2049 e 1227 cod.civ., anche alla stregua delle previsioni di cui alla c.d. normativa antiriciclaggio e l’omesso esame degli atti aventi fede privilegiata fondanti il legittimo affidamento sull’identità e sulle posizioni sostanziali di diritto delle parti, rispettivamente, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Secondo la banca ricorrente non vi sarebbe alcuna correlazione tra il pregiudizio lamentato dall’RAGIONE_SOCIALE e le vicende del rapporto bancario e dei pagamenti ivi transitati, perché il danno era stato cagionato dagli artefici della truffa e dal comportamento colposo dell’RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE: l’immobile era stato scelto ad arte dai fratelli COGNOME e da NOME COGNOME, perché era di pregio, al centro di Roma, in stato di totale abbandono; i truffatori, acquisiti dal legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, i suoi dati, avevano falsificato con grande abilità i documenti di identità, si erano rivolti al notaio NOME COGNOME che avevano conosciuto in precedenza, il quale aveva autenticato una serie di documenti, senza neppure visionare i documenti che avevano reso possibile la stipulazione del preliminare, prima, e del contratto definitivo, poi; avevano individuato nella RAGIONE_SOCIALE l’acquirente ideale per portare a compimento la truffa, la quale, allettata dall’affare, non aveva trovato nulla di anomalo nell’offerta di un bene a un quinto del suo valore né nel fatto di essere riuscita a spuntare un prezzo dimezzato, senza visionare l’immobiliare, senza mai trattare direttamente con la società proprietaria, senza allarmarsi né quando NOME COGNOME le aveva segnalato la falsità dei motivi ostativi all’accesso nell’immobile addotti da NOME COGNOME e nemmeno quando quest’ultimo in sede di stipulazione del contratto non era stato in grado di ricordare la sua data di nascita e tantomeno quando gli aveva consegnato, in nero, in una valigetta, più di un milione di euro.
La ricorrente insiste nella proposizione della tesi, disattesa in entrambi i gradi di merito, circa la sua estraneità alla produzione del danno risentito dall’RAGIONE_SOCIALE, collocandosi i fatti che le erano stati imputati, l’apertura del rapporto di c/c sul quale era transitato il prezzo della vendita ed alla esecuzione dello stesso, con l’emissione degli assegni tratti dalla provvista così depositata sul conto, <>, perché la perdita della disponibilità dell’immobile si era già interamente realizzata, anche con il concorso colposo dell’RAGIONE_SOCIALE che la corte d’appello avrebbe invece erroneamente escluso.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte -Cass. n. 15642/2022 quanto alla valenza del precetto dell’art. 1176, 2° comma, cod.civ. ed agli obblighi di identificazione sanciti dalla normativa antiriciclaggio, allo scopo di dimostrare che la censura integra gli estremi di una violazione di legge, non avendo contenuto meramente contrappositivo alla decisione di merito, la ricorrente sostiene di essersi limitata a dare puntuale e dovuta esecuzione delle disposizioni impartite dalla cliente, alle quali non poteva sottrarsi, né quanto al versamento ed alla disponibilità degli importi che la correntista aveva fatto confluire sul conto corrente, né quanto alle disposizioni di emissione degli assegni richiesti, perché: a) si trattava di una società di capitali che, per statuto, contemplava nel proprio oggetto sociale l’attività di acquisto, di vendita e di gestione di immobili, la quale aveva fatto confluire nel conto corrente il provento economico di una compravendita immobiliare dell’importo di euro 4.000.000,00 risultante da atto pubblico avente fede privilegiata, alla quale era peraltro allegata copia certificata conforme per estratto del notaio COGNOME della delibera societaria attributiva della procura speciale a vendere a NOME COGNOME nonché copia della relativa fattura di acquisto del 06.03.2008 dell’RAGIONE_SOCIALE; b) decorso il
termine contrattualmente previsto -termine dilatorio previsto proprio per paralizzare eventuali truffe -aveva ottemperato all’ordine della correntista di ottenere l’emissione degli assegni circolari richiesti al fine di addivenire alla conclusione di altro contratto di compravendita immobiliare con altra società del settore, la RAGIONE_SOCIALE
Aggiunge che non solo non vi era stato ritardo da parte sua nella segnalazione antiriciclaggio -pacificamente effettuata ed invece erroneamente indicata come mai effettuata alla pag. 31 della sentenza qui impugnata -ma che, comunque, essendo una segnalazione, la sua effettuazione non avrebbe potuto impedire le operazioni suddette. Denunzia anche, ex art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., la violazione dell’art. 132 e 112 cod.proc.civ., là dove la corte d’appello ha ritenuto l’emissione dei suddetti assegni imputabile a negligenza e imprudenza dei suoi dipendenti, considerando irrilevanti gli argomenti con cui aveva dedotto che gli organi preposti al controllo si erano utilmente attivati dopo il versamento del corrispettivo della compravendita al sedicente procuratore dell’RAGIONE_SOCIALE e che i fatti sospetti erano stati denunciati alle autorità competenti in data 8 maggio 2008.
Insiste nella assenza di violazione della normativa antiriciclaggio, perché non ricorrevano i presupposti per sospettare che fossero in corso o che fossero state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Il motivo è nel suo complesso inammissibile: a) sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., perché i fatti denunciati come omessi al contrario sono stati presi in considerazione della corte d’appello (pp. 26-30 della sentenza), sicché non ricorre il deficiente esame di punti decisivi della controversia, sostanziandosi la censura in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte, una
volta considerato che l’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione; b) sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., le censure non sono affatto tali da individuare e denunziare una violazione di legge, perché oltre ad essere meramente ripropositive delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, hanno anche contenuto meramente oppositivo rispetto alla valutazione di giudizio espressa nella sentenza impugnata (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632). La ricorrente non offre alcun argomento a questa corte per confutare la ritenuta violazione già contenuta nella sentenza del tribunale e condivisa dalla corte d’appello degli artt. 18 e 19 del d.lgs. n. 231/2007 nel testo ratione temporis applicabile in merito all’inadempimento degli obblighi di verifica del cliente, con particolare riguardo al cliente che sia una società (v. p. 29 della sentenza), in ragione dell’inaffidabilità della patente che presentava un periodo di validità fortemente anomalo, né quanto alla violazione della normativa antiriciclaggio, con riferimento alla sussistenza di elementi che avrebbero dovuto far sospettare che le operazioni in corso fossero di riciclaggio (pp. 3031) e che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, avrebbero imposto l’astensione dal compimento dell’operazione (p. 31 della sentenza); il che come, peraltro, emerge dalla impugnata sentenza (p. 31), anche a prescindere dall’avvenuta segnalazione,
avrebbe imposto alla segnalante di astenersi dall’eseguire le disposizioni ricevute.
Il complesso percorso argomentativo della corte d’appello rende ben comprensibili le ragioni per cui sono state ritenute irrilevanti la successiva segnalazione dei fatti alle autorità di controllo e la denuncia penale dell’8 maggio 2008: fatti che non cancellavano la mancata tempestiva rilevazione delle anomalie del documento utilizzato per aprire il conto corrente e per movimentarlo; comportamento esigibile anche se il cliente era una società, il cui oggetto sociale prevedeva il compimento di operazioni immobiliari.
Ricorso incidentale della Società Cattolica RAGIONE_SOCIALE
5) Premesso che detto ricorso incidentale è definito <> per conseguire anche nei confronti del coobbligato solidale NOME COGNOME l’annullamento del capo della sentenza resa dalla corte d’appello che ha condannato in via generica e in solido Unicredit S.p.A. e NOME COGNOME al risarcimento dei danni patiti da Immobiliare Borghese S.p.A., da liquidare in separato giudizio e sul conseguente capo con cui Unicredit S.p.A. e NOME COGNOME sono stati condannati in solido al rimborso, in favore dell’Immobiliare Borghese S.p.A. delle spese processuali, ad eccezione della parte dei motivi in cui Unicredit banca S.p.A. ha configurato l’asserita colpa esclusiva del notaio NOME COGNOME la qui ricorrente incidentale deduce <>, perché, avendo contestato la sussistenza del danno oggetto della domanda di condanna generica, la corte appello non avrebbe potuto rinviare ad un successivo giudizio la liquidazione del quantum , limitando la domanda alla sola condanna generica, mancando <>.
A supporto della sua tesi la ricorrente adduce l’ordinanza n. 17984/2022 di questa Corte che, discostandosi motivatamente dal risalente principio enunciato da Cass., Sez. Un., n. 12103/1995, infondatamente richiamato nel caso di specie dalla impugnata sentenza, ha affermato che l’attore non può proporre la domanda risarcitoria limitandosi a chiedere una condanna generica -cioè limitata al solo an debeatur – e fare riserva di introdurre un successivo giudizio per l’accertamento del quantum sulla falsariga di quanto dispone l’art. 278 cod.proc.civ. che <>, con la conseguenza che la limitazione della domanda al solo an debeatur deve ritenersi tamquam non esset , con la conseguenza che il giudice dovrà pronunciare sulla domanda risarcitoria e rigettarla se non provata sul quantum .
Il motivo è infondato.
La pronuncia n. 1798/2022 è stata superata dalla pronuncia delle Sezioni unite n . 29862 del 12/10/2022, la quale ha enunciato il seguente principio di diritto: <>, precisando che il codice di rito consente la proposizione di domande di condanna limitate all’ an debeatur , senza che sia necessario il consenso del convenuto, che tale facoltà costituisce infatti espressione del principio di libera scelta delle forme di tutela offerte dall’ordinamento, che spetterà poi al convenuto, ove lo ritenga, formulare domanda riconvenzionale di accertamento dell’insussistenza del danno: domanda che, se proposta, ribalterà sull’attore l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del danno (Cass., Sez. Un., n. 12103/1995 e successiva giurisprudenza conforme), che l’ordinanza n. 17984/22
non merita condivisone per più ragioni: a) la stabilità dell’interpretazione delle norme processuali è un valore immanente nell’ordinamento, a salvaguardia della certezza del diritto ed a tutela del diritto di difesa; b) i principi di libertà del diritto di azione (art. 24 Cost.); c) l’incompatibilità con vari principi stabiliti dal diritto comunitario, ovvero da norme interposte ai sensi dell’art. 10 Cost.
6) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1227, 1 e 2° comma, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1° n. 5 cod.proc.civ.
Si sostiene che era stato denunciato in appello non solo che l’RAGIONE_SOCIALE non era stata in grado di dimostrare né l’ an né il quantum del danno asseritamente subito, ma anche che dall’istruttoria era emerso il contrario ovvero che non aveva perso la disponibilità dell’immobile ed anzi gli atti traslativi della proprietà furono prontamente dichiarati nulli dal Tribunale di Roma con la sentenza parziale n. 25034/2009, che l’immobile versava in stato di abbandono, che il suo disinteresse verso lo stesso aveva involontariamente favorito il <> e che la perdita della disponibilità materiale fino al dissequestro era dipesa da un comportamento -la richiesta di immediato sequestro dell’immobile – <> a tutela dei suoi interessi e non avrebbe potuto essere utilizzato quale prova, sia pure presuntiva, di un possibile danno, ma rilevare semmai ai fini dell’art. 1227, 1° comma, cod.civ.
Il motivo è inammissibile.
Non solo i fatti asseritamente omessi sono stati esaminati dalla corte d’appello, quindi non sussiste la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., ma neppure è configurabile la
violazione delle norme di legge epigrafe, perché la corte territoriale ha escluso con un accertamento di fatto relativo alla ricorrenza della causalità materiale l’RAGIONE_SOCIALE avesse colposamente contribuito al verificarsi dell’evento di danno.
Ricorso incidentale della Banca popolare di Puglia e Basilicata
Con l’unico motivo del ricorso incidentale qui scrutinato è denunziata violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e ss. cod.proc.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Il Tribunale di Roma, prima, e la Corte di Appello di Roma, dopo, avrebbero erroneamente regolato le spese processuali, per le seguenti ragioni:
l’odierna ricorrente era stata chiamata in causa da RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di prime cure;
il tribunale, sebbene si fosse costituita, l’aveva erroneamente dichiarata contumace e, in violazione degli artt. 112 e 91 cod.proc.civ., aveva omesso qualsiasi pronuncia sulle spese di lite in suo favore, sebbene l’RAGIONE_SOCIALE fosse risultata totalmente soccombente nei suoi confronti;
la corte territoriale l’avrebbe invece condannata ingiustamente, sebbene vittoriosa anche in grado di appello, al pagamento delle spese processuali, disapplicando il principio di ‘causazione’ dell’evento e omettendo di considerare che era stata evocata ingiustamente in giudizio da RAGIONE_SOCIALE che per giunta non aveva formulato alcuna domanda nei suoi confronti.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello che ha rigetto il motivo di appello incidentale con cui aveva fatto rilevare l’erronea dichiarazione di sua contumacia e l’erronea mancata condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado in suo favore, perché non
avendo l’RAGIONE_SOCIALE proposto nel giudizio di primo grado alcuna domanda nei suoi confronti non poteva configurarsi nemmeno in astratto una sua soccombenza che ne giustificasse la condanna alle spese ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., avendo il tribunale accolto le domande risarcitorie proposte dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, di Unicredit S.p.A., di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, non poteva trovare rilievo il principio per cui <> più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.
Né il giudice a quo ha ritenuto accoglibile l’appello incidentale nella parte in cui si chiedeva di condannare <> delle suddette spese, posto che sarebbe stato onere della banca indicare tale diverso soggetto e spiegare le ragioni per le quali avrebbe dovuto essere condannato al rimborso delle spese di lite, essendo a ciò tenuta per il disposto dell’art. 342 c.p.c.>>. Adduce la ricorrente a supporto della censura qui formulata che la richiesta di condanna alle spese processuali era specifica e pienamente comprensibile, perché era stato chiesto, in via principale, di condannare l’RAGIONE_SOCIALE, ossia il soggetto che l’aveva chiamata in causa, costringendola a svolgere attività difensive, ed, in via subordinata, il soggetto che sarebbe risultato all’esito del giudizio soccombente, realmente o virtualmente (ovviamente non conosciuto al momento della costituzione in giudizio).
Il motivo è infondato.
Questa Corte -v. Cass. 6/12/2019, n. 31889 -ha precisato che la disciplina delle spese processuali coniuga il principio della difesa con quello della causazione, <>, atteso che, seguendo solo il principio di soccombenza, <> che invece <>. Di conseguenza, i rapporti processuali <>.
La corte territoriale, proprio in ragione del fatto che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva promosso alcuna domanda nei confronti della banca qui ricorrente incidentale, ha escluso che potesse essere condannata delle spese di lite sostenute dalla odierna ricorrente.
Neppure il secondo ordine di censure merita accoglimento.
La domanda di condanna delle spese a carico del soggetto tenuto in via solidale al pagamento è stata ritenuta indeterminata ed immotivata dal giudice a quo (p. 34).
La rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda costituisce oggetto di un giudizio di fatto riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità solo quando risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto interpretato o quando, attraverso il non corretto esercizio dell’operazione interpretativa, vengano violati i limiti rappresentati, da un lato, dal rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e, dall’altro, dal divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella espressamente e formalmente proposta (Cass. 23/07/2024, n.20351).
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali.
Le spese del presente giudizio sono compensate tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali.
La ricorrente principale e le ricorrenti incidentali vanno condannate in solido al pagamento delle spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e i ricorsi incidentali.
Compensa le spese di lite tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali. Condanna in solido la ricorrente principale e le ricorrenti
incidentali al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti che liquida in euro 7.700,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE e in euro 7.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 27 gennaio 2025 dalla